Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Blackmoody    03/05/2014    1 recensioni
[...] e sulla parete si delineò una fenditura dai contorni danzanti, una sorta di stretto uscio aperto su stelle e oscurità che vacillavano e svanivano a tratti. Qualcuno allora si fece avanti attraverso quel nulla, titubante e forse sorpreso, e il Dio degli Inganni distinse una robusta creatura dalla pelle cerulea coperta da una leggera armatura di cuoio scuro. Un manto di pelliccia gli pendeva dalle spalle e una corta daga dal fianco sinistro, e le sue iridi sanguigne lo fissavano prive di astio.

Circa un anno dopo l'ultima grande battaglia contro il Folle Titano, la vita di Loki di Asgard ed Erin di Galway scorre pacifica – in attesa, forse, di nuove opportunità di conquista da cogliere. Ma c'è qualcosa del suo passato con cui l'Ingannatore ha ancora un conto aperto: qualcosa che giungerà dal buio di vaste e antiche lande di ghiaccio e neve.
SEGUITO DI THE MAJESTIC TALE, post-Avengers, sedici capitoli.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

11.

She was built with a brain and some swagger

 

 

 

 

 

 

Býleistr era furibondo. Il rientro dei quattro sopravvissuti della squadra che aveva spedito su Midgard, sconfitti e bastonati, lo aveva sorpreso e reso folle di rabbia: Gangr e Baugi erano morti, e dopo un serrato combattimento la donna irlandese era riuscita a fuggire.

Il figlio di Laufey era rimasto sconcertato dalla cosa, poiché era per lui inconcepibile che una misera femmina umana si fosse rivelata più abile di un manipolo di guerrieri spietati ed esperti. E poiché era imperdonabile il loro ridicolo fallimento, egli non aveva esitato a ordinare che fossero giustiziati tutti e quattro. Erano in guerra, e non poteva concedere alcuna grazia, alcuna comprensione, a chi lo deludeva e lasciava vincere il nemico.

Dopo che le guardie avevano condotto via i recalcitranti condannati aveva inviato di fretta un messaggero ad Asgard: se Erin di Galway era tornata nel Reame Eterno, chiunque dei suoi la avesse vista avrebbe dovuto ucciderla o catturarla e condurla da lui; avrebbe potuto mandare altri uomini in Irlanda per assicurarsi che non si trovasse ancora lì, eppure non voleva privarsi inutilmente di guerrieri, e per quello poteva attendere che la battaglia fosse terminata.

Ma ciò che più gli aveva instillato una rabbia cieca in corpo era stata l’espressione trionfante del suo fratellastro, alla notizia che l’irlandese era ancora viva: Loki si era come illuminato, e risollevandosi gli aveva riso in faccia, le iridi verdi di nuovo ardenti.

«È della mia sposa che vai parlando, fratello. Non sottovalutarla.» lo aveva schernito.

E tuttora il Dio degli Inganni rideva, alle sue spalle, mentre il giovane Re dei Ghiacci fissava cupamente la Cittadella ormai quasi deserta e la strada che conduceva al varco, poiché sembrava che la sorte della donna mortale gli stesse più a cuore della propria, più dell’essersi scoperto troppo tardi figlio di Odino, più dell’andamento della guerra e della speranza di salvarsi. E Býleistr lo odiava più che mai, temendo di dover rinunciare a parte della vendetta che con tanta precisione aveva organizzato in quei mesi.

Il secondo contingente dell’esercito era da poco partito alla volta dei Campi di Idavoll, quando il messo fece ritorno: già da lontano gli occhi allenati dello jotun distinsero, tra le mani del soldato, un paio di oggetti oblunghi e scintillanti nella luce che diminuiva.

«Mio signore, reco con me un’importante novella.» esordì inchinandosi di fronte al sovrano, in cima alla scalinata d’ingresso del palazzo, e gli porse i due misteriosi arnesi; «Non ho riferito il tuo comando, mio re, perché non ve n’è stato bisogno.»

Il figlio di Laufey riconobbe l’oggetto, e un fremito vittorioso lo scosse nel prenderlo:

«Vieni con me, buon Lut. Vieni e racconta per filo e per segno ciò che hai visto.» disse facendo strada al messaggero e celando il suo bottino al di sotto della pelliccia. Sogghignava, compiaciuto, e il suo freddo sorriso si rispecchiò in quello di Loki non appena quest’ultimo lo vide ricomparire nella stanza seguito dal guerriero.

