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Autore: Delilah Phoinix Blair    08/05/2014    6 recensioni
12 febbraio 2014
Il pianeta deve prepararsi ad una Terza Guerra Mondiale.
Tutti sanno che non è pronto, ma che è necessario.
Sarà una lotta per la libertà contro l'oppressione dell'uguaglianza ridotta ai minimi termini: il comunismo, così come lo conosciamo, non è una soluzione accettabile.
In questo fiume di sangue, un soldato e una ragazza troveranno il loro angolo di paradiso in Abruzzo per tenersi a galla l'un l'altra.
Dal testo:
"《Ti amo, piccola Dea.》 Dopo aver pronunciato quelle parole, accostò la fronte a quella di lei. La sua voce era una carezza.《Non con la consapevolezza che questa potrebbe essere l'ultima volta che i miei occhi incontreranno i tuoi. Non potrei amarti come meriti sapendo che la guerra potrebbe strapparmi a te in qualunque momento.》 Lo disse scandendo le parole lentamente, come a volerle imprimere sul cuore di entrambi. Fece una pausa accarezzando dolcemente quella pelle di porcellana con entrambe le mani ruvide e grandi. 《No, ti amo come se potessi davvero farlo per sempre.》
C'era qualcosa che stonava nelle lacrime amare che le piovvero dagli occhi, simili a frammenti del cielo in estate.
La loro estate."
Genere: Guerra, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Grazie a Yoshino, dancing, DarkViolet92, DreamerX, Soheila che hanno aggiunto la storia alle seguite.
Grazie a You are a little late che ha aggiunto la storia alle preferite.
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Take me where time does not exist.
 
 
Hemos perdido aún este crepúsculo.
Nadie nos vio esta tarde con las manos unidas
mientras la noche azul caía sobre el mundo.
 
 
C'è qualcosa di magico nei cerchi creati dalla pioggia nelle pozzanghere. Nel modo in cui quelle piccole lacrime colpiscono silenziose la pacifica superficie dell'acqua, increspandola solo per qualche istante prima di lasciare la scena alle loro gemelle in arrivo. Questo spettacolo è ancora più suggestivo quando la pioggia è quella estiva dalla consistenza infinitesimale, che ti inganna perchè sembra non esserci. Ma poi ti ritrovi a camminare per strada e in un attimo i tuoi capelli sono cosparsi di mille minuscole perle trasparenti e, quando chini il capo per proteggere il viso da quel dolce assalto, ti accorgi che quelle stesse perle turbano anche la quiete del pelo dell'acqua con piccoli cerchi argentei e ammalianti.
Nel mare è tutta un'altra storia. Quando arriva la pioggia il mare tira fuori la sua rabbia, quasi voglia dimostrare di essere più forte delle nuvole, così ricopre con nuove onde le sue stesse acque prima che qualcuno possa accorgersi delle ferite provocategli da quei proiettili precipitati dal cielo.
L'assalto più straziante è però quello contro le finestre. I rivoli di pioggia creati dalle gocce sul vetro impersonale e indifferente sembrano fare a gara per stabilire quale sia il più veloce. Vanno incontro impavidi al loro destino, senza sapere che una volta arrivati agli infissi delle finestre, alla fine della loro folle corsa, non sarà più possibile distinguerli sulla superficie fredda e marmorea dei davanzali. O forse lo sanno, ed è proprio la solitudine che provano all'idea di essere stati strappati dalle loro sorelle in cielo a spingerli a quell'ultimo folle gesto.
Afrodite guardava l'acqua scorrere contro la finestra della sua aula senza vederla davvero. Era il 3 giugno.
