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Autore: kanagawa    08/05/2014    1 recensioni
Fujima possedeva un tipo di compostezza differente dalla sua. In lui, allo stesso tempo della bonaccia, si agitava qualcosa dentro. Un fremito di fiamma. Una tempesta che poteva liberarsi solo su consapevole ed esplicito invito. Un teatro delle crudeltà e delle abluzioni, questo era il suo campo di basket. E l’esaltazione che ne traeva era il solo trono ambito.
Fujima era un’essenza di libertà dispiegata.
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Attenzione: questa storia non è MAI stata betata, non leggete se la cosa vi disgusta. Aggiunto breve epilogo con recenti correzioni.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akira Sendoh, Kenji Fujima, Shinichi Maki, Toru Hanagata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ormai l’equilibrio si era inclinato. Il rapporto tra loro si era posato su un filo sottile, un leggero vento, un grammo di peso fuori posto, un’esitazione, e sarebbe precipitato. Fujima era contrito. Era riuscito a calibrare le parole, ma non le reazioni del corpo. Proprio lui, che era un atleta eccezionale. Ma questo non era il suo campo, ora si trovava nel territorio di kyomi, paradossalmente clandestino.
Il giudizio finale tardava, tuttavia, ad arrivare.
Possibile che quell’azzardo gli fosse costato definitivamente la fiducia della ragazza?
Mettendo distanza a quell’episodio, iniziò a meditare obiettivamente. Si assumeva la responsabilità del gesto avventato, ma quella notte a Hiroshima c’era qualcos’altro che li divideva. Una fessura apertasi nella loro stretta.
Insieme potevano discorrere di assunti altisonanti, di corrispondenze metafisiche, e le loro menti fluttuavano in alto incrociandosi: una sensazione che somigliava vagamente a ciò che avvertiva sempre in campo, accanto a Hanagata. Ma lui si rese conto di non conoscerla affatto come individuo. Fujima si chiese le ragioni di una tale inspiegabile attrazione, al di là di qualunque definizione, temporale o materiale. Era un aspetto di se che non aveva mai considerato.
Un giorno, dopo la pioggia, si decise a recidere la tensione di quella calma piatta.
Uscì prima dagli allenamenti, senza una spiegazione per i suoi giocatori, e attese Kyomi. Hanagata lo guardò con aria di intesa, sapeva meglio di chiunque altro le sottili implicazioni delle sue pene. Nel parcheggio coperto per le biciclette, kyomi stava asciugando il sedile. Mentre la spingeva all’indietro per uscire, Fujima le apparve. Lei sembrò trasparire di una lieve insofferenza. Girò la bicicletta, ma lui le si parò davanti. –Scusa, ma vado proprio di fretta … - Capo chino nascosto tra i lunghi capelli. –Avrei bisogno di parlarti.- Le fece deciso. Ma lei ribatté. –Non penso sia un argomento di interesse reciproco, per cui … credo che dovresti riordinare le tue priorità, in questo momento.- Strinse il manubrio e fece per avanzare.
Fujima, inamovibile sulle proprie posizioni, mise la mano sulla sua, arrestandola. Afferrò il dorso esercitando una certa pressione. Kyomi sollevò lo sguardo e venne sorpresa dal suo: severo, vi si infrangeva un riflesso di indignata collera.

-Sono innamorato di te. –

La bicicletta cadde da un lato. Sul polveroso giaciglio, le ruote continuarono a girare lentamente.







Il fantasma finalmente apparve. Ora era reale. E Kyomi ne fu sopraffatta.
Tutti i 7 secondi precedenti la caduta della bicicletta la tormentarono innumerevoli volte. Passò l’ultima ora delle lezioni pomeridiane con la testa piantata sul palmo destro, mentre ammirava sospirando il lucernario. Venne ripreso dall’insegnante. La perfezione fatta a studentessa e il suo primo rimprovero.
Mikagi non poté ignorare questo segnale. Si inchiodò ferrea e non la lasciò tornare a casa, finché lei non confesse.
-Quindi era successo qualcosa a Hiroshima.- Per discrezione non chiese nulla al suo ritorno, sapeva che l’argomento la metteva a disagio. Ma Mikagi ne fu sbalordita ampiamente. –Chi si immaginava una scelleratezza simile da Fujima … Sempre così impeccabile, disumano, quasi come te. - Che fine aveva fatto tutta la sua ammirazione? Mikagi si convinse sulla serietà del ragazzo. –Non ti stai comportando bene, Kanako. Dovresti dargli una risposta.- Un consiglio molto giudizioso, ammise kyomi.
Non era per cattiva condotta se aveva lasciato aperta la questione. Non era riuscita a liberarsi da quell’abbraccio e ne avrebbe avuto la forza di rifiutarlo, ma non poteva approdare su questa riva. Non poteva.
Mikagi non disse altro. Con un lieve ritardo, ora aveva compreso.



