I’m
not a Murderer
10
Dichiarazione
d’intenti
Castor non aveva aperto bocca sin dal risveglio.
Troppe cose – o forse troppo poche – erano state
dette la sera e la notte prima.
Si
era limitato ad andare la bagno per darsi una
rinfrescata e, tornando a letto, aveva ripreso la posizione tenuta per
tutta la
notte. Sdraiato su un fianco, avvolgendo il corpo ancora addormentato
di Max,
le mani di quest'ultimo ancorate alla maglia del pigiama, i visi quasi
a
contatto e il cuscino bagnato dalle lacrime che era finalmente riuscito
a
lasciar scorrere.
Anche dopo essersi alzati, mentre Castor
preparava una rapida colazione per entrambi, non si erano cambiati
più di
qualche parola – neanche di circostanza, ma solo dei brevi
"No, sono a
posto" e anche un "Il bagno è in fondo al corridoio", a cui
Max
aveva risposto con un grugnito.
Il
tragitto in macchina era stato ugualmente
carico di silenzio e tutta quella tensione si sarebbe potuta tagliare
con un
coltello. Arrivare all'ospedale era stata quasi una tortura mentre
tutte le
scuse e le affermazioni della notte precedente aleggiavano come
fantasmi tra di
loro.
Com'era stato possibile che, dopo una sola notte
insieme, una relazione senza impegno come quella che avevano avuto si
fosse
trasformata in… quello.
Max
odiava quei silenzi.
Quando Castor parcheggiò l'auto vicino
all'ingresso, Max scese senza una parola, indugiando solo un momento
prima di
chiudere la portiera.
«Ci vediamo» disse solamente, senza il coraggio
di guardarlo negli occhi.
Castor annuì spaesato – detestava non essere in
grado di reagire – prima di far cadere gli occhi sul sedile
posteriore e
scendere a propria volta.
«Max» lo richiamò piano, seguendolo a
passo
svelto fin sui gradini «aspetta».
Arrestandosi nel gesto di salire l'ultimo
gradino, si voltò per vedere il rosso raggiungerlo e
porgergli qualcosa. A
fatica riconobbe il suo giaccone.
Lo
aveva sfilato la sera prima, quando Castor lo
aveva costretto a prendere il suo per scaldarsi.
Nell'afferrarlo si costrinse a non ricordare
l'odore dell'altro e, con un tremito, se lo infilò sotto il
braccio, accennando
ad un saluto con la mano libera.
«Grazie…» mormorò,
concentrato nel tentativo di
escludere ogni emozione. Come il ricordo delle sue braccia che lo
stringevano
mentre piangeva, il suono della sua voce che lo rassicurava e il calore
delle
sue mani mentre gli passava il giaccone.
Annuendo Castor gli fece un pallido sorriso e
tornò indietro. Max lo seguì con lo sguardo senza
mostrare la minima emozione e
si avviò verso il reparto.
Fu
solo quando, entrato nella stanza indicatagli,
vide Bach sbuffare scocciato – mentre cercava di sistemarsi
più comodamente sui
cuscini sformati dell'ospedale, la gamba ingessata tenuta sollevata e
il viso
meno segnato di quanto non fosse sembrato all'inizio – con la
tipica espressione
di sopportazione, che si permise di rilassare le spalle e sorridere.
«Fuck you,
idiot» disse nell'afferrare una delle sedie lungo
il muro per piazzarsi
accanto al letto «mi hai fatto prendere un infarto, renditene
conto».
Bach
si limitò a sorridere sardonico, gli occhi
semichiusi e intontito dai farmaci, la pelle ancora troppo pallida.
«Peccato…» mormorò con un
accenno di colore tra
le parole «potevi stare… qui. A farmi
compagnia».
Max
rise brevemente e studiò l'amico da capo a
piedi – quel poco che poteva vedere .
Aveva una vistosa fasciatura che gli copriva la
maggior parte della testa, mentre i capelli erano stati tagliati corti
per
facilitare l'operazione di sutura. Il viso era graffiato in
più punti e un
secondo bendaggio gli nascondeva gran parte del collo.
Mani
e braccia ricoperte di garze e cerotti e la
gamba destra tenuta ingessata e sollevata dal letto.
Bach
ricambiò quello sguardo preoccupato con
un'occhiata scettica.
«Piantala. Sto… bene».
