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Autore: Soqquadro04    03/05/2014    2 recensioni
[AU!Delena - tutti umani | Fluff, in certi momenti | OOC (per la situazione, più che altro) | 5989 parole]
La prima volta che si incontrano non va troppo bene, hanno tredici anni ed Elena ha imparato a sorridere di nuovo - Damon ha capito che non tutti i criceti rimangono arrabbiati e Bonnie, invece, che sarà tutto meno che facile.
[...](«Lèni?» e ricorda che lui aveva riso e da allora quando voleva essere affettuoso storpiava apposta la pronuncia, sul volto un sorriso tanto bello da farle male, studiandola di sottecchi e ridendo appena al suo sbuffare fintamente irritato) e lui aveva continuato a ridacchiare per un giorno intero, ignorando deliberatamente le occhiate omicide che gli riservava perché, diamine, che colpa ne aveva lei se non conosceva una parola di francese.
Ora di anni ne hanno sedici e lei non fa in tempo a rispondere che si trova bloccata in un bacio che esclude qualsiasi possibilità di amicizia – e non è il suo primo bacio ma è sicuramente migliore di quello che lo è stato, è umido e famelico e sofferente; dolce, a un certo punto, uno sfiorarsi e ritrarsi ed è Damon, Damon, Damon.
Quella notte non può pretendere di dormire [...]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie Bennett, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Jeremy Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Soqquadro04
Fandom: The Vampire Diaries
Disclaimer: devo davvero ripetervi ogni volta che non mi appartengono e blablabla? No, non sono miei, lo sapete.
Generi: Romantico, Sentimentale, Commedia (a volte, credo), Fluff (sempre a volte, ma tutto è ridicolmente felice)
Avvertimenti: OOC (niente scuse, è tutto OOC), AU (tutti umani)
Rating: Verde
N/A - Note dell'Autrice:
A questa storia mi ci sono inevitabilmente affezionata.

È più lunga della messa di Natale (nonostante ne abbia scritte anche di più lunghe) e ci sono tanti piccoli particolari, tanti dettagli, che svelano decisamente un sacco di quello che penso e sento su e per questi due scemi, quindi è anche... chiamiamola personale, anche se chi scrive sa che si tratta sempre di qualcosa di personale. Credo inoltre di aver espresso il mio amore per gli occhi di Ian in più e più modi – come non penso di aver quasi mai fatto così esplicitamente, nonostante sia piuttosto chiaro che non puoi non ridurti a un essere adorante davanti agli occhi di quell'uomo.

A volte è malinconica (seeeee, credeteci, ci sono proprio due frasi in tutto), a volte fa sorridere (cosa che ha avuto un certo peso sulla scelta del titolo, come anche, noterete, "All of me" di John Legend) – non so bene cosa sia, ma ne sono abbastanza soddisfatta anche se non mi convince del tutto (in realtà mi piace ma probabilmente piace solo a me, perché non ne sono poi così convinta, mi sembra di essere stata tremendamente pesante e ripetitiva).
Probabilmente, se fossi in grado di non farmi prendere dal panico all'idea, avrebbe potuto essere una long, approfondendo ogni singolo momento – ma lo sapete che non sono in grado di non farmi prendere dal panico, quindi vi tenete la messa.

Fra l'altro, mi rendo conto che dovrei smetterla di pensare a Damon come un pittore, nelle AU, perché accostare l'immagine dell'attuale Damon Salvatore a quella di un romantico pittorino francese è semplicemente assurdo e credo l'immagine più completamente OOC che si possa avere di lui (tranne quando c'è gente che lo trasforma in un essere che sospira “tesoro” e “piccola” a destra e a manca, perché va bene che non escludo a priori l'idea che, esclusivamente di notte e con la porta della camera ben chiusa, quasi soffocandosi contro il cuscino, possa farsi scappare un “amore” o qualche altra cosa da idiota innamorato, ogni due secoli, ma sinceramente a me sembra già piuttosto fuori personaggio anche il nomignolo che gli ho fatto affibbiare ad Elena in questa storia, quindi...) e anche perché non c'è nessuna base fondata dietro questo se non che nella mia testa sua madre era un'artista e che l'abbia poi fatto letteralmente innamorare dell'attività di famiglia (cosa che con mia madre, ad esempio, non è successa – è anche vero che lei dipinge per hobby, e che comunque mi sono ritrovata ad apprezzare quadri che magari senza di lei avrei bellamente ignorato, ma sono completamente negata nel disegno) – e non c'è neppure un briciolo di Canon, in questo. Però Mama Salvatore era francese, ne sono abbastanza sicura – ecco, quello forse è Canon. Forse.

Però, sì, preferisco vederlo come un pittore (fra l'altro credo di stare diventando un po' ossessionata dall'idea di sentirlo parlare in francese, è proprio un pensiero fisso) piuttosto che come un impiegato alle poste – anche se devo ammettere che arrivare alla fine della fila dopo avere imprecato in tutte le lingue possibili e immaginabili contro le vecchiette che ti sorpassano, scusandosi “perché, cara, vedi, la mia anca” e vedere un commesso simile sarebbe una cosa magnifica.

Riguardo il primo flashback, un piccolo appunto: sì, Damon è ridicolo – lo so che non volete crederci, ma dopotutto è un uomo (per quanto perfetto in ogni sua più piccola sfumatura) ed è stato bambino anche lui, e il massimo umorismo dei ragazzini di tredici anni (e sì, sono convinta anche quello di Damon Salvatore, quando aveva quell'età, nonostante poi si sia decisamente affinato – considerato che ci sono uomini che rimangono a quel livello per tutta la vita continuando a credersi divertenti) è precisamente simile all'esempio riportato. Vi giuro.
Lo so, è stupido e tremendamente infantile. Mi ha fatto male scriverne – mi è sembrato di sentirlo gridarmi minacce di morte dalla Virginia, nonostante decisamente al momento non sia io il suo problema più impellente.