Nessuno aveva parlato della Festa della Repubblica del giorno precedente. Nessuno riteneva che l'Italia fosse ancora la Repubblica voluta da 12.718.641 dei loro 23.437.143 predecessori quei 2 e 3 giugno del lontano, non poi così lontano, 1946. Di quell'Italia, fondata sulla speranza di un nuovo inizio dopo la caduta del fascismo e l'esilio dei Savoia, non era rimasto nulla. Gli italiani erano troppo impegnati a coltivare ognuno il proprio orticello per accorgersi che il paese stava affondando. In ogni modo possibile. Economicamente, culturalmente, politicamente. Umanamente, nessuno guardava più in faccia chiunque gli camminasse incontro per strada. Perfino demograficamente: dal 2006 il numero delle nascite era inferiore a quello dei decessi; e più uno scendeva, più l'altro saliva. La gente moriva più spesso di quanto facesse l'amore.
Il 2 giugno Italiano veniva spesso accomunato al 4 luglio americano o al 14 luglio francese. Non c'è niente di più sbagliato: gli italiani non festeggiavano davvero la Repubblica e per gli studenti non era altro che un giorno come un altro per rimanere a casa a dormire.
Gli italiani non erano un popolo, ma soprattutto la loro non era una Repubblica.
In una Repubblica non si prendono decisioni come la rielezione del Presidente del Consiglio, l'entrata in guerra o il servizio militare obbligatorio senza che venga interpellato il popolo.
Afrodite aveva passato tutta la domenica e buona parte del lunedì a studiare in vista delle ultime due settimane di scuola, come al solito stracolme di verifiche scritte e orali di tutti quei professori con la terribile abitudine di ridursi sempre all'ultimo momento.
Fortunatamente le nuvole erano state dalla sua parte in quell'impresa, facendole il graditissimo favore di nascondere il sole alla sua vista, in modo tale che la voglia di uscire fosse ridotta al minimo.
Quel manto di piombo le risultava però pesante quanto utile: si sentiva oppressa da tutto quel grigiore che non la distraeva abbastanza dalle ultime parole di Marco. Da allora non aveva più avuto notizie da lui, così come anche il sole era scomparso dalla sua vita. Il cielo d'ovatta sporca la opprimeva, impedendole di respirare.
Si era gettata a capofitto nello studio per non pensare a Marco e a Paolo.
E a Ryan.
Il sottotenente aveva mantenuto la sua promessa: non l'aveva più visto da quel 19 maggio. Non da sveglia, almeno, perchè nei sogni il suo viso non aveva smesso di pararlesi davanti, le sue braccia non avevano smesso di avvolgerla in una stretta morbida, le sue labbra non avevano smesso di sorriderle maliziosamente e i suoi occhi, di quel miele screziato d'oro, non avevano smesso di scavarle dolorosamente l'anima.
Le giornate si erano susseguite tutte uguali. Se non fosse stato per le domeniche, Afrodite avrebbe giurato di aver vissuto undici volte lo stesso, noioso giorno.
Anche quel martedì mattina sarebbe stato identico a tutti gli altri se non fosse stato per la lezione di letteratura latina su Properzio. Stavano traducendo la settima elegia del secondo libro.
《Bene. Passiamo alla prossima frase. Chi vuole provare a tradurla?》 chiese la professoressa guardandosi intorno. Ovviamente nessuno si fece avanti e fu lei a dover decidere.
《Afrodite?》 disse alla fine la donna, vedendola con il viso rivolto alla finestra e la testa decisamente tra le nuvole. Era l'unica che chiamava per nome, visto quanto fosse particolare ed adatto alle sue materie.
La ragazza si riscosse e annuì, riportando la sua attenzione al libro di testo che si ritrovò davanti. 《Nullus de nostro sanguine miles erit.》 La voce le si spezzò quando si rese conto di cosa aveva appena letto. Alzo il viso verso la professoressa e la vide togliersi gli occhiali per stropicciarsi le palpebre con due dita, l'aria esausta. 《Nessun soldato nascerà dal nostro sangue》 tradusse flebile, scandendo lentamente ogni parola in modo da dare il tempo alla donna di riprendersi.