Fujima aprì le doppie ante della terrazza. In cima alla scuola, l’aria era tersa ma fredda. La coltre di nubi fitte pesava su di loro, un manto sospeso tra il grigio e un incerto bianco. Tempo che minacciava neve. I radi alberi del campo all’aperto erano ridotti a scheletri. Se c’era un tramonto, non uno sguardo umano lo avrebbe scorto.
Una figura sottile cinta in alto da una cascata di capelli scuri. Il vento passava attraverso i suoi fili interminabili, invitandoli a ondeggiare con esso. Mani sulla ringhiera, si voltò. Occhi ancora lontani che riflettevano il paesaggio ammirato. Velata da un indefinibile tedio, il volto della ragazza si diluiva nel cielo pomeridiano. Gli sorrise.
-Non posso fare a meno di scusarmi. – Fujima rinviava il contatto visivo fissando giù, al campetto, dove vedeva i suoi ragazzi correre con il gelo in faccia. –Ti dissi di non volerti mettere con le spalle al muro, ma ho mancato alla promessa fatta. - Ora avevano superato le matricole del club di calcio, forse c’era una disputa in corso … -Non ho potuto nasconderti ciò che a parole posso esprimere solo goffamente. E certamente ne sei rimasta offesa.- Da laggiù Hanagata direzionò gli occhiali verso alto, sulla fiancata della terrazza vide due figure ergersi. –Forse, io, penso tuttora di trovarmi in quel sogno. -
La carezza della sua voce, la temperatura del suo corpo in un punto imprecisato dello spazio, gli occhi sorti dalla notte profonda, circondati da vaporose evanescenze uscivano dalle segrete della memoria, lo condussero da quella che era una dimora temporanea, poiché ella coabitava i differenti spazi nella coscienza del ragazzo. Ora la inseguì con lo sguardo, timoroso che quell’immagine potesse errare altrove.
-Questi sono i miei sentimenti. Ti prego di accettarli. -




Fujima ritornò agli allenamenti e li finì con dedizione. Ultimo a lasciare la palestra, spense tutte le luci. L’aria blu della sera pareva sgorgare dai suoi occhi, il freddo del primo inverno era più dolce nel calare della luce. La cartella su una spalla, si avviò verso il cancello.
-Salve, capitano. – Una ragazza dai ricci castani sembrava lo avesse aspettato. Fujima rimase interdetto. Il viso era familiare. -Ti ho già vista ai campionati … Ma certo, Sei Mikagi, vero?- -Ti ricordi bene. – Gli fece un gran sorriso. Abbassò la testa. –Ti spiace se facciamo la strada insieme? Vorrei parlarti di Kanako. - Lui acconsentì.
-Come è andata, allora?- Fece lei schietta. Mikagi non ebbe modo di conoscere l’esito del suo incontro con Fujima quel pomeriggio. Messa alle strette, era stata sempre sua abitudine scappare prima ed evitare gli interrogatori. Fujima fu sorpreso da una domanda tanto diretta. Non comprese subito, ma trattandosi di un’amica di Kyomi, non poteva che essere una cosa sola.
-Sono stato scaricato.-
Un timido sorriso gli passò sul viso. Mikagi lo guardò tra due ricci ribelli, le dispiacque per quel viso sereno che, vinto dalla sincerità, fece trasparire un velo di tristezza.
–Lo immaginavo.- Gli confessò. –Ma speravo che almeno tu ci potessi riuscire … - Si fermarono al semaforo. Mentre le macchine partivano, pochi centimetri alla volta nel traffico, Mikagi riprese. –Ormai conosci anche tu la sua testardaggine, e forse è anche vero che gli altri ragazzi finora non erano stati alla sua altezza. Ma questa volta era diversa. Fu la prima volta che Mikagi notò un vero turbamento nella sua amica. Che il motivo fosse il capitano della squadra di basket lo aveva solo intuito, ma ebbe presto la conferma. –Io, speravo che almeno con te Kanako si sarebbe aperta. E quando la vidi incitare la squadra durante gli inter-high, seppi che tu potevi avere una chance. - Lei non era capace di capire fino in fondo la sua amica, i sedimenti nel suo cuore erano preclusi a chiunque. In tutti questi anni non poté che preoccuparsi , osservandola divenire sempre più cinica e distaccata. Kyomi che mirava alla perfezione in terra, innalzandosi man mano verso le vette dell’assoluto, prima o poi avrebbe raggiunto se stessa. Mikagi assisteva inerme e si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lei quando avrà consumato tutte le mete che una vita ordinaria avrebbe compiuto nell’arco di un lungo secolo.
-Io e lei ci somigliamo molto, ma la similitudine non permette di vedere l’altro al di là dei propri limiti. Probabilmente, io sarei stato solo un peso per lei. -
-Per queste cose ci vuole tempo.- Gli diede un leggero pugno sul braccio, senza fare troppi complimenti. –Ma è proprio a questo proposito che ho voluto parlarti. – Mikagi emise un lungo sospiro. –Che tu ci creda o no, voi due non vi somigliate affatto. E non è per questo motivo che Kanako si è interessata a te … Anch’io, l’ho capito solo da poco.- La ragazza sfiorò con gli occhi i fili elettrici che cucivano i pali tra i colori accesi dei neon delle insegne galleggianti nel buio. Era ora di cena.
-Lei è orfana da quando aveva 7 anni. –

