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Autore: Tina77    05/05/2014    2 recensioni
"Forse lo sto fissando da un po', perché lui mi guarda per qualche secondo con aria interrogativa, finché io non scuoto lievemente la testa, le guance imporporate. Lui mi sorride dolcemente, e questo sorriso mi riporta a quello che sembra un secolo fa, dopo la parata dei nostri primi giochi. E come quella volta, mi alzo leggermente sulle punte dei piedi e gli do un piccolo bacio sulla guancia, sussurrando -Grazie per i fiori, Peeta.-, con gli occhi lucidi."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9- Di nuovo a casa

 

Torno alla Residenza e la prima cosa che faccio è cercare Peeta nella sua stanza, ma a quanto pare è uscito. Così mi siedo ai piedi del letto ad aspettarlo, sperando in un'illuminazione che mi permetta di chiarirmi con lui definitivamente.

Quando sento aprirsi la porta sobbalzo. Evidentemente nell'attesa mi sono addormentata, perché mi ritrovo stesa su un fianco ai piedi del letto, senza averne il benché minimo ricordo. Sento la risata di Peeta al mio fianco e subito dopo le sue braccia che mi sollevano e mi depositano delicatamene sulle lenzuola profumate. Si siede al mio fianco e io immediatamente lo attiro verso il basso per farlo sdraiare accanto a me. Come sempre, appoggio il capo sul suo petto e mi faccio cullare dal suo respiro. Impiego qualche minuto a ricordarmi della conversazione con mia madre, ma decido di aspettare un altro po' per godermi questo momento fino in fondo. -Che ore sono, Peeta?-. -Tranquilla, è presto per la cena, sono solo le sei.-. -E' quasi il tramonto allora.-. Ci rifletto un paio di secondi prima di aggiungere -Ti va di uscire per vederlo?- non ho bisogno di sollevare lo sguardo per sapere che sta sorridendo. Sono le sue labbra appoggiate sulle mie per un piccolo bacio che me lo fanno capire, anche se tengo gli occhi chiusi. Prima che lui possa rispondermi mi sposto. Lui si alza e mi prende per mano, voltandosi verso la porta finestra alla sua destra. Non mi ero accorta che si aprisse su un giardino. È ampio e ricco di piante rampicanti che si inerpicano su per le pareti che delineano questo cortiletto interno. Un piccolo sentiero acciottolato conduce ad un grande ulivo recintato, attorno al quale sono disposte circolarmente delle panchine. Peeta mi guida verso una di queste e si siede. Io mi sdraio con la testa sul suo grembo, poi entrambi aspettiamo che il cielo si tinga d'arancio per preparare la strada alle stelle.

È lui ad interrompere il nostro silenzio, quando, dopo cena, ci ritroviamo a letto. -Non mi hai raccontato cos'hai fatto oggi pomeriggio.-. -Prima tu.-. Lui sbuffa, a metà fra il divertito e lo spazientito. -Sono andato da Aurelius. Poi sono passato da Plutarch, che mi aveva chiesto di incontrarlo: a quanto pare vorrebbe ideare un nuovo programma di cucina da alternare a quello canoro e mi ha chiesto se sono interessato.- -E lo sei?-. Mi stringe un po' di più tra le braccia. -Mmm, direi che sto bene al 12 per adesso.- -Per adesso?-. Gli faccio eco, un lieve panico nella voce. -Be', forse è meglio che dica “per sempre”- sospiro di sollievo e involontariamente porto il braccio destro più in alto, fino ad appoggiare la mano alla base del suo collo. Da qui, sento ancora meglio la vibrazione della sua risata leggera.