《Molto bene》 disse questa, dopo alcuni istanti, come tornando a respirare dopo minuti interi di apnea. 《Andiamo avanti.》
Afrodite però ormai non la ascoltava più.
Fu capace solo di scarabocchiare sul bordo del libro una frase dalla prima Ecloga di Virgilio che le era rimasta impressa: En quo discordia civis produxit miseros. Era una delle frasi dell'ultima battuta di Melibeo. Il pastore sta descrivendo all'amico Titiro di come gli siano state confiscate le terre a beneficio di uno dei veterani delle guerre civili che avevano dilaniato il periodo pre-augusteo.
Ecco dove la discordia dei cittadini ha portato i miseri.
 
***
 
 
《Hai notizie di tuo fratello?》
Da quando aveva visto Afrodite scappare sconvolta dalla cattedrale di San Cetteo e ricevere la terribile telefonata del fratello, Silvia aveva preso l'abitudine di fare con lei il tragitto fino a casa dopo la scuola, invece di prendere l'autobus come aveva sempre fatto. La scusa ufficiale era quella di godersi all'aria aperta quei primi raggi di sole estivo, ma in realtà sapevano entrambe che lo faceva per far sapere alla sua migliore amica quanto le fosse vicina in tutta quella situazione.
Afrodite le era profondamente grata, sia per l'affetto che le dimostrava con quei piccoli gesti che per la discrezione con cui li portava a termine.
Arrivava sempre, ogni giorno, un momento in cui veniva a crearsi tra le due amiche un certo silenzio e Silvia le porgeva quella domanda.
《Hai notizie di tuo fratello?》 le chiedeva con voce sommessa, come se pensasse che più alto fosse stato il suo tono, più quelle parole avrebbero fatto male alla ragazza al suo fianco.
Afrodite ogni volte sorrideva di un sorriso triste e sussurrava un "No.", come se pensasse che più alto fosse stato il suo tono, più quelle parole avrebbero fatto male alla ragazza al suo fianco.
Si puntellavano vicendevolmente nella mancanza di quei ragazzi così importanti per loro.
Però Afrodite non aveva avuto il coraggio di dirle di Ryan.
Si vergognava troppo dei nebulosi sentimenti che provava nei suoi confronti per parlarne con chiunque, anche con la sua migliore amica. Soprattutto con lei. Aveva paura di deluderla, lei che sapeva perfettamente quanto Paolo l'amasse.
Le due ragazze si sostenevano a vicenda, in quel modo silenzioso degli amici che non hanno bisogno di parole perchè il resto dice già tutto.
 
***
 
L'ultimo giorno di scuola non aveva risentito per nulla degli effetti della guerra: come sempre il liceo classico Gabriele D'Annunzio aveva organizzato un'assemblea d'istituto durante la quale le band del liceo si erano esibite in cortile sotto il sole cocente dell'estate pescarese alle porte; come sempre l'atmosfera era stata un misto di oziosità e agitazione; come sempre gli studenti avevano aspettato trepidanti il suono dell'ultima campanella; come sempre avevano tentato di urlare un conto alla rovescia durante gli ultimi dieci secondi che era risultato come sempre sfasato; come sempre tutti avevano abbracciato la prima persona sotto tiro, conosciuta o meno che fosse.
L'emozione era palpabile, come sempre, così come la spensieratezza.
D'altra parte all'italiano del XXI secolo non importa di cosa accade nel mondo, come sempre.
Così orde di studenti si erano riversate sulle scale del liceo, come sempre, e poi per le strade di Pescara.
Alla vista di quella ressa invalicabile di corpi sovreccitati Afrodite aveva sbuffato, scansandosi i capelli dal viso, come sempre, e Silvia aveva alzato gli occhi al cielo, a maggior ragione visto che quello non era un ultimo giorno di scuola come gli altri.
Afrodite ebbe l'ennesima dimostrazione della differenza di quell'anno dai precedenti nel momento in cui si accorse che qualcuno la aspettava all'uscita da scuola.