«Cosa ti procura cotanta ilarità, fratello?» lo canzonò l’asgardiano.

«Racconta a me e al mio ospite ciò che hai visto, Lut, e con dovizia di particolari.» ripeté Býleistr, ignorandolo, e fece cenno all’interpellato di farsi avanti; teneva le braccia incrociate sotto il mantello, e Loki non capì dove volesse andare a parare. Non gli piaceva, ovviamente, ma il sollievo di sapere Erin in salvo aveva notevolmente abbassato la sua soglia d’allerta – e dopotutto cosa mai avrebbe potuto fare, incatenato com’era alla colonna?

Lut annuì e incominciò a narrare: «Sono giunto sul campo di battaglia per conferire coi generali come da te ordinato, mio signore. Mi sono tenuto in disparte, su un’altura, per non venir coinvolto nello scontro e individuare le loro posizioni, e nell’osservare ho notato due dei nostri campioni che attaccavano e bloccavano con successo il Dio del Tuono.»

Il principe strinse i pugni e inclinò il capo, malcelando il proprio acceso interesse, e il Gigante seguitò a sorridere con segreta soddisfazione.

«Ma qualcuno è corso ad aiutarlo, ed io mi sono avvicinato per vedere meglio.» riprese il soldato: «Si trattava proprio della donna irlandese, mio signore. Con il cavallo ha travolto i nostri e si è messa a lottare contro di loro per difendere il Tonante. Usava il flauto magico, e l’ho riconosciuta all’istante. Ho pensato d’intervenire di persona per accertarmi di non deluderti, o re, ma come ti ho detto non ve n’è stato bisogno. Uno dei nostri le ha spezzato l’arma con la daga e l’ha colpita a morte.»

Le parole di Lut sprofondarono nel petto di Loki come un macigno. Gli annebbiarono la vista, gli imperlarono la fronte di sudore marmato, gli squarciarono lo stomaco e seccarono la gola, e un conato bruciante gli sconquassò i polmoni. Non gli parvero plausibili, le ritenne uno scherzo di dubbio gusto, un malinteso, un modo per farlo soffrire, eppure fino a quel momento il suo infido fratellastro non aveva mai mentito, o non che lui sapesse.

«Con dovizia di particolari, buon Lut. Vorrei che il principe potesse immaginarsi la scena con estrema chiarezza, e anch’io.» ribadì lentamente Býleistr.

«Il flauto era ghiacciato al centro, mio signore. La spada le ha dilaniato il torace e lei è rovinata al suolo. Il figlio di Odino ha ucciso i nostri campioni e si è precipitato a soccorrerla, invano, poiché era già spirata. Questo è quanto.» obbedì Lut, e forse c’era una sfumatura contrita nel suo tono, come se assistere al terribile accaduto lo avesse leggermente sconvolto.

Il dio sentì che le ginocchia gli cedevano inesorabilmente, e aggrappandosi all’unico brandello di speme rimastogli esalò con voce sprezzante e inasprita dalla mancanza di respiro:

«No. Mia moglie non farebbe mai una tale idiozia. Non morirebbe mai per Thor.»

La risata cattiva del fratellastro spinse ancor più in profondità il macigno acuminato che gli gravava addosso. Ed estrasse, Býleistr, due cose luccicanti dalle pieghe del manto, e gliele mostrò tenendole in bilico sui palmi aperti delle mani, e qualcosa di simile a una nera, devastante follia calò sull’animo già debole e vessato dell’asgardiano: perché erano le due metà del flauto spezzato di Erin, quelle due cose luccicanti, e l’argento era macchiato di sangue violaceo e sangue scarlatto, e recava tracce di gelo sui bordi troncati.

Era morta. Era morta. Era morta per salvare colui che Loki voleva morto, era morta dopo essersi salvata, era morta per sua scelta. Era morta a causa della sua ostinazione a non volerle dire tutto, a causa della sua stoltezza. Era morta e lui avrebbe potuto evitarlo, se le avesse dato ascolto, se non la avesse fatta tornare su Midgard – o magari no, magari sarebbe avvenuto comunque, dacché Býleistr non le avrebbe lasciato scampo ovunque si fosse trovata.

