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Autore: _Wonderwall_    04/05/2014    3 recensioni
(SOSPESA)
Prima guerra mondiale: la vittoria va alla Triplice Intesa (Russia- Stati Uniti- Francia).
Seconda guerra mondiale: la vittoria va ai Paesi Alleati.
Terza guerra mondiale: la vittoria va agli Stati Uniti, che conquistano l’egemonia mondiale.
Quarta guerra mondiale: in corso.
Gli uomini non si accontentano mai. Non sono bastate due guerre mondiali per appagare la loro sete di morte, di potere. Hanno sentito il bisogno di scatenarne una terza, durata solo un paio d’anni. Troppo pochi per lasciarli soddisfatti.
Perché non scatenarne una quarta? Perché non ridurre la terra in macerie?
La russia contro il mondo. Quello è il motto che i soldati russi erano fieri di ripetere ad ogni cena, ad ogni brindisi.
La quarta guerra mondiale sta devastando l’intero mondo, decimando la popolazione e c’è un disperato bisogno di una soluzione.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ecco il nuovo capitolo, non mi perdo in chiacchiere :) Spero che vi piaccia e che mi direte la vostra opinione in una recensione. buona lettura :)

 
Capitolo 6
 
 
“Staring at the bottom of your glass
Hoping one day you’ll make a dream last
But dreams come slow and they go so fast
You see her when you close your eyes
Maybe one day you’ll understand why
Everything you touch surely dies”

 

 
 