Poi: non so di preciso cosa mi abbia fatto scegliere Bonnie come, diciamo, voce introduttiva – probabilmente è perché mi serviva una persona che fosse stata vicino ad Elena per molto tempo, da sempre, qualcuno con cui si è confidata e con cui continua a parlare, e odio troppo Caroline per riuscire a scriverne (nonostante l'abbia già fatto, è sempre stato per usarla come finale comico) e quindi alla fine ho deciso per Bonnie. La strega/ancora che non si accorge mai di nulla e vive nel suo mondo incantato finché, oops, guardate, che ne so, che Kathy cara non è morta. Per esempio, eh – solo uno, di esempio, oltretutto. Ma quelli si chiamano buchi nella trama, non dovrei dare la colpa al personaggio.

Ogni tanto penso che dovrei veramente ampliare i miei orizzonti, non posso scrivere per sempre soltanto di Delena. E di Alaric e Rose. Ed Elizabeth, e Stefan se non mi ha fatto troppo avvelenare il sangue (ultimamente sta considerevolmente migliorando, diamogliene merito). Ah, una volta mi sono buttata anche su Katherine, molto prima che si perdesse in quell'aura di patetica adolescente cotta di Steffy, fra le altre cose, e me ne diventasse insopportabile la vista.
E poi boh, credo che il mio universo scrittorio si fermi qui – un disastro.

Miiii, se sono limitata.

Ah, ultima cosa: noterete che la storia si basa sulla stessa struttura che ho utilizzato per “Myricae” e no, non c'è un motivo particolare, è semplicemente che questa (NO SPOILER NO SPOILER NO SPOILER – tanto se l'avete letta ci siete già arrivate, che mi preoccupo a fare) situazione riesco a gestirla solo così, non so perché. Quindi beccatevi l'invasione di flashbacks.
Le note sono perfino più lunghe della storia, ormai – quindi vi saluto, e buona lettura per chi vorrà continuare dopo questo sproloquio inutile. ù.ù

A presto,
la vostra Soqquadro


P.S. Io dovrei cominciare a pubblicare a orari normali, sapete? Pensate che oggi pomeriggio mi stavo illudendo di poterla finire entro le quattro. Se.
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Rainy days, sunny days – (I love) all your perfect imperfections

 

[…] Amami come se fossimo ancora
in quel bar di Berlino a fumare Pall Mall.
Amami come quella sera a Marsiglia,
quando in preda al barbera mangiammo escargot. […]

Italian Dandy – Brunori S.A.S.

This ain't a movie no,
no fairy tale conclusion ya'll.
It gets more confusing everyday,
sometimes it's heaven sent-
Then we head back to hell again
we kiss then we make up on the way.

I hang up you call,
we rise and we fall,
and we feel like just walking away.
As our love advances,
we take second chances.
Though it's not a fantasy
I still want you to stay.

Ordinary people – John Legend

 

Cards on the table
we’re both showing hearts.
Risking it all though it’s hard.

[…] 'cause all of me loves all of you,
love your curves and all your edges,
all your perfect imperfections.
Give your all to me,
I’ll give my all to you.
You’re my end and my beginning […]

All of me – John Legend


Esistono certi amori che non è che si possano spiegare – non sono razionali, nemmeno un po', non hanno basi solide dietro, sono tempeste che arrivano, frantumano l'equilibrio del mondo e poi passano, trascinandosi dietro brandelli d'estate e cuori sfilacciati.

Amori difficili, sfiancanti, estenuanti – che non possono limitarsi a prendere solamente tempo e spazio e occupare il cervello con strategie assurde e il corpo con piani ancora più assurdi, e allora semplicemente irrompono con una violenza prepotente nella vita di chiunque abbiano scelto e si prendono la sua anima.
Non capita spesso – non sono comuni, da vedere, due così.

Eppure.

Aggrappandosi al braccio di Jeremy – che mugugna qualcosa sul fatto che sono già in ritardo, ma per quello che li conosce lei probabilmente non sarà un problema perché arriveranno entrambi dopo almeno mezz'ora da tutto il resto degli invitati, col prete impegnato a guardare l'orologio chiedendosi se per caso non abbia sbagliato giorno o magari chiesa, e altrettanto probabilmente saranno incredibilmente trafelati e spettinati e il rossetto sarà sparso un po' ovunque, ma nessuno farà domande – e chinandosi velocemente per sistemare il cinturino della scarpa, Bonnie si trova a ripensare quasi distrattamente al fatto che quindici anni fa, in quello stesso punto, ha assistito al loro primo incontro ravvicinato e allora, davvero, nessuno poteva prevedere che sarebbero finiti così. Sorride mentre si alza, allungandosi a prendere lo scialle e ridendo per l'ansia impaziente del suo fidanzato.
Si erano detestati – almeno, lei non l'aveva presa molto bene.

 

Elena Gilbert ha tredici anni, grandi occhi castani liquidi di tristezza e non sa più come riuscire a sorridere.
«Bonnie, dai, muoviti! Sai che Caroline impazzisce quando arriviamo tardi.» mugugna, irritata da quello che ormai è un inevitabile ritardo.
Sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio – quella torna esattamente dov'era, ma non ci fa caso –, appoggiata al muro dell'ingresso, sbuffando contrariata quando l'amica non le risponde, ancora intenta a fare chissà cosa in bagno – cinque minuti dopo la vede scendere di corsa le scale con una borsa troppo grande per lei a tracolla, apre la porta e quasi va a sbattere contro di lui.