«Vuoi che ti tolga la collana?» chiese allora Max,
vedendo l'ornamento ancora al collo dell'amico e – a parer
suo – dolorosamente
appoggiato alla fasciatura.
«No» evidentemente Bach doveva tenere non poco a
quell'oggetto, perché arrischiò persino ad alzare
una mano per fermare l'amico «no».
In
effetti, rifletté Max tornando a sedere, non
lo aveva mai visto senza, nemmeno in vasca. Era una semplice fascetta
in
argento o oro bianco – non avrebbe saputo dirlo.
Più di una volta si era
chiesto cosa significasse per l’amico.
Si
scosse; non era quello il momento per
pensarci.
«Non avresti dovuto buttarti in strada a quel
modo» disse solamente, nel vederlo iniziare ad assopirsi
nuovamente.
Le
ciglia – sorprendentemente lunghe e scure,
sulle guance pallide – fremettero un paio di volte prima di
distendersi.
Come
aveva fatto a non accorgersene?, si chiese,
ancora una volta.
Passando lentamente il pollice sul dorso della
mano dell'amico, osservando ogni ombra di quel viso tanto familiare, si
chiese
come fosse stato possibile, in tutti quegli anni, essere
così ciechi. Possibile
che nessuno se ne fosse mai accorto?
Lui
e Bach erano diventati compagni di squadra
quasi sei anni prima e non avevano mai avuto molto in comune. Almeno
fino a
quando Bach non si era offerto di accompagnarlo a casa una sera, dopo
che Max
si era ubriacato a sufficienza da non riuscire a reggersi in piedi.
Da
quel momento si erano ritrovati a
chiacchierare sempre più spesso, tornando a casa dagli
allenamenti o anche solo
fermandosi a mangiare da qualche parte dopo ore estenuanti passate in
vasca. Lo
aveva accompagnato a casa sua, quando era andato a trovare i suoi.
Si
era confidato, rivelandosi come raramente
aveva fatto prima.
Bach
era la prima persona che cercava quando
entrava in una stanza. Il primo ragazzo che aveva lasciato entrare in
casa propria,
il primo a cui confidava ogni cosa e l'unico con cui aveva acconsentito
a
condividere tutte quelle piccole cose che derivavano dalla
quotidianità.
Alzandosi con cautela, cercando di non
svegliarlo, rivide la scena dell'incidente e sentì il
proprio cuore fermarsi
nuovamente.
«Mi sa che ti amo» sussurrò solamente
prima di
uscire e sedersi su quelle stesse sedie rigide e fredde del giorno
prima.
°°°
Dovettero passare altre quattro ore prima di
essere nuovamente riammessi al cospetto del malato.
Malato che, a distanza di poco tempo, sembrava
anche fin troppo sano.
Bach
li stava aspettando meno accasciato rispetto
a quando Max era entrato la prima volta, con maggiore colore sulle
guance e con
l'espressione ostinata che gli era solita, senza quasi traccia di
sonnolenza.
I
gemelli lo avevano abbracciato il più
delicatamente possibile – erano tornati a parlarsi, a quanto
pareva – mentre
Dorian lo aveva stritolato tanto da obbligare Lionel a staccarlo con la
forza e
sbatterlo con noncuranza a terra, adducendo come scusa che gli stava
rovinando
la visuale.
Al
che Dorian si era alzato infuriato e
l'ennesima discussione aveva preso vita tra le risate generali e i
colpi di
tosse di Bach, ancora troppo ammaccato per piegarsi in due e svuotare i
polmoni
sulle cavolate degli amici.
Il
discorso, da allegro e scantonato qual’era
stato, al loro ingresso, si trasformò fin troppo rapidamente
in una
disquisizione sulle condizioni del malato.
«Ma tu potrai ancora nuotare, vero?» Dorian
sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
«Non dovremo mica trovarci un nuovo
staffettista?» scherzò – ma solo in
parte – Jamie «E dove lo recuperiamo un
altro come te?»
«I medici dicono che la mia gamba non tornerà
più
come prima» disse con una calma che Max, in una situazione
come quella, non
sarebbe mai riuscito a trovare «quindi sì, dovrete
trovare un nuovo membro per
la staffetta mista».
Il
silenzio scese pesante nella piccola stanza
d’ospedale.
«È colpa mia».
Jamie e Joakim fissarono Maximillian con
un’identica espressione sconcertata.
