11.
She was built with a brain and some swagger
Býleistr
era furibondo. Il rientro dei quattro sopravvissuti della squadra che aveva
spedito su Midgard, sconfitti e bastonati, lo aveva sorpreso e reso folle di
rabbia: Gangr e Baugi erano morti, e dopo un serrato combattimento la donna
irlandese era riuscita a fuggire.
Il figlio
di Laufey era rimasto sconcertato dalla cosa, poiché era per lui inconcepibile
che una misera femmina umana si fosse rivelata più abile di un manipolo di
guerrieri spietati ed esperti. E poiché era imperdonabile il loro ridicolo
fallimento, egli non aveva esitato a ordinare che fossero giustiziati tutti e
quattro. Erano in guerra, e non poteva concedere alcuna grazia, alcuna
comprensione, a chi lo deludeva e lasciava vincere il nemico.
Dopo che
le guardie avevano condotto via i recalcitranti condannati aveva inviato di
fretta un messaggero ad Asgard: se Erin di Galway era tornata nel Reame Eterno,
chiunque dei suoi la avesse vista avrebbe dovuto ucciderla o catturarla e
condurla da lui; avrebbe potuto mandare altri uomini in Irlanda per assicurarsi
che non si trovasse ancora lì, eppure non voleva privarsi inutilmente di
guerrieri, e per quello poteva attendere che la battaglia fosse terminata.
Ma ciò
che più gli aveva instillato una rabbia cieca in corpo era stata l’espressione
trionfante del suo fratellastro, alla notizia che l’irlandese era ancora viva:
Loki si era come illuminato, e risollevandosi gli aveva riso in faccia, le
iridi verdi di nuovo ardenti.
«È della
mia sposa che vai parlando, fratello.
Non sottovalutarla.» lo aveva schernito.
E tuttora
il Dio degli Inganni rideva, alle sue spalle, mentre il giovane Re dei Ghiacci
fissava cupamente la Cittadella ormai quasi deserta e la strada che conduceva
al varco, poiché sembrava che la sorte della donna mortale gli stesse più a
cuore della propria, più dell’essersi scoperto troppo tardi figlio di Odino,
più dell’andamento della guerra e della speranza di salvarsi. E Býleistr
lo odiava più che mai, temendo di dover rinunciare a parte della vendetta che
con tanta precisione aveva organizzato in quei mesi.
Il
secondo contingente dell’esercito era da poco partito alla volta dei Campi di
Idavoll, quando il messo fece ritorno: già da lontano gli occhi allenati dello
jotun distinsero, tra le mani del soldato, un paio di oggetti oblunghi e
scintillanti nella luce che diminuiva.
«Mio
signore, reco con me un’importante novella.» esordì inchinandosi di fronte al
sovrano, in cima alla scalinata d’ingresso del palazzo, e gli porse i due misteriosi
arnesi; «Non ho riferito il tuo comando, mio re, perché non ve n’è stato
bisogno.»
Il figlio
di Laufey riconobbe l’oggetto, e un fremito vittorioso lo scosse nel prenderlo:
«Vieni
con me, buon Lut. Vieni e racconta per filo e per segno ciò che hai visto.»
disse facendo strada al messaggero e celando il suo bottino al di sotto della
pelliccia. Sogghignava, compiaciuto, e il suo freddo sorriso si rispecchiò in
quello di Loki non appena quest’ultimo lo vide ricomparire nella stanza seguito
dal guerriero.
«Cosa ti
procura cotanta ilarità, fratello?» lo canzonò l’asgardiano.
«Racconta
a me e al mio ospite ciò che hai visto, Lut, e con dovizia di particolari.»
ripeté Býleistr, ignorandolo, e fece cenno all’interpellato di farsi
avanti; teneva le braccia incrociate sotto il mantello, e Loki non capì dove
volesse andare a parare. Non gli piaceva, ovviamente, ma il sollievo di sapere
Erin in salvo aveva notevolmente abbassato la sua soglia d’allerta – e
dopotutto cosa mai avrebbe potuto fare, incatenato com’era alla colonna?