Damon Salvatore ha la loro età, un padre impossibile e gli occhi più azzurri del mare – solo anni più tardi lei riderà, un tramonto di gennaio, e gli sussurrerà sulla pelle che sono azzurri come l'amore (perché davvero, davvero lei sa che basterebbe uno sguardo di Damon a convincere chiunque si ostini ad associare ai suoi sentimenti quello stereotipato rosso caramella che è proprio fuori strada), prima che lui la interrompa (come in un film, a metà di una frase) con un bacio e finiscano a farlo, l'amore, sul piano scomodo della cucina, due bicchieri di vino abbandonati da qualche parte e la Senna luccicante degli ultimi raggi di sole, appena visibile dalla finestra.
Ora, però, si limita a scrutarla incuriosito – sembra guardarla dall'alto, nonostante non abbia poi così tanti centimetri più di lei –, con un giornale in mano e un borsone grande quanto quello di Bonnie appeso al fianco.

Inclina il capo di lato e i capelli scuri – forse un po' troppo lunghi sulla fronte, ma non c'è più nessuno che se ne preoccupi – gli ricadono sul viso, costringendolo a scostarli con un gesto veloce delle dita – poi le sorride (con un angolo solo della bocca – ed Elena davvero detesta notare tutte queste piccole cose ma è un po' difficile non farlo quando il diretto interessato blocca la tua unica via d'uscita e tu gli sei ancora praticamente spiaccicata addosso perché il furbo ha avuto la grandiosa idea di aspettare proprio appena fuori dalla porta. E no, la sua giustificata irritazione non deriva sicuramente dal fatto che lui continua a sorridere e lo stomaco le si sta stringendo in quella maniera che non è proprio spiacevole, non sgradevole, una stretta tenera e sicuramente non sono farfalle, figurarsi, è più come se stesse per vomitare ma sapesse che dopo andrà meglio e oh, no, non esiste), tranquillo e perfettamente a suo agio, le porge il giornale e la insulta nel modo peggiore che, in quel preciso momento della sua vita, può venirle in mente.
«Chi ti ha tagliato i capelli con un tosaerba?» è palesemente divertito, mentre studia il taglio maschile che sfoggia la bambina – e qualsiasi straniamento che quest'ultima può aver avvertito sparisce con nove parole di troppo, come per magia.
Arrossisce di botto, gli occhi sgranati e la bocca semiaperta - sembra un po' un cartone animato, con quell'espressione –, mentre Bonnie li osserva, ancora immobile alla fine delle scale, e storce il viso di disapprovazione e forse anche un po' di divertimento (non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura, ma in fondo pensa che non abbia poi tutti i torti).
Scuote la testa, poi prende fiato per ribattere – ora assomiglia a un criceto arrabbiato, anche se a ben pensarci non farebbe nemmeno paura, a un criceto arrabbiato.
La voce le esce di gola in uno sbuffo secco e dovrebbe sembrare furiosa – dovrebbe, in teoria.
Prima o poi, Bonnie deve appuntarselo da qualche parte, deve assolutamente dirle che a suo parere serve un consistente miglioramento nell'esprimere rabbia. Davvero.
«Quello che non li ha tagliati a te.»

 

Sospira, alzando gli occhi al cielo mentre chiude lo sportello, attenta a non lasciar impigliare l'orlo dell'abito – il rombo del motore che si avvia e poi sono già sulla strada per la chiesa.

Dopo tali incoraggianti premesse, avrebbe dovuto capire fin da subito che non sarebbe stato facile, che non sarebbero stati facili – cioè, da quando Caroline si era presentata, il giorno dopo, felicemente abbarbicata al braccio di lui (erano stati fidanzati – termine che avrebbe necessitato di pesante virgolettatura – per circa sei mesi fra cotte varie, eventuali ed altalenanti – quindi se ne potevano contare due – e anche dopo, quando si erano mollati – sempre le virgolette – definitivamente, Damon semplicemente era rimasto – e non sa bene se sia stato perché alla fine, non che lui lo verrà a sapere in qualsiasi modo, non era così male e le faceva ridere, e sicuramente anche dopo quella frecciatina infelice, molto lentamente, era stato perdonato. Quindi aveva continuato a sedersi al loro tavolo a mensa, trascinandosi dietro il suo migliore amico, Enzo, che era di due anni più grande di loro e si comportava come un fratello maggiore, e nemmeno se n'era accorto qualcuno di quanto lui ed Elena stessero diventando completamente, indissolubilmente legati da qualcosa che era sì amicizia e neppure sembrava che dovesse trasformarsi in qualcosa di più, non soltanto perché avrebbe violato uno dei più importanti Codici dell'Amicizia – non puoi essere incuriosita/notare in quel senso/uscire con il ragazzo che ha mollato/è stato mollato dalla tua migliore amica – ma a tredici anni sicuramente non puoi capire cosa significhi gravitare inconsciamente attorno a qualcuno solo perché quella persona è quello che vuoi, quello che ti fa stare bene in quel momento, quello che ti tiene aggrappata alla tua vita. Soprattutto se i tuoi genitori sono morti da meno di un anno e tu non sai come fare, perché nemmeno le tue migliori amiche possono comprendere davvero e un giorno di pioggia vedi quella persona arrivare in bicicletta dal fondo della strada, scendi le scale quasi di corsa e il cuore batte così forte, e non sai perché ti ritrovi ad abbracciarla mentre ti dice che sua madre se n'è andata una notte d'estate e forse ti cade qualche lacrima, forse, e vi stringete un po' di più e non c'è bisogno di parole per capire che vi capite).

 

Arrivano in chiesa con tre quarti d'ora d'anticipo, alla faccia del ritardo, e decide che dovrebbe decisamente comprarsi un orologio per impedire che Jeremy si faccia prendere dal suo lato melodrammatico – che non gli era appartenuto, almeno finché non aveva iniziato a frequentare più assiduamente Damon, e questa è un'altra cosa che è solo colpa di quell'uomo ma alla fine va bene così.