-Comunque oggi sono solo rimasta con mia madre. Abbiamo parlato molto.- -Posso chiederti di cosa?- -Di te, in realtà.- lo sento irrigidirsi sotto di me. -Perché?- la sua voce ha un tono un po' aspro che mi mette in allarme. No, Peeta, non avere una crisi proprio adesso. -Non sapevo venisse a trovarti, quando non stavi bene.- evidentemente il fatto che io gli abbia risposto subito lo rassicura un poco, lo sento rilassare le spalle. -E' stato perché mi ha mostrato una lettera di mio padre in cui lui diceva di amarla più della sua stessa vita, comunque. A quel punto abbiamo parlato di te e di come tu per me sia importante.-. Le sue dita tracciano dei brevi cerchi sulle mie braccia. -Quanto importante?- ci rifletto su. -Ehm, aspetta un minuto.-. Voglio dirlo nel modo più conciso e completo possibile, così questa conversazione potrà finire al più presto. - Ecco, direi che al momento sei la persona più importante.- -Non ho nessuna concorrenza, quindi?-. Rido piano al ricordo. -No, proprio nessuna.-. -Bene, allora siamo pari.-.

Lascio passare qualche minuto prima di riprendere il discorso. - E poi ti volevo dire che l'altra sera avevi ragione, su tutto. Aspettare a conoscerci meglio è l'unica cosa che possiao fare. Il problema è che il nostro rapporto è stato così guastato dai Giochi e dalla guerra che davvero a volte non so come comportarmi-. Lui mi mette una mano sulla fronte per gioco, come pensando che io stia delirando. La allontano con malagrazia, facendolo ridere ancora una volta. -Non ti preoccupare, comunque. Questa situazione è difficile e nuova per entrambi, le incomprensioni sono normalissime. L'importante è cercare di essere il più sinceri possibile uno verso l'altra, non credi? Per imparare a conoscerci di nuovo.-. Queste sono di fatto le parole di mia madre, e anche le stesse che lui mi ha rivolto il giorno della prima tappa del nostro Tour. Mi limito ad annuire e a stringermi un po' di più a lui. -Quindi, dimmi una cosa Katniss. Una cosa importante su di te e che pensi io non ricordi.- sorrido sulla sua pelle. -Ricordi il mio fiore preferito?- lui non risponde. Si morde il labbro inferiore, pensieroso, e quindi capisco che anche questo particolare gli è stato strappato dalla memoria. -È il dente di leone.- -Veramente? Non pensavo ti piacesse il giallo.-. -Non è il fiore di per se a piacermi, ma...- mi blocco di colpo. Una confessione a sera è più che sufficiente, Katniss. -Ma?- incalza lui. -Be', è stato il segnale che mi ha spinta ad andare avanti dopo la morte di mio padre-, dico, sorvolando sul fatto che il mio ricordo sia legato specialemente a lui. -Ne hai raccolto uno, a scuola, il giorno dopo il nostro, ehm, incontro alla panetteria. Vero o falso?-. Le guance mi vanno a fuoco. -Ehm, vero.- -Grazie, Katniss.-. Mi sussurra commosso. -Ora forse è meglio dormire. Domani mattina Effie sarà qui all'alba per assicurarsi che siamo pronti a partire per tornare a casa, probabilmente.-. Grata per il fatto che lui abbia deciso di interrompere la conversazione, mi addormento in pochi minuti.

 

Il nostro arrivo alla stazione passa inosservato, fortunatamente.