Lut annuì
e incominciò a narrare: «Sono giunto sul campo di battaglia per conferire coi
generali come da te ordinato, mio signore. Mi sono tenuto in disparte, su
un’altura, per non venir coinvolto nello scontro e individuare le loro
posizioni, e nell’osservare ho notato due dei nostri campioni che attaccavano e
bloccavano con successo il Dio del Tuono.»
Il
principe strinse i pugni e inclinò il capo, malcelando il proprio acceso
interesse, e il Gigante seguitò a sorridere con segreta soddisfazione.
«Ma
qualcuno è corso ad aiutarlo, ed io mi sono avvicinato per vedere meglio.»
riprese il soldato: «Si trattava proprio della donna irlandese, mio signore.
Con il cavallo ha travolto i nostri e si è messa a lottare contro di loro per
difendere il Tonante. Usava il flauto magico, e l’ho riconosciuta all’istante.
Ho pensato d’intervenire di persona per accertarmi di non deluderti, o re, ma
come ti ho detto non ve n’è stato bisogno. Uno dei nostri le ha spezzato l’arma
con la daga e l’ha colpita a morte.»
Le parole
di Lut sprofondarono nel petto di Loki come un macigno. Gli annebbiarono la
vista, gli imperlarono la fronte di sudore marmato, gli squarciarono lo stomaco
e seccarono la gola, e un conato bruciante gli sconquassò i polmoni. Non gli
parvero plausibili, le ritenne uno scherzo di dubbio gusto, un malinteso, un
modo per farlo soffrire, eppure fino a quel momento il suo infido fratellastro
non aveva mai mentito, o non che lui sapesse.
«Con
dovizia di particolari, buon Lut. Vorrei che il principe potesse immaginarsi la
scena con estrema chiarezza, e anch’io.» ribadì lentamente Býleistr.
«Il
flauto era ghiacciato al centro, mio signore. La spada le ha dilaniato il
torace e lei è rovinata al suolo. Il figlio di Odino ha ucciso i nostri
campioni e si è precipitato a soccorrerla, invano, poiché era già spirata.
Questo è quanto.» obbedì Lut, e forse c’era una sfumatura contrita nel suo
tono, come se assistere al terribile accaduto lo avesse leggermente sconvolto.
Il dio
sentì che le ginocchia gli cedevano inesorabilmente, e aggrappandosi all’unico
brandello di speme rimastogli esalò con voce sprezzante e inasprita dalla
mancanza di respiro:
«No. Mia
moglie non farebbe mai una tale idiozia. Non morirebbe mai per Thor.»
La risata
cattiva del fratellastro spinse ancor più in profondità il macigno acuminato
che gli gravava addosso. Ed estrasse, Býleistr, due cose luccicanti
dalle pieghe del manto, e gliele mostrò tenendole in bilico sui palmi aperti
delle mani, e qualcosa di simile a una nera, devastante follia calò sull’animo
già debole e vessato dell’asgardiano: perché erano le due metà del flauto
spezzato di Erin, quelle due cose luccicanti, e l’argento era macchiato di
sangue violaceo e sangue scarlatto, e recava tracce di gelo sui bordi troncati.
Era
morta. Era morta. Era morta per
salvare colui che Loki voleva morto, era morta dopo essersi salvata, era morta
per sua scelta. Era morta a causa della sua ostinazione a non volerle dire
tutto, a causa della sua stoltezza. Era morta e lui avrebbe potuto evitarlo, se
le avesse dato ascolto, se non la avesse fatta tornare su Midgard – o
magari no, magari sarebbe avvenuto comunque, dacché Býleistr non le
avrebbe lasciato scampo ovunque si fosse trovata.
Sulla
pelle e nelle vene aveva ancora il dolce, nostalgico anelito del calore di
Erin, del suo fiato, delle sue cosce tese che gli stringevano i fianchi, e nulla
di più gli sarebbe rimasto: fredda, immobile e muta era ormai la sua sposa, e
lo era divenuta troppo presto persino per la norma del caduco fato umano. La
donna che gli aveva stregato anima e corpo, la donna che più di chiunque altro
lo amava, la sola che lui ricambiasse, più non viveva, e al suo posto un’enorme
voragine di vuoto, assenza e silenzio andava allargandosi nel cuore del Dio
degli Inganni.
