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Autore: Kia85    04/05/2014    6 recensioni
Se c’è una cosa che l’ispettore McCartney odia, quella sono i ladri.
Quando gli affidano il caso dell’anno, il caso di Hermes, il ladro melomane, Paul sa che farà di tutto per acciuffarlo.
Ma gli imprevisti nella vita possono celarsi dove meno te lo aspetti.
Anche nel negozio di musica davanti casa, gestito da un certo John Lennon...
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'I'll get you'
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I’ll get you

 

Capitolo 3: “In spite of all the danger”

 

“E com’è l’appartamento?”

Paul sorrise, mentre parlava al telefono con Jane. Usava l’auricolare perché nel frattempo stava terminando di sistemare gli ultimi libri nella libreria del suo salotto, al piano di sopra.

“Molto bello.” rispose, infilando I tre moschettieri tra Le avventure di Sherlock Holmes e Dieci piccoli indiani, “Ho finito di mettere a posto tutta la mia roba.”

“Bravo ragazzo.” esclamò lei con una risatina, “E il quartiere?”

“Incantevole. Quando tornerai a Londra, lo visiteremo insieme.” le disse Paul, fiducioso.

Jane sembrò entusiasta, “Mi sembra un’ottima idea.”

“Avete finito di girare?”

“Sì, ma il regista vuole sistemare l'ultima scena.” rispose lei, sbadigliando annoiata, “Perciò penso che resteremo qui qualche altro giorno.”

“Ma poi verrai a Londra, giusto?” domandò lui, impedendo a se stesse di far trapelare la sua ansiosa attesa.

“Certo. Sbaglio o tra poche settimane qualcuno compie venticinque anni?”

Paul rise, “No, in effetti penso che tu abbia ragione.”

“Ci vedremo sicuramente per il tuo compleanno, amore. Stai tranquillo.”

“D’accordo." esclamò lui, abbassando poi lo sguardo a terra, incerto, "Jane, io-”

“Ora ti saluto, Paul, devo scappare." lo interruppe lei bruscamente, "Hanno organizzato una cena per tutti in hotel questa sera.”

“Oh." disse lui, e questa volta si costrinse a nascondere la delusione, "Sì, certo. Divertiti.”

“Buona serata, Paul.”

“Ti amo, Jane.”

“Anche io.”

Poi il segnale di occupato risuonò nell’orecchio di Paul. Jane aveva messo giù e Paul era di nuovo solo.

Il giovane uomo sospirò, prima di abbandonare sul divano l’auricolare e il cellulare.

Doveva ammetterlo. La vita a Londra dove non conosceva nessuno non era così eccitante come era apparsa all’inizio. La solitudine non si era fatta attendere e presto era arrivata a casa di Paul. Era la sua fredda e silenziosa compagna di vita.

A Liverpool quando usciva di casa per andare a lavoro, salutava i vicini che uscivano a prendere il giornale o erano fuori a stendere i panni. Poi nel pomeriggio, poteva andare a trovare suo fratello e la sera usciva con qualche amico, Ivan o Pete, per andare a bere qualcosa in un pub.

A Londra, invece, riusciva a scambiare qualche parola solo con i suoi colleghi di lavoro. Ma per il resto non apriva più bocca, al di là di qualche telefonata a Jane o Mike.

Jane, la sua bellissima ragazza, era a New York a girare un film, una commedia americana, da quello che aveva capito Paul. Era stata piuttosto impegnata nelle ultime settimane, e le telefonate tra lei e Paul si potevano contare con le dita di una mano. Il fuso orario non aiutava di certo: quando Jane finiva di girare, verso le nove di sera, a Londra erano ormai le due del mattino e Paul era già nel mondo dei sogni. Lui le aveva sempre detto di chiamarlo, nonostante l’orario, ma lei non voleva svegliarlo per non disturbare il suo riposo.

Erano mesi che non la vedeva, che non poteva baciarla né stringerla tra le sue braccia, inspirando a fondo il profumo dei suoi capelli rosso fuoco.

