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Autore: aliasNLH    06/05/2014    3 recensioni
«Tu lo sai, vero, che quando un uomo compra dei vestiti alla propria ragazza, lo fa perché vuole toglierglieli personalmente?» mormorò, rispondendo finalmente all’interrogativo.
Max deglutì, improvvisamente accaldato per via del contatto di quella mano – per non dire altro, considerato il fatto che si trovava tra decine di corpi sudati e uno in particolare felicemente spalmato su di lui.
Molto felicemente, in effetti. Avvampò.
«M-ma… io non sono la tua ragazza» cercò di erigere una – blanda – difesa a quello che sembrava qualcosa di inevitabile.
«Questo è vero» gli sussurrò in risposta, sfiorandogli il lobo con le labbra «non sei una donna».
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I’m not a Murderer


10
 
Dichiarazione d’intenti
 
    Castor non aveva aperto bocca sin dal risveglio.
    Troppe cose – o forse troppo poche – erano state dette la sera e la notte prima.
    Si era limitato ad andare la bagno per darsi una rinfrescata e, tornando a letto, aveva ripreso la posizione tenuta per tutta la notte. Sdraiato su un fianco, avvolgendo il corpo ancora addormentato di Max, le mani di quest'ultimo ancorate alla maglia del pigiama, i visi quasi a contatto e il cuscino bagnato dalle lacrime che era finalmente riuscito a lasciar scorrere.
    Anche dopo essersi alzati, mentre Castor preparava una rapida colazione per entrambi, non si erano cambiati più di qualche parola – neanche di circostanza, ma solo dei brevi "No, sono a posto" e anche un "Il bagno è in fondo al corridoio", a cui Max aveva risposto con un grugnito.
    Il tragitto in macchina era stato ugualmente carico di silenzio e tutta quella tensione si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Arrivare all'ospedale era stata quasi una tortura mentre tutte le scuse e le affermazioni della notte precedente aleggiavano come fantasmi tra di loro.
    Com'era stato possibile che, dopo una sola notte insieme, una relazione senza impegno come quella che avevano avuto si fosse trasformata in… quello.
    Max odiava quei silenzi.
    Quando Castor parcheggiò l'auto vicino all'ingresso, Max scese senza una parola, indugiando solo un momento prima di chiudere la portiera.
    «Ci vediamo» disse solamente, senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
    Castor annuì spaesato – detestava non essere in grado di reagire – prima di far cadere gli occhi sul sedile posteriore e scendere a propria volta.
    «Max» lo richiamò piano, seguendolo a passo svelto fin sui gradini «aspetta».
    Arrestandosi nel gesto di salire l'ultimo gradino, si voltò per vedere il rosso raggiungerlo e porgergli qualcosa. A fatica riconobbe il suo giaccone.
    Lo aveva sfilato la sera prima, quando Castor lo aveva costretto a prendere il suo per scaldarsi.
    Nell'afferrarlo si costrinse a non ricordare l'odore dell'altro e, con un tremito, se lo infilò sotto il braccio, accennando ad un saluto con la mano libera.
    «Grazie…» mormorò, concentrato nel tentativo di escludere ogni emozione. Come il ricordo delle sue braccia che lo stringevano mentre piangeva, il suono della sua voce che lo rassicurava e il calore delle sue mani mentre gli passava il giaccone.
    Annuendo Castor gli fece un pallido sorriso e tornò indietro. Max lo seguì con lo sguardo senza mostrare la minima emozione e si avviò verso il reparto.
    Fu solo quando, entrato nella stanza indicatagli, vide Bach sbuffare scocciato – mentre cercava di sistemarsi più comodamente sui cuscini sformati dell'ospedale, la gamba ingessata tenuta sollevata e il viso meno segnato di quanto non fosse sembrato all'inizio – con la tipica espressione di sopportazione, che si permise di rilassare le spalle e sorridere.
    «Fuck you, idiot» disse nell'afferrare una delle sedie lungo il muro per piazzarsi accanto al letto «mi hai fatto prendere un infarto, renditene conto».
    Bach si limitò a sorridere sardonico, gli occhi semichiusi e intontito dai farmaci, la pelle ancora troppo pallida.
    «Peccato…» mormorò con un accenno di colore tra le parole «potevi stare… qui. A farmi compagnia».
