Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Francine    09/05/2014    4 recensioni
Saori aspetta. Perché sa che oramai è questione di tempo. Oramai ci siamo. La Guerra Sacra di questo secolo è al culmine, e lei può solo attendere. Attendere che il suo fato si compia. Forse, una volta per tutte.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Saori Kido, Sasha, Virgo Shaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Doko e Shion
 
 



dal ponte amaro del presente 
dietro a qualche nostalgia 
o un metro dopo l'orizzonte 
sopra il treno della fantasia 

 
 


È stata una vita lunga, la sua. Lunga e soddisfacente.
Qualcuno potrebbe obiettare che un’esistenza, lunga o corta che sia, senza la benedizione di un figlio sia come un colino senza fori; lui risponderebbe rigirando la questione con una domanda delle sue, porta con un sorriso senza tempo e una luce giocherellona negli occhi. Crescere degli allievi, plasmarli e permettere loro di camminare con le proprie gambe non è la stessa cosa? Certo, gli allievi non nascono dai tuoi lombi e non hanno il naso di tuo padre o le mani di tua sorella o la stessa forma dei tuoi occhi. Ma importano certe cose quando hai la responsabilità di educare una vita?
Lui risponderebbe di no.
Non conta la corteccia dell’albero, che sia di betulla, salice o acero. Conta l’albero. Che cresca forte, sano, e che i suoi rami robusti e le sue fronde rigogliose e svettanti si tendano abbracciare quel cielo lontano cui l’uomo no, non smette di guardare con un po’ di rimpianto.
«È il respiro delle stelle», gli avrebbe detto il Sommo Sage, gli occhi a contemplare la Via Lattea mentre il respiro degli ulivi nella notte attica avrebbe sussurrato alle loro orecchie una canzone antica quanto la terra. «Siamo come isole alla deriva, quaggiù. E anche se amiamo questo tempo e questa vita, è lassù che vogliamo tornare», avrebbe concluso indicandogli un punto imprecisato del cielo.
Lui si sarebbe perso a seguire quel dito, magro e distorto dall’età invidiosa, ed il Sommo Sage avrebbe nascosto un sorriso sotto i baffi. Ma i giorni passati ad ascoltare la voce colma di saggezza del Sommo Sage sono un puntolino lontano nel tempo, un’ombra fugace tra le ciglia. Anche se le stelle sono sempre le stesse.
 
La Meridiana ha risposto al suo tocco come un violino ben accordato. Dodici ore. È un piccolo espediente, ma basterà. Per vedere quel che si prova. Shiryu non amerà ripetere l’esperienza, ma pazienza. Shiryu non dovrebbe essere qui, innanzitutto. Dovrebbe essere accanto a Shun Rei, a riposare cullato dallo scroscio gentile della cascata. Invece, quello zuccone testardo lo ha seguito tra le colonne di marmo del Santuario.
«Chi nasce tondo, non può diventare quadrato», avrebbe detto Manigoldo, con un sorriso dei suoi, una di quelle smorfie che chiamano i pugni come il miele fa con gli orsi.
Doko sorride a quel ricordo. Inopportuno, forse. Ma quando incontri un vecchio amico dopo tanto tempo, i ricordi del passato in comune sfondano ogni diga ed ogni argine. Come un fiume impetuoso e capriccioso. Come una tigre giocherellona che ha deciso di palleggiarsi tra le zampe un povero coniglio impaurito.
Sion non è mai stato un coniglio impaurito. Anzi. Gli ha sempre invidiato, in fondo, quella flemma che lo contraddistingueva. E Doko sa quanto Sion, il mite e calmo Sion sappia essere pericoloso, se provocato. Eppure, gli prudono le mani, pardon: le zampe, al tigrotto. Ha voglia di giocare. Di prendersi a zampate, di rincorrersi e perché no?, anche di graffiarsi e di scambiarsi qualche morso. In completa amicizia. Come si fa tra fratelli. E di farsi spiegare cosa diamine abbia nella testa il suo vecchio amico.
«Vai, Shiryu.»
Il tono è quello di un padre che manda il figlio a giocare in giardino perché gli adulti devono discutere di qualcosa di importante, e le questioni importanti si discutono in privato.
I piedi di Shiryu sono inchiodati al suolo, l’armatura è un po’ ammaccata ma va ancora bene.
«Athena ti aspetta», ed il Dragone trasale. Un cenno, le labbra del suo allievo che si stringono, ma poi i suoi piedi si muovono. E riprendono a correre. Ancora e ancora e ancora. Perché la strada per raggiungere Athena è lunga, e un pochino tortuosa.
«S’è fatto grande», commenta Sion. Avvicinandosi. Le braccia sono in posizione, ma nello sguardo c’è un altro messaggio.
«Sì», concede Doko. Stringe i pugni e si prepara a contrattaccare. Li ho sentiti, Sion. Li ho percepiti esattamente tutti attorno a noi, nascosti dietro quelle colonne.
Un lampo, un’esplosione di luce e la Tigre si prepara a giocherellare un po’.
Ha passato troppo tempo a sonnecchiare, davanti alla cascata, al riparo tra le foglie e la vegetazione lussureggiante della Cina. È ora di sgranchirsi le gambe.
 