Avrebbe
voluto urlare di nuovo, e con più violenza, e tuttavia nessun suono gli uscì
dalle labbra, né lacrime dagli occhi. Non udì o avvertì più niente, solo il
rombo sordo del proprio battito nelle orecchie, e scivolò a terra, i polsi
dolorosamente incastrati nella catena di uru.
Il
fratellastro gli pose accanto i due monconi d’argento, delicato e beffardo:
«Goditi
la compagnia dei tuoi pensieri, principe. A più tardi.» si congedò mellifluo.
Ma Loki
non reagì. L’abisso in cui era piombato era il più oscuro e triste che avesse
mai conosciuto.
Del
soffitto si intuiva a fatica la fine.
Era
dorato, come quelli delle grandi sale della reggia, formato da altissime volte
decorate e sostenuto sui lati da gigantesche colonne. Tra una colonna e l’altra
si aprivano finestre prive di vetri e l’ambiente era circolare, vasto, una
sorta di anfiteatro di panche auree che si arrampicavano sino alla base delle
monofore.
Riflessa
nelle lucide lastre chiare del pavimento, Erin girò piano su sé stessa, il naso
all’insù: quel luogo era meraviglioso, immoto e solenne, e non aveva senso. O
meglio, avrebbe avuto un qualche senso se lei non vi si fosse risvegliata dopo
essere stata – questo ricordava – praticamente sventrata come un
povero coniglio in battaglia salvando il culo a Thor.
Si tastò ogni
parte del corpo, scoprendo di avere il torace perfettamente intatto e di
indossare un abito di impalpabile seta bianca al posto dell’armatura, della
cappa blu, dei jeans e degli stivali. Aveva i capelli sciolti e i piedi nudi, e
nessun anello all’anulare sinistro.
«Ehi!»
chiamò agitata nello spazio deserto: «Dove cazzo sono finita?»
«Sei a
Valhalla, figlia. Questo è il Cerchio degli Eroi.»
La voce
di Odino la raggiunse, inaspettata, e con un piccolo salto nervoso l’irlandese
si voltò. Il re era sulla soglia, la corazza macchiata e ammaccata, la testa
canuta scoperta e Gungnir in mano, e dietro di lui s’indovinavano la chioma
color grano e lo splendido viso di Lady Brunhilde, colei che comandava le
Valchirie. Aveva tutta l’aria di recare qualcosa di grosso tra le braccia,
qualcosa che Erin non distinse.
«E chi mi
ci ha portato? Cosa accidenti è successo, Padre? Siamo in una versione norrena
di Dead like me?» domandò, e nel
frattempo si sforzò di rimettere insieme i pezzi: Valhalla, eroi, Valchirie,
battaglia, elencò tra sé. Ricordò la lama crudele del gigantesco jotun, il
dolore e il sangue ed ebbe un capogiro, poiché era assolutamente sicura di
averci rimesso le penne. L’ironia era l’unico argine che aveva contro quella
spiazzante consapevolezza.
«Vi sei giunta
da sola, figlia, dopo che Lady Brunhilde e le sue sorelle ti hanno scelta.»
rispose piano il Padre degli Dei; la Valchiria annuì e restò immobile alle sue
spalle.
La
musicista sentì gli occhi pizzicarle: «Scelta? Dunque sono una... un Einherjar? Sono diventata un fottuto
fantasma corporeo?» farfugliò.
«Sei quasi una Einherjar, mia valorosa
giovane. E hai perso la tua vita mortale salvando quella del mio primogenito.
Per questo motivo voglio che sia tu a decidere, e per questo l’armatura che
farà di te uno degli Eroi è là che ti attende, se la vorrai accettare.» disse
Odino, e indicò l’angolo più distante delle gradinate: un completo assetto da
guerra di splendente metallo era ivi adagiato. «Sai cosa significa essere un
Einherjar, figlia?» egli aggiunse.
«So che
significa essere immortali, invulnerabili, e che lo scopo di un Einherjar è
combattere per te e per il Reame Eterno. C’è altro che dovrei conoscere al
riguardo?» asserì Erin, tormentandosi con le mani sudate la stoffa morbida
della tunica.