Scarlett aprì le porte dell’ospedale, sperando di trovarlo vuoto. Non voleva vedere nessun corpo deturpato quel giorno. Non sarebbe riuscita a sopportarlo.
Non si era ancora capacitata di essere riuscita ad alzarsi dal letto quella mattina. Si era vestita come un automa e nello stesso identico modo si era recata a lavoro, con la testa bassa pur di non dover rivolgere la parola o semplicemente lo sguardo a qualcuno.
Era passata sulle solite strade asfaltate e illuminate dai potenti lampioni che rischiaravano l’entroterra, aveva camminato tra gli stessi edifici, oltrepassando gli stessi palazzi. Normalmente avrebbe odiato quella monotonia, non le era mai piaciuta, ma quella mattina aveva sperato che continuasse per sempre pur di non arrivare a destinazione. Pur di non avere tra le mani, per l’ennesima volta, la vita di qualcuno. Una vita che avrebbe perso.
Ma era arrivata, aveva aperto le porte dell’ospedale e una brezza fresca l’aveva accolta, facendole attorcigliare lo stomaco e creando una fastidiosa sensazione di disgusto.
Cominciava ad odiare il suo lavoro. Aveva sempre dato tutta se stessa per poter fare il chirurgo, ma si stava accorgendo di quanto quel mestiere fosse maledetto, abbastanza da farti desiderare di sparire, abbastanza da farti stare male, da implorare Dio affinché la morte si fermasse e rimanere amareggiati quando essa sopraggiungeva ugualmente.
D’altronde cosa poteva aspettarsi da un Dio in cui non credeva?
La mora prese il suo camice e lo indossò, guardandosi intorno. Sembrava tranquillo. Nessuno che urlava o correva allarmato. Nessuno sporco di sangue. Nessun parente disperato.
Tutto era tranquillo.
La tipica giornata che Scarlett dedicava alle ricerche, a cercare di progredire ancora.
<< Oggi sarà una noia >> asserì una donna sulla trentina, parlando con uno degli amici.
L’uomo, leggermente più vecchio di lei, annuì, portandosi una mano tra i capelli biondo platino, palesemente tinti tanto quanto quelli dello stesso colore dell’altro medico.
La diciannovenne rimase in ascolto, infilando il suo misero Soft Touch 5 nella tasca del camice bianco. Si era rifiutata di comprare uno di quei telefoni fini e altamente tecnologici, trovandolo uno spreco di soldi. La maggior parte delle funzioni aggiunte erano inutili e Scarlett non amava gli sprechi.
<< C’è una specie di tregua, nessun paziente, o almeno così si pensa >> rispose l’uomo, poggiandosi sul bancone ed assumendo un espressione delusa.
La stessa espressione che si dipinse sul volto della donna, diametralmente opposta all’orrore e al disgusto che distorsero i bellissimi lineamenti della mora, incredula di aver davvero sentito quelle parole.
Con un moto di stizza verso quella conversazione si allontanò dai due, avvicinandosi ad Adam, appena comparso, che parlava animatamente con una delle infermiere.
Aveva bisogno di una faccia amica in quel posto di pazzi.
<< Scarlett >> esclamò lui, sollevato di vederla al lavoro, ma allo stesso tempo in disaccordo con quella scelta.
Sapeva quanto la ragazza fosse forte, ma, allo stesso modo, era a conoscenza di quello che stava subendo in quei giorni. Le veloci morti di più e più pazienti dovevano essere state devastante e, nonostante tutti le stessero affrontando, Adam aveva sempre provato una profonda apprensione nei confronti dell’amica sensibile.
Le braccia muscolose del biondo circondarono i fianchi della ragazza, stringendola a sé e ignorando l’infermiera che continuava a farneticare sull’orribile notte che aveva appena passato.
La stretta provocò nella diciannovenne una risata genuina e chiuse gli occhi, celando il grigio delle iridi. Non abbracciava così Adam da molto tempo e doveva ammettere che le era mancato, nonostante non fosse mai stata una ragazza eccessivamente affettuosa.
<< Hai qualcosa per me? >> chiese, tirando le labbra in un sorriso rilassato.
Il ragazzo annuì, prendendo una cartellina. Presto sarebbe dovuto passare a fare il prelievo al paziente della stanza cinquantatre e, ricordandosi che era stata proprio la ragazza a salvargli la vita, decise di concederlo a lei. Vedere qualcuno che stava bene per merito suo le avrebbe fatto decisamente bene.
Con un gesto veloce Scarlett afferrò la cartellina rossa e, dopo aver salutato distrattamente l’amico, si diresse verso la stanza di Tom White.
Ricordava quel ragazzo e le avrebbe fatto piacere vederlo di nuovo.
Quando la mora entrò nella stanza il ragazzo, che aveva visto l’ultima volta due anni prima, era seduto sul lettino e le rivolse un sorriso.
<< Dottoressa che piacere rivederla >> affermò, rivolgendole scherzosamente del lei.
Scarlett sorrise, avvicinandosi al lettino e prendendo una siringa per il prelievo.
<< Sono contenta che sei di buon umore >> rispose, sedendosi su una delle sedie girevoli.
Prese il braccio sinistro del ventiduenne e inserì l’ago, prendendo perfettamente la vena e cominciando a riempire un flacone. Da lì avrebbe visto tutto quello che le serviva. Grazie alle recenti scoperte un campione di sangue permetteva di vedere ogni cosa che accadeva nel corpo del paziente. Ogni malattia, ogni mutazione, ogni filamento del DNA e ogni gene che voleva controllare.
<< Non mi chiedi come va la vita senza il braccio destro? >> disse ironico, causando un sorriso divertito sul viso della ragazza.
Un sorriso che le fece riacquistare la bellezza genuina che in quei giorni stava perdendo. Le profonde occhiaie e l’incarnato innaturalmente pallino erano un segnale di quanto fosse sotto stress e Tom aveva tutta l’intenzione di farla sentire meglio.
Scarlett non avrebbe voluto toccare quel tasto, credendo che il ragazzo ne soffrisse, ed era rimasta sorprendentemente colpita dall’autoironia e dalla leggerezza del rossiccio, che non poteva far a meno di sorridere.
<< Come va la vita senza il braccio destro? >> ripeté le sue stesse parole, tamponando il sangue che era fuoriuscito fino a farlo sparire.
<< Beh, devo dire che mi sarei aspettato molto peggio. La vita non è tanto male fuori dall’esercito. Mia madre e la mia ragazza sono decisamente contente di vedermi vivo >>
<< Hai una ragazza? >> chiese incuriosita.
<< Sì, si chiama Jessica …. >> prima che Tom potesse finire la frase, il suo corpo fu scosso da spasmi e, senza poter fare niente per evitarlo, cadde sul lettino, continuando a muoversi senza controllo.
Gli occhi  verdi del ragazzo si girarono all’indietro, allarmando Scarlett che si avvicinò al corpo, cercando di tenerlo fermo al lettino.
Con la mano sinistra riempì una siringa con del liquido trasparente, per fermare le convulsioni.
Poco dopo il ragazzo smise di agitarsi e Scarlett gli attaccò un respiratore per aiutarlo. Collegò i vari macchinari per tenerlo sotto controllo. Quando l’aveva rilasciato due anni prima era perfettamente in salute e nelle visite successive era risultato perfetto.
Appena collegò le apparecchiature al corpo del ragazzo un bip fastidioso, ma rassicurante risuonò nella stanza. La pressione era buona e il battito del cuore era tornato normale.
Dubitava che l’attacco avrebbe causato dei danni tanto era stato breve, ma avrebbe ugualmente sottoposto Tom ad una radiografia tanto per essere tranquilla.
La porta della stanza si aprì rivelando un’infermiera.
<< Tieni d’occhio la pressione e i battiti, se ha un attacco inietta dieci mm di paritolo e chiamami immediatamente >>
Con queste parole Scarlett uscì dalla stanza. Aveva cose più importanti da fare.
 
