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Autore: Fragolina84    07/05/2014    0 recensioni
Sequel di "I belong to you"
"Non posso smettere di essere Iron Man perché il mio compito è proteggervi"
Il palladio gli sta avvelenando il sangue e l'America è di nuovo sotto attacco terroristico. Iron Man dovrà cercare la Chiave del Domani per salvare se stesso e le persone che ama.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il secondo capitolo della mia fanfiction.
Qui è narrato ciò che Tony prova e sente quando incontra la sua donna,
in antitesi a ciò che succede nel primo capitolo di "I belong to you"
dove è Victoria a narrare le stesse scene.
Un punto di vista diverso per la medesima storia d'amore.
Buona lettura!


Era una sera come tante, quella di due anni prima, nella quale aveva deciso di prendersi una pausa da presidente delle Stark Industries. Era a Los Angeles per una serie di importanti incontri di lavoro ed era solo. L’ultima, insipida bionda che era passata per le sue mani era già storia dimenticata.
Aveva così preso la sua Audi R8 per tornare a Malibu, ma poi aveva cambiato idea e, in compagnia di Happy, l’unica guardia del corpo che potesse tollerare, era andato in cerca di un bar. E alla fine si era fermato al Jack’s, uno di quei pub con la sala da biliardo e pochissime luci che servivano la miglior birra che si potesse trovare in zona.
Guidava lui e aveva parcheggiato l’auto con tutta la strafottenza che lo caratterizzava: senza preoccuparsi degli altri occupanti del parcheggio. All’interno del locale non c’era quasi nessuno, a parte un gruppo di una decina di persone ad un tavolo d’angolo. Le aveva degnate appena di uno sguardo, notando che alzavano le bottiglie di birra in un brindisi.
Si era seduto ad un tavolo seminascosto – l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di essere notato dall’ennesima stronzetta in cerca di un servizio sui tabloid scandalistici – e aveva ordinato una birra per sé e per Happy che si era accomodato di fronte.
Chiacchieravano del più e del meno, in tono amichevole e rilassato, ma Happy non allentava mai la vigilanza, pronto ad intervenire in caso di problemi. Quando l’aveva visto alzarsi, Tony aveva immaginato che qualcuno – una donna, sicuramente – lo avesse riconosciuto e volesse attaccare bottone.
«Mi dispiace, signorina. Il signor Stark non desidera visite».
Infatti, una donna. Tony rimase seduto, di spalle.
«Fuori è parcheggiata una R8 che blocca la mia auto».
Ah, allora non era interessata a lui. Improvvisamente, la donna era diventata il centro del suo interesse.
«Probabile. Ho la brutta abitudine di parcheggiare sempre dove mi pare».
Aveva atteso la risatina sciocca con cui di solito le ragazze accoglievano quelle sue sbruffonate, ma la risposta era stata ben diversa.
«Benissimo. Vuol dire che la prossima volta continuerà a parcheggiare la sua Audi ammaccata dove più le aggrada. Buona serata».
Non era ciò che si era aspettato. Il livello di interesse era salito ancora, spingendolo ad alzarsi. Doveva vederla.
«Ehi, ehi! Ferma lì» aveva intimato. Lei si era fermata e si era voltata verso di lui.
Era uno schianto, quello gli era stato subito chiaro. Eppure l’aveva colpito in modo diverso dalle altre donne che aveva incontrato. Il viso era perfetto, del tipo che si vede solo sui giornali di moda, incorniciato da una nuvola di capelli ramati, morbidi e vaporosi, tanto che gli ricordarono quelli di Jessica Rabbit.
Il naso era finemente cesellato, sopra due labbra carnose e rosse anche se aveva notato che non portava rossetto. Gli occhi erano di un verde prodigioso ed era pochissimo truccata, appena un velo di ombretto che evidenziava ancora di più quei suoi splendidi occhi.
Di solito le donne lo colpivano al basso ventre ma lei lo aveva preso al cuore, tanto che fissando lo sguardo nel suo avvertiva una strana sensazione al petto, come se l’aria si fosse improvvisamente rarefatta e faticasse a riempirgli i polmoni. Ma ovviamente lui non aveva capito subito di cosa si trattava.