Il sovrano
le si avvicinò: «Un Einherjar non ha volontà propria. È dedito e fedele esclusivamente
a me, e ad Asgard. Un Einherjar non può tornare su Midgard, mai, né può
allontanarsi da Folkvangar se non per allenarsi e recarsi in battaglia. Un
Einherjar non può vivere come uno degli Æsir, pur condividendone la vita
eterna, e non può essere padre, o madre. Un Einherjar non potrà fare a meno di
lottare per difendere il re e il regno da chiunque rappresenti per noi una
minaccia, poiché tale sempre sarà la sua volontà.»
L’irlandese
deglutì a vuoto. Se quello che le stava martellando impazzito nel petto si
poteva ancora chiamare “cuore”, aveva la netta impressione che le sarebbe
esploso da un momento all’altro: «Chiunque? Indistintamente?» gracchiò.
«Chiunque.
Anche tuo marito, figlia, qualora occorresse.» mormorò il Padre degli Dei; «E se
anche non fosse questo il caso, non potresti comunque stare con lui come moglie
e madre dei suoi eredi. Ecco ciò che volevo ti fosse chiaro.»
«E quale
alternativa mi offri, Padre? Perché me la stai offrendo, non è così? O non mi
avresti detto quel che mi hai detto.» volle sapere Erin, e fremendo aspettò.
Era ovvio che non avrebbe mai accettato di farsi Einherjar, ma l’altra opzione
non doveva essere semplice. Se lo fosse stata, Odino non le avrebbe chiesto
niente: l’avrebbe messa in atto e basta.
Il re
gesticolò verso Brunhilde, che uscendo dal cono ombreggiato in cui era avanzò
al centro del grande salone. Tra le braccia teneva il corpo della Dama del
Flauto, il vero corpo, esanime e livido e completamente imbrattato di sangue e
terriccio; i capelli erano scarmigliati, la bocca socchiusa, l’espressione
cristallizzata in una tenue smorfia malinconica, e terribile era lo squarcio
che aveva sulla corazza e sulla carne. La Valchiria distese la spoglia sulla
panca d’oro più bassa con estremo rispetto, quindi s’inchinò all’altro
sembiante della donna d’Irlanda.
Questa
fissò sé stessa e lo stomaco le si contorse. Annaspando si piegò in due,
strizzando le palpebre per contenere l’urto del vomito, e distolse lo sguardo
dal proprio cadavere cercando l’occhio lucido e preoccupato di Odino:
«Dimmi
che la fottuta alternativa è farmi tornare indietro, Padre.» lo implorò.
«Ascoltami,
Erin.» principiò il sovrano, grave, cingendole le spalle: «Non potrai più
essere una donna mortale, mai più. È un miracolo che neppure io potrei
compiere. Quello che ti offro è di tornare nel tuo corpo primigenio e di
essere, in tal modo, alla stregua di una Asynja, una dea, dacché il tuo spirito
è ormai immortale e tale resterà, e immortale diverrà il tuo fisico se la mia
previsione è corretta. E poiché non sono certo che lo sia, poiché non l’ho mai
fatto prima, debbo metterti in guardia e confessarti che potrebbe non
funzionare e che potresti rimanere così, e saresti allora costretta ad accettare
il tuo destino di Einherjar.»
«E se
invece funzionasse?» indagò frettolosamente lei, interrompendolo.
Odino
emise un lungo, profondo sospiro: «Se funzionasse avresti il tuo libero
arbitrio, potresti seguitare ad andare su Midgard e vivere alla reggia, ed
essere la sposa di uno dei principi. Ma vedresti morire i tuoi cari e mutare il
mondo che ti ha vista nascere, e non potresti muovere un dito per impedirlo.
Saresti legata al nostro fato, indissolubilmente. E parlando di Loki...»
Si
bloccò, dondolando lo scettro tra le dita inquiete come se stesse racimolando
la formula giusta per concludere il proprio discorso, e l’irlandese ne indovinò
la parte mancante:
«Lo so.
Potrebbe essere già morto o potrebbe aver tradito.» ammise con amarezza.
«E
capisci che ciò comporterebbe per te una vita eterna senza di lui, figlia?»