«What are
ya fucking sayin’?» alzò la
voce Lionel, gli occhi fuori dalle orbite «Ti
sei improvvisamente ammattito?»
Il
ragazzo stava fissando il pavimento, incapace
di guardarli negli occhi.
«Cosa significa, Max?» il tono di Bach era
controllato, ma tutto nella sua espressione rigida gridava una rabbia
repressa
– a cui avrebbe dato sfogo a breve, con molta
probabilità.
Non
servì ad altro a Brook, perché afferrò
Dorian
e Lionel per le braccia, facendo un cenno secco ai gemelli, e uscirono
della
stanza.
La
linea dura delle labbra denotava ben più che
semplice fastidio, ma Max sembrò non farci caso,
perché riprese a parlare.
«Non fossi scappato a quel modo ora tu non-»
«Senti un po’» lo interruppe chiaro
l’altro,
occhi negli occhi «vorrei che la smettessi».
«Cosa?» domandò, preso in contropiede.
«Devi smetterla!» ripeté Bach frustrato
– perché
fargli capire qualcosa era veramente difficile, lo sapeva bene
«Non puoi
prenderti la responsabilità di tutto, finirai per
scoppiare».
«Ma se io non-»
«Ascoltami Max» sospirò stancamente: non
aveva
mai avuto particolare voglia di affrontare quel discorso, ma si rendeva
anche
conto di non avere molta scelta «devi smetterla di tenerti
tutto dentro. Puoi
anche esternare quello che provi e pensi. Non è un
male… e, ti prego, piantala
di colpevolizzarti per ogni singola cosa!»
«Bach-»
«Io ho deciso di seguirvi senza controllare il
semaforo. Io sono inciampato in quel fottuto tombino e sempre io ho
fatto in
modo di gettarti nelle braccia di Castor. Certo, non nego che non ci
sia stata
una vera partecipazione da parte tua, ma alla fine non ho fatto niente
per
impedirlo e ti ho lasciato solo con lui, senza spiegarti le
regole».
L'altro rimase senza fiato.
«Ti ho sentito» gli rivelò
all'improvviso,
continuando a fissarlo dritto negli occhi «quando mi hai
parlato, ieri. Quando
hai detto di amarmi».
Max
si sentì gelare e, istintivamente, fece per
alzarsi. Bach, che nonostante la lentezza dei riflessi e le medicine non era Bach
per nulla, aveva anticipato quella reazione, avvolgendogli
debolmente il polso con le dita.
«Scappare non ti porterà a niente»
mormorò
girandolo verso di sé e costringendolo a sedersi nuovamente
«quindi ora
affronteremo questo discorso, okay?»
Senza guardarlo, Max annuì, scioccato.
Non se lo sarebbe mai aspettato.
«Ma tu… non stavi dormendo?» ad averlo
saputo,
non avrebbe mai detto quella cosa. Certo, era facile parlarne con
cognizione di
causa, ora, ma era stato
estremamente
stupido.
«Non credere… che io non me ne sia mai
accorto»
esordì Bach, cercando d'ignorare il gemito di disperazione
dell'altro a quelle
parole «insomma, dal mio punto di vista. Non credo che
qualcun altro l'abbia
mai notato».
«Non me n'ero
accorto… nemmeno io» biascicò in
risposta, stringendo i pungi a disagio. Quella era una situazione
assolutamente
surreale.
«Non ci conoscevamo molto, ma da quando quella
sera ti ho portato a casa hai iniziato a fare sempre più
affidamento su di me.
Sono la prima persona a cui ti rivolgi se hai un problema, la prima a
venire a
conoscenza di tutto quello che ti riguarda. È a me che
chiedi di uscire e poi
inviti gli altri… sono tanti piccoli accorgimenti che presi
singolarmente non
significano molto».
«È parecchio imbarazzante… maledizione
Bach,
potevi dirmi qualcosa!»
«Non mi dava fastidio» Bach si strinse nelle spalle
«anche perché sono portato a pensare che quello
che provi per me non sia
esattamente "amore" come lo definiresti tu».
Quella fu la prima volta in cui Max si arrischiò
ad alzare lo sguardo.
L'amico stava sorridendo – la situazione sembrava
sempre più grottesca ogni minuto che passava e quelle bende
bianche non
aiutavano di certo. Ma Bach stava sorridendo, quindi era tutto a posto.
