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Autore: Alessandro11    02/05/2014    1 recensioni
Qualunque evento della nostra vita è soggetto alla nostra interpretazione. C'è sempre una verità soggettiva che attribuiamo ad una determinata situazione o persona. L'ossessione di dare un senso alla nostra vita la rende così fragile e umana. Ho sempre voluto esprimere qualcosa in tutto ciò che scrivevo, un unico messaggio. Questa storia è la mia personale ricerca di quel messaggio. Il nostro cuore ci fornisce la chiave di lettura di ciò che ci circonda.
Mi andava di raccontare qualcosa. La chiamo storia, ma non so di preciso cosa sia. E' come una sorta di autobiografia in cui realtà e finzione si confondono. E' il mio personale punto di vista, un frammento di esistenza a vostra disposizione. La trama non mi è ancora chiara, tuttavia spero che tutti voi apprezziate questo viaggio attraverso il sogno.
In questa storia cerco di intrecciare più storie passate e di spiegare tutto attraverso una sola logica. In altre parole è come se cercassi continuamente di completare un puzzle. Sono in costante ricerca dei pezzi per completarlo.
(NB: C'ho sempre tenuto all'uso di un certo linguaggio medio-alto. Tuttavia devo confessare che da un po' non scrivo/leggo. Non odiatemi.)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da bambino ho sempre sognato di viaggiare tra le stelle. Un bel giorno mi sarei svegliato e avrei avuto la possibilità di viaggiare fra le stelle. Loro mi avrebbero chiamato, io sarei saltato giù dal letto e sarei corso fuori casa, dove avrei trovato una bellissima tuta da astronauta. Naturalmente l'avrei messa su senza pensarci due volte, dato che nelle vicinanze avrei sicuramente trovato la mia astronave ad attendermi. In quel momento ero sicuramente il bambino più felice del mondo intero. Sarei partito lasciando tutti sulla Terra, anche la mia mamma. Forse nella realtà sarei stato sicuramente un po' triste di non vedere tutti per un po', ma nel sogno non c'era spazio per quest'emozione. Loro mi avrebbero chiamato e io avrei viaggiato tra le stelle.

Nel sogno inizialmente le sequenze erano queste. Scorrevano davanti come spezzoni di un vecchio film a bianco e nero e non lasciavano affatto spazio per ulteriori dettagli. Non si vedeva bene se la camera in cui dormivo io corrispondesse alla mia camera, per esempio. Ovvero era impossibile sapere se sul mio letto c'erano le coperte con i gabbiani disegnati, se i miei giochi erano davvero tutti sparsi per terra come al solito, se c'erano delle foto nella stanza e, se c'erano, chissà se mi ritraessero. Questo forse perchè al me del sogno non interessavano certe cose. Non tutto ciò che banalmente pensiamo riesce ad entrare poi nei sogni: c'è come un'aspra selezione di voglie, desideri e paure che non permette a tutto ciò che abbiamo nella testa di diventare un sogno. Ma qual è il criterio con il quale miliardi e miliardi di informazioni vengono quindi tagliate? Come si spiega il fatto che non riuscivo ad includere nello stesso sogno il mio desiderio di poter viaggiare tra le stelle e, per esempio, il mappamondo che si illumina, che è stato uno tra i miei compagni preferiti di giochi, con quei Dove mi porti, Signor Mappamondo? Andiamo in Australia, Signor Mappamondo? O forse in America? Decidi tu, Signor Mappamondo. Chi lo sa con quale criterio funzionano i sogni. A me bastava poter viaggiare tra le stelle. Solo che, ad essere sincero, nel mio sogno non ho effettivamente mai raggiunto questo obbiettivo. Non ho mai raggiunto il momento in cui la mia astronave ed io ce ne andiamo in giro tra i corpi celesti: in altre parole, il sogno solitamente finiva proprio quando la mia astronave ed io partivamo con un razzo a propulsione dal pianeta Terra; dico solitamente perchè qualche volta mi è capitato di continuare il sogno, ma chissà se non ero semplicemente io stesso che in uno stato di dormiveglia lo pilotavo, stravolgendone le sacre fondamenta. Ovviamente finiva sempre allo stesso modo: la mia astronave ed io viaggiavano tra migliaia e migliaia di stelle diverse. Su qualcuna atterravamo anche. Quindi io scendevo e andavo ad esplorare il mondo nuovo.