Sulla pelle e nelle vene aveva ancora il dolce, nostalgico anelito del calore di Erin, del suo fiato, delle sue cosce tese che gli stringevano i fianchi, e nulla di più gli sarebbe rimasto: fredda, immobile e muta era ormai la sua sposa, e lo era divenuta troppo presto persino per la norma del caduco fato umano. La donna che gli aveva stregato anima e corpo, la donna che più di chiunque altro lo amava, la sola che lui ricambiasse, più non viveva, e al suo posto un’enorme voragine di vuoto, assenza e silenzio andava allargandosi nel cuore del Dio degli Inganni.

Avrebbe voluto urlare di nuovo, e con più violenza, e tuttavia nessun suono gli uscì dalle labbra, né lacrime dagli occhi. Non udì o avvertì più niente, solo il rombo sordo del proprio battito nelle orecchie, e scivolò a terra, i polsi dolorosamente incastrati nella catena di uru.

Il fratellastro gli pose accanto i due monconi d’argento, delicato e beffardo:

«Goditi la compagnia dei tuoi pensieri, principe. A più tardi.» si congedò mellifluo.

Ma Loki non reagì. L’abisso in cui era piombato era il più oscuro e triste che avesse mai conosciuto.

 

 

Del soffitto si intuiva a fatica la fine.

Era dorato, come quelli delle grandi sale della reggia, formato da altissime volte decorate e sostenuto sui lati da gigantesche colonne. Tra una colonna e l’altra si aprivano finestre prive di vetri e l’ambiente era circolare, vasto, una sorta di anfiteatro di panche auree che si arrampicavano sino alla base delle monofore.

Riflessa nelle lucide lastre chiare del pavimento, Erin girò piano su sé stessa, il naso all’insù: quel luogo era meraviglioso, immoto e solenne, e non aveva senso. O meglio, avrebbe avuto un qualche senso se lei non vi si fosse risvegliata dopo essere stata – questo ricordava – praticamente sventrata come un povero coniglio in battaglia salvando il culo a Thor.

Si tastò ogni parte del corpo, scoprendo di avere il torace perfettamente intatto e di indossare un abito di impalpabile seta bianca al posto dell’armatura, della cappa blu, dei jeans e degli stivali. Aveva i capelli sciolti e i piedi nudi, e nessun anello all’anulare sinistro.

«Ehi!» chiamò agitata nello spazio deserto: «Dove cazzo sono finita?»

«Sei a Valhalla, figlia. Questo è il Cerchio degli Eroi.»

La voce di Odino la raggiunse, inaspettata, e con un piccolo salto nervoso l’irlandese si voltò. Il re era sulla soglia, la corazza macchiata e ammaccata, la testa canuta scoperta e Gungnir in mano, e dietro di lui s’indovinavano la chioma color grano e lo splendido viso di Lady Brunhilde, colei che comandava le Valchirie. Aveva tutta l’aria di recare qualcosa di grosso tra le braccia, qualcosa che Erin non distinse.

«E chi mi ci ha portato? Cosa accidenti è successo, Padre? Siamo in una versione norrena di Dead like me?» domandò, e nel frattempo si sforzò di rimettere insieme i pezzi: Valhalla, eroi, Valchirie, battaglia, elencò tra sé. Ricordò la lama crudele del gigantesco jotun, il dolore e il sangue ed ebbe un capogiro, poiché era assolutamente sicura di averci rimesso le penne. L’ironia era l’unico argine che aveva contro quella spiazzante consapevolezza.

«Vi sei giunta da sola, figlia, dopo che Lady Brunhilde e le sue sorelle ti hanno scelta.» rispose piano il Padre degli Dei; la Valchiria annuì e restò immobile alle sue spalle.

La musicista sentì gli occhi pizzicarle: «Scelta? Dunque sono una... un Einherjar? Sono diventata un fottuto fantasma corporeo?» farfugliò.

«Sei quasi una Einherjar, mia valorosa giovane. E hai perso la tua vita mortale salvando quella del mio primogenito. Per questo motivo voglio che sia tu a decidere, e per questo l’armatura che farà di te uno degli Eroi è là che ti attende, se la vorrai accettare.» disse Odino, e indicò l’angolo più distante delle gradinate: un completo assetto da guerra di splendente metallo era ivi adagiato. «Sai cosa significa essere un Einherjar, figlia?» egli aggiunse.