Forse.
«Cosa intendi?» non riusciva a capire dove stesse
andando a parare, qual discorso. Per un attimo desiderò
essersene stato zitto e
non averlo mai iniziato.
«Penso che la tua sia più che altro una grande
forma di rispetto. Una sorta di fiducia incondizionata e qualcosa di
più
dell'amicizia, ma non così
di più».
«È perché sono un maschio, che mi dici
così?» una
punta d’irritazione iniziò a farsi strada nel tono
rassegnato di Max.
Era
vero, non aveva mai visto Bach uscire con dei
ragazzi, ma non gli era mai sembrato un tipo bigotto o qualcosa del
genere. Non
dargli nemmeno una possibilità solo
perché…
«No Max. Dico così perché sei
tu» scosse la testa
«adesso ascolta e rispondimi sinceramente: quando mi vedi
cosa provi? Hai
voglia di abbracciarmi? Baciarmi?»
Cercando di non incrociare nuovamente il suo
sguardo, Max ripensò alle numerose uscite, agli abbracci
fraterni che si erano
sempre scambiati, alle feste e alle risate insieme. Cercò,
in ogni ricordo gli
suggerisse la memoria, un momento o un attimo in cui…
Amici, fratelli… non gli veniva in mente nulla.
Non una volta in cui Max aveva desiderato trasformare quello che
avevano in
qualcosa di diverso, più intimo.
Possibile che…?
«Quando mi vedevi uscire con una
ragazza…» un
colpo di tosse lo costrinse ad interrompersi per un attimo
«eri geloso?
«Ero… felice, per te» ammise
l’altro, ricordando
e iniziando a realizzare quanto avesse ingigantito la cosa, la notte
prima «oddio,
mi sento uno stupido…»
Maledetto Castor! Sempre colpa sua!
«Come ci sei arrivato? Non credo che tu ti sia
svegliato stamattina e abbia avuto l'illuminazione» Bach
sorrise condiscendente
e strinse con maggiore forza il suo polso.
«Me lo ha chiesto… Castor»
strizzò gli occhi nel
ricordare quel momento «ieri sera. Me l’ha chiesto
e ho dovuto trovare una
risposta».
«Quindi lui ha notato qualcosa» rise «si
è
ingelosito. Questo sì che me lo sarei dovuto aspettare dopo
ieri…»
«Ieri?»
«Quando è venuto a parlarmi, al negozio»
scosse
la testa divertito «avrei dovuto immaginarlo. Era
ovvio».
«Forse non è del tutto chiaro» ammise
Max
imbarazzato, sfregandosi la base del collo, insicuro su cosa dire
«ma questo
non significa che-»
«Ma insomma» lo interruppe Bach, sulla giusta via
per lanciargli il vaso da notte in fronte «ragiona, per una
volta! È vero, è
stato un bastardo insensibile, ma poi è venuto a cercarti!
Quello che sto
dicendo non è di perdonarlo subito.
Ovvio…» fece una pausa «fossi in te lo
farei soffrire un po' ma… mi è sembrato
abbastanza sincero. Magari dagli
un'altra possibilità».
«Per farmi ubriacare nuovamente e finire ancora
una volta nel suo letto?» domandò scuotendo la
testa «No grazie».
Bach
drizzò le orecchie – nella vaga speranza di
ascoltare vere rivelazioni su quella fatidica notte – e
attese pazientemente
che l'amico arrivasse ad una qualche conclusione.
«Magari potresti iniziare a ringraziarlo per
averti ospitato stanotte» gli suggerì dopo
parecchi minuti di pesante silenzio.
«E tu come lo sai?» strillò quasi,
nuovamente
colto alla sprovvista.
Bach
preferì sorvolare sulla macchina da cui
l'aveva visto scendere ore prima e della melensa scenetta nella quale
il rosso
lo aveva raggiunto per porgergli chissà cosa ed erano
rimasti a guardarsi negli
occhi per un tempo infinito. Ci teneva al suo amico e non aveva voglia
di
vederselo svenire davanti.
Non
era certo di avere la forza per chiamare
l'infermiera.
«Sai, in fondo Castor non mi dispiace più di
tanto» alzò le spalle – quanto
più le fasciature e il dolore gli permettevano –
ricordando l’espressione tormentata del rosso quanto Max di
era presentato
negozio «potrebbe anche rivelarsi una brava
persona».
