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Autore: Iaiasdream    09/05/2014    4 recensioni
IN REVISIONE
I sogni, chi può vivere senza? Non riesco proprio ad immaginarmelo. Possono essere: dolci, lugubri, nascondigli per i tuoi più profondi pensieri, ma fanno sempre parte di te, rappresentano l’io di una persona, e anche se non si vuole credere, loro sono inevitabili... rieccolo lì, il mio passato. Arciere che scocca la freccia nel mio punto debole: l’inconscio. Di sicuro è lui che lo manovra. Lui, con quegli occhi taglienti e beffardi, con quel sorriso strafottente, disegnati su un viso irresistibilmente affascinante, è ritornato repentinamente a invadere la mia vita, lui artefice della sofferenza che mi aveva imprigionato per un po’ di tempo. Perché stava ricomparendo senza alcun pudore? Perché ricordarlo in quegli atteggiamenti? Che cosa vuole da me dopo tutti questi anni, che non sono molti ma, ancora oggi mi sembrano un’eternità?
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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33° capitolo: RITORNO AL PRESENTE
 



Non riesco ancora a capire perché i miei ricordi si siano fermati a quel giorno. Eppure ce ne sono stati altri prima che tutto fosse accaduto. Forse perché ogni volta che ci ripenso, mi fermo a riflettere chiedendomi che cosa sarebbe successo se avessi chiesto a Castiel di continuare la frase, che interruppe in tempo. Ma del resto, a cosa sarebbe servito? A farmi soffrire ancora di più. Dal giorno di quel tragico episodio, l’unica cosa che avevo capito su Castiel è che mi aveva tradito solo per mantenere nascosto il suo più peggiore segreto. Non aveva avuto pietà dei miei sentimenti, non aveva pensato a me, si era solo comportato da perfetto egoista, e io come una scema, ci sto ancora pensando per rendermi la sofferenza ancora più intensa. Ancora oggi mi chiedo se lasciarlo e ritornarmene nel mio paese dopo gli esami, è servito a qualcosa. “Certo che no, idiota… guarda fuori dal finestrino, stai ritornando nella tana del lupo!”.
Ho un senso di voltastomaco nel guardare il paesaggio, fuori dal finestrino del treno, scorrere velocemente ai miei occhi. Mi volto verso Kim, seduta di fronte a me, che schiaccia un pisolino indisturbata. Violet, invece accanto a me, mantiene fra le mani un blocco da disegno e sta facendo qualche schizzo.
<< Cosa disegni? >> chiedo guardando i suoi movimenti.
<< Una fata >> mi risponde arrossendo imbarazzata. Le sorrido, poi ritorno a guardare il finestrino, appoggio la tempia sinistra sul freddo vetro e guardo la via che percorre il treno. La prima cosa che si specchia ai miei occhi è il vasto lago, che si prepara a darmi il ben tornata, raccogliendo su di esso i raggi del sole e brillando in tutto il suo splendore. Sorrido malinconica. Quanto mi è mancato quel lago, fu il primo a conoscermi tre anni fa, e ancora il primo a rincontrarmi dopo tutto questo tempo, rammentando che quel giorno oltre al lago conobbi anche il mio primo grande e sofferente amore. Vedendo all’orizzonte estendersi le case del piccolo paesello, inizio ad avere un senso di ansia che si tramuta in nausea. Chiudo gli occhi cercando di respirare a fondo, con la speranza che il mio cuore si tranquillizzi. Riapro gli occhi di scatto sentendomi toccare la mano che tengo chiusa in pugno, è Violet, che mi guarda sorridendo.
<< Va tutto bene? >> mi chiede con voce flebile. Annuisco ricambiando il sorriso. Un “din don” riecheggia nell’aria avvisando l’arrivo al paesello. Kim si sveglia di soprassalto, guardandosi attorno smarrita e dandosi una stiracchiata.
<< Siamo arrivate? >> chiede, grattandosi la testa.
<< Sì >> rispondo alzandomi << Prendiamo le valige >>.
Dopo qualche minuto ci ritroviamo in stazione, incamminandoci verso l’uscita. È quasi mezzogiorno, e il paesello è un po’ deserto. Mi guardo intorno accorgendomi che non è cambiato assolutamente niente.
