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Autore: Bramulcastoncha    03/05/2014    3 recensioni
Nessuno sa cosa sia successo a Echo Emerson, la ragazza più popolare della scuola, la notte in cui le sue braccia si sono ricoperte di cicatrici. Nemmeno lei ricorda niente e vuole solo ritornare alla normalità, ignorando i pettegolezzi e le occhiate sospettose dei suoi ex-amici. Ma quando Zayn Malik - il “bad boy” del quartiere - irrompe nella sua vita con la sua giacca di pelle, i suoi modi da duro e la sua inspiegabile tenerezza, il mondo di Echo cambia. All’apparenza i due non hanno nulla in comune, e i segreti che custodiscono rendono complicato il loro rapporto. Eppure, a dispetto di tutto, non riescono a fare a meno l’uno dell’altra. Dove li porterà l’attrazione che li consuma e cos’è disposta a rischiare Echo per l’unico ragazzo che potrebbe insegnarle di nuovo ad amare?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oltre i limiti.
Capitolo Uno.

 
Echo.

“Mio padre è un maniaco del controllo, odio la mia matrigna, mio fratello è morto e mia madre ha... be’… dei problemi. Come crede che stia?”
È così che avrei voluto rispondere alla domanda della signora Collins, ma mio padre dava troppa importanza alle apparenze perché replicassi con onestà. Perciò sbattei le palpebre tre volte e dissi: «Bene».
La signora Collins, la nuova psicologa della Eastwick High, si comportò come se non avessi aperto bocca: spostò una pila di cartelline al lato della scrivania già stracolma e frugò tra i vari documenti, mettendosi a canticchiare quando trovò il mio fascicolo, spesso quasi otto centimetri; poi si premiò con un sorso di caffè, lasciando un’impronta di rossetto rosso sul bordo della tazza. L’odore del caffè scadente e di matite appena temperate riempiva l’aria.
Alla mia destra, mio padre sbirciò l’orologio mentre, sulla mia sinistra, la Perfida Strega dell’Ovest si agitava impaziente sulla sedia. Stavo perdendo la prima ora di calcolo, mio padre una riunione molto importante, e la mia matrigna di Oz…? Di sicuro stava perdendo la concentrazione.
«Non trovate che gennaio sia fantastico?» domandò la signora Collins aprendo la mia cartellina. «Anno nuovo, mese nuovo, un nuovo programma a cui lavorare.» Senza aspettare una risposta, proseguì: «Vi piacciono le tende? Le ho fatte io».
Con un movimento sincronizzato, mio padre, la mia matrigna e io ci volgemmo verso le tende a pois rosa appese alle finestre che davano sul parcheggio degli studenti. Facevano un po’ troppo Casa nella Prateria, un vero e proprio pugno in un occhio per i miei gusti. Nessuno di noi rispose, e il silenzio creò un pesante imbarazzo.
Il Blackberry di mio padre vibrò. Con uno sforzo esagerato, se lo sfilò dalla tasca per controllare il display. Ashley tamburellò le dita sulla pancia arrotondata, mentre io leggevo le varie targhe dipinte a mano appese al muro, così da concentrarmi su qualsiasi cosa che non fosse lei.
IL FALLIMENTO. È IL TUO UNICO NEMICO. SE VUOI SALIRE NON GUARDARE IN BASSO. ABBIAMO SUCCESSO SOLTA NTO SE CI CREDIAMO. SOPRA LA PANCA LA CAPRA CAMPA; SOTTO LA PANCA LA CAPRA CREPA.
Ok… l’ultima frase non c’era, ma se ci fosse stata l’avrei trovata divertente.
La signora Collins mi ricordava un Labrador troppo cresciuto, con i suoi capelli biondi e il suo atteggiamento troppo amichevole.
«I risultati dei test attitudinali di Echo sono favolosi. Dovreste essere molto fieri di vostra figlia.» Mi sorrise sincera, mostrando tutti i denti.
Timer partito. La mia ora di terapia era ufficialmente iniziata. Circa due anni fa, dopo l’incidente, i servizi sociali avevano “fortemente incoraggiato” la terapia… e papà aveva imparato in fretta che era meglio dire di sì a qualsiasi cosa “fortemente incoraggiata”. Le sedute si tenevano in un ufficio separato dalla scuola, dove andavo regolarmente come un qualsiasi paziente. Grazie ai fondi dello Stato del Kentucky e a un’assistente sociale troppo zelante, ero entrata nel programma sperimentale. L’unico incarico della signora Collins era gestire un gruppo di ragazzi del mi liceo. Che fortuna!