Tanto vale andare a vedere come se la cava Elena, si dice, trascinandosi dietro anche un certo reticente fratellino («Ma non porta sfortuna?», «No, Jer, quello è lo sposo.») – quando, entrando in canonica, li trovano e sono solo un groviglio di braccia, camicie slacciate e gambe impigliate nella gonna, le tornano in mente i sedicenni che erano; il vestito di Elena è irrimediabilmente stropicciato e, come aveva previsto, il rossetto è davvero ovunque, e Jeremy se ne esce con un verso strozzato e distoglie gli occhi mentre loro due si allontanano con ancora il fiatone e si sorridono di uno di quei loro sorrisi brevi, segreti, speciali (uno di quei sorrisi che fa sentire terribilmente escluso il resto del mondo).

Ricorda quando Elena le aveva telefonato in piena notte e in piena crisi di panico, e ora sa che dev'essere andata più o meno così – ricorda anche che quella notte non aveva dormito e che il giorno dopo la verifica di Trigonometria era stata classificata come la sconfitta più bruciante della sua carriera scolastica.

 

Elena ha sedici anni e Damon la trasforma in qualcosa che la gente non crede possa essere.
Damon la rende imprevedibile, Damon la rende viva, Damon le ha fatto capire come ridere di nuovo – Damon le insegna a non avere paura del mondo.

Damon è quello che la fa essere Elena, in un certo senso – come in un certo senso (che è piuttosto confuso e contorto e prende strade impensabili) è anche il suo migliore amico (quell'amico speciale con cui parli di tutto e che ti ascolta anche se ti ritrovi a sproloquiare di mestruazioni durante la tua prima sbronza, anche se è imbarazzante e anche se non ha senso, e ti tiene i capelli sussurrandoti che passerà tutto, mentre sei china sul gabinetto di casa tua e vomiti anche l'anima e giuri che non toccherai mai più un goccio d'alcol) anche se Elena è sicura che certi sguardi e certe carezze distratte siano decisamente fuori da quella sfera relazionale e sfocino in qualcos'altro di più intimo, di più loro.
E allora in realtà non è poi così stupita quando quella sera – una sera come tante che non dovrebbe avere nulla di speciale, una sera d'autunno in cui hanno fatto un po' tardi e l'aria è frizzante di promesse e sorrisi mascherati –, davanti alla porta di casa sua, con Jenna che dev'essere ancora sveglia ad aspettarla, per un attimo c'è troppo silenzio e la tensione fra loro è quasi tangibile.

E davvero, davvero vorrebbe poterla ignorare – ci prova, anche, e lo saluta con un abbraccio e un “a domani” sussurrato sottovoce, e per qualche secondo può illudersi di avere sventato una catastrofe.
Si rende conto che non è così quando lui la trattiene per il polso, senza stringere e senza farle male – solamente la trattiene e la chiama, un mormorio indistinto troppo vicino al suo viso e troppo legato all'anima

«Lène*1...» avevano quattordici anni, la prima volta che l'aveva chiamata così, alla francese, e lei non aveva capito – se ne era uscita con una faccia stranita e un tono incerto («Lèni?» e ricorda che lui aveva riso e da allora quando voleva essere affettuoso storpiava apposta la pronuncia, sul volto un sorriso tanto bello da farle male, studiandola di sottecchi e ridendo appena al suo sbuffare fintamente irritato) e lui aveva continuato a ridacchiare per un giorno intero, ignorando deliberatamente le occhiate omicide che gli riservava perché, diamine, che colpa ne aveva lei se non conosceva una parola di francese.

Ora di anni ne hanno sedici e lei non fa in tempo a rispondere che si trova bloccata in un bacio che esclude qualsiasi possibilità di amicizia – e non è il suo primo bacio ma è sicuramente migliore di quello che lo è stato, è umido e famelico e sofferente; dolce, a un certo punto, uno sfiorarsi e ritrarsi ed è Damon, Damon, Damon.

Quella notte non può pretendere di dormire – mezz'ora dopo sta stravolgendo il letto cercando una posizione comoda, un'ora e sta afferrando con rassegnazione il cellulare dal comodino, digitando a memoria il numero di Bonnie.
Quando le risponde, la sua migliore amica ha la voce assonnata ed è anche un po' irritata – si morde la bocca quasi a sangue, torturando una ciocca di capelli fin quasi a strapparla.
«Elena, sai che sono le due e mezzo del mattino e che domani abbiamo un compito di Trigonometria, vero?» il tono impastato sfuma in qualcosa di più tenero, comprensivo, quando la sente affannare cercando di trovare le parole «Sembra una conversazione lunga, quindi su, dimmi – domani mi farai copiare, se non dormirò per colpa tua. Cosa c'è?» e lei non può fare a meno di sorridere, per un attimo, perché davvero la sua è l'amica migliore del mondo.
«Mi ha baciata – Damon mi ha baciata. E abbiamo rovinato tutto, Bonnie, abbiamo davvero rovinato tutto, lo so.»

 

Damon si defila rapidamente – non senza avere omaggiato di un altro, e un altro ancora, tanto per buona misura, saluto l'amica, tanto che ha dovuto schiarirsi la voce e metter su il suo cipiglio più severo per convincerlo finalmente ad andarsene a sistemare quella maledetta cravatta insieme a Jeremy – ed ora può finalmente aiutare Elena a rifare il trucco, ovviamente rovinato, e adesso chi la sente Caroline (sicuramente lei cercherà di sparire il più in fretta possibile, ma intanto, mentre tenta di ridare una parvenza di senso al make-up precedentemente concordato, lascia lei persa nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, perché visto come sono finiti è chiaro che non abbiano rovinato un bel niente).

Lei si guarda allo specchio, Bonnie alle sue spalle che armeggia un po' con l'acconciatura e un po' con matite, ombretto e diavolerie varie – sorride quando le torna alla mente il ballo dell'ultimo anno, e tutte quelle coppie impacciate in pista e Damon che le parlava in francese e rideva, promettendole il mondo.