<< Allora, che si fa? >> chiede Kim lasciando cadere il suo pesante borsone per terra, << andiamo a mangiarci un boccone, oppure andiamo a trovare la preside all’ospedale? >>
<< Nessuna delle due >> rispondo io decisa << Prima voglio incontrare una persona >>.
Kim e Violet si guardano incuriosite e un po’ dubbiose.
<< Cos’avete capito?... zia Michelle! Non l’ho avvisata e voglio farle una sorpresa >>. Detto questo inizio ad incamminarmi verso il negozio di Cosplay, seguita dalle mie due amiche.
Giunte lì, non entro, mi fermo a guardare l’interno della vetrina occupata da manichini vestiti da guerriere Sailor. Scruto attentamente per vedere se c’è qualche cliente, non voglio disturbarla, per fortuna non c’è nessuno, mi reco alla porta e apro. Ad annunciarmi e il trillo del campanello attaccato alla porta. Zia Michelle alza lo sguardo incuriosito, che a poco a poco si tramuta in sorpresa e alla fine in gioia.
<< Ciao zia >> dico trattenendo le lacrime. La vedo saltare da dietro il bancone, allungare le braccia in avanti, e precipitarsi verso di me piangendo e ridendo allo stesso tempo. Mi abbraccia stringendomi forte.
<< Oh, Rea! >>
<< Zia, mi stai stritolando >> dico soffocata. Lei mi lascia e mi tira un lieve schiaffetto sulla fronte. << Ahi! Ma cosa ti è preso? È questo il tuo modo di darmi il ben tornata? >>
<< E lo chiedi anche?... quattro anni senza farti sentire per niente! >>
<< Zia sono tre >>
<< Non cambia nulla!... perché non hai risposto alle mie chiamate e messaggi? >>
<< Zia, ho lavorato molto in questi anni e non volevo avere distrazioni >> rispondo dispiaciuta.
<< Ah, adesso sono diventata una distrazione? >>
<< Ma no! Che dici? Non intendevo questo >>
<< E allora perché sei ritornata? >> chiede ancora.
<< Zia Camille ha avuto un incidente >>
<< E sei venuta per lei? >> ribatte sbigottita << Dov’è finito tutto il tuo astio per quel gangster? >>
<< Non ti preoccupare, è ancora conservato nei meandri del mio cuore >> ammetto sorridendo sarcastica.
<< E allora? >> chiede incuriosita.
Non rispondo, prendo la lettera dalla borsa e gliela porgo. Lei l'afferra un po' titubante, e si mette a leggere.
<< Wow, ti ha messo come primo nome nella lista. Ti vuole tanto bene >>
<< L'ha fatto apposta! >> esclamo irritata << altro che bene. Sa che non avrei mai accettato, e ha messo l'obbligo. Anche se può essere assurdo, non si può mai sapere che cosa può passarle per quella mente malata. Non voglio immaginarmi cosa avrebbe fatto se non avessi accettato >>.
Zia Michelle mi guarda sott'occhio, poi mi riporge la carta e ci invita al bar a prendere qualcosa. Kim e Violet, decidono di lasciarci sole, e ne approfittano per andare a trovare i loro genitori. Michelle e io ci dirigiamo al bar, rimaniamo in silenzio, ma sappiamo entrambe che non possiamo tenerlo lontano dai nostri ragionamenti per sempre. Non ho assolutissima intenzione di chiederle se sa qualcosa su di lui. Non voglio sembrare interessata. Non mi interessa. Sono passati tre anni e non ho voglia di pensare a lui durante quest’indefinito tempo che passerò  qui. Il mio amore per lui è passato, ce ne ho messo un po', ma è passato.
Ah-ah-ah... Ma a chi vuoi darla a bere?... Se è veramente passato, allora perché quando, quello schianto di nipote di Happosai ti chiese di uscire insieme, rifiutasti per non sentirti in colpa nei confronti del rosso?... Fai veramente pena! Idiota che non sei altro!... Smettila! Non fu quello il motivo!... Ah no? Allora, genio, trovami un'altra scusa plausibile...