Le corna dell’Ariete possono fare male. Molto male. E gli scherani di Ade lo hanno imparato a loro spese. Piangendo. Gridando il nome di Ade e bestemmiando contro quel cielo nero, ingemmato di stelle che brillano come diamanti purissimi. Cadendo al suolo. Imbrattando il sacro selciato del Santuario di un sangue scuro e nero come il peccato.
È il prezzo da pagare per aver accettato di servire una divinità. Per essere dalla parte sbagliata della barricata.
Manigoldo avrebbe detto che non importa in quale schieramento si militi, importa quello che si dà nello spargere il proprio sangue. E Doko si chiede cosa diamine sia successo perché, in questo tempo e in questa vita, un pensiero così semplice ed umano e puro si sia ritorto su se stesso, come i rami di un ulivo saraceno.
Sion riprende fiato. Il suo cosmo splende e scintilla, ma c’è qualcosa di sbagliato. Non si tratta del suo corpo. Sanno entrambi che è una cocente beffa. Non importa quanto le tue ossa siano doloranti e martoriate dall’artrosi, o se i tuoi muscoli si siano infiacchiti nell’attesa. Ciò che rende tale un Santo è il cosmo. E quello di Sion è macchiato da un sentimento che Doko non gli conosce. Non è rimpianto, no. Quello ha colorato i suoi giorni quando vedeva la giovane Yuzuriha sfilare sotto ai suoi occhi. È dolore? Tristezza? Rabbia?
Doko sa che non hanno il tempo per sedersi e tirare fuori con le tenaglie la verità dalla bocca chiusa di Sion come facevano durante i giorni della loro giovinezza, duecento anni prima. Non serve. Doko si accomoda sulla prima colonna che gli capita a tiro, un paio di nemici ai suoi piedi, e posa le mani sulle ginocchia.
«Allora, mi spieghi che sta succedendo?»
Sion tentenna. Una farfalla, le ali nere e viola che fluttuano nella notte, indugia sui capelli dell’amico di sempre, poi si allontana, sparendo incontro all’orizzonte. Come se stesse seguendo i passi di Shiryu. Di Mu. Di Saga, Shura e Camus.
«Ci stavano controllando?»
La domanda suona sciocca alle sue stesse orecchie.
Sion guadagna un posto accanto a Doko. Non ha il coraggio di guardarlo negli occhi. E Doko si chiede a quali compromessi sia dovuto scendere. Anche lui hai cresciuto dei figli, dopo tutto. Non sono suoi, non sono nati da lui – e da Yuzurika – ma nel suo cuore è come se lo fossero. E Doko, questo, lo capisce benissimo. Quello che non capisce è che cosa diamine stia passando nella testa dell’Ariete. Perché lui, il Venerabile Libra, non ha creduto alla storiella del tradimento nemmeno per un secondo.
«Sì.»
E in quel sospiro, Shion rilascia una stanchezza che Doko fatica a comprendere. Ha il cuore pesante, Sion dell’Ariete. Lo ha sentito piangere, quando Mu ha massacrato Aphrodite e Death Mask.
«È stata dura.»
Lo immagino. «Che c’è in ballo, Sion?»
«Oltre ad Athena?»
«Sì.» Lo sguardo di Doko si alza verso le stelle. Arriverò a breve, ragazze. Molto a breve. «Oltre ad Athena.»
E Sion racconta. Tutto. Come un penitente davanti al suo confessore. Quando termina ha il fiato corto. Come se non ricordasse che per parlare si deve anche respirare. O come se respirare non fosse che una perdita di tempo. Il fuoco dell’Ariete sta per esaurirsi. E altri cosmi stanno esplodendo attorno a loro. Come fuochi d’artificio. O come bombe di profondità.
«Sono stato un pessimo mentore», sputa Sion, e Doko sa che è la parola padre quella che stava per ruzzolare giù dalla lingua dell’Ariete. Una paternità sacrificata sull’altare di Athena. Per un bene superiore. Per indicare la strada a coloro che sono venuti dopo di loro. E che porranno fine a questo assurdo balletto di nascite e morti e rinascite. Come tanti gusci di cicala. Non può fare a meno di pensarlo, Doko. Perché quando Death Mask si è presentato alla cascata di Goro Ho, lui ha provato un tuffo al cuore doloroso. E più quel pazzo parlava, più si domandava, Doko, che fine avesse fatto l’anima di Manigoldo. Dove fosse andata. Se non avesse confuso la strada, e se nel suo involucro non fosse finita un’altra anima. Per sbaglio. Perché duecento e passa anni sono un tempo lungo. E un’anima si può perdere, lungo quei sentieri che gestiscono la reincarnazione.
