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Autore: Zomi    05/05/2014    7 recensioni
-Ti dico che è lei!!!-
L’amica roteò gli occhi al cielo, nascondendosi dietro lo scaffale della libreria.
-Non dire sciocchezze: non può essere lei- oscillò una mano verso la compagna, quasi ad allontanare quell’assurda affermazione.
-Ti dico che è la professoressa Ohara dell’istituto Raftel- si impuntò quella, pestando i piedi a terra.
-Ma andiamo, non può essere quella professoressa… le assomiglierà- storse le labbra.
-Ti dico che è lei!!! Ne sono certa!!! Mi ricordo ancora di come ne parlava mia madre, era scandalizzata da quella storia, non voleva più mandarmi a scuola per paura che accadesse anche a me…- sussurrò assottigliando lo sguardo.
Entrambe le ragazze si affacciarono curiose oltre il bordo di legno dello scaffale, studiando attente la commessa, alta e snella, ferma alla cassa.
Quella, capelli corvini e lunghi fino a sfiorare i fianchi e gli occhi azzurri chini su un enorme tomo di storia, sollevò il capo verso di loro, sorridendo ai loro sguardi curiosi.
Le due ragazzine arrossirono, sgattaiolando fuori dalla libreria, colme di vergogna.
Sorridendo, Robin tornò alla sua lettura.
*Fan Fiction partecipante al Rurobin Day*
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Monkey, D., Rufy, Nico, Robin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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RuRobin day: il rosso di un sorriso da Re e l’azzurro degli occhi di una bambina dai mille petali rosa. Il destino li ha fatti incontrare, e non importa quanto siano diversi, il loro amore è più forte di tutto.