 

Elena ha diciotto anni ed è innamorata del suo sorriso.
È innamorata delle sue sfumature, delle sue piccole (im)perfezioni – è innamorata di ogni suo errore (è innamorata di quando non si fa sentire per giorni, impegnato in chissà cosa, e poi si prende la giustificata sfuriata senza batter ciglio e la abbraccia e a lei non importa più di niente, e di quando a volte la chiama alle tre di notte e si capisce dalla voce quanto ha bevuto) e di ogni altra parte di lui.

È innamorata dei suoi racconti e della sua Francia, anche se non ci è mai stata – un giorno ce la porterà, le dice quella notte, ma lei non lo capisce perché ancora non sa mezza parola di francese –, ed è innamorata dei viaggi che progetta e dei sogni che ogni volta interrompe con un bacio (non perché non voglia ascoltarlo, solo perché è troppo – troppo appassionato, troppo splendente, troppo bello – mentre le parla di quello che vuole dalla sua vita e mentre le spiega con una sicurezza che sente un po' anche sua che, qualunque cosa accada, nel suo futuro la vede accanto a sé anche se non sarà facile e non sempre sarà meraviglioso).

Ha iniziato da ragazzo a mettere da parte i soldi per viaggiare – da quella volta in cui, a tredici anni, aveva iniziato a consegnare giornali (suo padre non gli avrebbe mai prestato denaro – sua madre non c'era più e allora doveva cavarsela da solo, come avrebbe dovuto fare per pagare la retta del college, ma non sembrava neppure pesargli; non aveva mai voluto niente da Giuseppe, nessun debito, nessun ulteriore legame, come se il fatto che fosse suo figlio non avesse importanza).
E lei è innamorata anche di questo – della determinazione e delle ferite che nasconde (del dolore e dei ricordi).

Prima di entrare nella palestra della scuola, la musica che rimbomba in maniera non del tutto sgradevole, le porge il braccio con una certa ironica, costruita aria pomposa, e lei lo accetta con un cenno altrettanto artificiosamente altezzoso – poi sono dentro e vengono inghiottiti dal ritmo martellante di qualche canzone e dalla perfezione imperfetta delle decorazioni di carta stagnola e dei festoni un po' rovinati da anni di utilizzo, e quando qualcuno decide che è arrivata l'ora di un lento Damon la stringe e le fa fare una giravolta (lei ride e, quando lui torna ad avvolgerla in un abbraccio, lo bacia – sa che odia tutto questo, eppure è lì con lei, e non c'è altro regalo che vorrebbe per tutto il resto della sua vita; solo lui).

Quelle due parole – due parole che le scappano di bocca senza che le abbia previste o minimamente pensate, o programmate (e se si soffermasse a pensarci probabilmente la spaventerebbe la naturale inevitabilità con cui le esce quella confessione mormorata) – Elena non le ha mai dette a nessuno, ma, se ci ripensa, alla fine ha sempre saputo che il primo sarebbe stato lui (e quella notte le pare tanto lunga, tanto splendida ed irreale, che per tutto il tempo sente che sarà anche l'ultimo, irrimediabilmente).

«Ti amo.»

 

Bonnie sospira, alle sue spalle, soddisfatta del risultato che è riuscita ad ottenere – magari non è proprio perfetto, ma è già passata mezz'ora e anche da dentro la canonica si sentono le ultime auto arrivare, fermandosi nel parcheggio, e il vociare allegro degli invitati che tentano di prendere posto.

Le sorride, arricciando fra le dita una ciocca sfuggita allo chignon, poi si allunga a prendere il velo e lo sistema con dita abili – e per forza, dopo tutte quelle prove dell'abito e la pazzia pre-matrimoniale di Caroline (nemmeno fosse il suo, di matrimonio, e in effetti, viste le premesse, nessuno aveva poi molta voglia di assistere ai preparativi – anche se, a detta di Damon, Stefan stava già cercando l'anello e quindi avrebbero dovuto rassegnarsi. Con un po' di fortuna, loro due sarebbero stati ancora in luna di miele al momento dell'esplosione), che fra le altre cose le aveva fatto decretare la necessità assoluta di avere sempre intorno qualcuno in grado di risolvere qualsiasi problema tecnico (come, appunto, preparare il velo o riparare una cerniera in un'ora, o anche riuscire a sistemare un tacco rotto). Elena non aveva neppure provato a discutere, quella volta – ma ovviamente tutti l'avevano ignorata perché, davvero, era qualcosa di assurdo.

«Dobbiamo andare, Elena – pronta?» le poggia le mani sulle spalle, stringendo appena, rassicurante, e lei annuisce (anche se vorrebbe negare perché non puoi essere effettivamente pronta a sposare un uomo come Damon – ci sono tante di quelle variabili e tante di quelle promesse che ti senti un po' come se stessi firmando un patto col Diavolo, altro che con lo Stato, ma va bene così) – si scosta per farla alzare e la aiuta a sollevare la gonna per impedire che si macchi d'erba, mentre attraversano il prato per arrivare in chiesa.

Caroline le raggiunge al portone, un colibrì esagitato vestito di azzurro pallido, le informa di qualcosa di non meglio specificato – si guardano entrambe e concordano che probabilmente intende dire che non è ancora ora, mancano ben cinque minuti, e che Elena deve aspettare fuori finché non sentono la marcia d'entrata.

E quelli sono probabilmente i cinque minuti più lunghi della sua vita – si morde le labbra quasi fino a farle sanguinare, ignorando il sottofondo dell'amica che mugugna una qualche protesta irritata sul rossetto (che non porta neanche più, completamente sbavato dal precedente assalto di Damon).

Nonostante abbia lo stomaco rivoltato e i nervi a fiori di pelle – e una paura terribile di inciampare o di perdere il filo del discorso del prete e non rispondere alla Domanda, oppure di impigliarsi da qualche parte o- (non pensarci non pensarci non pensarci) –, riesce a sorridere comunque, portando una mano guantata a nascondere la bocca, mentre Care le ficca in mano il bouquet e si avvia sulle prime note di Per Elisa (le è sempre piaciuto Beethoven e non aveva voluto sentire ragioni, al momento di scegliere la musica – quella sonata non era esattamente tradizionale, ma non le era importata, come non era importato a lui), facendole cenno di seguirla (a cinque passi di distanza, mi raccomando, non di più, non di meno), mentre Bonnie si tiene appena dietro di lei.