    Max rise brevemente e studiò l'amico da capo a piedi – quel poco che poteva vedere .
    Aveva una vistosa fasciatura che gli copriva la maggior parte della testa, mentre i capelli erano stati tagliati corti per facilitare l'operazione di sutura. Il viso era graffiato in più punti e un secondo bendaggio gli nascondeva gran parte del collo.
    Mani e braccia ricoperte di garze e cerotti e la gamba destra tenuta ingessata e sollevata dal letto.
    Bach ricambiò quello sguardo preoccupato con un'occhiata scettica.
    «Piantala. Sto… bene».
    «Vuoi che ti tolga la collana?» chiese allora Max, vedendo l'ornamento ancora al collo dell'amico e – a parer suo – dolorosamente appoggiato alla fasciatura.
    «No» evidentemente Bach doveva tenere non poco a quell'oggetto, perché arrischiò persino ad alzare una mano per fermare l'amico «no».
    In effetti, rifletté Max tornando a sedere, non lo aveva mai visto senza, nemmeno in vasca. Era una semplice fascetta in argento o oro bianco – non avrebbe saputo dirlo. Più di una volta si era chiesto cosa significasse per l’amico.
    Si scosse; non era quello il momento per pensarci.
    «Non avresti dovuto buttarti in strada a quel modo» disse solamente, nel vederlo iniziare ad assopirsi nuovamente.
    Le ciglia – sorprendentemente lunghe e scure, sulle guance pallide – fremettero un paio di volte prima di distendersi.
    Come aveva fatto a non accorgersene?, si chiese, ancora una volta.
    Passando lentamente il pollice sul dorso della mano dell'amico, osservando ogni ombra di quel viso tanto familiare, si chiese come fosse stato possibile, in tutti quegli anni, essere così ciechi. Possibile che nessuno se ne fosse mai accorto?
    Lui e Bach erano diventati compagni di squadra quasi sei anni prima e non avevano mai avuto molto in comune. Almeno fino a quando Bach non si era offerto di accompagnarlo a casa una sera, dopo che Max si era ubriacato a sufficienza da non riuscire a reggersi in piedi.
    Da quel momento si erano ritrovati a chiacchierare sempre più spesso, tornando a casa dagli allenamenti o anche solo fermandosi a mangiare da qualche parte dopo ore estenuanti passate in vasca. Lo aveva accompagnato a casa sua, quando era andato a trovare i suoi.
    Si era confidato, rivelandosi come raramente aveva fatto prima.
    Bach era la prima persona che cercava quando entrava in una stanza. Il primo ragazzo che aveva lasciato entrare in casa propria, il primo a cui confidava ogni cosa e l'unico con cui aveva acconsentito a condividere tutte quelle piccole cose che derivavano dalla quotidianità.
    Alzandosi con cautela, cercando di non svegliarlo, rivide la scena dell'incidente e sentì il proprio cuore fermarsi nuovamente.
    «Mi sa che ti amo» sussurrò solamente prima di uscire e sedersi su quelle stesse sedie rigide e fredde del giorno prima.
 
°°°
 
    Dovettero passare altre quattro ore prima di essere nuovamente riammessi al cospetto del malato.
    Malato che, a distanza di poco tempo, sembrava anche fin troppo sano.
    Bach li stava aspettando meno accasciato rispetto a quando Max era entrato la prima volta, con maggiore colore sulle guance e con l'espressione ostinata che gli era solita, senza quasi traccia di sonnolenza.
    I gemelli lo avevano abbracciato il più delicatamente possibile – erano tornati a parlarsi, a quanto pareva – mentre Dorian lo aveva stritolato tanto da obbligare Lionel a staccarlo con la forza e sbatterlo con noncuranza a terra, adducendo come scusa che gli stava rovinando la visuale.
    Al che Dorian si era alzato infuriato e l'ennesima discussione aveva preso vita tra le risate generali e i colpi di tosse di Bach, ancora troppo ammaccato per piegarsi in due e svuotare i polmoni sulle cavolate degli amici.
    Il discorso, da allegro e scantonato qual’era stato, al loro ingresso, si trasformò fin troppo rapidamente in una disquisizione sulle condizioni del malato.
    «Ma tu potrai ancora nuotare, vero?» Dorian sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
    «Non dovremo mica trovarci un nuovo staffettista?» scherzò – ma solo in parte – Jamie «E dove lo recuperiamo un altro come te?»