Come Paolo aveva fatto l'anno precedente.
Ma, allo stesso tempo, in maniera completamente diversa.
Indossava un paio di pantaloni color kaki ed una camicia verde scuro arrotolata fino ai gomiti che lasciava completamente scoperti i muscoli degli avambracci incrociati sul petto ampio, perfettamente fasciato dall'indumento. La guardava, con il bacino poggiato alla fiancata dell'auto e quello sguardo penetrante, impossibile da ignorare, che ormai Afrodite aveva imparato a conoscere.
Era esattamente nella stessa posizione in cui le era parso di vederlo quel 6 maggio.
Quella volta, però, non accennava a muoversi. La stava aspettando.
Così come aveva fatto Paolo l'anno precedente.
Fu troppo.
Liberò le iridi azzurre da quel miele colloso per riuscire a voltarsi e dirigersi nella direzione opposta a quella di Ryan, strattonando Silvia senza essere capace di darle una spiegazione.
《Didi, ma che succede?》 le chiese questa, seguendola a fatica nella folla.
《Da quella parte c'è troppa gente.》 Non era pronta ad un incontro tra la sua migliore amica e Ryan, non ancora.
《Ma che dici? Di qua non si riesce nemmeno a respirare》 osservò l'altra.
Afrodite non poteva negare che avesse ragione, ma la folla non faceva altro che offrirle un'ulteriore protezione dall'uomo che era venuto a cercarla.
Il problema era però quanto non fosse sicura di volerla, quella protezione.
Perchè era ormai quasi un mese che la sua mente oscillava tra ansia di avere notizie su Paolo e la speranza di incontrare Ryan tra le strade della città, casualmente o meno.
Si ritrovò a fermarsi bruscamente, così che Silvia finì per scontrarsi con la sua schiena.
《Ora tu mi spieghi cosa succede.》 L'espressione sul viso della mora era decisamente confusa.
《Non succede nulla!》 La voce le uscì più stridula di quanto si sarebbe aspettata.
《Ma chi vuoi prendere in giro, scusa?》 Il sopracciglio di Silvia ormai svettava in tutto il suo scetticismo.
《C'è una persona, dall'altra parte della strada》 ammise alla fine Afrodite con un gemito di frustrazione.
《E questa persona ti da dei problemi? Chi è?》 La preoccupazione della ragazza andava aumentando. 《Dannazione, Didi! Parla, su.》
《No, non mi da dei problemi, credo》 rispose a mezza voce.
Per tutta risposta l'amica sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
Proprio quando Afrodite stava per mettersi l'anima in pace all'idea di dover raccontare all'amica tutto ciò che era successo, si rese conto che la folla si era diradata abbastanza da permetterle di vedere Ryan, esattamente nella posizione in cui il suo sguardo l'aveva lasciato.
Era terribilmente bello, non riusciva più a distogliere lo sguardo.
Ed era lì per lei.
《Vì, fidati di me, è tutto a posto. Però mi sono resa conto di aver dimenticato una cosa in classe》 le disse per troncare il discorso, cercando di mascherare il nervosismo ravvivandosi i capelli con una mano. 《Tu, se vuoi, vai. Dovresti riuscire a prendere ancora l'autobus, io ci metterò una vita a convincere Croce a farmi salire.》
Infondo la scusa stava in piedi: Croce era un bidello rinomato per la sua pignoleria e ovviamente era proprio quello affidato al loro piano. Se Afrodite avesse davvero dimenticato qualcosa in classe non dubitava che lui le avrebbe fatto sudare le proverbiali sette camicie prima di permetterle di andare a riprenderla.
Proprio per questo, alla fine Silvia acconsentì.
《Però poi quando torni a casa mi chiami e mi spieghi chi c'era qui fuori.》 Il suo tono era categorico.