È – quasi – sempre riuscito a coglierla di sorpresa – e quanto l'ha amato (quanto lo ama) per questo non riuscirà mai a spiegarlo a qualcuno che non sia lui.

 

Elena ha ventitré anni e sa che esistono uomini con cui puoi vivere la favola – la storia perfetta, senza ostacoli, senza difetti, senza altalenanti serate passate a piangere al telefono e giornate trascorse a lamentarsi con le amiche (nonostante in realtà, nell'intimo, si stia sorridendo con un certo qual brio alla prospettiva della serata imminente perché per ogni sua imperfezione ci sono mille altri piccoli dettagli che lo rendono semplicemente giusto nel suo essere sbagliato – anche se sbagliato non è la parola esatta, perché probabilmente non esiste una parola adatta).
Di principi azzurri, meravigliosamente gentili e magicamente romantici, ce ne sono pochi, sparsi per il mondo, e per la maggior parte comunque sono già impegnati/fidanzati/sposati oppure tutte queste cose ed omosessuali perché le donne sono furbe e non si lascerebbero scappare nemmeno a costo della vita qualcuno di simile, e anche certi uomini sono furbi.
Elena sa anche di non volere un uomo del genere, perché poi esistono quegli uomini che delle favole sono gli antagonisti – quelli che rendono la storia qualcosa che vale la pena leggere, che distruggono la perfezione e infilano una boccata amara di realtà ovunque vadano. Uomini che vengono sconfitti, puniti per aver frantumato l'illusione – oscuri, enigmatici, feriti.
Uomini come Damon.
Per assurdo, suo fratello Stefan è un principe azzurro – ha diciassette anni e lei lo conosce da quando ne aveva sette, un frugolino esile che rincorreva il maggiore per il giardino, e sa che la donna che ci finirà insieme sarà davvero felice, ma se qualcuno le chiedesse cosa le passa per la testa a farselo scappare, per oltretutto preferire un problematico antagonista, probabilmente risponderebbe che ha già tutto l'azzurro che le serve (gli occhi di Damon sono il suo cielo, il suo mare, il suo inferno, alle volte, perché anche l'inferno è azzurro quando si ama un uomo così, e non pare nemmeno così orribile quanto fanno credere tutti quelli che pensano sia rosso).

Damon ha ventitré anni anche lui, e ha passato tutte le sue estati a Parigi, nella casa di famiglia dei Blanchard, una delle poche ville vittoriane rimaste sulla Senna – è l'ultimo possessore di Villa Veritas, l'unico erede ancora in vita (eccetto suo fratello, ma dal testamento di Elizabeth la casa è sua – o almeno è diventata sua quando ha compiuto diciotto anni – e lui sicuramente non ha intenzione di cederla, né ora e neppure quando sarà sei metri sottoterra, se è per questo, a qualcuno che non siano i suoi ipotetici figli – Stefan si tenga la pensione e la maledetta eredità di Giuseppe). Ed è perdutamente innamorato della donna che in questo momento lo sta osservando con il riflesso delle onde che le danza nelle iridi, le luci della città che le incantano il cuore come è successo a lui dalla prima volta in cui ha potuto comprenderle.
La guarda a sua volta, sorridendo di taglio, e le circonda la vita con un braccio, un po' anche per scaldarla – è gennaio e fa freddo, in Francia, ma la Senna è ben lontana dall'essere ghiacciata (scorre, calma e immutabile con il suo traffico di battelli, perfettamente visibile dalla finestra).
Quando si allontana, Elena si volta nella sua direzione, interrogativa – solleva la bottiglia di vino, come a darle una spiegazione, mentre riempie due bicchieri e si riavvicina, evitando un cavalletto abbandonato e una scatola di colori ad olio distrattamente appoggiata a terra, porgendogliene uno.
Lei lo accetta e appoggia il capo alla sua spalla, mormorando un grazie a labbra appena dischiuse – ed è troppo bella, troppo irrealmente perfetta (troppo, per lui) perché possa evitare di baciarla, ancora, e ancora.
E non importa poi a nessuno dei due se il piano della cucina è proprio di fronte alla finestra – aperta –, mentre i calici vengono dimenticati da qualche parte (forse si rompono, forse no) e per molto tempo nessuno dei due sente più il bisogno di parlare.

Quando ritrova la voce la notte è calata da ore e lei sta per addormentarsi – stretta a lui, il suo odore che gli impregna la pelle e rimane appiccicato anche alle lenzuola.
La sua è la prova del nove – perché anche dopo tutti quegli anni (che non sono stati sempre facili, ma ugualmente sono stati meravigliosi – e ci sono stati momenti in cui avrebbero voluto non vedersi e momenti in cui semplicemente non c'era spazio per altro che non fossero loro) ha bisogno di conferme, quindi tanto vale cercare di capire se questa è la volta buona che si stancherà di lui e dei suoi colpi di testa e lo lascerà solo.
E allora usa il singolare, cerca di prepararsi al colpo – parla, lei alza la testa di scatto e Damon trattiene il fiato.
«Ho prenotato un aereo per Mosca – parto domani mattina.» Elena sospira, lo guarda per momenti interminabili, poi si lascia ricadere di schiena sui cuscini, incurante del fatto di essere completamente nuda (con lui crede di non aver provato imbarazzo neppure la prima volta, due diciassettenni che non avevano capito subito dove mettere le mani e avevano riso come bambini quando erano riusciti anche ad inciampare nei vestiti, praticamente rotolando sul letto) – fissa il soffitto e conta fino a dieci prima di maledirlo perché, diamine, la prossima volta glielo dica direttamente mezz'ora prima della partenza.
Lui lascia andare il respiro solo quando la vede alzarsi, raccattare da qualche parte sul pavimento la sua camicia e sbuffargli addosso con voce irritata, prima di iniziare a rovistare nei cassetti.
«Maledetto idiota, se non ci danno due posti vicini a causa tua giuro che andrai in bianco per un mese – chiama l'Aigle Azur*2. In fretta.»