Mio padre si raddrizzò sulla sedia. «I suoi voti in matematica erano bassi. Voglio che rifaccia i test.»
«C’è un bagno?» s’intromise Ashley. «Al piccolo piace starsene seduto sulla mia vescica.»
Almeno quanto a lei piaceva stare al centro di tutto.
La signora Collins le rivolse un sorriso tirato e le indicò la porta. «Attraversi la sala principale e vada a destra.» Da come si mosse per alzarsi, sembrava che Ashley portasse in grembo una palla di trenta chili invece di un bambino. Scossi la testa disgustata, cosa che attirò solo un’occhiataccia da parte di mio padre.
«Signor Emerson» continuò la signora Collins appena la mia matrigna se ne fu andata. «I risultati di Echo sono già al di sopra della media nazionale, e secondo il suo fascicolo ha già inoltrato domanda di ammissione ai college che le interessano.»
«Ci sono alcune università di economia a cui vorrei che facesse domanda. Inoltre, questa famiglia non accetta “al di sopra della media”. Mia figlia eccellerà.»
Mio padre parlava come una divinità. Avrebbe potuto tranquillamente aggiungere: Così sia scritto, così sia fatto. Appoggiai il gomito sul bracciolo della poltrona e nascosi la faccia tra le mani.
«Posso capire che questo le crei problemi, signor Emerson» disse la signora Collins con un irritante tono pacato. «Ma i risultati di inglese di Echo sono praticamente perfetti…»
E a questo punto smisi di ascoltarli. Mio padre e la precedente consulente di orientamento avevano già avuto questa discussione quando ero al secondo anno e avevo sostenuto il PSAT – il test preliminare a quelli attitudinali – e poi di nuovo l’anno scorso, dopo aver superato gli esami attitudinali  - il SAT e l’ACT – per la prima volta. Alla fine la consulente aveva capito che mio padre vinceva sempre, e aveva gettato la spugna al primo tentativo.
I risultati dei miei test erano l’ultima delle mie preoccupazioni. Trovare i soldi per sistemare la macchina di Aires era il problema che mi assillava. Fin dalla morte di Aires, mio padre si era impuntato sulla questione, insistendo che avremmo dovuto venderla.
«Echo, sei soddisfatta dei tuoi risultati?» mi domandò la signora Collins.
Le scoccai un’occhiata attraverso i riccioli rossi che mi ricadevano sul viso. L’ultima psicologa aveva capito la gerarchia della nostra famiglia e si rivolgeva direttamente a mio padre,  non a me. «Prego?»
«Sei soddisfatta dei tuoi risultati? Vuoi rifare i test?» Incrociò  le braccia e le appoggiò sul mio fascicolo. «Intendi fare domande ad altre università?»
Incontrai gli occhi grigi e stanchi di mio padre. Vediamo… rifare i test significava che mi avrebbe assillato ogni secondo con lo studio, il che per me voleva dire svegliarmi presto un sabato, perdere l’intera mattinata a friggermi il cervello e poi preoccuparmi per settimane dei risultati. Quanto a fare domanda ad altre università? Piuttosto avrei rifatto i test! «Sinceramente no.»
Le rughe d’espressione intorno agli occhi e alla bocca di papà divennero più profonde per il disappunto. Cambiai tono: «Mio padre ha ragione. Dovrei rifare i test.»
La signora Collins scribacchiò qualcosa nella mia cartellina. L’ultima psicologa era a conoscenza dei miei problemi con l’autorità. Non c’era bisogno di annotare quel che già era ampiamente documentato.
Ashley rientrò ciondolando nella stanza e si sedette accanto a me. «Cosa mi sono persa?» Onestamente mi ero dimenticata della sua esistenza. Oh, se anche papà l’avesse fatto!
«Niente» rispose mio padre.
La signora Collins scostò la penna dal foglio. «Chiedi alla signora Marcos le prossime date dei test prima di andare in classe. E dato che svolgendo anche il ruolo di consulente di orientamento, mi piacerebbe discutere del tuo quadrimestre invernale. Hai riempito le tue ore libere di lezioni di economia. Mi chiedevo il perché.»
La vera risposta – perché mi aveva obbligata mio padre – avrebbe probabilmente irritato diverse persone nella stanza, perciò improvvisai: «Mi aiuteranno a prepararmi per il college». Wow. L’ho detto con l’entusiasmo di un bambino di sei anni nel procinto di farsi il vaccino antinfluenzale. Pessima scelta. Mio padre si agitò di nuovo sulla sedia e sospirò. Pensai di cambiare risposta, ma immaginai che sarebbe suonata altrettanto falsa.