Afrodite annuì con convinzione, esibendosi in un gran sorriso che convinse definitivamente Silvia a dirigersi verso la fermata dell'autobus su Corso Vittorio, seppure titubante.
Una volta che la sua amica fu scomparsa dietro l'angolo, la ragazza si voltò verso la Gran Torino.
Avanzò verso Ryan lentamente, quasi senza badare alle macchine quando si trattò di attraversare la strada.
《Sei sicuro di essere americano e non svizzero?》 gli chiese una volta arrivata a portata d'orecchio.
《Avevo detto che ti avrei lasciata in pace finchè fossi stata impegnata con lo studio.》 Un sorrisetto strafottente si fece strada sul suo volto. 《Sei impegnata con lo studio?》
《Mi pare di no》 rispose lei, ridendo sommessamente.
《Quindi posso rapirti per questo pomeriggio?》
La vista le si oscurò per un attimo, ma tentò di ingoiare il groppo che le aveva chiuso la gola. Erano praticamente le stesse parole che le aveva detto Paolo l'anno precedente.
《Dipende.》 La sua voce fu un balbettio flebile, esitante.
《Da cosa?》 Vedendo la sua reazione, Ryan iniziò ad accigliarsi e le poggiò una mano sulla spalla.
Afrodite si riscosse a quel contatto.
Non dipendeva proprio da nulla, a quel punto.
Scosse la testa e si costrinse a scacciare tutti i pensieri tristi con un sorriso tenue. 《Dove andiamo?》
L'espressione sul viso di Ryan perse ogni traccia di arroganza e preoccupazione, dimostrando solo una grande esultanza.
《Prima di tutto a mangiare qualcosa!》 esclamò subito, scostandosi per aprirle la portiera.
 
Avevano impiegato mezz'ora per arrivare fin lì, ma ne era valsa la pena. Afrodite aveva chiamato i suoi genitori per avvisarli che non sarebbe tornata a casa, dicendo che avrebbe pranzato da Silvia.
In realtà era a Pineto.
L'agriturismo "La Rustìcola", dall'aspetto accogliente, presentava una facciata con mattoni a vista di un tenue giallo cotto dal sole. Sembrava la tipica casa disegnata dai bambini: la forma quadrata chiusa da un tetto a punta corredato di comignolo. L'unico elemento più complesso era il portico in legno che precedeva la costruzione, riscaldandola con il suo marrone scuro. Vi si arrivava tramite un sentiero di pietre levigate dai contorni irregolari, circondato da un boschetto di conifere.
Appena entrati vennero accolti da una cameriera sorridente e da un ambiente rustico e piacevole non meno di quello esterno: le pareti erano dolcemente dipinte di crema, abbellite da qualche stoviglia appesa, e si potevano vedere le travi e le assi in legno del soffitto.
《Avete prenotato?》 chiese la cameriera ai nuovi arrivati, guardando alternativamente Afrodite e Ryan.
《Veramente no, spero che abbiate comunque qualche tavolo》 rispose Ryan per entrambi, cercando di scandire il più lentamente possibile il suo inglese.
La cameriera sembrava essere comunque piuttosto confusa da quei suoni.
《No, non abbiamo prenotato》 tradusse per lei Afrodite.
La ragazza annuì, guardandola con riconoscenza.
《Siete fortunati, sono quasi le tre e si sono liberati diversi tavoli. Preferite stare fuori o dentro?》
《Fuori》 rispose immediatamente Afrodite, sorridendo a Ryan senza interpellarlo.
Conosceva la zona ed era fiduciosa sul fatto che la vista non l'avrebbe delusa.
Infatti non lo fece.
Sul retro, l'agriturismo si apriva ad un grande prato con una veranda più grande di quella anteriore dove prendevano posto alcuni tavoli. L'edificio sorgeva su una collina circa allo stesso livello della Torre di Cerrano, ma un poco più in alto, così da permettere la vista del maniero in lontananza circondato dai boschi. Tuttavia, proprio a causa di quegli alberi così suggestivi, non si riusciva a vedere la costa, che si trovava immediatamente dietro la torre.