Certe volte si chiedeva se valesse lo stesso per lei. Anche Jane sentiva la sua mancanza proprio come Paul?

Una vocina petulante e fastidiosa nella sua mente gli diceva che no, non era così. Il che portava a una serie di riflessioni che Paul probabilmente non era ancora pronto per affrontare. Una fra tutte era che non ricordava l’ultima volta che lei gli avesse detto di propria iniziativa, “Ti amo.”

Solitamente era sempre lui a dirglielo, prima di salutarla, e lei rispondeva con un rapido, “Anche io.”

Tuttavia Paul cercò di scacciare quel pensiero, non era certamente il momento di pensare a quello, e soprattutto sapeva che in questo caso, solo in questo caso, sia chiaro, lui si stesse sbagliando.

Dopotutto ora c'era solo una cosa di cui doveva occuparsi. Un piccolo, maledetto ladro che sembrava davvero evanescente.

Ormai erano quasi due settimane che aveva iniziato a lavorare alla stazione di polizia di Chelsea. Aveva letto e riletto e riletto tutti i documenti, gli articoli, i rapporti di ogni furto di Hermes e ancora non capiva come riuscisse a scappare ogni volta.

Sembrava che il delinquente avvertisse prima di ogni colpo, e nonostante la polizia ricorresse alle misure di sicurezza più sofisticate e ingenti, lui riusciva sempre a farla franca. Come, non si sapeva. Era proprio come se all’improvviso quest’uomo diventasse immateriale, invisibile, inudibile…

Semplicemente spariva, per qualche sorta di strano incantesimo. Come una specie di Harry Potter, con il Mantello dell’Invisibilità e la bacchetta magica.

Sì, certo, come se fosse un’opzione possibile, aveva pensato Paul, prima di ridere per l’assurdità del suo pensiero.

Di fronte a lui vi era un’impresa davvero ardua. Sapeva in partenza che non sarebbe stato facile, e anche ora, dopo aver compreso la reale difficoltà del lavoro che lo aspettava, ovvero catturare Hermes, non si lasciò abbattere. Lui sapeva, sentiva di avere le capacità adatte per fermarlo.

Sentiva che sarebbe stato lui ad arrestarlo.

Il pensiero lo fece sospirare e poi sorridere, mentre decideva di aprire la finestra per osservare la luce calda del tramonto che illuminava la via del suo appartamento. Le pareti colorate delle case di fronte e accanto alla sua risplendevano appena con la tenue luce del sole che andava lentamente a morire.

Paul si sporse ancora di più dalla finestra, il suo sguardo cadde sulla porta del negozio di musica che si stava aprendo e il suo proprietario… John? Sì, John stava uscendo per poi chiudere la porta a chiave e abbassare la saracinesca.

Paul non aveva ancora ascoltato il cd che gli aveva regalato, nonostante gli avesse assicurato che ci avrebbe provato. E ora che ci pensava non era stato proprio perché non volesse farlo, quanto piuttosto perché era stato così preso dal lavoro e dal trasloco che non aveva avuto tempo di fare altro. Quando arrivava l’ora di cena, non aveva neanche le forze per preparare da mangiare.

Era così sovrappensiero che non si accorse che John lo stava osservando, e quando intercettò il suo sguardo, lui lo salutò con un cenno della mano e Paul gli sorrise debolmente, ricambiando il saluto, prima che l’uomo sparisse dentro casa sua.

Paul vide la luce accendersi al di là delle finestre della casa di fronte alla sua, primo piano, poi quelle del secondo. Le fissò per qualche minuto, immaginando come dovesse essere la casa di quell’uomo: sicuramente disordinata, sporca, con vestiti sparsi dovunque, i piatti accumulati nel lavello, un’intera stanza piena di cd musicali e vinili, magari anche una dedicata solo a suonare. Probabilmente quel ragazzo suonava la chitarra, o la batteria o il pianoforte. Paul sospirò, qualunque strumento suonasse, l’importante era che non lo disturbasse mentre voleva riposarsi.