-Grazie per essere stata con noi, Effie.- è Peeta a parlare, naturalmente. Lei, commossa, ci abbraccia velocemente e si allontana. Sospiro, sperando di non dover più tornare in questa città. Sono già salita e il treno ha già avviato i motori quando sento delle urla fuori dal finestrino. -Fermi! Fermi, idioti!- conosco una sola persona al mondo a parte Haymitch, che però è qui al mio fianco, che non si fa problemi a dare dell'idiota a qualcuno. Quando mi sporgo sto già pronunciando il suo nome. -Johanna!-. La vedo correre, trascinandosi dietro un borsone e una Annie seriamente confusa. Quest'ultima cerca di mantenere un passo quanto meno saltellante possibile, per non disturbare il bambino che tiene tra le sue braccia. Non appena mi vede, Johanna smette di sbracciarsi e di urlare, ma continua a procedere lungo il treno con passo sostenuto. Alcuni inservienti scendono per aiutarle con la valigia e il bambino, poi, come se niente fosse successo, si chiudono le porte e finalmente partiamo per tornare a casa. -Dannazione.- impreca Johanna. -Ho dimenticato a casa le pastiglie per la nausea. Odio viaggiare. - Peeta si fa avanti. -Ciao, ragazze! Non per essere scortese, ma...- -Cosa ci facciamo qui? Be', Ragazzo pseudo-Innamorato, Capitol non piace a voi quanto non piace a noi. Avevamo giusto bisogno di una pausa.-. Non mi piace il tono in cui Johanna gli si è rivolta, ma evito i commenti e mi rivolgo ad Annie, che fissa un punto imprecisato della parete alle mie spalle e, distrattamente, culla tra le braccia il suo bambino. - Ciao, Annie. Ti trovo bene. Come sta il piccolo?- si riscuote appena ma non risponde. Si limita ad allontanarsi un poco da tutti noi e a sedersi in una poltrona vicino al finestrino, poi inizia a mormorare frasi sconnesse sottovoce. Johanna ride sprezzante nel vedere la mia espressione delusa. -Non sei mai stata brava a fare conversazione, lo sai no? Comunque il bambino sta bene, se ti interessa davvero.- sto per ribattere, perché mi sembra assurdo che lei pensi che non mi importi del figlio di uno dei miei più cari amici, ma Peeta mi appoggia una mano dietro la schiena e poi la fa scivolare sul mio fianco sinistro, e io mi blocco. -Quanto pensate di fermarvi?- continua lui. -Non abbiamo niente da fare a Capitol. Io pensavo di restare per qualche mese.- Peeta annuisce un poco e sovrappensiero mi stringe un po' di più, avvicinandosi. Questo suo gesto involontario non passa però inosservato. -Oh-oh! Finalemente! E io che pensavo che aveste finto anche ieri all'intervista!- Avvampo immediatamente ma Peeta mi salva. Adesso che è tutto vero mi sembra impossibile riuscire a mascherare le mie emozioni. -Non è come credi tu, Johanna, ma ci stiamo lavorando.- -Be', tu in realtà ci lavori da anni, ragazzo. E francamente hai ottenuto gran poco- questa volta è Haymitch a parlare, venendoci incontro traballante con un bicchiere in mano. Dato che è chiaro che è ubriaco, Peeta sta al suo gioco per evitare una discussione -Già, ma il depistaggio mi ha trasformato e adesso ho dei super poteri.- mi strizza l'occhio e io stupidamente sorrido, ma lo stesso mi stacco da lui, per evitare ulteriori commenti.

Il viaggio trascorre in modo relativamente tranquillo, tra pianti del piccolo (di cui non mi hanno ancora detto il nome) e conseguenti scatti d'ira di Johanna, il cui senso materno sembra essere anche minore rispetto al mio. Guardando fuori dal finestrino vedo che è già tarda sera, le dieci passate.

Quando scendiamo dal treno mi sembra di riuscire a respirare di nuovo veramente. Prima, fatta eccezione per i momenti passati da sola con Peeta, avevo sempre questa fastidiosa sensazione di sentirmi osservata e tenuta in qualche modo sotto controllo. È assurdo, probabilmente, ma due Arene e la guerra hanno contribuito a rendermi particolarmente sospettosa.

Il bambino sembra essersi finalmente addormentato, quindi ci incamminiamo verso il Villaggio dei Vincitori nel modo più silenzioso possibile. Va detto che questo posto non ha mai contenuto così tanti vincitori come adesso, che siamo ben cinque. Distrattamente, con Annie qui al mio fianco assieme a suo figlio, mi ritrovo a pensare ad una delle conversazioni avute con Finnik, nella nostra seconda Arena. -Perché il passato è passato. E nessuno in quest'arena è stato vincitore per caso. A parte forse Peeta.-. Al ricordo del mio amico morto una strana sensazione mi prende il petto, rendendomi più difficile far passare l'aria attraverso i polmoni. Dentro di me mi maledico perché la mia mente riesce a variare così facilmente da un pensiero all'altro, rendendomi impossibile censurare i ricordi più dolorosi, che poi, quasi immancabilmente, mi si ripresentano ancora più vividi durante la notte. 

  
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