Aveva fatto un paio di passi verso di lei che indossava dei jeans neri molto attillati e una camicetta fucsia, sotto la quale aveva visto la curva invitante e soda del seno.
«Non posso credere che una bella donna come lei sia capace di un atto così nefando come il danneggiamento del gioiellino parcheggiato qui fuori» aveva detto, caricando la frase con tutto il suo charme.
«Può continuare a credere a ciò che vuole, ma tra poco dovrà chiamare il carro attrezzi per la sua auto, signor Stark».
No, decisamente il solito approccio non funzionava con questa femmina, e la cosa aveva finito per irritarlo. Non gli era mai capitato di puntare una donna e che questa non reagisse. Socchiuse gli occhi: se mi stai sfidando hai trovato pane per i tuoi denti, piccola.
Aveva pescato le chiavi in tasca e le aveva lanciate a Happy.
«Happy, per favore, sposta l’auto. La signorina mi sembra proprio risoluta» aveva detto, ammorbidendo ancora di più il tono.
«La ringrazio, signor Stark».
«Non vuole permettermi di offrirle qualcosa, per rimediare a questa mia mancanza?»
 Aveva visto un lampo nei suoi occhi, non si era sbagliato. Lei voleva accettare, lo desiderava con tutta se stessa. Sapeva di essere vicino alla meta e sorrise, quasi inconsapevolmente. Dopotutto, quel viaggio a Los Angeles poteva essere più piacevole di quanto potesse aspettarsi.
Ma poi quel lampo si era spento e aveva visto la sua espressione mutare. «Grazie ma non è necessario». Una pietra tombale.
Lei si era girata – e il suo lato B era interessante quanto il resto – e se n’era andata, lasciandolo lì a chiedersi cosa fosse successo. Doveva essere precipitato in un mondo parallelo: da che Tony Stark era Tony Stark una cosa del genere non si era mai verificata.
Quando Happy era rientrato, l’aveva trovato ancora in piedi, che fissava imbambolato la porta da cui lei era uscita.
«Tutto bene, capo?» aveva chiesto e Tony si era riscosso.
«Sì, ok. Andiamo via, Happy».
Aveva rimuginato su quel rifiuto per tutto il viaggio fino a Malibu, rimanendo stranamente in silenzio. Una volta giunto a casa, si era convinto di una cosa: quella ragazza si era accorta che lui ci stava provando e aveva voluto fare la preziosa.
Peggio per te, aveva pensato. Non sai cosa ti perdi. Non sono io ad avere bisogno di te.
Ma neanche mezz’ora più tardi ordinava a Jarvis di cercare di rintracciarla. Jarvis aveva recuperato un’immagine da una telecamera stradale di fronte al Jack’s in cui si vedeva la targa della vecchia Ford Taurus della ragazza. Scoprire a chi apparteneva era stato affare di pochi istanti.
«Quest’auto appartiene alla signorina Victoria Johnson, signore» aveva detto poco dopo il computer, mostrandogli un’immagine della patente.
Nella foto era più giovane, ma era lei. Quello che era strabiliante era il fatto che l’immagine nella mente di Tony era più precisa della foto stessa, segno evidente di quanto l’avesse colpito.
«Victoria Johnson» aveva ripetuto Tony, assaporando quel nome sulla lingua.
Aveva sbirciato i suoi dati personali rilevando che aveva trentun anni e risiedeva a New York.
«E cosa ci fai a Los Angeles, signorina Johnson?» aveva mormorato sovrappensiero.
«Mi sono permesso di cercare su Google, signore, e c’è un riscontro» l’aveva avvisato Jarvis, facendo poi apparire la schermata di Internet.
«Ah» aveva esclamato Tony «è un’attrice».
Aveva scoperto così che Victoria aveva il ruolo di protagonista in uno spettacolo teatrale all’Orpheum Theatre. La mossa immediatamente successiva era stata quella di chiamare Pepper – buttandola giù dal letto – per chiederle di prenotargli un posto in prima fila alla prossima replica, richiesta a cui la donna aveva acconsentito, salvo poi guardare con perplessità la cornetta ormai muta.
Il resto della notte Tony l’aveva passata a sfogliare pagine su pagine che la riguardavano, immagini di lei, commenti sui suoi ruoli, irritandosi per le recensioni negative e provando un segreto compiacimento per quelle positive.