«So che significa essere immortali, invulnerabili, e che lo scopo di un Einherjar è combattere per te e per il Reame Eterno. C’è altro che dovrei conoscere al riguardo?» asserì Erin, tormentandosi con le mani sudate la stoffa morbida della tunica.

Il sovrano le si avvicinò: «Un Einherjar non ha volontà propria. È dedito e fedele esclusivamente a me, e ad Asgard. Un Einherjar non può tornare su Midgard, mai, né può allontanarsi da Folkvangar se non per allenarsi e recarsi in battaglia. Un Einherjar non può vivere come uno degli Æsir, pur condividendone la vita eterna, e non può essere padre, o madre. Un Einherjar non potrà fare a meno di lottare per difendere il re e il regno da chiunque rappresenti per noi una minaccia, poiché tale sempre sarà la sua volontà.»

L’irlandese deglutì a vuoto. Se quello che le stava martellando impazzito nel petto si poteva ancora chiamare “cuore”, aveva la netta impressione che le sarebbe esploso da un momento all’altro: «Chiunque? Indistintamente?» gracchiò.

«Chiunque. Anche tuo marito, figlia, qualora occorresse.» mormorò il Padre degli Dei; «E se anche non fosse questo il caso, non potresti comunque stare con lui come moglie e madre dei suoi eredi. Ecco ciò che volevo ti fosse chiaro.»

«E quale alternativa mi offri, Padre? Perché me la stai offrendo, non è così? O non mi avresti detto quel che mi hai detto.» volle sapere Erin, e fremendo aspettò. Era ovvio che non avrebbe mai accettato di farsi Einherjar, ma l’altra opzione non doveva essere semplice. Se lo fosse stata, Odino non le avrebbe chiesto niente: l’avrebbe messa in atto e basta.

Il re gesticolò verso Brunhilde, che uscendo dal cono ombreggiato in cui era avanzò al centro del grande salone. Tra le braccia teneva il corpo della Dama del Flauto, il vero corpo, esanime e livido e completamente imbrattato di sangue e terriccio; i capelli erano scarmigliati, la bocca socchiusa, l’espressione cristallizzata in una tenue smorfia malinconica, e terribile era lo squarcio che aveva sulla corazza e sulla carne. La Valchiria distese la spoglia sulla panca d’oro più bassa con estremo rispetto, quindi s’inchinò all’altro sembiante della donna d’Irlanda.

Questa fissò sé stessa e lo stomaco le si contorse. Annaspando si piegò in due, strizzando le palpebre per contenere l’urto del vomito, e distolse lo sguardo dal proprio cadavere cercando l’occhio lucido e preoccupato di Odino:

«Dimmi che la fottuta alternativa è farmi tornare indietro, Padre.» lo implorò.

«Ascoltami, Erin.» principiò il sovrano, grave, cingendole le spalle: «Non potrai più essere una donna mortale, mai più. È un miracolo che neppure io potrei compiere. Quello che ti offro è di tornare nel tuo corpo primigenio e di essere, in tal modo, alla stregua di una Asynja, una dea, dacché il tuo spirito è ormai immortale e tale resterà, e immortale diverrà il tuo fisico se la mia previsione è corretta. E poiché non sono certo che lo sia, poiché non l’ho mai fatto prima, debbo metterti in guardia e confessarti che potrebbe non funzionare e che potresti rimanere così, e saresti allora costretta ad accettare il tuo destino di Einherjar.»

«E se invece funzionasse?» indagò frettolosamente lei, interrompendolo.

Odino emise un lungo, profondo sospiro: «Se funzionasse avresti il tuo libero arbitrio, potresti seguitare ad andare su Midgard e vivere alla reggia, ed essere la sposa di uno dei principi. Ma vedresti morire i tuoi cari e mutare il mondo che ti ha vista nascere, e non potresti muovere un dito per impedirlo. Saresti legata al nostro fato, indissolubilmente. E parlando di Loki...»