La signora Collins esaminò attentamente il mio fascicolo. «Hai dimostrato un talento incredibile in arte, soprattutto nel disegno. Non sto dicendo che dovresti lasciare tutti i corsi di economia, ma potresti eliminarne uno e seguire un corso d’arte al suo posto.»
«No» ringhiò mio padre, sporgendosi avanti e congiungendo le dita. «Echo non seguirà nessun corso d’arte, è chiaro?» Mio padre era una strana combinazione fra un istruttore di reclute e il Bianconiglio di Alice: aveva sempre un luogo importante dove andare e adorava dare ordini a chi lo circondava.
Devo rendere onore alla signora Collins: non batté ciglio prima di cedere. «Cristallino.»
«Bene, ora che abbiamo sistemato questa faccenda…» Ashley e il suo pancione si spinsero sul bordo della sedia, pronti ad alzarsi. «Ho fissato per errore troppi appuntamenti oggi e ho un’ecografia. Potremmo scoprire il sesso del bambino.»
«Signora Emerson, i voti di Echo non sono il motivo dell’incontro, ma capisco se deve andare.» La signora Collins prese una lettera ufficiale dal primo cassetto, mentre Ashley – il volto paonazzo – tornava a sedersi. Avevo già visto quella carta intestata parecchie volte negli ultimi due anni. A quanto pareva, i servizi sociali amavano distruggere le foreste pluviali.
La signora Collins rilesse la lettera fra sé e sé, mentre – in gran segreto – speravo di andare a fuoco per autocombustione. Sia io che mio padre sprofondammo nelle sedie. Oh, le gioie della terapia di gruppo!
Mentre aspettavo che finisse di leggere, notai una rana di peluche vicino al computer, la foto di lei e di un uomo (forse il marito) e poi, nell’angolo della scrivania, una grande coccarda blu, di quelle che la gente riceve quando vince una competizione.
Qualcosa si risvegliò dentro di me. Uh… strano.
La signora Collins ripiegò la lettera e la ripose nella cartellina già stracolma. «Ecco. Sono ufficialmente la tua psicologa.»
Visto che non  aggiunse altro, spostai lo sguardo su di lei. Mi stava osservando. «È una bella coccarda, vero, Echo?»
Mio padre si schiarì la gola e le lanciò un’occhiataccia. Ok, quella fu una reazione strana, ma in fondo, era semplicemente irritato perché era inchiodato lì. I miei occhi tornarono alla coccarda. Perché mi sembrava familiare? «Direi di sì.»
Gli occhi della donna si spostarono sulle piastrine attorno al mio collo, che stavo toccando senza farci caso. «Mi dispiace molto per la vostra perdita. In quale corpo delle forze armate era?»
Fantastico. A mio padre sarebbero scoppiate le coronarie. Aveva detto chiaramente settantacinque volte che le piastrine di Aires dovevano restare chiuse nella scatola sotto il mio letto, ma oggi ne avevo bisogno… nuova psicologa, il secondo anniversario della morte di Aires ancora recente, e il primo giorno del mio ultimo quadrimestre al liceo. La nausea mi rimbalzò nello stomaco. Evitando l’occhiata delusa di mio padre, mi ostinai a cercare le doppie punte dei miei capelli.
«Marine» rispose asciutto lui. «Senta, stamattina ho una riunione con dei potenziali clienti, ho promesso ad Ashley che l’avrei accompagnata all’appuntamento con il dottore, ed Echo sta perdendo la sua lezione. Ne abbiamo ancora per molto?»
«Questo lo decido io. Se intende rendere difficili questi incontri, signor Emerson, sarò più che contenta di convocare l’assistente di Echo.»
Cercai di trattenere il sorriso che mi tirava le labbra. La signora Collins aveva giocato una mano ben preparata. Mio padre si arrese, ma la mia matrigna, d’altro canto…
«Non capisco. Presto Echo compirà diciott’anni. Perché lo Stato ha ancora autorità su di lei?»
«Perché questo è ciò che è lo Stato, la sua assistente sociale e io pensiamo sa meglio per lei.» La signora Collins chiuse il mio fascicolo. «Echo continuerà la terapia con me fino a quando non si diplomerà, questa primavera. A quel punto, lo Stato del Kentucky lascerà in pace lei… e voi.»
Attese finché Ashley annuì, accettando in silenzio la situazione. «Come stai?» mi chiese poi.
Una favola. Magnificamente. Mai stata peggio. «Bene.»
«Davvero?» Si picchiettò il mento con un dito. «Perché credevo che l’anniversario della morte di tuo fratello potesse risvegliare delle emozioni dolorose.»