Poi, con la testa leggera per la mancanza di sonno, era andato direttamente in ufficio. Il pensiero di Victoria era scivolato in un angolo della mente, ma pronto ad affiorare in qualsiasi momento, come quando aveva visto che Bambi, la segretaria che piantonava l’ingresso del suo ufficio, indossava un tailleur verde e l’aveva paragonato al colore degli occhi di Victoria.
A metà mattina qualcuno aveva bussato alla porta. Era Pepper.
«Volevo avvisarla che le ho prenotato un posto in prima fila per il prossimo venerdì all’Orpheum».
Tony l’aveva ringraziata, sorvolando sulla sua espressione stupita. La donna stava uscendo quando lui l’aveva richiamata indietro. Aveva preso un biglietto dal cassetto, aveva scribacchiato qualcosa e l’aveva messo nella sua busta, porgendoglielo.
«Per favore, si assicuri che quella sera vengano recapitate ventiquattro rose rosse a stelo lungo alla signorina Victoria Johnson, al termine dello spettacolo».
«Certo, Tony». Pepper non aveva commentato, ma la cosa le sembrava parecchio strana. Tony Stark che mandava fiori ad una donna? E quando mai ne aveva avuto bisogno? Tony Stark schioccava le dita e le donne cadevano letteralmente ai suoi piedi. Comunque aveva preso il biglietto e aveva fatto quanto le aveva richiesto.
Nel frattempo Tony aveva sbirciato la sua agenda, chiedendo a Bambi di annullare tutti gli impegni per il pomeriggio e la serata di venerdì.
Lo spettacolo era una commedia brillante e piena di ironia in cui Victoria interpretava una giovane nuora alle prese con un’insopportabile suocera. Certo, non era nello stile di Tony, ma lui l’aveva apprezzata, gustandosi soprattutto la presenza di Victoria sul palco.
Terminato l’ultimo atto, sapeva che le sue rose erano state ormai recapitate e si era disposto ad attendere. E lei era arrivata: indossava ancora l’abito di scena ed era tenera come un pasticcino. Eppure il rossore sulle guance non era dovuto al trucco e lo scintillio degli occhi non era un effetto delle luci: sembrava veramente felice di vederlo, come se non se lo fosse aspettato, ma ci avesse sperato.
Le aveva fatto i complimenti, sinceri complimenti, per il suo lavoro e poi, improvvisamente, aveva lanciato l’amo.
«Le andrebbe di venire a cena con me?»
«Certo» aveva risposto. Insomma, aveva mandato giù esca, amo e un buon tratto di lenza. Era sua, ormai.
Mentre aspettava che si cambiasse aveva chiamato personalmente il Madeo. Alfio riusciva sempre a liberargli un posto quando era a Los Angeles e anche stavolta non l’aveva deluso.
Quando lei era tornata, indossava un corto abito di svolazzante chiffon, dallo scollo asimmetrico. Era stretto in vita ed evidenziava il suo bel fisico. Il colore era un bellissimo verde acerbo che s’intonava perfettamente con gli occhi e i capelli.
Lui la stava aspettando accanto alla Rolls. Le aveva aperto la portiera e l’aveva fatta salire.
«Happy, al Madeo, per favore», aveva ordinato.
Seduti sul sedile posteriore avevano discusso dello spettacolo e, arrivati al ristorante, Happy aveva aperto la portiera perché scendessero.
«Mio caro Tony, bentornato!» aveva esclamato Alfio in italiano appena entrati nel locale.
Tony l’aveva salutato e aveva chiesto un tavolo appartato, rifiutando poi i menu.
«Il meglio che hai, Alfio. Come sempre» aveva detto, sempre in italiano.
Non aveva prestato attenzione alla cena, più concentrato sulla donna che gli sedeva davanti. La voleva, ma vedeva che resisteva. Era timorosa come una cerbiatta che fiuta il cacciatore. Di certo lo conosceva e aveva ben chiara in mente la sua fama di dongiovanni e pensava di riuscire a resistergli.
Tony non aveva mai dovuto faticare per ottenere ciò che voleva dalle donne. Ma doveva ammettere che Victoria era stata interessante da subito proprio perché l’aveva respinto o quantomeno non aveva reagito come le altre.
