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Autore: Fliv    05/05/2014    2 recensioni
Camminavo su quel tappeto di foglie e ramoscelli che provocava un rumore diverso ad ogni mio passo. Mi sentivo come reduce da una guerra, camminavo sui corpi esausti di quelle foglie che si erano lasciate andare al loro destino. [...]
Ero troppo debole per contrastare la forza di quel vento che imperterrito soffiava con violenza, e poi si calmava quasi volesse giocare con la mia fragilità. [...]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una fredda mattina d'autunno, le foglie cadevano inesorabili da quei rami ormai troppo stanchi per sopportare anche il piccolo peso di esse. Il vento era una flebile brezza fredda che mi accarezzava il viso, la pelle.
Camminavo su quel tappeto di foglie e ramoscelli che provocava un rumore diverso ad ogni mio passo. Mi sentivo come reduce da una guerra, camminavo sui corpi esausti di quelle foglie che si erano lasciate andare al loro destino.
Mi fermai, silenzio. Vidi una pozzanghera, cercai di specchiarmici dentro, nulla.
Il mio corpo era troppo magro per essere ben visibile. Ricominciai a camminare insieme ad i miei pensieri, il vento iniziò a soffiare più forte, le mie gambe erano troppo deboli per sostenermi, caddi. Dopo alcuni sforzi riuscii ad alzarmi, caddi ancora.
Il vento ora soffiava così forte che faceva volare via quelle foglie appena cadute.
Non riuscivo a restare in piedi, pensavo di poter essere spazzata via da un momento all'altro.
All'improvviso il vento si placò, silenzio.
Ne approfittai per tornare a casa. Lungo il tragitto caddi un paio di volte, le mie gambe non ce la facevano più.
Ero troppo debole per contrastare la forza di quel vento che imperterrito soffiava con violenza, e poi si calmava quasi volesse giocare con la mia fragilità.
Le strade erano deserte, silenzio.
Tornai a casa, era l'ora di cena. Salii in camera senza nemmeno degnare di uno sguardo quel tavolo che mia madre aveva apparecchiato con tanta cura.
Mi sentivo in colpa nei suoi confronti, quando mi comportavo così, ma ero impotente di fronte a questo. Non riuscivo a guardare tutto quel cibo, senza sentirmi morire dentro. Eppure una volta ero la prima che correva a tavola.
Poi, un giorno, cambiò tutto. Lo ricordo come se fosse ieri, la caffettiera fischiava forte fino a coprire i miei pensieri. Ero lì che giravo il cucchiaio nel latte, e il silenzio regnava nella mia mente. Ancora una volta i vestiti erano troppo stretti, dovevo mettere quella dannata tuta per andare a scuola. Arrivai in ritardo, tutta la classe guardò me entrare da quella porta. Alcuni gridarono 'é arrivata la balena', tutti risero. Il professore li fece tacere e, con calma, mi disse di sedermi.
Quella giornata fu tremenda, mi cambiò la vita. Quel giorno tutti risero di me, nessuno mi parlò, risero soltanto. Il silenzio mi inghiottì.
Quel giorno, quel giorno decisi che non volevo più essere chiamata 'balena'. Iniziai a non mangiare più. Buttavo interi piatti di cibo nella spazzatura, bevevo tanto per non sentire quel vuoto nello stomaco che mi stava inghiottendo.
Le taglie iniziarono a cambiare, il mio peso diminuiva. Sessanta chili, cinquantacinque, quaranta.
Ora pesavo trentotto chili e non ero ancora abbastanza magra.
Mi guardavo allo specchio, le clavicole sporgenti, le costole si potevano contare, le mie gambe e le mie braccia ormai erano solo ossa. Il mio viso era incavato, i miei occhi stanchi e il mio sorriso contagioso, non c'era più.
Ero magra, ma non abbastanza. Il silenzio si stava impadronendo di me.  
I miei mi portarono in una clinica, lì mi dicevano di mangiare, ma non appena ci provavo, mi tornavano in mente quegli insulti, quelle risate, il sangue mi si raggelava e buttavo tutto via. Non mangiavo.
Il vuoto ormai non era più nel mio stomaco, era anche nella mia anima. Era troppo tardi per salvarmi.
Ero troppo stanca, ed ormai lo era anche il mio cuore che, alla fine, decise di non battere più.
  
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