《Peccato, pensavo si vedesse il mare》 disse Afrodite, sedendosi al piccolo tavolo e corrucciando lievemente le labbra, mentre Ryan si sistemava alla sua destra.
《Non ti piace il posto?》 le chiese subito.
《No, no! Non volevo dire questo》 si affrettò a rettificare. 《Il posto è splendido! Solo che pensavo fossimo abbastanza in alto da vedere il mare.》 Scrollò le spalle e le sue labbra si aprirono in un sorriso bellissimo alla vista del viso di Ryan affianco al profilo del castello. 《La vista della torre è bellissima, ci eri mai stato?》
《Solo con altri soldati》 le rispose, ammiccando maliziosamente.
《Cosa vi porto da bere?》 La cameriera si ripresentò da loro quasi subito con i menu.
Afrodite tradusse a Ryan.
"Devo insegnargli qualcosa in italiano." Si ritrovò a pensare con un sorriso, vedendo la sua espressione concentrata nel captare informazioni comprensibili.
《Vino?》 Più che un'affermazione sembrava una domanda.
《Devi riportarmi a casa dopo, sottotenente》 gli ricordò Afrodite in inglese, ridendo.
《Sono in grado di reggere un bicchiere di annacquato vino abruzzese, bambina.》 Ryan alzò gli occhi al soffitto con quelle parole.
La cameriera li guardava alternativamente, come se stesse seguendo una partita di tennis.
《Posso tornare tra poco...》 iniziò, titubante.
《No, non si preoccupi! Decidiamo subito》 la interruppe subito Afrodite.
Tornò a rivolgere l'attenzione su Ryan solo per rispondergli a tono. 《Se non avessi paura per la mia incolumità prenderei una bottiglia di rosso Zaccagnini!》 disse sporgendosi sul tavolo verso di lui con gli occhi assottigliati in due fessure.
Quel suo tentativo di risultare aggressiva fece ridere entrambi, ma agli occhi dell'uomo la rese solo più adorabile.
《Prendiamo un bottiglia d'acqua》 concluse lei in italiano, volgendosi verso la ragazza in piedi, ancora ridendo.
Quest'ultima appuntò l'ordinazione sul taccuino e li lasciò soli con un sorriso.
《Cos'hai preso?》
《Acqua!》 Il tono di lei trasudava ovvietà.
《Ma come?》 le chiese allora, ridendo. 《Cosa me l'hai chiesto a fare?》
《Non so, per vedere se eri d'accordo con la decisione che avevo preso.》 Anche lei lo seguì in quella risata.
《Cosa ordiniamo? Su questo hai carta bianca, purchè sia tipico.》 Ryan teneva la testa sulle dita intrecciate con i gomiti piegati sul tavolo, come se fosse in attento ascolto.
《Io direi un antipasto di salumi e formaggi, qui in Abruzzo siamo ossessionati dal pecorino, un assaggio di mugnaia al sugo e arrosticini》 elencò senza esitazione.
《Cos'è la mugnaia?》 Il suo bel viso appariva perplesso.
《E' un tipo di pasta tipico, sono una sorta di spaghetti spessi fatti a mano, quindi irregolari. E' buono fidati!》 concluse con entusiasmo.
《E gli arrosticini?》
《Spiedini di carne di pecora arrostiti alla brace.》
《Allevate altro al di là delle pecore?》 Il suo tono era evidentemente derisorio.
《Siamo un popolo di pastori! Sai, "Settembre andiamo, è tempo di migrare. Ora in terra d'Abruzzo i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare."?》 si giustificò Afrodite stringendo il petto, ancora scosso dalle risate, nelle spalle.
《Chi l'ha detto?》 le chiese con interesse.