 
CHOISE
 

 
-Ti dico che è lei!!!-
L’amica roteò gli occhi al cielo, nascondendosi dietro lo scaffale della libreria.
-Non dire sciocchezze: non può essere lei- oscillò una mano verso la compagna, quasi ad allontanare quell’assurda affermazione.
-Ti dico che è la professoressa Ohara dell’istituto Raftel- si impuntò quella, pestando i piedi a terra.
-Ma andiamo, non può essere quella professoressa… le assomiglierà- storse le labbra.
-Ti dico che è lei!!! Ne sono certa!!! Mi ricordo ancora di come ne parlava mia madre, era scandalizzata da quella storia, non voleva più mandarmi a scuola per paura che accadesse anche a me…- sussurrò assottigliando lo sguardo.
Entrambe le ragazze si affacciarono curiose oltre il bordo di legno dello scaffale, studiando attente la commessa, alta e snella, ferma alla cassa.
Quella, capelli corvini e lunghi fino a sfiorare i fianchi e gli occhi azzurri chini su un enorme tomo di storia, sollevò il capo verso di loro, sorridendo ai loro sguardi curiosi.
Le due ragazzine arrossirono, sgattaiolando fuori dalla libreria, colme di vergogna.
Sorridendo, Robin tornò alla sua lettura.
-Stupide ragazzine- vociò scontrosa la sua collega, posando con violenza dei libri sul bancone, sollevando una leggera nuvola di polvere.
Dritta nella sua minuta ma rigida figura, fulminava ancora la porta da cui le due ragazzine erano uscite, schioccando le labbra disgustata dal loro comportamento.
-Sono solo adolescenti Tsuru- sorrise eterea la mora, sfogliando il suo tomo.
-Odio gli adolescenti- sbuffò, rigirandosi la sigaretta sulle labbra.
Sorridendo bonaria, Robin sollevò gli occhi sull’orologio a pendolo che ticchettava sulla parete dinanzi a lei, fissandone l’ora.
-Io vado- richiuse il libro, riponendolo nel suo scaffale.
-Va bene- sbottò scontrosa la vecchietta rugosa –A domani-
La mora annuì, sorridendo mentre oltrepassava la soglia della libreria, indossando l’impermeabile beige.
Il vento dell’autunno la investì con forza, costringendola a ripararsi dal suo soffio tagliente sollevando il bavero della giacca, socchiudendo gli occhi contro la bufera.
Con gli stivali neri e alti, ticchettò fino alla fermata dell’autobus, saltellando per evitare le pozzanghere scure e putride.
Si fermò sotto la tettoia della piccola fermata, stringendosi nell’impermeabile chiaro.
Era venerdì pomeriggio, e il centro città pullulava di ragazzini e adolescenti, a zonzo in uscita libera dopo la settimana di studio per la scuola.
Solamente in quel metro quadrato di tettoia bucherellata e impiastricciata da mille dichiarazioni d’amore con lo spray fosforescente, c’erano oltre a lei una decina di ragazzini, tutti imbacuccati e stretti tra loro, a sghignazzare e parlottare di mille cose, futili e venali.
Non per loro evidentemente.
C’erano anche le due ragazzine che l’avevano riconosciuta al negozio, e proprio in quel momento la stavano squadrando a da capo a piedi, bisbigliando tra loro, e scambiandosi gomitate con altre compagne di scuola.
-È lei?- sussurrava una biondina.
-È lei-
-Ma dici che…-
-Ti dico che è lei, quella che…-
Robin distolse l’attenzione dal gruppetto di ragazzine, puntando il suo guardo ceruleo e cristallino sulla strada sferzata del vento, seguendo a tratti le scie di pozzanghere che le auto alzavano, correndo sull’asfalto.
Con disinvoltura, imponendosi di ignorare il chiacchiericcio frenetico delle ragazzine attorno a lei, che parlottavano sulla sua vita, guardò l’orologio che le legava il polso, fissando le lancette muoversi con crudele lentezza.
L’autobus sarebbe arrivato solo da lì a cinque minuti, sempre se non fosse stato in ritardo.
Sospirò, stringendosi  nell’impermeabile.
Chiuse gli occhi, allontanandosi per l’ennesima volta dal centro del Mondo, che continuava a opprimerla per quella sua scelta, risalente ormai a cinque anni prima.
-Era una professoressa del Raftle- stava sussurrando una ragazzina, nascondendosi dietro le compagna –Insegnava lettere… credo-
 
Un sorriso affiorò sulle labbra di Robin.
In realtà era l’insegnate di storia, ma si sa che certi particolari vengono mutati di bocca in bocca, quando non sono al centro del racconto.
 
-Era il suo primo impiego-
 
Vero, era il suo primo impiego dopo la laurea e il praticantato.
La sua prima cattedra, nella materia che l’affascinava e coinvolgeva di più: storia.
Il racconto di millenni di guerre e paci, le gesta di grandi e piccoli uomini che avevano cambiato il mondo con le loro decisioni, raccolte in un unico libro, dal profumo di sabbia e polvere, le uniche cose che avrebbero sempre superato ogni avvenimento della storia.
 
-Insegnava in una classe dell’ultimo anno… e c’era anche lui-
 
Si sistemò meglio il colletto della giacca sulla gola, immergendo il viso nel tessuto caldo e accogliente.
Lui.
Con quel suo bel sorriso spontaneo e lucente, con gli occhi grandi  e profondi come gli abissi del passato, e quella zazzera scompigliata e selvaggia, che non veniva mai domata.
Lui, che la guardava come l’unica che fosse mai riuscito a svegliarlo dal suo sonno, o che lo distraesse da quell’appetito immondo che lo caratterizzava.
 