Mi sono sempre detto che ogni stella è come una promessa mantenuta in un universo infinito e fragile. Chi lo ha creato l'universo? Dio? Allah? Il Big-Bang? Chiunque sia, possiamo chiamarlo semplicemente Creatore X. Il Creatore X quindi ha creato l'universo X, e quando lo ha creato chissà se ha fatto le cose come aveva stabilito in precedenza. Chissà se il suo primo pensiero corrisponderà poi all'universo x così come sarà creato. Chissà che qualche attore sconsiderato o di talento faccia volontarie modifiche al copione del regista e renda lo spettacolo più originale o semplicemente diverso. Quando crei un universo non puoi certo permettere ad un pianeta qualunque di decidere come comportarsi o dove collocarsi, ma chissà che veramente questo Creatore X sia riuscito a far coincidere il proprio originale copione con lo spettacolo effettivamente inscenato dagli attori, chissà. Ebbene, io mi sono sempre detto che una stella, per il semplice fatto di esistere in quel determinato momento e luogo nell'universo, rappresenta una battuta del copione che è stata detta così come doveva essere detta. E questo semplicemente perchè nello spettacolo universo x gli attori, e cioè le stelle, o ci sono o non ci sono. La loro presenza rappresenta automaticamente un successo.

In qualità di Creatore, anche io ho creato molteplici universi. Non so spiegare perfettamente attraverso quale processo siano stati creati, ma posso affermare con certezza che non sempre ho avuto in mano un copione ben definito da mostrare agli attori dello spettacolo. Il risultato era sempre lo stesso. Lo spettacolo acquisiva vita propria ad opera degli attori a cui io stesso mi ero raccomandato. Il mio compito era solo quello di porre in essere il desiderio, in modo che esso potesse poi spiegare le ali e volare. Sembrava così illogico inizialmente, ma imparavo che tutto ciò non era poi così diverso dal rapporto che caratterizza genitori e figli.

Quando ho iniziato a dare vita a mondi nuovi ero solo un bambino. I primi tentativi in cui io stesso mi cimentai per la mia volontà producevano sempre risultati scadenti. Eppure, forse perchè ero solo un bambino, mi soddisfavano tantissimo. Il potere di creare di un bambino è forse il più potente che ci sia. Tutto ciò che il bambino vuole, può diventare realtà. Tuttavia, un bambino non conosce bene i concetti di spazio, astri, atmosfera, sistemi solari e galassie. Per via di questa mancanza , gli universi che creavo non erano così maestosi e somigliavano più a dei piccoli mondi circoscritti e isolati da tutto ciò che era altro, proprio come un'isola molto piccola proprio nel mezzo dell'Oceano Pacifico. Fondamentalmente, si trattava sempre di mondi e di storie caratterizzati da una trama fissa. In quegli anni non dico che mi sentissi costantemente solo, ma non è che avessi molti amici. Gli universi che creavo si sovrapponevano a questo come un velo puro e candido, cosicchè potessi vederne solo le forme essenziali, cambiandone contemporaneamente la fisionomia. Ogni volta che mi rifugiavo nell'universo velo avevo sempre qualcosa da fare: su ordine del regnante del territorio, un esercito di guardie era deciso a cancellare dalla faccia del pianeta i protagonisti della storia e naturalmente loro non si lasciavano acchiappare tanto facilmente; oppure Celesis e Mat (erano i nomi di due ragazzi tra i protagonisti) passeggiavano sul lungomare e venivano misteriosamente contattati dal Professore, un uomo che aveva dedicato l'intera vita alla guerra contro l'ingiustizia e che aveva intenzione di suggerire uno tra gli infiniti possibili modi di proseguire la storia. Sempre più spesso l'universo velo si intrecciava con la realtà. Se mi trovavo in palestra a giocare a pallacanestro, spesso mi capitava di sentirmi fuori luogo. Ma ecco che i protagonisti della storia comparivano di nuovo: la palestra era in realtà una centrale energetica che se saputa sfruttare permetteva all'idrovolante dei miei amici/attori di iniziare il viaggio infinito che avevano sempre sognato. Infatti, sebbene lo scenario di questo particolare universo corrispondeva all'esatta copia della città in cui io vivevo, sopra di essa galleggiava un'isola. L'isola ospitava le vestigia di una civiltà millenaria decaduta a causa di un misterioso incidente. Pochi tra gli esseri magici che vivevano lì erano potuti fuggiti sulla terraferma, dove conobbero gli umani. Gli umani aiutarono i superstiti del disastro e tra i due popoli nacque un'amicizia speciale. Nel corso dei secoli l'unione tra umani ed essere magici avrebbe dato origine alla città dei protagonisti. E alla fine? Come finiva la storia? Nessuno dei miei universi velo aveva una fine. Perchè non avevano mai una fine? Quando un bambino ha nove anni semplicemente non può lasciar cadere il sipario su un palcoscenico a lui caro, preferisce anzi lasciar continuare lo spettacolo all'infinito fin quando non sarà lui stesso ad essersi stancato di vedere sempre le stesse cose ripetersi. In quel momento avverrà qualcosa di molto simile ad uno spettatore che esce dal teatro mentre lo spettacolo è ancora in corso. Paradossalmente il fallimento di universo è causato proprio dal Creatore, che lo rinnega completamente. Esso è quindi perso nel mare del niente. Incapace di morire, vagherà fino al momento in cui il proprio Creatore non tornerà a riprenderselo. Anche se potrebbe non avvenire mai.

  
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