《D'Annunzio, era pescarese e aveva case sparse un po' ovunque nella regione. Amava molto la sua terra, anche se poi come poetica può piacere o meno.》
《A te piace?》
《Nella prosa non molto, però in versi riesce a creare belle immagini.》
Ryan la guardava rapito mentre parlava.
Solo l'arrivo della cameriera riuscì ad interrompere quel dialogo di sguardi teneramente intrecciati alle parole.
 
《Io direi che possiamo andare》 disse Ryan una volta che ebbero finito di mangiare, alzandosi da tavola.
Afrodite lo guardò per un attimo spaesata. Non si era accorta del tempo trascorso. Tra risate, chiacchiere e le buffe difficoltà dell'uomo nel mangiare la mugnaia senza schizzare sugo ovunque si erano fatte le diciotto e trenta. Non voleva tornare subito a Pescara, tant'è che si alzò lentamente, gettando un'ultima occhiata nostalgica alla torre prima di rientrare nell'agriturismo.
《Non guardarmi con quegli occhioni tristi da cucciola, non ho intenzione di riportarti a casa ancora per un bel po'.》 Ryan si era portato dietro di lei dopo averle tenuto la porta aperta mentre rientrava e le aveva sussurrato quelle parole sfiorando quasi la sua guancia con la propria, tanto era vicino al suo orecchio.
Quella voce così bassa e vicina aveva scosso completamente la colonna vertebrale di Afrodite.
Ryan pagò per entrambi nonostante le lamentele e le insistenze della ragazza e tornarono fianco a fianco alla macchina.
《Quindi dove mi porti?》 gli chiese curiosa, mentre lui metteva in moto e utilizzava il suo sedile come appoggio per voltarsi e fare marcia indietro.
《In un altro bel posto, ovviamente. Solo bei posti per le piccole dee》 rispose con un sorriso, tornando a guardare la strada davanti a se.
Afrodite si ritrovò a ridere, abbandonandosi fiduciosamente alla sensazione di rilassatezza donata dalla natura che li circondava. Ryan aveva abbassato la capote della Gran Torino, così il vento ormai estivo le accarezzava i capelli in una coccola dolcissima mentre si godeva quei momenti con il capo reclinato sullo schienale e lo sguardo rivolto al suo gemello, il cielo.
《Sei così innocente, così pura.》 La voce di Ryan ruppe quel silenzio leggero, carica di un'ammirazione tormentata.
《Io non mi sento così innocente.》 La risposta arrivò accompagnata da un sorriso ironico e allo stesso tempo colpevole.
《Perchè mai?》 domandò incredulo.
《Perchè...》 Afrodite si interruppe ed abbassò lo sguardo sull'uomo al suo fianco, che stringeva il volante fino a farsi sbiancare le nocche senza concedersi più di guardarla. 《Nulla》 concluse alla fine la ragazza, non volendo rovinare quel pomeriggio con le sue confuse elocubrazioni.
Ryan a quel punto la guardò interdetto, come a volerle chiedere spiegazioni, ma dovette vedere qualcosa nei suoi occhi che lo spinse a rimandare il discorso ad un altro momento perchè le sorrise comprensivo e lasciò correre.
《Siamo arrivati》 disse d'un tratto, spegnendo l'auto.
Afrodite non si era accorta di nulla, troppo persa nella contemplazione del suo profilo concentrato forse nel fare ipotesi su cosa le passasse per la testa.
Si guardò intorno e riconobbe immediatamente quel parcheggio quasi desolato.
《Adoro questa spiaggia!》 esclamò Afrodite uscendo dall'auto con slancio e dirigendosi verso il sentiero che portava al litorale. 《Non vieni? Dai Ryan, si sta facendo tardi!》 lo chiamò voltandosi verso di lui ma continuando ad avanzare come prima.
《Comincia a scappare, biondina. Ora che ti raggiungo vedrai》 le rispose nel seguirla, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
《Non riuscirai a raggiungermi, sei troppo vecchio!》 lo canzonò ridendo, poi gli volse le spalle per riuscire ad allontanarsi più velocemente. 《E poi sei un forestiero!》 concluse, scendendo nella boscaglia che si chiudeva sul sentiero.