Sto per rispondere com'è d'ebbio al mio fastidioso avatar mentale, quando mia zia prende la parola chiedendomi che intenzioni ho con quest'incarico che la vecchiaccia mi ha dato.
<< Lo seguirò, d'altronde, mi sono sempre chiesta come fosse la vita da dittatrice scolastica >> rispondo rivelando un ghigno beffardo.
<< Non voglio dire questo >> ribatte Michelle facendosi seria in volto.
<< Cosa, allora? >> chiedo, facendo finta di non aver compreso.
<< Sai che ci sarà anche lui? >>. Annuisco senza tralasciare il minimo spiraglio di emozione. << Non vuoi sapere niente, di cosa è successo dopo la tua partenza? >>
<< Zia, voglio essere sincera, almeno con te. Se ti dicessi di sì, significherebbe che i miei pensieri sono ancora rivolti a lui, e che questi tre anni di lontananza, non sono serviti a niente. Mentre, se rispondessi di no, so che mentirei. Quindi preferisco non parlarne >> ammetto iniziando a tremare.
<< Come vuoi >> risponde mia zia, voltando il viso da un'altra parte << lascia però che ti dica una cosa: non mi hai mai voluto spiegare il motivo per cui lo lasciasti, e io per rispetto nei confronti dei tuoi sentimenti, non ti ho più fatto domande a riguardo. Hai passato gli ultimi mesi di scuola prima degli esami, in casa, senza voler vedere nessuno, per poi scappare nel tuo paese  dopo gli esami. Non voglio fare una ramanzina sul tuo comportamento. Ma voglio strapparti una promessa, che qualunque cosa succeda, questa volta non scapperai come una codarda, ma affronterai il destino da coraggiosa. Promettimelo, Rea >>
<< Zia, se sono qui, è perché ho accettato la sfida contro il fato >> esclamo decisa e sicura di me stessa. Zia Michelle mi sorride, dandomi due pacche sulla spalla.
Allora è così che sono sembrata, una codarda? Infondo devo ammettere di esserlo stata. Come posso dimenticarmi quel giorno? Non gli diedi neanche il tempo di difendersi… e cosa avrebbe dovuto difendere? L'evidenza era talmente schiacciante. Non doveva farmi una cosa del genere, solo per nascondere quel segreto. Se me lo avesse confessato dall'inizio, io lo avrei capito, ma sapevo che non poteva cambiare le cose, che lui non sarebbe stato più mio. Forse dovrei chiedere qualcosa a zia, solo lo stretto necessario. Ammetto che la curiosità mi sta divorando il cervello.
Mentre rimugino ancora sul mio passato, lo squillo copioso del mio cellulare mi riporta al presente, è Kim.
<< Kim? >>
<< Rea, dove sei? >>
<< Al bar accanto il negozio di mia zia >>
<< Allora ti raggiungiamo lì. Ho chiamato Nathaniel per avere qualche informazione, e mi ha detto che per le tre dobbiamo presentarci in ospedale. Tua zia vuole parlarci >>
Guardo l'orologio del bar sbuffando. Sono quasi le due, saluto Kim e chiudo la chiamata, prendo tra le dita il piccolo manico della tazzina contenente il caffè e dico tra me e me "È giunta l'ora, Castiel".
 
 
Arrivate in ospedale, abbiamo rincontrato i nostri vecchi amici. Non appena Rosalya mi ha vista, è scoppiata in lacrime ed è corsa subito ad abbracciarmi, attuando una tragedia greca. Ci sono tutti, tranne lui. C’è Lysandro, Armin, Melody, Nathaniel, tutti che sembrano gli stessi di tre anni fa, tutti che mi accolgono con un “ci sei mancata”, ma lui non c’è. C’è finanche lo stalcker, che se non me l’avesse detto Rosa, non l’avrei mica riconosciuto. Il brutto anatroccolo è diventato cigno, il fungo si è trasformato in fiore.
“Che demenzialità! Come può un fungo trasformarsi in un fiore? Soltanto tu potevi fare un paragone proprio di…”
<< Allora ragazzi >> interviene Nathaniel << Possiamo andare nella stanza della preside >>
<< Un momento Nath >> lo interrompe Lysandro << Castiel non è ancora arrivato >>
“Dovevi per forza ricordarlo?”