Al pensiero del riposo, non poté trattenere uno sbadiglio. Era molto stanco, in effetti. Avrebbe passato la serata sdraiato sul divano, magari davanti alla televisione, che trasmetteva il solito inutile varietà, poi si sarebbe addormentato e sarebbe rimasto lì tutta la notte, risvegliandosi il mattino dopo con un terribile mal di schiena.

No, non gli piaceva proprio quel programma, pensò mentre chiudeva la finestra. Guardò il salottino che aveva arredato al piano di sopra. Vi erano una grande libreria, con incastonato un piccolo televisore, di fronte un divanetto dai cuscini soffici, e sul mobiletto con una lampada antica, di ferro battuto, che aveva preso dalla casa di sua madre, vi era appoggiato, o forse era meglio dire abbandonato, il cd che gli aveva regalato il signor Lennon. Lo aveva messo lì, perché non sapeva dove metterlo, non aveva porta-cd, né uno stereo per ascoltarlo.

Anche se avesse voluto ascoltarlo, come avrebbe potuto farlo?

Ma certo, il lettore dvd. Ne aveva preso uno che leggeva anche i cd.

Dannazione, non aveva neanche la scusa di non avere i mezzi per poterlo ascoltare.

Così, alla fine si decise. Era quasi sicuro che, se avesse incrociato John nei prossimi giorni, lui sicuramente gli avrebbe chiesto notizie sul cd. Perciò meglio togliersi da questo impiccio il prima possibile.

Si apprestò a sistemare il cd nel lettore e poi lo fece partire, mentre andava a sedersi sul divano.

Da quanto tempo non ascoltava più un po’ di musica di sua spontanea iniziativa? Una vita, praticamente. Da prima che lui se ne andasse. Era lui che lo aveva fatto appassionare all’inizio, era lui che gli aveva fatto ascoltare gli album più famosi, condividendo con Paul i suoi gusti, e allo stesso modo, era lui che l’aveva deluso, lui il motivo per cui non ascoltava più musica, per cui era arrivato a odiarla.

Per questo evitava di fare qualunque cosa avesse a che fare con la musica, perché ogni volta, era come se lui apparisse davanti ai suoi occhi, e Paul lo odiava così tanto che avrebbe voluto avventarsi su di lui, afferrarlo per le spalle e scuoterlo, solo per scaricare un po’ di quella sofferenza che lui gli aveva inflitto con il suo abbandono.

E continuare così, all’infinito, finché lui non avesse implorato il suo perdono.

Paul sbatté le palpebre, rendendosi conto che il cd aveva già cominciato a essere riprodotto e lui neanche se n’era accorto, troppo preso da quei pensieri pieni di rancore verso qualcuno che non meritava il suo perdono.

Per qualche momento rimase semplicemente fermo ad ascoltarlo. Le prime canzoni si alternavano, senza che lui restasse particolarmente scosso. Stava, sì, stava filando tutto liscio. O almeno così sembrava.

Una canzone lo colpì particolarmente. Non era male. Aveva un bel ritmo, di quelle che ti inducono a tenere il tempo con una parte qualsiasi del corpo. E Paul quasi lo fece, prima di realizzare che non poteva permetterselo. Significava dargliela vinta, troppo presto.

Così decise di sdraiarsi sul divano, e limitarsi ad ascoltare la canzone. Non capiva bene le parole, sembrava che il cantante se le mangiasse. Ma da quello che poteva capire lui, che non era esperto né di questo gruppo, né di musica in generale, e non voleva certamente esserlo, era un po’ il suo stile: aveva una pronuncia, un modo di cantare molto strascinato.

Si adattava bene a canzoni dalle atmosfere più tristi.

Paul non fece in tempo a pensare questo che pochi minuti dopo, quella canzone, quella più malinconica, quella che lui aveva solo ipotizzato, arrivò.                   

