Capitolo IV
Cambiamento
Rientrò dalla
corsa pervaso da una strana euforia.
Accadeva sempre così quando, finalmente, i pezzi del puzzle
cominciavano ad
incastrarsi e il quadro, dapprima sfocato, cominciava ad assumere una
forma più
definita.
Prese il
cellulare e compose un numero.
“Pronto”
rispose una voce femminile dal piglio sicuro.
“Mamma!”
“Andrew,
tesoro, finalmente! Sono settimane che sei
sparito”
“Scusami
mamma, avevo bisogno di staccare da tutto e da
tutti. Papà come sta?”
“Bene, ma tu
dove sei?”
“In Francia,
con un nuovo progetto in testa”.
“Raccontami tutto”.
Immaginò,
dall’altra parte del mondo, la madre che si
sedeva sulla sua poltrona preferita, nel salotto della casa dei suoi
genitori
in California, il quale traboccava, oltre che di volumi di vario
genere, anche
di tutte le prime edizioni dei romanzi del figlio, tradotte in varie
lingue e
autografate, nonché dei
premi da lui
vinti durante la sua, seppur breve, travolgente carriera di scrittore.
“Sto pensando
di scrivere un romanzo storico ambientato
nell’Ottocento”.
“Come mai
quest’idea?”
“Sono stanco
di ciò che ho scritto finora: assassini, beghe
da tribunale, spionaggio... Vorrei cimentarmi con qualcosa di diverso e
di più
impegnativo. Credo d’aver bisogno d’un cambiamento, per ritrovare
l’ispirazione. E poi...” si fermò, indeciso se continuare.
“E poi cosa?”
lo stuzzicò la madre.
Sorrise,
ricordando com’era sempre stata capace di
convincerlo, fin da piccolo, a raccontarle ogni pensiero che gli
passava per la
mente. Era stato fortunato: con entrambi i genitori aveva sempre avuto
un
rapporto speciale di intesa e di confidenza.
“Vedi... il
passato mi ha sempre affascinato; fin da
bambino mi è sempre piaciuto immaginare, ogni volta che mi trovavo in
un posto
nuovo, come avessero vissuto le persone nei secoli precedenti...”.
“Non me ne
avevi mai parlato” disse la madre.
“Ricordi come
mi affascinavano i racconti del passato? E
quanto mi piaceva andare con papà, alla domenica mattina, in stazione?
Lui
sapeva che mi piaceva andarci e credeva che fosse per i treni, così mi
ci
portava appena possibile; i treni mi piacevano molto, è vero, ma quello
che mi
affascinava di più era immaginare la stazione com’era nei secoli
passati, con
le donne in abiti lunghi e cuffiette e gli uomini in redingote...
e lo stesso mi accade, ancora oggi, ogni volta che mi
trovo in qualche luogo nuovo...”.
“Allora forse
devi tentare. Potresti mantenere lo stesso
genere e ambientarlo a metà Ottocento, ad esempio” suggerì sua madre.
“Un giallo
ambientato nel XIX secolo? Mhm... forse... è un
‘idea. Ma...”
“Ma tu avevi
in mente altro” finì per lui sua madre oltre
oceano.
“Non so... il
fatto è che da un po’ rifletto sulla vita,
sugli uomini... il destino di un uomo, alla nascita, è di appartenere
ad un
certo periodo storico... di nascere e magari vivere in un luogo
piuttosto che
in un altro; tutto questo non dipende da noi, ma dal destino: si
incontrano
persone... ma se fossimo nati e vissuti in un altro periodo, o in un
altro
luogo, avremmo conosciuto, amato, odiato, persone diverse... e anche
questo non
dipende da noi, ma dal nostro destino. Dal fatto che siamo nati proprio
in un
certo momento, in un certo periodo storico, in un certo luogo. Ogni
uomo
appartiene alla propria epoca... Spesso mi sono scoperto a desiderare
di poter
aver vissuto in un'altra epoca, per sapere cosa sarei stato, CHI sarei
diventato. E poi ancora: il nostro spirito, la nostra anima... quando
moriamo... è possibile che “rinasca” in altre persone, che riviva in
altre
epoche storiche? E cosa rimane di ognuno di noi, alla nostra morte? Il
corpo
muore, ma l’animo? Il pensiero? Quello che più mi spaventa, della
morte, non è
tanto non esistere più nella mia fisicità ma non esistere più come
pensiero,
come animo... perché è quello che determina un essere umano e lo
distingue da
un altro...”.
Si rese conto
all’improvviso del silenzio di sua madre e
si fermò.
“Scusami
mamma... ho permesso ai miei pensieri di prendere
il sopravvento”.
“E’ questo il
reale motivo per cui scrivi?” gli domandò
sua madre, interrompendolo.
Lui comprese
all’istante il senso della domanda.
“Non lo so...
forse sì, ora che mi ci fai pensare. E’ John
Locke a dirci che il linguaggio è il segno convenzionale delle idee, lo
strumento per mezzo del quale l’Uomo indica il proprio pensiero e con
il tempo
tale strumento si è perfezionato grazie all’ acquisita capacità di
renderlo
permanente trasferendolo su un supporto materiale, ossia scrivendolo.
La lingua
è ‘madre’ perché oltre a permetterci
d’intrattenere rapporti con gli altri, prima di tutto ci consente di
pensare
noi stessi come individui, e quindi di esistere in quanto esseri
pensanti. La
lingua è sì una struttura logica, ma è anche un poderoso sistema
emotivo,
capace di suscitare sentimenti tanto quanto è in grado di trasmettere
informazioni... Forse è sempre stato questo il motivo per cui scrivo e per cui, fin da ragazzo,
ho sempre scritto un
diario: per ‘fermare’, nel tempo, i
miei pensieri, il mio animo, la mia personalità ”.