E così Tony aveva scatenato tutte le sue armi con lei. Le donne le conosceva bene e sapeva che sotto sotto, anche Victoria non era differente dalle altre. L’aveva assediata come un agguerrito giocatore di scacchi, muovendosi con decisione sulla scacchiera di quell’incontro, abbattendo una ad una tutte le sue difese, notando che era affascinata da lui.
Mentre gustava il dolce, si era accorto che ormai poteva portarla ovunque volesse e aveva sogghignato dentro di sé. Lo sapevo che non potevi resistermi.
Una volta pagato il conto del ristorante, erano tornati a bordo della Rolls. Lui si era informato con garbo su dove abitasse e aveva dato a Happy le istruzioni necessarie. Victoria divideva un piccolo appartamento con una collega attrice che, come si era affrettata a specificare, non era in casa quella sera.
Arrivati davanti al suo palazzo, mentre Happy scendeva per aprirle la portiera, Tony le aveva baciato la mano. «Buonanotte, Victoria» aveva detto semplicemente.
Aveva visto perplessità e confusione dipingersi sul suo volto.
Eh no, tesoro, aveva pensato lui. Adesso si fa a modo mio.
Perché a quel punto lei si aspettava che lui le facesse capire che voleva salire e sarebbe stata ben lieta di accoglierlo nel suo appartamento. Ma in realtà non era pronta per lui e lui voleva che lo fosse. Voleva che stavolta fosse diverso.
Lei era quindi scesa dall’auto e lui se n’era andato. I vetri della Rolls erano oscurati perciò aveva potuto girarsi a guardarla e, a distanza di anni, Tony ricordava benissimo la delusione dipinta negli occhi verdi di Victoria.
Sospirò, ritornando al presente. Guardando dietro di sé si accorgeva che prima di Victoria non aveva avuto nulla. E proprio ora che si era sposato, che stava per diventare padre, ora che il suo futuro aveva una direzione, che era vicino ad avere tutto, ecco che quel futuro gli faceva paura. E per lui era una sensazione piuttosto nuova. L’aveva provata una volta soltanto in vita sua: quando era stato imprigionato in Afghanistan.
«Non riesci a dormire?» sussurrò a un tratto Victoria e lui sussultò. Non aveva notato che la donna si era svegliata. «Preoccupato per domani?» chiese, coprendo la sua mano, ancora appoggiata sul pancione, con la propria.
«No» mentì. Doveva allontanarsi da lei perché sapeva leggerlo come un libro aperto e lui non poteva permettere che capisse. «Torna a dormire» sussurrò. Si sollevò su un gomito, la baciò delicatamente sulle labbra e si alzò, diretto in bagno.
Si guardò nel grande specchio, cercando sul suo viso segni di quel corpo che lo stava tradendo. Non ne trovò e pensò che forse si era sbagliato, che magari la situazione non era così nera. Ma quando sollevò la maglietta che indossava, la verità lo colpì con la forza di un maglio. Non aveva bisogno dello scanner per capire che il livello di tossicità del suo sangue era aumentato ancora.
Abbassò la maglia e piantò i pugni sul piano del lavandino, abbassando la testa.
«L’ho già quasi persa una volta» mormorò. «Ti prego, non portarmela via di nuovo».
Non sapeva se esisteva un Dio, né se avesse tempo e voglia di ascoltare le preghiere di un miscredente come lui. Ma sentiva che era l’unico a cui potesse rivolgersi. Perché le stava provando tutte ma non trovava soluzione e se non ci riusciva lui, il genio a capo dell’impero Stark, nessun altro poteva aiutarlo.
«Almeno permettimi di vedere mia figlia, non chiedo altro. Poi potrai fare ciò che devi».
Nessuno gli rispose, sicché spense la luce e tornò a letto. Victoria, già in dormiveglia, gli si rannicchiò addosso non appena lui si fu coricato e Tony la strinse tra le braccia ascoltando il suo respiro farsi lento e profondo. Ma per lui, la benedizione del sonno non arrivò che diverse ore più tardi, quando già l’alba disegnava un grigio merletto nel cielo di Washington.
  
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