Mi scrutò mentre fissavo il vuoto, sotto lo sguardo imbarazzato di mio padre e Ashley. Mi sentivo tormentata dal senso di colpa. Tecnicamente non  mi aveva fatto una domanda, quindi in teoria non le dovevo una risposta, ma il bisogno di compiacerla mi travolse come uno tsunami. Ma perché? Era solo un’altra psicologa che si aggiungeva alla lunga lista di terapeuta con cui avevo avuto a che fare. Facevano tutti le stesse domande e promettevano aiuto, ma ciascuno di loro mi lasciava nelle stesse condizioni in cui mi aveva trovata… spezzata.
«Piange.» La vocina di Ashley ruppe il silenzio come se stesse dispensando pettegolezzi succosi da country club. «Tutto il tempo. Le manca davvero Aires.»
Sia mio padre che io ci voltammo a guardare l’oca bionda. Volevo che continuasse, mentre sono sicura che mio padre volesse il contrario. Per una volta, Dio mi ascoltò.
«Manca a tutti noi. È così triste che il bambino non lo conoscerà mai.»
E ancora una volta, benvenuti allo spettacolo di Ashley, sponsorizzato da Ashley e dai soldi di mio padre. La signora Collins prese appunti rapidamente, annotando senza dubbio le parole incaute della mia matrigna mentre mio padre gemeva.
«Echo, ti piacerebbe parlare di Aires durante la seduta di oggi?» mi domandò la signora Collins.
«No.» Quella probabilmente fu la risposta più onesta che diedi quella mattina.
«D’accordo» rispose lei. «Lo conserveremo per un incontro successivo. E tua madre? Hai più avuto contatti con lei?»
Ashley e mio padre risposero contemporaneamente: «No», mentre io buttai fuori un: «Più o meno».
Mi sentivo come il ripieno di un panino al prosciutto, per il modo in cui tutti e due si stavano sporgendo verso di me. Non ero sicura di cosa mi avesse spinto a dire la verità. «Ho provato a chiamarla durante le vacanze.» Quando non mi aveva risposto, ero rimasta seduta accanto al telefono per giorni, sperano e pregando che le importasse che due anni prima aveva perso suo figlio.
Mio padre si passò una mano sul viso. «Sai che non hai  il permesso di contattarla.» La rabbia nella sua voce suggeriva che non riusciva a credere che io avessi raccontato alla psicologa questo succulente bocconcino. Immaginai una folla di assistenti sociali che gli danzavano nella mente. «C’è un ordine restrittivo. Dimmi, Echo, telefono fisso o cellulare?»
«Telefono fisso» mormorai. «Ma non abbiamo mai parlato. Lo giuro.»
Fece scivolare il dito sul Blackberry e sullo schermo comparve il nome del suo avvocato. Strinsi le piastrine, il nome di Aires e il numero di serie che si imprimevano nel mio palmo. «Per favore, papà, non farlo» sussurrai.
Lui esitò e il mio cuore rimase premuto contro le costole. Poi, grazie al cielo, lasciò cadere in grembo il cellulare. «Ora dovremo cambiare numero.»
Annuii. Faceva male sapere che mia madre non avrebbe potuto richiamarmi, ma avrei sopportato il colpo… per lei. Una madre aveva bisogno di tante cose, ma la prigione non era una di quelle.
«Hai avuto altri contatti con lei da allora?» La signora Collins aveva perso la sua cordialità.
«No.» Chiusi gli occhi ed emisi un respiro profondo. Tutto dentro di me faceva male. Non sarei riuscita a mantenere la facciata tranquilla ancora a lungo. Questo genere di domande mi lacerava le ferite ancora fresche dell’anima.
«Tanto per essere sicure che siamo sulla stessa lunghezza d’onda… capisci che un contatto fra te e tua madre, mentre c’è un ordine restrittivo, è proibito?»
«Sì.» Boccheggiai. Il nodo che sentivo stringersi intorno alla gola impediva l’ingresso del prezioso ossigeno. Mi mancava Aires e – oh, Signore – mia mamma, e Ashely stava per avere un bambino, e mio padre mi stava addosso tutto il tempo, e… avevo bisogno di qualcosa. Qualsiasi cosa.
Contro ogni logica, lasciai che le parole mi scivolassero fuori di bocca: «Voglio riparare l’auto di Aires». Chi lo sa, forse rimettere a posto qualcosa di suo avrebbe scacciato il dolore.
«Oh, non di nuovo!» mormorò mio padre.
«Un attimo. Non di nuovo cosa? Echo, di cosa stai parlando?» chiede la signora Collins.
