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Autore: Luce_Della_Sera    08/05/2014    2 recensioni
Elisabetta e Susanna sono due gemelle che si sono trasferite da poco in un'altra città, per seguire i corsi universitari; con loro c'è anche Trilly, il loro pappagallino. Un brutto giorno, Trilly si ammala: il morbo che l'ha colpita è incurabile, e così le due ragazze si troveranno a dover fare una scelta molto difficile...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2: Discussioni

Ragazze, mi spiace dirvi che la vostra cocorita è molto malata”.
Il veterinario, un uomo alto, magro, completamente calvo e dall’aspetto giovanile, guardò le proprietarie della sua paziente, le quali a loro volta risposero alla sua occhiata lanciandogli uno sguardo allarmato.
“Dai sintomi che presenta, sembra proprio che sia stata colpita dal morbo di Newcastle … è una patologia grave, che colpisce sistema nervoso, sistema respiratorio e intestino; non esistono cure. Direi che Trilly ha due, al massimo tre mesi di vita, purtroppo”.
Le due ragazze si fissarono, terrorizzate; alla fine, Elisabetta osò chiedere:
“Quindi … non ci sono proprio speranze? Non c’è un qualcosa che possiamo fare, una medicina che possiamo darle, almeno come cura palliativa?”
“Posso darvi dei medicinali, ma con essi otterrete solo un lieve aumento dell’appetito e le feci torneranno normali; col passare del tempo, però, volerà sempre meno finché non resterà totalmente paralizzata”.
“Intende dire che poi dovremo imboccarla noi, almeno finché sarà in grado di inghiottire il cibo autonomamente? Non sarà più autosufficiente?” domandò Susanna.
“Esattamente.”
“Quindi, lei cosa ci consiglia di fare a questo punto?”.
“Beh … innanzitutto, datele queste medicine”, rispose lo specialista, prendendo un foglio e una penna che erano appoggiati sulla sua scrivania e cominciando a scrivere. “Tra una settimana poi tornerete qui, così potrò visitarla ancora. Sappiate comunque che, dato il quadro clinico che vi ho prospettato, se non volete vederla soffrire fino alla fine c’è un’altra possibilità: l’eutanasia”.
A queste parole, seguì un silenzio carico di tristezza; dopo qualche minuto, fu di nuovo Susanna a parlare.
“Lei … lei cosa ci consiglierebbe di fare?”
“Quando un animale arriva al punto di soffrire atrocemente, non è più in grado né di muoversi né di nutrirsi da solo e né tantomeno di fare le cose che  faceva prima, l’eutanasia è sempre la cosa più indicata; ma è chiaro che dovete essere voi a decidere! Non è una scelta facile, me ne rendo conto … rifletteteci, prendetevi del tempo: la prossima volta ne riparleremo con più calma, e potrete farmi tutte le domande che vorrete. Ovviamente, per qualsiasi emergenza potrete sempre tornare qui!”
 
 
Circa una quarantina di minuti dopo, Elisabetta e Susanna erano di nuovo a casa; fuori il sole stava tramontando, era stata una giornata soleggiata ma loro a malapena ci avevano fatto caso, da quando avevano notato i malesseri di Trilly. E le parole del veterinario di certo non avevano risollevato il loro umore! Entrambe si sentivano come se il mondo fosse crollato loro addosso: a turno guardavano il pappagallino mentre si avvicinava  faticosamente al contenitore del mangime, e poi distoglievano lo sguardo, avvertendo tutto il peso della responsabilità che gravava su di loro. Sedute al tavolo, una di fronte all’altra, con la gabbia posizionata in mezzo, si guardavano in silenzio; alla fine, Elisabetta ruppe il silenzio.
“Cosa pensi che dovremmo fare?” chiese alla sorella, con voce rotta.
“Non lo so. Mi sembra tanto impossibile, una cosa del genere! Mi sento come se fossi intrappolata in un incubo: dover decidere della vita e della morte di un altro essere vivente è terribile! E’ una responsabilità pesante, troppo grande”.
“Ti capisco … anche io mi sento così! Credi che dovremmo chiedere consiglio ai nostri genitori?”.
“E a cosa servirebbe? Sai bene cosa direbbero: che dobbiamo concentrarci sull’università, invece di pensare ad uno stupido pappagallo! Direbbero che in fondo è solo un animale, e che non vale la pena di angosciarsi tanto; e alla fine concluderebbero con la classica frase ‘noi vi abbiamo mandate lontano da casa per studiare giurisprudenza, non per fare altro’ ”.
“Hai ragione: purtroppo per molte persone è difficile comprendere l’affetto che si può provare per un animale domestico, e mamma e papà non fanno eccezione. Pensano che solo perché Trilly non può parlare, allora non sia degna di considerazione; ma non è vero!”.
“Già. Ma adesso, come dovremmo comportarci, secondo te? Hai già qualche idea?”. Susanna guardò la gemella: quella ragazza, così identica a lei da sembrare quasi una sua alter ego, era anche l’unica che riusciva a capirla fino in fondo: era sicurissima che entrambe provavano le stesse cose, e che insieme avrebbero trovato la soluzione più appropriata, per quanto complicato potesse essere.
“Beh, è una scelta molto difficile: vorrei tanto non doverla prendere affatto. Però credo che … considerato lo scenario che ci ha prospettato il veterinario, la cosa più giusta da fare sia … l’eutanasia”.
“Cosa? Sei sicura di quel che dici? Ma … questo equivarrebbe ad ucciderla! E’ un assassinio! Chi siamo noi per decidere sulla morte di un animale? Non vuoi bene a Trilly?”.
“Certo che le voglio bene, Susi. Ed è proprio per questo che non voglio farla vivere in queste condizioni! Che vita è quella di un essere vivente che non può né mangiare né muoversi, che è apatico e non può fare tutte le cose che faceva prima di ammalarsi? Trilly tra qualche tempo, non vivrà, bensì esisterà e basta: chi siamo noi per prolungare la sua sofferenza? Sarebbe accanimento terapeutico; e quello è un atto puramente egoistico, non è per il suo bene!”.
Le due sorelle discussero tutta la sera; non smisero di farlo neanche quando iniziarono a prepararsi la cena. Erano entrambe consapevoli del fatto che il tema non era dei più semplici e che per la sua complessità  non aveva veri e propri pro e contro, ma nessuna delle due voleva recedere dalla sua posizione!
Solo poco prima di mettersi a letto raggiunsero una sorta di patto provvisorio: avrebbero regolarmente dato le medicine a Trilly, come il veterinario aveva ordinato loro di fare, e avrebbero preso la loro decisione dopo aver osservato ogni giorno il pappagallino, valutando le sue condizioni fisiche; quanto tempo sarebbe durata questa osservazione, però, nessuna delle due sapeva dirlo, perché in realtà, il solo pensiero che prima o poi avrebbero dovuto pronunciarsi su una questione tanto delicata le sviliva.

  
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