    «I medici dicono che la mia gamba non tornerà più come prima» disse con una calma che Max, in una situazione come quella, non sarebbe mai riuscito a trovare «quindi sì, dovrete trovare un nuovo membro per la staffetta mista».
    Il silenzio scese pesante nella piccola stanza d’ospedale.
    «È colpa mia».
    Jamie e Joakim fissarono Maximillian con un’identica espressione sconcertata.
    «What are ya fucking sayin’?» alzò la voce Lionel, gli occhi fuori dalle orbite «Ti sei improvvisamente ammattito?»
    Il ragazzo stava fissando il pavimento, incapace di guardarli negli occhi.
    «Cosa significa, Max?» il tono di Bach era controllato, ma tutto nella sua espressione rigida gridava una rabbia repressa – a cui avrebbe dato sfogo a breve, con molta probabilità.
    Non servì ad altro a Brook, perché afferrò Dorian e Lionel per le braccia, facendo un cenno secco ai gemelli, e uscirono della stanza.
    La linea dura delle labbra denotava ben più che semplice fastidio, ma Max sembrò non farci caso, perché riprese a parlare.
    «Non fossi scappato a quel modo ora tu non-»
    «Senti un po’» lo interruppe chiaro l’altro, occhi negli occhi «vorrei che la smettessi».
    «Cosa?» domandò, preso in contropiede.
    «Devi smetterla!» ripeté Bach frustrato – perché fargli capire qualcosa era veramente difficile, lo sapeva bene «Non puoi prenderti la responsabilità di tutto, finirai per scoppiare».
    «Ma se io non-»
    «Ascoltami Max» sospirò stancamente: non aveva mai avuto particolare voglia di affrontare quel discorso, ma si rendeva anche conto di non avere molta scelta «devi smetterla di tenerti tutto dentro. Puoi anche esternare quello che provi e pensi. Non è un male… e, ti prego, piantala di colpevolizzarti per ogni singola cosa!»
    «Bach-»
    «Io ho deciso di seguirvi senza controllare il semaforo. Io sono inciampato in quel fottuto tombino e sempre io ho fatto in modo di gettarti nelle braccia di Castor. Certo, non nego che non ci sia stata una vera partecipazione da parte tua, ma alla fine non ho fatto niente per impedirlo e ti ho lasciato solo con lui, senza spiegarti le regole».
    L'altro rimase senza fiato.
    «Ti ho sentito» gli rivelò all'improvviso, continuando a fissarlo dritto negli occhi «quando mi hai parlato, ieri. Quando hai detto di amarmi».
    Max si sentì gelare e, istintivamente, fece per alzarsi. Bach, che nonostante la lentezza dei riflessi e le medicine non era Bach per nulla, aveva anticipato quella reazione, avvolgendogli debolmente il polso con le dita.
    «Scappare non ti porterà a niente» mormorò girandolo verso di sé e costringendolo a sedersi nuovamente «quindi ora affronteremo questo discorso, okay?»
    Senza guardarlo, Max annuì, scioccato.
Non se lo sarebbe mai aspettato.
    «Ma tu… non stavi dormendo?» ad averlo saputo, non avrebbe mai detto quella cosa. Certo, era facile parlarne con cognizione di causa, ora, ma era stato estremamente stupido.
    «Non credere… che io non me ne sia mai accorto» esordì Bach, cercando d'ignorare il gemito di disperazione dell'altro a quelle parole «insomma, dal mio punto di vista. Non credo che qualcun altro l'abbia mai notato».
«Non me n'ero accorto… nemmeno io» biascicò in risposta, stringendo i pungi a disagio. Quella era una situazione assolutamente surreale.
    «Non ci conoscevamo molto, ma da quando quella sera ti ho portato a casa hai iniziato a fare sempre più affidamento su di me. Sono la prima persona a cui ti rivolgi se hai un problema, la prima a venire a conoscenza di tutto quello che ti riguarda. È a me che chiedi di uscire e poi inviti gli altri… sono tanti piccoli accorgimenti che presi singolarmente non significano molto».
    «È parecchio imbarazzante… maledizione Bach, potevi dirmi qualcosa!»
    «Non mi dava fastidio» Bach si strinse nelle spalle «anche perché sono portato a pensare che quello che provi per me non sia esattamente "amore" come lo definiresti tu».