E dalle prime note, dalle prime parole strinse il suo cuore. Lo catapultò violentemente in un pub, uno di quelli nascosti nei vicoli bui, uno squallido e maleodorante. Paul era lì, nel bel mezzo del pub, a guardarsi intorno. Ma non era spaesato, piuttosto era come se sapesse chi stava cercando. E alla fine lo vide.  

“And his coat is torn and frayed”

Un uomo di mezz’età, con i capelli radi sulla testa, il cappotto pesante, sporco e rovinato… aveva un’aria maledettamente familiare.

“It's seen much better days.”

E come il cappotto, anche quell’uomo aveva visto giorni migliori. Sembrava saperlo bene, anche nel suo stato ubriaco: le guance arrossate e gli occhi annebbiati erano la prova evidente che forse aveva esagerato con le pinte di birra.  

“Just as long as the guitar plays”

Perciò tutto quello che poteva fare era stare lì, seduto da solo a quel tavolo, a pensare probabilmente ai suoi guai, mentre quella canzone veniva suonata per accompagnare i suoi turbamenti.  

“Let it steal your heart away”

Paul sapeva chi era, sapeva cosa aveva fatto, a cosa stesse pensando, perché si stesse struggendo in quel modo. Se fosse stato un uomo qualunque, si sarebbe avvicinato per fargli compagnia, e bere una pinta con lui, mentre gli chiedeva, “Che succede, amico?”

Ma no, quell’uomo, proprio quello, con gli occhi chiari così familiari e il naso uguale al suo, meritava di essere in quella miseria, anche se una parte di Paul, una piccolissima parte di Paul, voleva raggiungerlo disperatamente, abbracciarlo e chiedergli, “Perché l’hai fatto?”, e poi implorarlo di non lasciarlo più, mai più.

E così Paul sentì questo tormento interiore prendere vita, liberarsi dalla gabbia in cui lui l’aveva rinchiuso anni prima, e salire, salire percorrendo tutto il suo corpo, fino agli occhi, che si inumidirono e lasciarono sfuggire piccole lacrime sulle sue guance arrossate e Paul-

Paul balzò in piedi, dirigendosi verso il lettore dvd e con un movimento brusco lo spense. Il silenzio e la pace tornarono nella stanza, ma non dentro Paul.

Sapeva che non avrebbe mai dovuto farlo. Che non era pronto e non lo sarebbe mai stato. Perché l’aveva fatto? Per quello stupido impegno che aveva preso con quello stupido fanatico del negozio di fronte?

Sì, per quello. Ma anche perché in fondo, una parte di lui, la stessa che desiderava ancora abbracciare quell’uomo, aveva sperato che potesse essere in grado ora, dopo tanti anni, di ascoltare di nuovo la musica. Dopotutto non era come se non l’avesse mai ascoltata, anzi. Fino alla morte di sua madre, la musica era sempre stata presente nella sua casa, più per compiacere lei, ovviamente. Ma c’era stata. E questo voleva pur dire qualcosa.

Prese in mano il cd e lo sistemò nella custodia. Ci aveva provato e no, non era andata bene, ma ci aveva provato. E John gli aveva detto che poi sarebbe dovuto passare da lui, per parlarne.

Ebbene, Paul aveva tutta l’intenzione di farlo, soprattutto per dirgli che sapeva che sarebbe finita in questo modo.

Per dirgli che era un caso senza speranza.

****

Il giorno dopo, Paul tornò dall’ennesima giornata di lavoro inutile, in cui non aveva ricavato assolutamente alcuna informazione preziosa sul conto di Hermes. Certo, l’esperienza della sera prima lo aveva turbato, ma lui riuscì a tenere a bada i suoi sentimenti, e allontanarli dal suo luogo di lavoro.