Fissai i guanti che indossavo. «Aires scovò una Corvette del 1965 in un deposito di rottami. Ha passato tutto il suo tempo libero a ripararla, e aveva quasi finito prima di partire per l’Afghanistan. Voglio rimetterla a posto. Per Aires.» Per me. Non aveva lasciato niente da quando se n’era andato, tranne la macchina.
«Sembra un modo salutare di elaborare il lutto. Cosa ne pensa, signor Emerson?» La signora Collins sfoderò uno sguardo da cucciolo… un trucco che dovevo imparare.
Mio padre controllò di nuovo il Blackberry, il corpo presente a la testa già al lavoro. «È costoso e non vedo il motivo di riparare un’auto rotta quando lei ne ha una che funziona.»
«Allora permettimi di cercare un lavoro» ribattei. «E potremo vendere la mia auto una volta che quella di Aires sarà a posto.»
Tutti gli occhi erano puntati su di lui, e i suoi erano fissi su di me. Senza volerlo, lo avevo messo all’angolo. Voleva dire no, ma così avrebbe scatenato l’ira della nuova psicologa. Dopotutto, in terapia dovevamo essere perfetti. Volesse il cielo che ne approfittassimo per affrontare qualche problema!
«D’accordo, ma dovrà pagarsi l’auto da sola, ed Echo conosce le mie regole in materia d'impiego. Deve trovare un lavoro che non interferisca con la scuola, con i corsi che abbiamo stabilito e con i voti. Ora abbiamo finito qui?»
La signora Collins guardò l’orologio. «Non del tutto. Echo, la tua assistente sociale ha esteso la tua terapia fino al diploma per le valutazioni dei tuoi professori. Dall’inizio dell’anno, ognuno di loro ha notato un netto calo della tua partecipazione in classe e dei rapporti con i tuoi coetanei.» I suoi occhi incontrarono i miei. «Tutti vogliamo che tu sia felice, Echo, e vorrei che mi dessi l’opportunità di aiutarti.»
Inarcai un sopracciglio. Come se avessi scelta sulla terapia, e riguardo alla mia felicità… dannata buona sorte! «Va bene.»
La voce squillante di Ashley mi fece sussultare: «Ha un appuntamento per il ballo di San Valentino».
Mio padre e io replicammo contemporaneamente: «Ah, sì?» e «Davvero?»
Ashley fece rimbalzare nervosamente lo sguardo tra di noi. «Sì, ricordi, Echo? Ieri sera abbiamo parlato di quel nuovo ragazzo che ti piace, e ti ho detto che non dovresti abbandonare i tuoi amici perché sei ossessionata da un ragazzo.»
Cercai di scegliere cosa mi infastidisse di più: il fidanzato immaginario, o che noi due potessimo avere una vera conversazione. Mentre decidevo, mio padre si alzò e si infilò il cappotto. «Vede, signora Collins, Echo sta bene. È solo un po’ innamorata. Per quanto queste sedute siano piacevoli, l’appuntamento di Ashley è fra venti minuti e non voglio che Echo salti altre lesioni.»
«Echo, vuoi veramente procurarti i soldi per pagare l’auto di tuo fratello?» mi domandò la signora Collins mentre si alzava per accompagnare alla porta mio padre e la matrigna.
Mi sistemai i guanti che portavo per coprire la pelle. «Più di quanto possa immaginare.»
Lei mi sorrise, prima di uscire dalla stanza. «Allora ho io il lavoro per te. Aspetta qui mentre discutiamo i dettagli.»
Loro tre si appartano in un angolo della sala principale, parlando a bassa voce. Mio padre passò un braccio attorno ai fianchi di Ashley e lei si appoggiò a lui, mentre annuivano alle parole della signora Collins. Come poteva amarla, dopo che aveva distrutto così tanto?




Kiao. 

Non mi è mai piaciuto parlare di me, quindi parlo del capitolo. 
Partiamo dal semplice fatto che questa storia NON è mia, è praticamente ispirata ad un libro che ho letto, che mi è piaciuto moltissimo e che vi consiglio di leggere. Si chiama Oltre i limiti di Katie McGarry. 
Ovviamente potete immaginarvi i personaggi come preferite, ma per la mia adorata Echo mi sembra perfetta Lindsay Hansen. 
Per il banner, cerco qualcuno che sia capace di farli (i pv sono Zayn e Lindsay Hansen), perché io non ho il tempo, ew.
Detto ciò, non ho altro da dire, ihi. 
Poiché questa è una storia che non richiede molto impegno, aggiornerò martedì. 
Quiiiindi, ci risentiamo martedì. 

Con tanto, tanto affetto, Ale.
   
 
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