《Questo non avresti dovuto dirlo!》 lo sentì dire, mentre si toglieva le ballerine per avere più libertà di movimento.
Ricordava la spiaggia, con la sua famiglia c'era stata diverse volte, eppure si scoprì impreparata a ciò che la aspettava dietro quell'intrico di alberi.
Si trattava di una lingua di sabbia spalmata al limitare della vegetazione e dolcemente accarezzata dalle onde placide della sera. Sul bosco si stagliava l'immagine della torre, dietro la quale iniziava a sparire il sole, irradiando nell'atmosfera una luce rossastra che evidenziava con un soffice rosa i contorni delle nuvole basse sul mare.
《Ti ho presa, Afrodite.》 sussurrò Ryan al suo orecchio, poggiandole il mento su una spalla e stringendole delicatamente le braccia in vita. 《Andiamo a sederci lì?》
Lei annuì senza parole davanti a quello spettacolo.
Il posto che le aveva indicato era un albero piuttosto grande che, con la sua chioma, proteggeva l'area sottostante dal resto della vegetazione, creando una specie di grotta verde al riparo dal vento fresco che iniziava ad alzarsi. Si sedettero a ridosso del tronco, uno affianco all'altra.
Lei, la testa poggiata sulla spalla dell'uomo, disegnava con le dita ghirigori immaginari sul braccio forte che la circondava ed altri nell'aria con le parole. Si raccontarono tutto ciò che era successo in quell'ultimo mese di lontananza e, prima che potessero accorgersene, il sole era tramontato ed il tempo a loro disposizione era finito.
Era giunto il momento di tornare alla vita reale.
 
 
 
 
NDA
Il titolo è tratto da una poesia di Herman Hesse, Hold my hand, mentre la citazione a inizio capitolo significa "Abbiamo perso anche questo crepuscolo. Non ci ha visti nessuno sta sera con le mani unite mentre la notte blu cadeva sul mondo."
Soprattutto la seconda mi sembrava molto adatta alla gita fuori porta (cominciate ad abituarvi) che fanno Ryan e Afrodite. Per quanto riguarda il titolo... Beh, è il motivo per cui Afrodite acconsenta a seguire Ryan: vuole andare in un posto dove il tempo ed i problemi della guerra e della vita incerta di Paolo non esistono. Non giudicatela, è una situazione difficile. Tra l'altro Ryan e Afrodite non sono innamorati! Ci tengo a chiarirlo perchè detesto gli amori campati sul nulla. Si stanno semplicemente tenendo compagnia. Lui è attratto dalla sua innocenza e la sua bellezza e riesce a farla sentire bene.
Lo so che la descrizione che faccio del popolo italiano può risultare pesante e poco gradevole. E' ovvio che ci sono anche eccezioni come Afrodite e Silvia, ma non me ne vogliate se ritengo che la stragrande maggioranza manifesterebbe più emozioni alla fine della scuola che allo scoppio della terza guerra mondiale perchè è così che funziona: quanti adolescenti si preoccupano di politica estera, ma anche interna? Tutti sappiamo che la percentuale è preoccupantemente bassa.
Vi rendo partecipi del fatto che "La rustìcola" esiste davvero ed è un posto bellissimo (si mangia anche bene!). La descrizione è quanto più fedele possibile alla mia esperienza alla Torre di Cerrano :) Anche la spiaggia è davvero così come la descrivo:
 
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Mentre questa è la vista dall'agriturismo:
 
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Aggiornerò entro giovedì 22 maggio. Scusatemi per il ritardo clamoroso di questo capitolo ma è davvero un periodo folle questo, non ho mai tempo per fermarmi e mettermi seriamente a scrivere!
Un abbraccio fortissimo, grazie a tutti! Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va :)
Delilah <3
  
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