 
 
 
 
La mora fece scattare un’altra volta il microscopio, cercando disperatamente di scorgere qualcosa di anomalo nelle tre gocce di sangue che aveva poggiato sul vetrino dello strumento di ultima generazione.
Lo aveva comprato giusto una settimana prima ed era la terza volta che lo utilizzava. Nonostante l’alta precisione e definizione il campione di sangue sembrava perfetto. Nessuna mutazione, nessuna malattia, niente.
Provò a diluirlo nell’acqua, aggiungendo una sola goccia. Il sangue cominciò a ribollire, come mosso da una serie di reazioni a catena. Scarlett premette un paio di volte il bottone per scattare le foto. Le sarebbero tornate utili dopo.
Con un piccolo gesto, fece scivolare un altro piano del microscopio passando ad analizzare il DNA. Altre bolle si susseguirono sulla piccola goccia cremisi, mentre il DNA di una delle cellule scompariva a pezzi, eliminando alcuni geni.
Fece altre foto, appuntando qualche parola sul quadernino che mise dentro la tasca del camice bianco. Inviò le foto sulla pennetta con cui avrebbe potuto studiarle.
Sospirò, appoggiando la schiena al mobile dietro di lei, passando in rassegna alle possibili soluzioni per il problema che era insorto nel copro e soprattutto nel sangue del ragazzo.
 
 
 
 
 
Ivan spense il motore del grande SUV, parcheggiandolo nella grotta prestabilita. Era un posto perfetto. Nascosto, vicino alla meta e spazioso. Dopo essere sceso dalla macchina si accorse però che quella caverna era sicuramente abitata o che, perlomeno, qualcuno doveva passarci giorni interi. Infatti un sistema idraulico, termico ed elettrico permetteva di avere i beni primari e un materasso era poggiato accanto ad una delle pareti, coperto da un piumone grigio.
Sarebbe volentieri rimasto lì ad aspettare  chiunque abitasse in quella caverna, ma non aveva tempo. Dovevano sbrigarsi, prima che la notizia del loro arrivo si dilagasse abbastanza da permettere alle forze dell’ordine di creargli problemi.
<< Veloci >> urlò, imboccando il tunnel stretto che portava fino alla città. Se avessero proseguito a passo spedito  sarebbero arrivati a New Orleans in poco più di un quarto d’ora.
Tenendo stretto il fucile e muovendo gli occhi vigili da una parte all’altra del tunnel Ivan guidò la sua squadra, sentendo l’adrenalina divulgarsi dentro di sé. Ogni cellula nervosa lo invitava ad andare più veloce, a raggiungere il prima possibile la destinazione, così avrebbe potuto imbracciare di nuovo il suo amato fucile. Avrebbe potuto strappare via altre vite, senza preoccuparsi minimamente di provare pietà.
Dopotutto erano americani.
Il castano sorrise, scorgendo davanti a sé la luce artificiale che illuminava la città sotterranea.
Che il gioco abbia inizio.
 