-So che gli è subito saltato addosso!!!-
 
Falso.
Aveva mantenuto le distanze, si era comportata da diligente e onesta professoressa.
Fin da quando aveva capito che quel ragazzo le avrebbe sconvolto la vita, aveva mantenuto i loro rapporti come da protocollo: lei l’insegnate, lui l’alunno.
Non si era lasciata coinvolgere dai suoi sentimenti, non si era lasciata persuadere dal suo sorriso magnetico e incantatore.
Aveva evitato di stargli vicino, in classe non lo richiamava mai, evitava di usare il suo nome, lo interrogava solo se necessario, non gli rivolgeva mai uno sguardo ammirevole o di fiducia. Non era nessuno per lei, nessuno.
Ma il suo cuore batteva sempre a mille, quando lui, entrando in classe, frenava davanti alla sua cattedra, sorridendole con gioia e stupore, salutandola urlando il suo nome e fissandola come il sole invernale.
 
-L’avevano anche cambiata di classe, ma non ha demorso…-
 
In verità aveva chiesto lei di cambiare sezione, per allontanasi da lui.
Se non l’avesse più avuto come alunno, se lui non l’avesse più salutata ogni mattina con il suo meraviglioso sorriso travolgente, se non l’avesse più guardata con i suoi occhi colmi di gioia di vivere e felicità, dimenticarlo sarebbe stato più semplice.
Sapeva che ciò che provava per lui era un rischio, poteva rovinarle la carriera, la vita.
Doveva dimenticarlo, allontanarlo da sui pensieri, ma non era così facile a farsi come a dirsi.
Era una decisione difficile, ma ‘aveva presa, e sebbene sentisse il petto squarciarsi di dolore a non poterlo più vedere, Robin era determinata a portare avanti la sua scelta, fino alla fine.
Ma non sempre, le nostre decisione, per quanto drastiche e ferme, risolvono tutti i problemi.
Senza paura e senza timore, a fine di una mattina di lezioni, lui si era presentato nella sua classe, chiedendole delle ripetizioni di storia, annebbiandole la mente con il suo sorriso d’oro.
 
-Nessuno si è accorto niente per un po’, ma poi…-
 
Già, ma poi.
Ma poi aveva accettato di aiutarlo nello studio.
Si incontravano nei dopo scuola in un’aula vuota del secondo piano, e lì lei gli raccontava dei Sumeri, dei Babilonesi, di come Napoleone fosse scampato dalla minaccia russa per finire tra le mani dei suoi nemici in patria.
Ma poi parlavano per ore, non solo di storia, ma dei loro sogni, dei loro desideri.
Per un po’ era riuscita a mantenere le distanze tra loro, a rimanere la sobria e saggia professoressa Ohara che gli impartiva le lezioni di storia, ma poi…
Poi era divenuta Robin, la sua Robin.
Fremeva ogni volta che la chiamava con il suo nome, allargando il suo sorriso spontaneo e infantile. Spesso aveva paura di ciò che provava per lui, di quel sentimento che si faceva sempre più forte e prepotente.
Ma bastava una sua carezza, leggera, piccola, per cancellare ogni dubbio e ignorare i suoi pensieri.
E poi, di nuovo un poi…
Un bacio, dato con velocità alla fine di una ripetizione.
Lui a lei.
Con dolcezza e facilità, lui l’aveva baciata, accarezzandole i lunghi capelli corvini, sorridendole mentre si caricava lo zaino su una sola spalla, sghignazzando felice.
-Sei bellissima!!!!!- aveva urlato, correndo nel corridoio.
Ma poi, al scelta di dimenticarlo fu dimenticata.
 
Robin sospirò, perdendo lo sguardo sulla strada dinanzi alla tettoia della fermata.
Aveva ripreso a piovere, e la superficie di alcune pozzanghere iniziava a incresparsi, rotta dallo schianto di grosse e irruenti gocce di pioggia.
Si passò una mano sulle labbra, al ricordo di quel primo bacio, a cui ne erano susseguiti così tanti, ma tutti speciali e indimenticabili.
 