    Quella fu la prima volta in cui Max si arrischiò ad alzare lo sguardo.
    L'amico stava sorridendo – la situazione sembrava sempre più grottesca ogni minuto che passava e quelle bende bianche non aiutavano di certo. Ma Bach stava sorridendo, quindi era tutto a posto.
    Forse.
    «Cosa intendi?» non riusciva a capire dove stesse andando a parare, qual discorso. Per un attimo desiderò essersene stato zitto e non averlo mai iniziato.
    «Penso che la tua sia più che altro una grande forma di rispetto. Una sorta di fiducia incondizionata e qualcosa di più dell'amicizia, ma non così di più».
    «È perché sono un maschio, che mi dici così?» una punta d’irritazione iniziò a farsi strada nel tono rassegnato di Max.
    Era vero, non aveva mai visto Bach uscire con dei ragazzi, ma non gli era mai sembrato un tipo bigotto o qualcosa del genere. Non dargli nemmeno una possibilità solo perché…
    «No Max. Dico così perché sei tu» scosse la testa «adesso ascolta e rispondimi sinceramente: quando mi vedi cosa provi? Hai voglia di abbracciarmi? Baciarmi?»
    Cercando di non incrociare nuovamente il suo sguardo, Max ripensò alle numerose uscite, agli abbracci fraterni che si erano sempre scambiati, alle feste e alle risate insieme. Cercò, in ogni ricordo gli suggerisse la memoria, un momento o un attimo in cui…
    Amici, fratelli… non gli veniva in mente nulla. Non una volta in cui Max aveva desiderato trasformare quello che avevano in qualcosa di diverso, più intimo.
    Possibile che…?
    «Quando mi vedevi uscire con una ragazza…» un colpo di tosse lo costrinse ad interrompersi per un attimo «eri geloso?
    «Ero… felice, per te» ammise l’altro, ricordando e iniziando a realizzare quanto avesse ingigantito la cosa, la notte prima «oddio, mi sento uno stupido…»
    Maledetto Castor! Sempre colpa sua!
    «Come ci sei arrivato? Non credo che tu ti sia svegliato stamattina e abbia avuto l'illuminazione» Bach sorrise condiscendente e strinse con maggiore forza il suo polso.
    «Me lo ha chiesto… Castor» strizzò gli occhi nel ricordare quel momento «ieri sera. Me l’ha chiesto e ho dovuto trovare una risposta».
    «Quindi lui ha notato qualcosa» rise «si è ingelosito. Questo sì che me lo sarei dovuto aspettare dopo ieri…»
    «Ieri?»
    «Quando è venuto a parlarmi, al negozio» scosse la testa divertito «avrei dovuto immaginarlo. Era ovvio».
    «Forse non è del tutto chiaro» ammise Max imbarazzato, sfregandosi la base del collo, insicuro su cosa dire «ma questo non significa che-»
    «Ma insomma» lo interruppe Bach, sulla giusta via per lanciargli il vaso da notte in fronte «ragiona, per una volta! È vero, è stato un bastardo insensibile, ma poi è venuto a cercarti! Quello che sto dicendo non è di perdonarlo subito. Ovvio…» fece una pausa «fossi in te lo farei soffrire un po' ma… mi è sembrato abbastanza sincero. Magari dagli un'altra possibilità».
    «Per farmi ubriacare nuovamente e finire ancora una volta nel suo letto?» domandò scuotendo la testa «No grazie».
    Bach drizzò le orecchie – nella vaga speranza di ascoltare vere rivelazioni su quella fatidica notte – e attese pazientemente che l'amico arrivasse ad una qualche conclusione.
    «Magari potresti iniziare a ringraziarlo per averti ospitato stanotte» gli suggerì dopo parecchi minuti di pesante silenzio.
    «E tu come lo sai?» strillò quasi, nuovamente colto alla sprovvista.
    Bach preferì sorvolare sulla macchina da cui l'aveva visto scendere ore prima e della melensa scenetta nella quale il rosso lo aveva raggiunto per porgergli chissà cosa ed erano rimasti a guardarsi negli occhi per un tempo infinito. Ci teneva al suo amico e non aveva voglia di vederselo svenire davanti.
    Non era certo di avere la forza per chiamare l'infermiera.