“Continui a
scrivere il tuo diario?”
“Sì...
infantile, vero?”
“Non direi
proprio” disse sua madre ed egli colse una
sfumatura nel tono di voce che non riuscì ad inquadrare: sembrava
stupore misto
a tenerezza, ma anche un accenno di rassegnata certezza, come se desse
per
scontato che lui non potesse farne a meno. “Tu non sei mai stato ‘infantile’, neppure quando eri un bimbo.
Anche allora stupivi sempre tutti per le tue acute osservazioni “,
aggiunse poi
sua madre.
“Già... forse
è proprio di questo che vorrei parlare nel
mio romanzo: non so... è come un’esigenza che sta risalendo pian piano
alla
superficie. Ciò che ho scritto finora raccontava semplicemente delle
avventure.”
“Non sminuire
così i tuoi romanzi, caro”.
“Non
fraintendermi, sono contento di ciò che ho prodotto
finora; ma è sempre stata roba commerciale, quasi una sorta di
preparazione, di
allenamento, per un qualcosa di diverso. Il problema è che non so
ancora bene
cosa, ma lo scoprirò.”
“Ross che ne
dice?” chiese la madre, con l’ombra di un
sorriso divertito nella voce. Sua madre sapeva quanto gli fosse
difficile convincere
il proprio agente ad un qualsivoglia infinitesimale cambiamento; di
certo già
si figurava la battaglia verbale che avrebbe dovuto sostenere per un
cambiamento così radicale. Probabilmente sorrideva nell’immaginare Ross
in
preda ad una crisi di nervi o in procinto di avere un attacco di cuore!
“Ross farà i
capricci, come sempre, ma come sempre la
spunterò io, lo sai. Devo avere la stoffa dell’avvocato, a furia di
scriverne!”
rispose, sorridendo a sua volta.
“Saresti
stato un eccellente avvocato, io e tuo padre te
lo abbiamo sempre detto, figliolo”.
“Lo sai com’è
fatto Ross... per lui conta solo che io
rimanga ben saldo sul viale del successo, ma a me questo non basta più.
Per
dirla tutta, il successo è stato piacevole e, soprattutto, inaspettato,
ma non
è mai stata la mia priorità, tu lo sai. E ora lo è ancora meno“.
“Cosa vuoi,
adesso?”
“Voglio
raccontare qualcosa di ‘vero’,
mamma. Non so ancora bene cosa, ma so che ho la necessità di
cambiare: cambiare genere, innanzitutto, ma forse non solo... Io scrivo
perché
amo scrivere. Scrivo per il gusto di farlo, se poi quello che racconto
piace
anche alla gente, tanto meglio. Ora sento che è giunto il momento di
dirigermi
altrove... Del resto siete stati tu e papà a dirmi sempre che nella
vita
bisogna fare solo quello in cui si crede e perseguire la propria strada
fino
alla fine”.
“E allora fallo”.
“Tu che cosa
ne pensi?”
“Andrew, sei
tu che devi decidere cosa fare, la mia
opinione è ininfluente” lo rimproverò lei con affetto .
“Per me è
molto importante saperlo. I tuoi consigli sono
sempre stati preziosi”.
“Lo senti
davvero?” chiese.
“Sì, lo sento
davvero. Ed è una sensazione molto forte”.
“E allora
segui il tuo istinto, come ti ha sempre detto
tuo padre”.
“E anche tu”.
“Certo,
anch’io”.
“Grazie
mamma. Ci sentiamo presto. Ti voglio bene.”.
“Anche io e
tuo padre te ne vogliamo, Andy. A presto,
tesoro”.
Spense il
cellulare con una sensazione di pace. Anche se
dentro di sé sapeva che la strada giusta era quella del cambiamento,
parlarne
con sua madre gli aveva fatto bene: ora era sicuro più che mai che il
suo
prossimo libro sarebbe stato un romanzo storico.
Ma ora più
che mai gli serviva un esperto: qualcuno che
conoscesse talmente bene la cultura, la vita e l’arte del XIX, secolo
da
rendergliela famigliare, come se fosse vissuto lui stesso nel 1800.
Era quello il
segreto dei suoi romanzi: chi leggeva era subito
rapito dalla perfetta descrizione dell’ambientazione e dei personaggi,
al punto
da immedesimarsi e avere la sensazione di vivere in prima persona tutte
le
avventure narrate.
Riusciva ad
ottenere ciò solo con un’attenta ricostruzione
ambientale, un procedimento che la sua mente elaborava, tramite
documentazione
fotografica e uno studio attento e preciso di fatti e luoghi, non
appena
l’ispirazione si concretizzava in una storia da raccontare.
Lui stesso,
dopo aver delineato i punti salienti della
trama, si lasciava catturare dall’ambientazione e per tutto il tempo in
cui
scriveva si trasferiva là, dove la vicenda si svolgeva; e se la sua
prossima
vicenda si fosse svolta nel XIX secolo, era pronto a fare i bagagli
mentali e
trasferirsi nell’Ottocento, ad inseguire i suoi personaggi, ovunque
essi lo
avrebbero portato.
Aveva bisogno
di Ross, ora; tuttavia non aveva alcuna
intenzione di intavolare una discussione. Riaccese il cellulare, ma
invece di
fare la telefonata, inviò un sms succinto, che non ammetteva repliche.
“Trovami al più
presto, in Francia, un esperto del XIX secolo”.
In fondo era
anche grazie a lui che Ross poteva
permettersi una barca ancorata a Martha’s Vineyard, con tanto di villa
a
seguito… che si guadagnasse quel privilegio, una volta tanto, facendo
il
proprio lavoro senza domandare e senza discutere.