«Quei ragazzi… quei ragazzi stanno andando a morire, Doko.»
Quei ragazzi sono già morti, Sion. Questo vorrebbe dirgli, Doko, ma tace. Perché la verità sputata in faccia fa male. Come un coltello tra le scapole.
«È tutto quello che ho saputo inventare.»
Doko gli rivolge un’occhiata pensierosa.
«L’ultima guerra sacra… è stata uno stillicidio.» Sion alza il viso al cielo a cercare conforto e solidarietà e compassione in quelle stelle lontane, che lo guardano con un misto di curiosità. «Ognuno di noi che partiva sapeva che non sarebbe tornato. Ognuno di noi aspettava il proprio momento, come un conto alla rovescia.»
Doko annuisce. «Ma il battito stesso del cuore non è il ticchettio di una bomba?»
«NO!» Sion si alza. Rabbioso. «No. Non abbiamo tempo per gingillarci con questioni filosofiche.»
«Abbiamo dodici ore, Sion. E arrivati alla nostra età, il tempo non si conta in minuti, ma in istanti.»
«Doko…» La voce di Sion è simile ad un ringhio, basso e rabbioso.
Doko alza le mani, in cerca di resa.
«Non ho saputo proteggere Saga da se stesso. Non ho saputo proteggerli da lui. E sono andato io stesso a prenderli all’inferno. Li ho tirati fuori dai loro sepolcri con queste stesse mani
Un pensiero assurdo si fa strada nella mente di Doko. Le unghie di Sion sono perfette. Curate. E lui ricorda come Sion non se le mangiasse, mai. Nemmeno durante i giorni dell’assedio.
«Quando sono morto, ho pregato. Con tutto me stesso, con tutta l’anima che Athena mi aiutasse. Che mi indicasse la strada. Io l’avrei percorsa, anche a costo di attraversare l’Ade. Metro dopo metro.»
Quand’anche io camminassi nella Valle dell’Ombra e della Morte, pensa Doko, ripescando dalla memoria una delle preghiere che Sasha ripeteva, la sera, prima di coricarsi, inginocchiata davanti alle lenzuola candide del suo letto, una finestra aperta da cui ammirare il cielo.
«Ma ho capito cosa fare solo quando i ragazzi sono arrivati nell’oltretomba. Non prima. La guerra sarebbe ricominciata, sì. Ma stavolta avremmo attaccato Ade tutti assieme.»
La gamba sinistra di Doko smette di dondolare.
«Mi stai dicendo che…»
«Athena non sa nulla della sua armatura. Non è stata istruita al suo compito. Non è stata preparata. Non è né come Sasha, né come le altre che l’hanno preceduta.»
E Doko capisce che Sion ha ragione. Lui stesso non ha speso interi pomeriggi ad educarla al suo ruolo, a spiegarle quello che l’avrebbe aspettata una volta che il sigillo di Ade avesse perso la sua efficacia e si fosse spezzato?
«L’unico modo… l’unico modo che mi è venuto in mente per parlare con lei è questo», e Sion allarga le braccia, a circondare se stesso, Doko e l’intero Santuario. Forse il mondo intero, pensa Libra. Annuendo.
«I ragazzi lo sanno?»
Sa che è sciocco chiedergli una cosa simile, eppure ha posto lo stesso quella domanda. Perché deve sapere. Perché non devono esserci spazi d’ombra, tra le colonne del Santuario e tra le schiere d’Athena. Ci sono state troppe menzogne, tra di loro. Troppi veleni. Ora deve esserci spazio solo per la verità. Nient’altro che la verità.
Sion annuisce.
«Sì», e in quel sospiro libera un altro pezzetto della sua anima. «Ade ha mandato i suoi sgherri dietro di noi. Come tanti cani da caccia. Semmai avessimo tentato qualche…»
«Tiro mancino», lo aiuta Doko. Dicendosi che sì, ha perfettamente senso. Non ci si può fidare fino in fondo di un vecchio amico. Figuriamoci di un nemico.
«Esatto.» Sion si passa una mano sugli occhi. «Hai visto quelle farfalle? Sono le spie di Ade. I suoi occhi e le sue orecchie. E adesso le schiere di Ade sanno che si tratta di un trucco.»
«Suppongo che lo abbiano sempre saputo», commenta Doko alzandosi. «Quindi? Adesso cosa prevede di fare, il tuo piano?»
«Raggiungere Athena.» Sion lo dice come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Ed in fondo lo è. Perché sono Santi di Athena, loro. Nonostante tutto.
«E allora, cosa stiamo aspettando, vecchio mio?»
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Francine