Quando rientrò, il negozio di musica era ancora aperto e Paul decise di farci un salto. Entrò nel negozio, il campanello suonò richiamando l'attenzione dell'uomo alla cassa. Il giovane ispettore batté le palpebre confuso, quando realizzò che non si trattava dell'uomo di nome John. Questo ragazzo era diverso. Era magrolino, i capelli castani  erano lunghi e gli incorniciavano un viso piccolo con zigomi marcati. Aveva gli auricolari alle orecchie e quando Paul si avvicinò, ne tolse uno.

"Desidera?"

"Sì, ehm... Mi chiamo Paul McCartney, stavo cercando il signor Lennon."

Il ragazzo lo fissò un istante attentamente, socchiudendo le palpebre.

"Il signor Lennon?" ripeté divertito, "Ho capito, lei deve essere lo sbirro."

"Ispettore, prego." lo corresse lui, non gradendo particolarmente il termine adottato.

"Quello che è. John la stava aspettando." rispose il ragazzo, tornando a posizionare l'auricolare nell'orecchio.

Paul inarcò un sopracciglio, "Sì, ma dov-?"

Non fece in tempo a concludere la domanda, che il ragazzo gli indicò distrattamente il fondo del bancone della cassa. Paul non ci aveva fatto caso l'altra volta, ma c'era una piccola tenda dello stesso colore delle pareti. Si avvicinò e scostò il tessuto leggero, mentre dei suoni giungevano alle sue orecchie. Suoni che scoprì presto essere prodotti dallo stesso John, seduto su una sedia in mezzo a una stanza grande quasi metà del negozio. Aveva una chitarra tra le braccia e la strimpellava allegramente. Il risultato non era particolarmente piacevole. E non era certo a causa di Paul e della sua avversità verso tutto ciò che producesse musica. Sentiva che non erano accordi giusti, quelli di John.

John lo scorse e si fermò, un sorriso nacque sulle sue labbra, “Salve.”

"Salve." esclamò Paul.

"Non mi aspettavo di vederla così presto, ispettore."

“A essere sinceri, neanche io.” rispose Paul, ridacchiando un po’.

John lo imitò brevemente, prima di invitarlo a sedersi di fronte a lui, “Allora, deduco che abbia ascoltato il cd che le ho regalato?”

“In effetti, sì, l’ho ascoltato.”

“Com'è andata?” chiese John, sinceramente interessato.

Lui non era pronto a vederlo proprio quel giorno. Era sicuro che Paul McCartney avrebbe ascoltato quel cd, in fondo John l'aveva punto nel suo orgoglio di poliziotto, ma non così presto, e la cosa lo sorprese piacevolmente.

"Oh, non come lei sperava, ma come io mi aspettavo."

John aggrottò la fronte, "Nel senso che non le è piaciuto?"

"Nel senso che questa non è una cosa facile da superare." spiegò Paul, “Non posso riavvicinarmi a qualcosa che ho odiato per metà della mia vita da un momento all’altro.”

John annuì vagamente, “Lei è molto enigmatico, gliel’hanno mai detto?”

Paul rise, “Ha ragione, mi perdoni. Quello che volevo dirle, è che sono riuscito ad ascoltare solo qualche canzone, non tutto l’album.”

“Ma qualche canzone l’ha ascoltata, giusto?” gli domandò John, incoraggiandolo.

“Sì, certo.”

“E cosa ne pensa?”

“Beh, erano… erano interessanti. Una, in particolare, mi è rimasta impressa.”

“Quale?”

“Non la conoscevo, ma mi pare che dicesse: Baby, I can't stay, you got to roll me, and call me the tumblin' dice.”

“Ah sì, Tumbling dice, quella che fa così.” esclamò John, prima di cominciare a cantare e strimpellare qualche accordo sulla sua chitarra.

Paul lo osservò attentamente, soffermandosi sulle dita e il modo in cui suonava. Come aveva immaginato, John sbagliava gli accordi. Erano posizioni strane, Paul le conosceva bene perché lui…

Lui glieli aveva insegnati, quando Paul era piccolo, e glieli aveva insegnati in quel modo, nello stesso modo in cui si suonava un banjo. Ma non erano adatti a suonare una chitarra. Paul l’aveva scoperto qualche tempo dopo, grazie alle lezioni che gli aveva fatto frequentare sua madre.