Un camion li passò accanto sfrecciando, i fari abbagliarono gli occhi del ragazzo, un giallo accecante. L’offuscamento scomparve presto, lasciando una striscia di contrizione in lui. - Facevamo le elementari insieme, ma ai primi tempi, lei non frequentava molto la scuola. Suo padre era un diplomatico, lavorava come portavoce del governo giapponese e viaggiava molto spesso. Kanako fin da piccola seguiva il padre in giro per il mondo.
Devi sapere che Kanako non ha mai conosciuto sua madre, che morì dandole alla luce. Ma nonostante questa mancanza, lei sembrava felice. Aveva creato un rapporto esclusivo con suo padre. Era un uomo eccezionale, elegante e dal portamento impeccabile, e sua figlia ne doveva essere molto orgogliosa.
Ma un giorno, il signor Kyomi morì in un incidente. E lei rimase sola al mondo. Fu affidata a dei parenti che non aveva mai visto, dei perfetti sconosciuti. Fu un trauma troppo grande da poter verbalizzare, e da allora, non parlò più con nessuno. - Mikagi gli raccontò anche di quando picchiò degli alunni della quinta che la prendevano in giro e fu sospesa per cattiva condotta. Con tono ilare cercò di risollevarlo un po’, ma lui rimase serio.
Ci volle molto tempo. Kyomi era taciturna, ma Mikagi le voleva bene lo stesso. Un giorno, all’improvviso, aveva cominciato a studiare e prendere voti sempre più alti, tra l’incredulità delle maestre e l’ammirazione dei compagni. –Sai di che genere di cambiamento parlo, no, Fujima? - Una bambina imbronciata dalle doti straordinarie che con un inspiegabile accanimento era diventata ciò che ora tutti riverivano.
-Kanako non ha mai elaborato il lutto del padre. Lei, tuttora, insegue disperatamente la sua schiena. Come fosse un rituale, si veste di ineccepibili talenti incarnando l’immagine di suo padre, cercando di riportarlo in vita. Ma questo, lei non lo poteva dire a nessuno.-
Avvilito, Fujima comprese la malinconia di Kyomi. Lentamente, nella sua mente, diede forma a quella fessura che lacerando in profondità era riuscito a tenerli lontani, quella notte a Hiroshima. Ma c’era ancora un punto oscuro. Sfiorò l’enigma, ma non osò varcare la soglia. Dissimulando, provò a domandare, -Pensi che le abbia fatto del male?- Mikagi si fermò. Erano a un bivio. Gli rivolse uno sguardo limpido, trascendendo ogni dubbio. –Sei astuto, Fujima. Te ne sei già accorto.-
-Tu … - E lei sorrise. –Somigli molto a suo padre.-
  
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