    «Sai, in fondo Castor non mi dispiace più di tanto» alzò le spalle – quanto più le fasciature e il dolore gli permettevano – ricordando l’espressione tormentata del rosso quanto Max di era presentato negozio «potrebbe anche rivelarsi una brava persona».
    «Ma per favore…» borbottò Max, rosso in viso. Ora che tutto sembrava essere chiarito si sentiva estremamente in imbarazzo al ripensare a quanto era stato detto e fatto. Che sciocco! Non ricordava di essersi mai sentito più in imbarazzo!
    Anche se forse, quella volta… nel locale, quando Castor lo aveva portato a ballare. Lì…
    «Max, mi stai ascoltando?»
    La voce pazientemente divertita di Bach si fece largo – fortunatamente – tra i suoi pensieri, distogliendolo dalla possibilità di diventare ancora più scarlatto di quanto non fosse.
    «Eh?»
    Mise a fuoco l’amico, che rideva sotto i baffi.
    «Non mi stavi ascoltando, Maximillian. A che pensavi?»
    Max avvampò, ancora. Com’era possibile?
    «Tranquillo» Bach agitò debolmente una mano «non serve che tu me lo dica, si capisce dal sorrisino scemo che hai stampato in faccia. Prima o poi ricordami di impedirti di fare quell’espressione. Non è affatto giusto che tu abbia una vita sessuale e io no».
    «Io non ho nessuna vita sess-» il solo pronunciarlo lo faceva imbarazzare. In che cavolo di era trasformato? In una ragazzina isterica?
    Tutta colpa di Castor!
    «Tranquillo, sei solo innam-affascinato da una persona, niente di pericoloso» ancora una volta, Bach sembrò rispondere ad una domanda nella sua testa. Quel ragazzo non era un essere umano comune, doveva ricordarselo.
    «Comunque… cosa stavo dicendo? Prima che la tua faccia soddisfatta mi interrompesse…»
    «Cosa vuoi che ne sappia?» ribatté infastidito l’altro, tutta via felice che la conversazione si stesse spostando su altro «Qualcosa su un lavoro, mi pare…»
    «Ma allora qualcosa stavi ascoltando…» lo prese in giro.
    Max non si degnò di rispondere.
    «Il fratello di Castor è stato qui stamattina, prima che tu arrivassi, mi ha offerto un posto alla O’Connell Corporation» sorrise appena nel dirlo, lasciando trasparire una buona dose di scetticismo «anche se non ho capito esattamente perché».
    «Cosa ti ha detto?» indagò Max, perfettamente d’accordo con la confusione derivante da quella insolita proposta. Come aveva fatto Oscar – Orion, o come diavolo di faceva chiamare – ad arrivare a Bach?
    «Che gli serviva un assistente» fece spallucce «ha detto che gli sarebbe stato utile un uomo come me ma, ripeto, non sono sicuro di aver afferrato appieno cosa intendesse».
    «Ma come è arrivato a te?» indagò sempre meno convinto.
    «Credo che sia stato Castor a chiamarlo» rivelò sorridendo sotto i baffi all'espressione stupita di Max «ho come l'impressione che quel ragazzo tenga a te più di quanto immagini».
    «Ma perché fare una cosa del genere?»
    «Magari per ringraziarmi? O perché si sente in colpa? Chi lo sa».
    «Ringraziarti?»
    «Per l'opera di influenza che sto facendo su di te» rise apertamente «perché grazie a me tu gli darai una seconda possibilità».
    Max avvampò.
    «In ogni caso ho accettato il lavoro. È una possibilità troppo ghiotta per lasciarsela scappare».
    Abbandonando per un attimo le proprie perplessità e titubanze, Max ripensò alla personalità di Oscar e alle peculiarità dell’amico. Un calcolatore e un sadico assieme cosa avrebbero potuto fare?
    Lanciò un’ultima occhiata all’amico, placidamente seduto e avvolto da bianche lenzuola, un sorriso ancora più candido sulle labbra. Max si mosse inquieto
    Oh well, tanto difficilmente sarebbe potuta andare peggio.
    Isn’t it?
    «Dai» si sentì sollecitare alla fine da un Bach fin troppo giulivo «fai entrare quegli scalmanati, così la piantano di origliare da dietro la porta».
 
 
Saaaaaalve! Come andiamo?
Nessun premio per me? Non so se avete notato, ma sono rimasta sotto le tre settimane XD
 
baci
NLH
  
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