Il suo disappunto doveva essere evidente, perché John si fermò a guardarlo.

“Cosa?”

“Dove ha imparato a suonare in quel modo?”

“Da solo, perché?”

“Oh, niente, è solo che lei sta usando degli accordi errati.” gli spiegò Paul, cercando di non tirare fuori il So-Tutto-Io che si nascondeva in lui.

Sembrava essere abbastanza fastidioso e soprattutto, incompreso dalle persone che correggeva.

“Chiedo scusa?” esclamò John, sorpreso e divertito, “Non mi dica che lei sa suonare la chitarra?”

“In realtà, sì.”

John ridacchiò, “ Non pensavo che un poliziotto sapesse suonare la chitarra, uno come lei, poi.”

“E invece le dico di sì, ho preso lezioni da ragazzino.” ribatté Paul, accorato.

John gli rivolse uno sguardo scettico, “E nonostante questo, continua a odiare la musica?”

“Sì.”

John rifletté per un momento. Sapeva che Paul stava dicendo la verità, sapeva che questo ispettore, quello che gli stava alle calcagna fosse sincero riguardo quell’informazione. Un brivido lo percorse, mentre un pensiero si insinuava nella sua mente, un pensiero da folli: era assai rischioso, ma se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe potuto sfruttare questa nuova conoscenza a suo favore.

“Le posso chiedere una cosa?”

“Certo.”

“Potrebbe insegnarmi a suonare con gli accordi corretti?”

Paul sbatté le palpebre, totalmente turbato dalla richiesta. Una richiesta assurda, illogica, impossibile!

“Cosa? Non se-”

“Aspetti, prima di dire un no definitivo.” lo interruppe John, alzando una mano, “Provi a pensare che potrebbe essere una cosa utile a entrambi.”

“E in che modo?” chiese Paul, il pessimismo era evidente sul suo viso.

“Io imparo gli accordi corretti, e lei si riavvicina alla musica un passo alla volta.”

Paul aggrottò la fronte, perplesso: era strano, messa in quel modo, la prospettiva offerta da John non era così terrificante. C’era qualcosa di intrigante, nella proposta e in quell’uomo, nel modo in cui si stava interessando al suo piccolo problema. Naturalmente John lo stava facendo più per se stesso, per imparare a suonare bene la chitarra, ma a Paul non importava, perché inoltre, questo accordo gli avrebbe permesso di avere qualcuno con cui parlare, fuori dall’ambito lavorativo. Forse avrebbero anche potuto diventare amici, chissà.

Certo, sarebbe stato un rapporto che avrebbe avuto a che fare principalmente con la musica, ma Paul poteva sopportare.

Come aveva detto John? Un passo alla volta?

Sì, poteva farcela.

“Posso pagarla se-” iniziò a dire John, non vedendo alcuna risposta da parte di Paul, ma questi lo interruppe subito alzando una mano.

“Non ce n’è bisogno.” rispose, “Accetto solo a una condizione.”

“Quale?”

“Che lei mi chiami Paul.” disse Paul, porgendogli la mano.

John la guardò solo un istante, prima di sorridere e stringerla.

“Bene, Paul, che ne dici di chiamarmi John?”

 

 

Note dell’autrice: oh c’è Jane al telefono con Paul. E poi Paul ha qualche problemino ad ascoltare il cd, ma almeno ci ha provato. E alla fine John gli fa quella strana proposta…

Bene, spero che tutto ciò sia piaciuto.

Grazie a kiki per la correzione, grazie anche a ringostarrismybeatle e _SillyLoveSongs_ per il sostegno e per rendere le mie giornate più dolci con le loro chiacchierate, e grazie a tutti quelli che seguono la storia.

Prossimo capitolo, “What you’re doing”, arriverà domenica.

Buona domenica.

Kia85

 

 

   
 
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