 
 
 
Con un colpo deciso della spalla destra Ivan aprì la porta dell’ospedale della città.
Erano arrivati fin lì quasi indisturbati, a parte un paio di persone che avevano cercato di fermarli e che, come prevedibile, erano finiti a terra con gli occhi vitrei e inespressivi ed una pallottola a coronare quella visione che il ragazzo trovava magnifica.
Nella stanza principale del moderno edificio un urlo generale si disperse tra i dipendenti alla vista di una ventina di ragazzi, visibilmente non americani, entrati in tuta mimetica ed equipaggiati con fucili alti quanto la maggior parte delle donne rinchiusa lì.
Il panico era aumentato quando il rumore sordo di uno sparo era rimbombato e una donna sulla cinquantina era caduta a terra con un proiettile in fronte, senza un reale motivo.
<< Cercatela in tutte le stanze di tutti i piani. Vi voglio qui tra dieci minuti. Uccidete chiunque vi dia fastidio e vi impedisca di fare il vostro lavoro >> ordinò in russo il castano, distendendo le labbra carnose in un sorriso, quando, al suono della sua voce, espressioni di puro odio, disprezzo e paura si dipinsero sul volto di ogni persona presente nella stanza.
I suoi soldati annuirono, disperdendosi per l’ospedale e sparando a chiunque, anche se per sbaglio, si trovasse sulla loro strada.
Ivan setacciò il primo piano, aprendo con forza ogni porta ed evitando di sparare. Non che gli dispiacesse far fuori altre persone, semplicemente non voleva perdere altro tempo. La missione doveva essere veloce e pulita, ma quello che avevano fatto fino a quel momento di pulito non aveva proprio niente. Era rosso, sporco di sangue. Nero, sporco di sensi di colpa.
Suo padre si sarebbe arrabbiato, ma Ivan decise di ignorare quel piccolo particolare, rimandando l’esame di coscienza a dopo aver catturato la ragazza.
Un viso di incarnato chiaro, incorniciato da una lunga cascata di capelli mori e mossi ed illuminato da dei grandi occhi grigi era apparso nella sua testa, ricordandogli l’aspetto della sua prossima vittima.
Il castano girò il viso nello stesso momento in cui una testa scura comparve davanti ad una porta.
Una rapida occhiata alla ragazza gli fece capire che era la sua preda. Con un sorriso sardonico e una camminata veloce si avvicinò a lei, spingendola nuovamente dentro la stanza. Si chiuse la porta alle spalle.
Si guardò intorno giungendo alla conclusione che quello fosse un laboratorio davvero ben attrezzato. Il suono di qualcosa che cadeva a terra attirò l’attenzione del militare che rivolse il suo sguardo alla ragazza.
Sedere a terra, gambe allungate, testa bassa e la mano destra tra i capelli che premeva contro la ferita che doveva essersi procurata sbattendo contro il tavolo.
Dopo poco effettivamente la mora guardò la mano sporca del suo sangue e emise un gemito di sorpresa e di dolore.
I passi del castano verso di lei sembrarono risvegliarla da uno stato di torpore e ricordarle che non era sola e soprattutto che la sua compagnia non era delle migliori.
Quando alzò lo sguardo, fattosi leggermente più scuro, gli occhi verdi scintillanti di Ivan furono pronti ad accoglierlo, facendo rabbrividire il medico e sghignazzare il ragazzo.
Facendo pressione sugli avambracci la ragazza cercò di rialzarsi e le risultò decisamente più facile quando le mano forti del soldato l’aiutarono nell’impresa. Ivan le bloccò le mani dietro la schiena, facendole contrarre i muscoli e provocandole un leggero dolore che Scarlett represse con un grugnito.
<< Ciao dolcezza >> sputò lui con cattiveria.
Il suo tono era in netto contrasto con le parole che aveva appena utilizzato. Parole dolci e quasi affettuose. Tono rude e disgustato.
La mora non rispose, ma con un calcio ben assestato, almeno secondo lei, colpì la caviglia del castano, la cui unica reazione fu una risatina cupa. Il corpo muscoloso infatti non si mosse di un centimetro. Il petto largo del ragazzo era ancora premuto contro la sua schiena tesa e le mani imprigionate a stretto contatto con la giacca militare che copriva il torace di Ivan.
<< Sei ufficialmente stata rapita dal governo russo >> ironizzò, mettendo fine ai movimenti spasmodici della ragazza.
La colpì con forza misurata sulla nuca, abbastanza piano da non ucciderla, ma abbastanza forte da farla svenire.
Il corpo minuto e senza conoscenza della giovane si accasciò tra le braccia del soldato, che, reprimendo un moto di repulsione per il corpo dell’americana, la prese in braccio.
Che gioco da ragazzi.  
  
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