Alla fine l'aereo l'avevano perso, prevedibilmente («Mi ami lo stesso, Lèni?», «In questo momento? No, Damon. In questo momento ti odio.» perché non mi baci prima di prenotare il prossimo volo?).

 

La chiesa è piccola, non eccessivamente sfarzosa e ha una posizione adorabile – abbastanza vicina a un laghetto dalla riva ornata di corolle, sul limitare di un bosco.

Le decorazioni dell'interno – grazie a Dio – non hanno subito un ridimensionamento da parte di Caroline, complice il suo imporsi deciso (perché in fondo quello era il suo matrimonio, diavolo), perciò il tutto è ancora vivibile – qualche nastro color crema a cingere gli schienali delle sedute, fiori (un sacco di fiori) e Damon in smoking che l'aspetta davanti all'altare.

E allora potrebbero essere anche nel bel mezzo di qualche rovina romana o su una duna del Sahara e sarebbe tutto perfetto comunque – potrebbero essere appesi a testa in giù su una vasca piena di piranha (come nei peggiori film di James Bond – e quanto li detesta, e nonostante tutto quanti ne ha guardati, mezza sdraiata sulla poltroncina del cinema mentre lui si concentrava totalmente sullo schermo e ogni tanto si voltava verso di lei per spiegarle particolari a cui non prestava attenzione) e andrebbe benissimo così.

Fortunatamente sono in una normale chiesetta, uguale a tante altre eppure graziosamente speciale e – Damon la guarda come se gli fosse comparso davanti il sole, all'improvviso.
Si sente arrossire appena, mentre espira, lentamente – e gli sorride di un altro dei loro sorrisi.

 

Le sembra di essere in piedi da ore – razionalmente, quantificando, sa che devono essere venti minuti al massimo, ma quelle scarpe la stanno uccidendo (alla fine era davvero inciampata, fra le risatine generali – neanche a dirlo, neppure lui si era risparmiato e lei aveva pensato che avrebbe sempre potuto mollarlo all'altare e nessuno gliene avrebbe fatto una colpa –, probabilmente perché si era completamente dimenticata dell'esistenza dello strascico di Caroline prima che si sistemasse dietro di lei per la cerimonia).

Si agita, nervosa, e sente le dita di Damon disegnare circoli leggeri sul dorso guantato – le tiene la mano, la calma, le parla senza parole.
Sospira e si trattiene dall'appoggiarsi a lui – solo un altro po', soltanto qualche altro minuto.

 

«...se c'è qualcuno tra i presenti che è a conoscenza di qualcosa per cui non possano essere legalmente uniti in matrimonio, gli chiedo di parlare ora o di tacere per sempre...» nessuno parla – ci mancherebbe altro, come se non bastasse già il fatto che tutto quel rito è veramente, ridicolmente lungo. E inutile – se le chiede ancora una volta se è certa di amarlo, Elena è abbastanza certa che commetterà un preticidio.

Sta per sposarlo – se non è una prova sufficiente questa, non sa cos'altro potrebbe esserlo.
Ricorda che era scettica, quando avevano deciso per un rito religioso – ma i Salvatore erano davvero troppo tradizionalisti per cedere a una cerimonia civile e l'aveva visto, lui, diviso fra lei (con cui era, fra l'altro, d'accordo) e il desiderio di avere comunque accanto Stefan, e allora aveva capitolato e ora sono finiti così e un po' si odia, per avere ceduto.

Nemmeno la proposta era stata normale (non che l'avrebbe voluta, e dopotutto avrebbe dovuto aspettarselo perché, ovviamente, quando si trattava di loro niente era mai facile), ma si ritrovava a sposarsi in chiesa. A volte la vita è assolutamente, inevitabilmente assurda.

 

Damon le chiede di sposarlo, a tutti gli effetti, nel bel mezzo di una battaglia – sì, le pallottole sono finte e anche il contesto è semplicemente una rievocazione storica della Guerra di Secessione (una stupida iniziativa di uno stupido paesino della Carolina del Sud, Gatlin*3, e l'unico altro dettaglio che ricorda con chiarezza è che la crinolina tiene anche troppo caldo e che detesta i corpetti vittoriani con tutta se stessa), e lei interpreta il ruolo di una semplice contadina che deve girovagare lì in giro.

Quasi urla quando, nelle ombre del tramonto, non si accorge che è lui che la prende alle spalle e riesce a trascinarla lontano dalla confusione, all'ombra di una quercia – e sembra un po' il set di una telenovela da due soldi, ma in quell'istante non le importa.
Indossa la divisa grigia dei Confederati, sporca di terra e polvere – anche il viso non è esattamente pulito, macchiato di terriccio, e per un secondo si chiede se si sia rotolato appositamente per terra, per ridursi così.

Poi non importa più molto perché lui la bacia esattamente come farebbe un soldato prima di andare a morire – quasi la spaventa, quasi le impedisce di respirare e sembra disperato e lei non capisce perché.
Quando si allontana, hanno entrambi il fiatone – lo guarda negli occhi e, al buio, le paiono quasi neri.

Lui sorride e i denti baluginano di bianco, prima che il cielo rovesci un temporale estivo e lei rimanga a fissarlo, bagnata fino alle ossa, cercando di capire se il tutto fa parte di un anacronistico copione.

«Sposami – e giuro che staremo il più lontani possibile da cose così imbarazzanti, anche se con la gonna di crinolina sei decisamente sexy.»

 

Si riscuote appena in tempo per rendersi conto che ha ormai perso quasi definitivamente il filo del discorso e che a momenti, come nei suoi peggiori incubi, mancava la risposta – sarebbe stato il culmine di quella giornata, davvero.