<< Mi ha chiamato cinque minuti fa >> spiega Nathaniel con fare autoritario << e ha detto che ha da fare in azienda >>
Mi accorgo che Kim mi sta guardando, le rivolgo il mio sguardo e sorridendo, si avvicina a Rosalya e, come se mi avesse letto nel pensiero le chiede  << Cosa fa Castiel? >>. Io distolgo lo sguardo dalle due per non far notare il mio interessamento, e uso l’udito come arma di copertura.
<< Lavora nell’azienda del padre, è molto cambiato in questi ultimi anni, certo è rimasto sempre il ragazzo scontroso e beffardo di sempre, ma quando lo vedrete… >> si interrompe e mi accorgo, con la coda dell’occhio che mi sta guardando. Faccio due passi avanti per allontanarmi e continuare a far finta di niente, accorgendomi, però che non posso più sentirle.
Arrivati dietro la porta della stanza del gangster, Nathaniel bussa e un flebile “avanti” riecheggia nella stanza. Entriamo. I miei occhi si poggiano subito sul finto cadavere della preside. La vedo più ingrassata, e i suoi capelli sono diventati ancora più bianchi, ma il viso è rimasto sempre quello. Il lupo di Cappuccetto Rosso, che si traveste da nonnina dopo essersela mangiata. Lei ci guarda uno per uno, sorridendo. Poi si ferma su di me. Il suo sorrisetto scompare repentinamente. Gli angoli delle sue labbra si piegano verso il basso e noto con mia grande titubanza, che sta per mettersi a piangere.
“Lacrime di coccodrillo… è inutile sprecarle, non mi fai pena!... non voglio essere cattiva, ma è colpa sua se al punteggio finale degli esami ho preso settantanove!... bastarda!”
La vedo allungare le braccia verso di me, e chiamarmi.
“No! Non farlo maledizione! È maledettamente imbarazzante! Tutti qui sanno che ci detestiamo, perché fai così?”
<< Rea, nipote cara, avvicinati >> dice con una vocina che darebbe fastidio anche alle zanzare stesse. Mi guardo intorno vedendo che i miei amici, mi stanno fissando, come per incitarmi a farmi vicino. Esito, poi tirando un lungo respiro, mi avvicino alla serpe velenosa. Le porgo una mano e lei me la stringe.
<< Sono cinque anni che non ci vediamo >> mi sussurra sorridendo.
“Dà i numeri!” << Sono tre, zia Camille >> rispondo trattenendo un sorriso forzato. I ragazzi dietro di me, si mettono a ridere.
<< Che cosa hai fatto in tutti questi anni? >> mi chiede.
<< Ho lavorato presso un editore di fumetti >> rispondo cercando di farmi mollare la mano da quella sua fredda e appiccicosa. Mi sembra di averla immersa nella massa per la focaccia. Lei non molla, e continua a stringermela. Ho capito come fare. << Se non fosse stato per te >> continuo con voce dura << sicuramente a quest’ora starei cominciando il terzo capitolo del mio fumetto >> sorrido forzata.
Come avevo calcolato, lei allenta la presa. Mi guarda un po’ stizzita.
Ad un tratto sentiamo bussare alla porta. Io non ci faccio caso, e continuo a fulminare la preside con i miei raggi laser oculari.
Lysandro va ad aprire e quando esclama << Ehi Cass, finalmente sei arrivato! >>, i miei occhi si spengono per poi accendersi di una luce inspiegabile, rimango impietrita, e non mi accorgo di stritolare la mano della preside. Sento la mia anima girarsi per guardarlo, ma il corpo rimane fermo, quasi paralitico.
<< Scusate il ritardo >>. Quella voce, ritorna ad invadere le mie orecchie dopo tre anni di silenzio e mi sento come scaraventata nelle ardenti fiamme, dopo essere stata sepolta per lungo tempo nel freddo e pungente ghiaccio. Lui è qui, dietro di me, a due passi da me, e io non ho il coraggio di girarmi e guardarlo negli occhi.
   
 
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