-… ma poi li hanno beccati!!!-
 
Un nuovo ricordo, più doloroso, quasi lacerante.
Aveva fatto di tutto per allontanarlo, ma non c’era riuscita.
Si era allora prodigata per nascondere la loro relazione.
Si vedevano raramente, quasi sempre la sera, in qualche cinema buio e appartato, dove parlavano sommessamente, impauriti all’idea che la Maschera del cinema potesse sentirli, riconoscerli, sapere, e dividerli per sempre.
A scuola si ignoravano, le ripetizioni annullate per paura che i bidelli sentissero, nel silenzio della scuola, gli schiocchi delle loro labbra nel baciarsi, le carezze scivolare sui vestiti, i gemiti rompere i respiri, i nomi sospirati riverberare ciò che non potevano dirsi.
Ma era stato tutto inutile.
A fine quadrimestre, quando lui fu certo di aver superato ogni test, impaziente di aspettare la sera per poter stare con lei, si era capultato nella sua classe, baciandola e urlando che ce l’aveva fatta, e che poteva essere orgogliosa di lui.
Robin si era paralizzata nel vederselo davanti, nel sentire le sue labbra sulle sue., nell’essere abbracciata con tanta foga e amore.
Quel tenero baka.
Non aveva considerato i venticinque paia d’occhi presenti nell’aula.
Non aveva pensato ai suoi alunni, ai professori appostati sulla porta, richiamati da quello schiamazzo.
Non aveva preveduto la loro separazione, decisa da altri, decisa per il bene di chi bene stava già.
 
-Il preside l’ha licenziata- sogghignò la ragazzina, circondata dalle compagne –L’ha mandata via-
 
Una lacrima scese sul viso di Robin.
Aveva dovuto abbandonarlo.
Quel bacio, così semplice, così tenero e innocente, aveva fatto esplodere un putiferio incontrollabile nell’istituto. Genitori indignati, professori inorriditi, alunni sogghignanti nel vociferare, fantasticare e sparlare del loro compagno che se la faceva con la professoressa, così sobria ed elegante, ma che di certo nascondeva una donna libidinosa e insaziabile.
Lo scandalo.
La divisione.
La notizia  di una relazione tra un’insegnate e un suo alunno.
La denuncia per molestie, evitata per chissà quale grazia.
Il suo licenziamento.
Il divieto a lui, di anche solo pensarla.
-Sapevamo che poteva finire così- aveva pianto sulla sua spalla una notte Robin, schiacciata tra lui e un muretto lercio di un orrido violetto, al buio di un lampione rotto, in cui si erano dati appuntamento per l’ultimo incontro.
-Ma non abbiamo fatto niente di male!!!- aveva ringhiato, sbattendo il pugno sul muro, facendolo tremare di rabbia.
I suoi teneri e dolci occhi neri si erano raggelati, diventando rabbiosi e feroci, contro chi aveva deciso la loro separazione.
–Che c’è di sbagliato nel nostro amore?!? Solo perchè tu sei più grande di me?!? Chi l’ha deciso?!? È stupido, ingiusto!!!!-
I pugni si era susseguiti senza sosta, fino a lacerargli lal pelle sulle nocche e farlo sanguinare.
-Dovrò andarmene- aveva singhiozzato, bagnando le iridi azzurre con le lacrime, mentre gli baciava la mano ferita.
-Non puoi!!! Non puoi abbandonarmi!!!-
Se l’era stretta al petto con una forza tale da fondersi con lei, da unire i battiti forsennati dei loro cuori.
-Non lasciarmi Robin-
Una supplica che l’aveva fatta piangere ancor di più.
-Ti amo-
-Ti amo anch’io- aveva sussurrato piangente, scivolando dal suo abbraccio e scappando via.
 