Erin si
passò una mano sulle palpebre bagnate e si riempì i polmoni d’aria per
calmarsi, per riflettere. Eppure si rese conto di aver ben poco su cui
rimuginare: aveva già fatto la sua scelta, e doveva solo darle voce, cosa per
cui le sarebbe servita un’enorme dose di coraggio.
«Perché
concedermi un simile privilegio, Padre degli Dei?» chiese invece in un
sussurro.
«Oh,
Erin, Erin, straordinaria Erin di Galway!» esclamò Odino; «Hai salvato la vita
di mio figlio al prezzo della tua. Hai salvato entrambi i miei figli! Ti devo tutto e non c’è cosa che non farei
per colmare il mio debito, e forse non sarebbe comunque sufficiente.»
Il
vantaggio che suo malgrado si era guadagnata sugli asgardiani, l’ammirazione
che questi nutrivano nei suoi confronti – ogni cosa aveva raggiunto il
più alto livello possibile, nel bene e nel male, e per quanto impaurita ne
fosse quella era l’ultima, migliore e più grandiosa occasione che la flautista
aveva per riaggiustare la situazione, a qualunque costo.
Raddrizzò
la schiena, il volto fiero e il mento alzato:
«Capisco,
e voglio tentare. Non me ne importa se è un rischio, m’importa che funzioni,
anche se dovessi rimanere sola. Perché se mio marito fosse morto intendo essere
io a vendicarlo, e se avesse tradito dovrò essere io a ucciderlo.» proclamò,
vibrante, dura, commossa; «E se fosse ancora vivo, Padre, non ci saranno
stronzi di ghiaccio capaci di fermarmi.»
«Lo ami
tanto, figlia. Lo ami così tanto.»
ribatté il re, e non era una domanda.
Erin
sorrise: «Sì. Più di ogni altra creatura vivente in tutti gli universi che
esistono.»
Allora
Odino brandì Gungnir con entrambe le mani e glielo puntò gentilmente contro il
petto. Dalle sue antiche labbra cominciò a fluire una misteriosa litania, e
l’irlandese fu invasa da una stranissima sensazione, un formicolìo, un tepore
che non apparteneva ad alcuna delle leggi fisiche che aveva conosciuto e
sperimentato. E nel chiudere gli occhi si sentì dissolvere, si fece leggera
come un respiro e perse la capacità di percepire ciò che la circondava,
similmente al cadere in un denso e imprevisto sonno.
Svanì,
trasformandosi in una nube di dorato, luminoso pulviscolo che si sollevò dal
marmo candido del pavimento e piroettò con calma nell’aria per la meraviglia di
Lady Brunhilde e del Padre degli Dei medesimo. Danzò fino al corpo esangue
della donna d’Irlanda e da esso si lasciò assorbire, o dentro gli penetrò di
sua sponte, e per una manciata di attimi la spoglia brillò di un portentoso
alone che abbacinò gli astanti.
Poi
scomparve, e lei rimase immobile e distesa sul gradino più basso
dell’anfiteatro.
Odino e
la Valchiria attesero, ansiosi, nel silenzio più assoluto, e temettero il
peggio – ma d’un tratto Erin s’inarcò con un singulto e l’aurea polvere
di poco prima le serpeggiò addosso dalla testa ai piedi: ridiede colore alle
sue guance, cancellò l’infame ferita dal suo esile torace e curò i graffi e le
ecchimosi che le costellavano la pelle, e riportò fiato nei suoi polmoni.
Infine
l’irlandese si ridestò con un breve grido e si alzò di scatto a sedere, viva e
vegeta e incredula, e i due Æsir immediatamente le corsero appresso. La
tastarono, scrutarono, desiderosi di sapere quale fosse il suo sentire, se
riusciva a parlare e a muoversi, ed Erin scrollò il capo arruffato mentre una
risata le sgorgava dalla gola pulsante.
«È stato incredibile.»
boccheggiò, e non avrebbe potuto descrivere con termini più adatti l’esperienza
di scindersi in migliaia di particelle scintillanti e svegliarsi da immortale nel
proprio corpo nel giro di un singolo minuto.
«Stai
bene, figlia?» insistette il re con preoccupazione.
«Mai
stata meglio, cazzo.» fu la risposta.