Damon deve essersene reso conto, perché ghigna nella sua direzione – con una faccia da schiaffi che le fa, nuovamente, ponderare l'idea di abbandonarlo lì – mentre la prende come sua legittima sposa e blablabla.
«Lo voglio.» non riesce a evitarsi di incurvare le labbra in un sorriso orgoglioso, però, mentre il prete si rivolge anche a lei.

«Vuoi tu, Elena Gilbert, prendere quest'uomo come tuo marito, amarlo ed onorarlo, essergli fedele, vivere con lui ed essere lui, nel Sacro Vincolo del Matrimonio?» prende un respiro profondo, guardandolo negli occhi come aveva fatto quel giorno – e le sembra così lontano, mentre espira e la voce risuona decisa, forte, udibile.
E quasi non ci crede.

«Lo voglio.» è quasi finita.

Nonostante le prove generali e il fatto che si sia ripetuta quasi ossessivamente le parole per tre settimane, all'improvviso si rende conto di non ricordare le promesse che avevano concordato – e si accorge quasi istintivamente che anche Damon è quasi nel panico e sta improvvisando.
«Io prendo te, Elena Gilbert, come mia legittima sposa. E giuro solennemente, davanti a Dio e questi testimoni, di amarti ed esserti fedele...» vede i suoi occhi illuminarsi e quasi teme l'idea che ha visto passargli per l'anticamera del cervello. E fa bene, «... nonostante a volte tu sia la persona più irritante che io conosca –, ogni giorno della mia vita, finché morte non ci separi.» il suo sorriso candido non la inganna, mentre sente altre risate levarsi alle loro spalle. Il giorno del suo matrimonio ed è la buffona di corte.
Si trattiene a malapena dallo sbuffare, ma gli tira una gomitata nemmeno troppo leggera e ignora la sua smorfia, sorridendo candidamente mentre ricambia il favore.

«Io prendo te, Damon Salvatore, come mio legittimo sposo. E giuro solennemente, davanti a Dio e questi testimoni, di amarti ed esserti fedele...» la stessa piccola pausa, «... nonostante tutto, ogni giorno della mia vita, finché morte non ci separi.» raddrizza la schiena, un'espressione angelica in viso – il prete li osserva, stranito, ma non commenta.
Si volta verso Alaric – finalmente, finalmente le fedi e poi potranno quasi uscire.

«Gli anelli, prego.»

 

C'è un momento, che in una commedia romantica sarebbe davvero molto comico e che in effetti lo è, se non fosse che i suoi piedi le stanno sussurrando minacce dal basso, in cui Ric non li trova, quei benedetti anelli – poi salta fuori che sono nella tasca del panciotto e tutto fila liscio e lei tira un enorme sospiro di sollievo.
«Con l'autorità conferitami, io dichiaro che i qui presenti siano ora marito e moglie. L'uomo non separi ciò che Dio ha unito.» e Damon non lo aspetta nemmeno, il “può baciare la sposa”, semplicemente si butta sulla sua bocca e in tutta probabilità scandalizza i paggetti, il Cristo in croce e il prete – non che sembri importargliene.

Nemmeno a lei importa, ad essere sinceri.
Ed è perfetto – tremendamente perfetto, tanto bello da farle male, tanto suo da farle credere di vivere in un sogno (e non lo sarà sempre, perfetto, ma in fondo quello non è un sogno e quindi va bene così – è la vita).

La sua vita.

*****

Ci sono certi uomini che non sono perfetti nel senso più stretto del termine – perché in fondo nessuno lo è, l'essere umano non è fatto per la perfezione.
E ci sono certi uomini che semplicemente non sono come li si vuole – sono così come sono loro e non si riesce a cambiarli, e se davvero li si ama neppure ci si prova perché sono giusti così, li si vuole così.

Ed è raro trovare qualcuno abbastanza bravo da capire.

Eppure.

Qualche volta, magari, una coppia che sfiora distratta la manica di un passante in Rue Vaugirard, discutendo furiosamente su qualcosa che nessuno comprende – mescolati al mormorio dolce del francese, i toni inglesi, aspri, sono anzi quasi fastidiosi – e che neppure deve essere così importante, perché meno di tre minuti dopo gli stessi due si sono fermati ansanti, si sono guardati per qualche secondo e solamente si sono baciati come se il mondo dovesse finire da un momento all'altro, così, nel bel mezzo della via, bellamente incuranti di qualsiasi cosa.

E sembrano proprio perfetti in quel modo impossibile, anche se è solo un'illusione.





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*1 Pronunciato proprio Lène, sì, vezzeggiativo di Helène.
*2 Compagnia aerea francese.
*3 Gatlin e la Carolina del Sud sono una citazione dalla saga di Kami Garcia e Margaret Stohl, Beautiful Creatures (che adoro, per inciso, e sì, lo so che in realtà non sarebbe possibile che "esterni" assistano/partecipino alla ricostruzione ma chiamatela licenza poetica, non sto scrivendo sulla Sedicesima Luna, al momento XD). E sì, l'ho fatto perché Damon è stato un soldato Confederato e prima o poi avrei dovuto citare tutto ciò, in qualche modo (altra piccola ossessione, soldier!Damon, perché nessuno ci si sofferma mai e mi dispiace un sacco >.<).
Altra piccola noticina: ho scelto di utilizzare un rito religioso perché, nella mia testa, non si stanno sposando il Damon e l'Elena attuali ma due pg che hanno un po' di loro e un po' di come me li immagino in un ipotetico 1864 (che è l'unico periodo in cui Damon avrebbe potuto effettivamente sposarsi, e sicuramente non l'avrebbe fatto in comune). Ma ovviamente si sono fatti comunque riconoscere perché non avrei mai potuto costringerli (costringermi) a scrivere delle promesse normali. Nemmeno sotto tortura.

   
 
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