Il fischio dei freni dell’autobus la fece sussultare.
Sbattè le palpebre, trasalendo dai suoi pensieri, salendo rapida sul tram, non voltandosi indietro a controllare se il gruppetto di ragazze la seguiva, o se si accontentava di fissarla da oltre il finestrino, giudicandola senza pietà.
Robin si accasciò su un sedile, schiacciando le spalle contro il ferro freddo e bagnato del mezzo pubblico, perdendo lo sguardo al pavimento tremante e sporco.
Aveva dovuto combattere contro se stessa in quell’anno.
Tra il suo cuore e la sua disciplina, tra il voler amare e il voler mantenere la sua cattedra.
Aveva dovuto scegliere.
O dimenticare lui, il suo sorriso e i suoi occhi, riprendendosi la sua vita, la sua carriera, il suo titolo di studio, o rimanere lì, accanto a lui, perdere ogni cosa per cui aveva lottato e studiato nella sua vita, abbandonandosi all’ignoto di una vita fondata su una pazzia.
Doveva scegliere tra la sicurezza del passato, studiato sui libri e amato in ogni suo dettaglio ben scolpito nel muro della storia, o fidarsi di lui, del  sentimento che li univa, abbandonandosi all’ignoto del futuro, senza lavoro, casa, soldi.
Si passò una mano sul viso, ripensano alle notti insonne, trascorse a pensare.
A quante volte si era ritrovata sul punto di decidere una delle due scelte, per poi cambiare direzione e fare dietro front, ribaltando le carte in tavola.
In ogni caso, non avrebbe più potuto insegnare: l’onta del passato l’avrebbe sempre perseguitata.
Non le restava altro da fare se decidere o lui, o la storia.
Non era stato facile, non era stato indolore… ma alla fine aveva deciso.
Si alzò dal sedile, premendo il bottone per la fermata a richiesta.
Non appena le porte del tram si aprirono davanti a lei, scese i piccoli scalini del mezzo, correndo sotto la pioggia e introfulandosi nell’androne del condominio in cui viveva.
Salì rapida le scale, ticchettando con i tacchi su ogni scalino di marmo, fermandosi davanti alla porta del suo appartamento.
Rovistò nelle tasche dell’impermeabile, cercando la chiave della porta, ma non appena la trovò, l’uscio si aprì, rivelando la luminosa luce dell’abitazione.
-MAMMA!!!!-
Robin sorrise, aprendo le braccia e accogliendo sul petto la piccola dalle codine more che le aveva aperto, bagnandola con l’impermeabile.
-Ann?- chiamò la bambina una voce maschile –Chi è?-
-È la mamma- canticchiò la piccola, prendendo per mano la madre e conducendola in cucina.
-Sei arrivata!!!- l’abbracciò con forza il marito, baciandola sulle labbra e scaldandola con le mani.
Robin arrossì, ancora a disagio per quel suo modo spontaneo di essere e agire.
Gli accarezzò il volto, sempre fanciullesco e infantile, baciandogli il sorriso splendente e largo sulla bocca.
La sua scelta: Rufy.
-Sei bagnata- le fece notare, baciandola sulla fronte.
-Si- annuì piano, accarezzando la piccola Ann, aggrappata alla sua gamba –Ma non importa-
Lo baciò ancora, e ancora, e ancora, per ricordarsi che ciò che aveva perso, era niente in confronto a ciò che aveva guadagnato decidendo di stare con lui.
Se avesse deciso di lasciarlo, di dimenticare Rufy, il suo sorriso e il loro amore, ora sarebbe stata di certo sola in quella casa, a correggere orrendi temi su come Cleopatra era morta, senza nessun suono di risate e grida infantili di uomo e di bambina, che si rotolavano sul tappeto del salotto, giocando ai pirati.
-Ti amo Rufy-  si strinse a lui.
-Anch’io- sghignazzò Rufy, sorridendo a trentadue denti.
-Anch’io- ridacchiò Ann, saltellando sui sandali.
Robin la guardò sorridendo, alzandola da terra e prendendola in braccio, baciandola su una guancia morbida e profumata come quella del padre, perdendosi nei suoi occhi azzurri e felici, mentre la guardava strattonare una guancia a Rufy.
Si, rise alla scena, aveva preso la scelta migliore.

 
   
 
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