La
musicista si mise in piedi barcollando appena e si liberò della corazza
fracassata, quindi si avviò verso la porta con passo ardito. Sono immortale, si
ripeté come in un mantra per dare una forma alla novità, sono immortale o
almeno credo. Non che la faccenda la rendesse felice: era troppo grande e
ignota da accettare, era un infinito spazio aperto in cui non filtrava ancora
alcuna luce. Si sarebbe tramutata in gioia soltanto quando e se avesse riavuto
Loki al proprio fianco, e comunque avrebbe dovuto rinunciare ai familiari, agli
amici, all’esistenza cui tanto teneva e che mai gli erano parsi teneri e
confortanti come adesso.
Eppure il
Dio degli Inganni era ormai divenuto più importante di loro, più importante del
noto e del certo, e valeva ogni rischio. Non si rammaricò nell’ammetterlo,
poiché era la verità.
E aveva
fuoco nelle vene, e quel fuoco reclamava vendetta.
Odino la
inseguì: «Di cosa necessiti, Erin? Hai intenzione di tornare in battaglia?» la
apostrofò.
«Sì, se
lo scontro non è ancora terminato. Cosa mi sono persa?»
Brunhilde
intervenne per la prima volta: «Quando sei caduta eravamo da poco arrivate ai
Campi con gli Einherjar al completo. La nostra presenza, oltre al vostro
intervento con la cavalleria, ha ribaltato la situazione a nostro favore. Se
dal varco non è uscita una terza ondata di Jötnar credo che li sconfiggeremo. E
il principe Thor era inarrestabile.»
Chiamata
in causa, l’irlandese sorrise nuovamente e si appoggiò allo stipite:
«Per
tornare in battaglia avrò bisogno di un paio di cose, Padre. Di un’armatura
integra, per esempio, e di un altro cavallo. Dov’è il mio flauto?»
«Dubito
che potremo ritrovarlo prima che la guerra finisca.» sottolineò il sovrano.
«Già,
dubito. Dunque mi servono altre armi.» concordò Erin, e di sottecchi fissò il
divino suocero: «Più precisamente, mi serve il fucile che ho lasciato nelle scuderie.»
Note
Se là fuori
c’è ancora qualcuno, battete un colpo!
Non aggiorno da febbraio e so che è veramente un grosso lasso di tempo – di proporzioni asgardiane, direi:
sono stata assai impegnata e non avevo nemmeno tutta questa gran voglia tornare
su EFP. Ma amo troppo Loki, Erin e le loro avventure, e non potevo lasciare
incompiuta la pubblicazione della storia (di cui sto scrivendo gli ultimi due
capitoli).
Avevate creduto morta la nostra irlandese? Grazie a Wagner l’ha scampata
bella, anche se da qui a dire che tutto è risolto ce ne corre… Se avete
presente la tetralogia dell’Anello del
Nibelungo, e in particolare la Valchiria,
saprete che nella sua versione e nella mitologia norrena in generale gli
Einherjar sono gli eroi umani morti in battaglia o in duello che le Valchirie
scelgono come guerrieri invulnerabili da portare nel Valhalla – e non,
come nei film, i soldati asgardiani in toto; normalmente i corpi dei caduti
restano su Midgard e certo Odino non interviene per cambiare la loro
situazione, ma nel caso di Erin il corpo mortale era su Asgard e lei ha fatto
quello che ha fatto.
Se non sapete cos’è Dead like me
(in Italia nota anche col triste titolo di La
vita dopo la morte o roba del genere) vi prego, guardatevelo, perché è
piuttosto geniale e politicamente scorretto.
Titolo del capitolo tratto dalla prima strofa di Not your fault degli Awolnation (she was built with a brain / and some swagger / […] i’m a joke in my own mind / but she still
loves to dance / with my punch lines); per la scena iniziale avrei scelto E lucevan le stelle, la straziante aria
dell’eroe della Tosca di Puccini,
giusto per patire un po’; per la resurrezione di Erin, invece, da dopo che lei
vede il proprio cadavere fino al risveglio, il brano migliore è The enigma of River Song dalla VI
stagione di Doctor Who.
Giuro che aggiorno tra una-due settimane al massimo. Ossequi asgardiani
a tutti!