«Ma per favore…» borbottò
Max, rosso in viso. Ora
che tutto sembrava essere chiarito si sentiva estremamente in imbarazzo
al
ripensare a quanto era stato detto e fatto. Che sciocco! Non ricordava
di
essersi mai sentito più in imbarazzo!
Anche se forse, quella volta… nel locale, quando
Castor lo aveva portato a ballare. Lì…
«Max, mi stai ascoltando?»
La
voce pazientemente divertita di Bach si fece
largo – fortunatamente – tra i suoi pensieri,
distogliendolo dalla possibilità
di diventare ancora più scarlatto di quanto non fosse.
«Eh?»
Mise
a fuoco l’amico, che rideva sotto i baffi.
«Non mi stavi ascoltando, Maximillian. A che
pensavi?»
Max
avvampò, ancora. Com’era possibile?
«Tranquillo» Bach agitò debolmente una
mano «non
serve che tu me lo dica, si capisce dal sorrisino scemo che hai
stampato in
faccia. Prima o poi ricordami di impedirti di fare
quell’espressione. Non è
affatto giusto che tu abbia una vita sessuale e io no».
«Io non ho nessuna vita sess-» il solo
pronunciarlo lo faceva imbarazzare. In che cavolo di era trasformato?
In una
ragazzina isterica?
Tutta
colpa
di Castor!
«Tranquillo, sei solo innam-affascinato da una
persona, niente di pericoloso» ancora una volta, Bach
sembrò rispondere ad una
domanda nella sua testa. Quel ragazzo non era un essere umano comune,
doveva
ricordarselo.
«Comunque… cosa stavo dicendo? Prima che la tua
faccia soddisfatta mi interrompesse…»
«Cosa vuoi che ne sappia?» ribatté
infastidito
l’altro, tutta via felice che la conversazione si stesse
spostando su altro «Qualcosa
su un lavoro, mi pare…»
«Ma allora qualcosa stavi ascoltando…»
lo prese
in giro.
Max
non si degnò di rispondere.
«Il fratello di Castor è stato qui stamattina,
prima che tu arrivassi, mi ha offerto un posto alla O’Connell
Corporation»
sorrise appena nel dirlo, lasciando trasparire una buona dose di
scetticismo
«anche se non ho capito esattamente
perché».
«Cosa ti ha detto?» indagò Max,
perfettamente
d’accordo con la confusione derivante da quella insolita
proposta. Come aveva
fatto Oscar – Orion, o come diavolo di faceva chiamare
– ad arrivare a Bach?
«Che gli serviva un assistente» fece spallucce
«ha detto che gli sarebbe stato utile un uomo come me ma,
ripeto, non sono
sicuro di aver afferrato appieno cosa intendesse».
«Ma come è arrivato a te?»
indagò sempre meno
convinto.
«Credo che sia stato Castor a chiamarlo»
rivelò
sorridendo sotto i baffi all'espressione stupita di Max «ho
come l'impressione
che quel ragazzo tenga a te più di quanto
immagini».
«Ma perché fare una cosa del genere?»
«Magari per ringraziarmi? O perché si sente in
colpa? Chi lo sa».
«Ringraziarti?»
«Per l'opera di influenza che sto facendo su di
te» rise apertamente «perché grazie a me
tu gli darai una seconda possibilità».
Max
avvampò.
«In ogni caso ho accettato il lavoro. È una
possibilità troppo ghiotta per lasciarsela
scappare».
Abbandonando per un attimo le proprie perplessità
e titubanze, Max ripensò alla personalità di
Oscar e alle peculiarità
dell’amico. Un calcolatore e un sadico assieme cosa avrebbero
potuto fare?
Lanciò un’ultima occhiata all’amico,
placidamente
seduto e avvolto da bianche lenzuola, un sorriso ancora più
candido sulle
labbra. Max si mosse inquieto
Oh well,
tanto
difficilmente sarebbe potuta andare peggio.
Isn’t
it?
«Dai» si sentì sollecitare alla fine da
un Bach
fin troppo giulivo «fai entrare quegli scalmanati,
così la piantano di
origliare da dietro la porta».
…
Saaaaaalve!
Come
andiamo?
Nessun
premio per
me? Non so se avete notato, ma sono rimasta sotto le tre settimane XD
baci
NLH