Si bloccò, dondolando lo scettro tra le dita inquiete come se stesse racimolando la formula giusta per concludere il proprio discorso, e l’irlandese ne indovinò la parte mancante:

«Lo so. Potrebbe essere già morto o potrebbe aver tradito.» ammise con amarezza.

«E capisci che ciò comporterebbe per te una vita eterna senza di lui, figlia?»

Erin si passò una mano sulle palpebre bagnate e si riempì i polmoni d’aria per calmarsi, per riflettere. Eppure si rese conto di aver ben poco su cui rimuginare: aveva già fatto la sua scelta, e doveva solo darle voce, cosa per cui le sarebbe servita un’enorme dose di coraggio.

«Perché concedermi un simile privilegio, Padre degli Dei?» chiese invece in un sussurro.

«Oh, Erin, Erin, straordinaria Erin di Galway!» esclamò Odino; «Hai salvato la vita di mio figlio al prezzo della tua. Hai salvato entrambi i miei figli! Ti devo tutto e non c’è cosa che non farei per colmare il mio debito, e forse non sarebbe comunque sufficiente.»

Il vantaggio che suo malgrado si era guadagnata sugli asgardiani, l’ammirazione che questi nutrivano nei suoi confronti – ogni cosa aveva raggiunto il più alto livello possibile, nel bene e nel male, e per quanto impaurita ne fosse quella era l’ultima, migliore e più grandiosa occasione che la flautista aveva per riaggiustare la situazione, a qualunque costo.

Raddrizzò la schiena, il volto fiero e il mento alzato:

«Capisco, e voglio tentare. Non me ne importa se è un rischio, m’importa che funzioni, anche se dovessi rimanere sola. Perché se mio marito fosse morto intendo essere io a vendicarlo, e se avesse tradito dovrò essere io a ucciderlo.» proclamò, vibrante, dura, commossa; «E se fosse ancora vivo, Padre, non ci saranno stronzi di ghiaccio capaci di fermarmi.»

«Lo ami tanto, figlia. Lo ami così tanto.» ribatté il re, e non era una domanda.

Erin sorrise: «Sì. Più di ogni altra creatura vivente in tutti gli universi che esistono.»

Allora Odino brandì Gungnir con entrambe le mani e glielo puntò gentilmente contro il petto. Dalle sue antiche labbra cominciò a fluire una misteriosa litania, e l’irlandese fu invasa da una stranissima sensazione, un formicolìo, un tepore che non apparteneva ad alcuna delle leggi fisiche che aveva conosciuto e sperimentato. E nel chiudere gli occhi si sentì dissolvere, si fece leggera come un respiro e perse la capacità di percepire ciò che la circondava, similmente al cadere in un denso e imprevisto sonno.

Svanì, trasformandosi in una nube di dorato, luminoso pulviscolo che si sollevò dal marmo candido del pavimento e piroettò con calma nell’aria per la meraviglia di Lady Brunhilde e del Padre degli Dei medesimo. Danzò fino al corpo esangue della donna d’Irlanda e da esso si lasciò assorbire, o dentro gli penetrò di sua sponte, e per una manciata di attimi la spoglia brillò di un portentoso alone che abbacinò gli astanti.

Poi scomparve, e lei rimase immobile e distesa sul gradino più basso dell’anfiteatro.

Odino e la Valchiria attesero, ansiosi, nel silenzio più assoluto, e temettero il peggio – ma d’un tratto Erin s’inarcò con un singulto e l’aurea polvere di poco prima le serpeggiò addosso dalla testa ai piedi: ridiede colore alle sue guance, cancellò l’infame ferita dal suo esile torace e curò i graffi e le ecchimosi che le costellavano la pelle, e riportò fiato nei suoi polmoni.

Infine l’irlandese si ridestò con un breve grido e si alzò di scatto a sedere, viva e vegeta e incredula, e i due Æsir immediatamente le corsero appresso. La tastarono, scrutarono, desiderosi di sapere quale fosse il suo sentire, se riusciva a parlare e a muoversi, ed Erin scrollò il capo arruffato mentre una risata le sgorgava dalla gola pulsante.

«È stato incredibile.» boccheggiò, e non avrebbe potuto descrivere con termini più adatti l’esperienza di scindersi in migliaia di particelle scintillanti e svegliarsi da immortale nel proprio corpo nel giro di un singolo minuto.

«Stai bene, figlia?» insistette il re con preoccupazione.

«Mai stata meglio, cazzo.» fu la risposta.

La musicista si mise in piedi barcollando appena e si liberò della corazza fracassata, quindi si avviò verso la porta con passo ardito. Sono immortale, si ripeté come in un mantra per dare una forma alla novità, sono immortale o almeno credo. Non che la faccenda la rendesse felice: era troppo grande e ignota da accettare, era un infinito spazio aperto in cui non filtrava ancora alcuna luce. Si sarebbe tramutata in gioia soltanto quando e se avesse riavuto Loki al proprio fianco, e comunque avrebbe dovuto rinunciare ai familiari, agli amici, all’esistenza cui tanto teneva e che mai gli erano parsi teneri e confortanti come adesso.

Eppure il Dio degli Inganni era ormai divenuto più importante di loro, più importante del noto e del certo, e valeva ogni rischio. Non si rammaricò nell’ammetterlo, poiché era la verità.

E aveva fuoco nelle vene, e quel fuoco reclamava vendetta.

Odino la inseguì: «Di cosa necessiti, Erin? Hai intenzione di tornare in battaglia?» la apostrofò.

«Sì, se lo scontro non è ancora terminato. Cosa mi sono persa?»

Brunhilde intervenne per la prima volta: «Quando sei caduta eravamo da poco arrivate ai Campi con gli Einherjar al completo. La nostra presenza, oltre al vostro intervento con la cavalleria, ha ribaltato la situazione a nostro favore. Se dal varco non è uscita una terza ondata di Jötnar credo che li sconfiggeremo. E il principe Thor era inarrestabile.»

Chiamata in causa, l’irlandese sorrise nuovamente e si appoggiò allo stipite:

«Per tornare in battaglia avrò bisogno di un paio di cose, Padre. Di un’armatura integra, per esempio, e di un altro cavallo. Dov’è il mio flauto?»

«Dubito che potremo ritrovarlo prima che la guerra finisca.» sottolineò il sovrano.

«Già, dubito. Dunque mi servono altre armi.» concordò Erin, e di sottecchi fissò il divino suocero: «Più precisamente, mi serve il fucile che ho lasciato nelle scuderie.»

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

Se là fuori c’è ancora qualcuno, battete un colpo!

Non aggiorno da febbraio e so che è veramente un grosso lasso di tempo – di proporzioni asgardiane, direi: sono stata assai impegnata e non avevo nemmeno tutta questa gran voglia tornare su EFP. Ma amo troppo Loki, Erin e le loro avventure, e non potevo lasciare incompiuta la pubblicazione della storia (di cui sto scrivendo gli ultimi due capitoli).

Avevate creduto morta la nostra irlandese? Grazie a Wagner l’ha scampata bella, anche se da qui a dire che tutto è risolto ce ne corre… Se avete presente la tetralogia dell’Anello del Nibelungo, e in particolare la Valchiria, saprete che nella sua versione e nella mitologia norrena in generale gli Einherjar sono gli eroi umani morti in battaglia o in duello che le Valchirie scelgono come guerrieri invulnerabili da portare nel Valhalla – e non, come nei film, i soldati asgardiani in toto; normalmente i corpi dei caduti restano su Midgard e certo Odino non interviene per cambiare la loro situazione, ma nel caso di Erin il corpo mortale era su Asgard e lei ha fatto quello che ha fatto.

Se non sapete cos’è Dead like me (in Italia nota anche col triste titolo di La vita dopo la morte o roba del genere) vi prego, guardatevelo, perché è piuttosto geniale e politicamente scorretto.

Titolo del capitolo tratto dalla prima strofa di Not your fault degli Awolnation (she was built with a brain / and some swagger / […] i’m a joke in my own mind / but she still loves to dance / with my punch lines); per la scena iniziale avrei scelto E lucevan le stelle, la straziante aria dell’eroe della Tosca di Puccini, giusto per patire un po’; per la resurrezione di Erin, invece, da dopo che lei vede il proprio cadavere fino al risveglio, il brano migliore è The enigma of River Song dalla VI stagione di Doctor Who.

Giuro che aggiorno tra una-due settimane al massimo. Ossequi asgardiani a tutti!

 

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Blackmoody