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Autore: Inathia Len    09/05/2014    3 recensioni
EX "BE MY MIRROR, MY SWORD, MY SHIEDL
Rivisitazione della terza stagione ad opera del mio cervello malato.
E se Sherlock decidesse di tornare non solo perché vuole rivedere John, ma perché è la sua ultima occasione? Che cosa nasconde il consulente detective?
E se John, compagno di Sherlock, non avesse mai incontrato Mary, sarebbe ancora stato innamorato di Sherlock due anni dopo la caduta?
NOTE: 1. Johnlock
2. nessunissima Mary o Magnussen, ma pura e semplice angst
3. può essere che Sherlock risulti un po' OOC, mi sfugge sempre, quel bravo ragazzo
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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TOGETHER OR NOT AT ALL

 

John rimase a fissare imbambolato la finestra, il cuore che accelerava sempre più rapidamente, nelle orecchie quel messaggio come se glielo stesse sussurrando Satana in persona.

Fino al 30 settembre.

Fino al 30 settembre.

Fino al 30 settembre.

Fino al 30 settembre.

In uno scatto d’ira aprì le imposte e gettò fuori il telefono, che finì sull’asfalto, proprio di fianco ai proiettili che aveva lanciato poco prima. Quando c’era ancora speranza.

Lo sapeva che sarebbe successo, lo sapeva fin dall’inizio, per una volta Sherlock era stato chiaro. Quando si erano rivisti gli aveva detto che davanti a lui aveva ancora sì e no un mese e quel mese ora stava venendo a chiedere il conto. Era come se Sherlock gli fosse stato restituito giusto in tempo per un addio vero e proprio. E poi se ne sarebbe andato di nuovo e per molti sarebbe stato come se non fosse mai stato lì davvero.

Si alzò e si infilò la giaccia sul pigiama, una meta ben precisa in mente. Prima di uscire, afferrò il cellulare di Sherlock. Non doveva sapere, non doveva mettersi in contatto con Mycroft. E poi a John il telefono serviva davvero, non ci aveva pensato quando aveva buttato giù dalla finestra il suo.

In strada regnava il silenzio. Erano le sette e mezzo del mattino di un lunedì mattina uggioso, poca gente in giro. John fermò il primo taxi che vide e si fece portare in centro. Doveva fare in fretta, prima che Sherlock si svegliasse e notasse la sua assenza.

Mentre Londra sfrecciava davanti ai suoi occhi, John tirò fuori il telefono di Sherlock. Per un attimo il salva-schermo lo fece ridere. Era una sua foto, John Watson era il salva-schermo di Sherlock Holmes. Si chiese quando gliel’avesse scattata, perché non se lo ricordava. Indossava il suo maglione preferito, quello color panna, e stava alla scrivania del soggiorno di casa loro digitando sulla tastiera del computer. Doveva essere uno primi giorni della loro relazione, ricordava di una volta in cui, mentre aggiornava il blog, aveva sentito uno strano rumore. Ma quando si era voltato, Sherlock aveva esibito la faccia più innocente del mondo ed era tornato ad armeggiare con il cellulare.

Aveva scattato quella foto.

Solo in quel momento John si rese davvero conto di quanto il compagno gli sarebbe mancato. E non solo fisicamente, ma quanto l’aria che respirava. Sherlock era stato la sua roccia e la sua dannazione, non poteva perderlo di nuovo.

Mandò velocemente un altro messaggio a Mycroft e poi scese dal taxi, dicendo al conducente che sarebbe tornato in pochi secondi. Entrò nella prima che vide, non aveva in mente nulla di troppo appariscente, conosceva i gusti di Sherlock meglio dei suoi, ma fu quando lo vide che capì che era quello giusto. Chiese al commesso un pacchetto regalo e lui aggiunse anche un fiocco, facendogli l’occhiolino. John rispose con un sorriso che sarebbe dovuto essere allegro.

Tornò a bordo del taxi nell’esatto momento in cui Mycroft gli rispondeva con un ok.

Ora bastava convincere Sherlock.

 

Nonostante John fosse entrato in casa con il passo più leggero possibile, Sherlock lo sentì lo stesso. Ultimamente dormiva male, molto male e spesso –quando non rimetteva- passava la notte a guardare il soffitto. Ma non quella notte. Quella notte aveva fatto di peggio. Non era del tutto sicuro di poter discolpare se stesso dando la colpa solo alla malattia, soffriva e non ne poteva più e quella gli era sembrata una buona idea. Allontanare John con una scusa, prendere la sua pistola… con un colpo avrebbe sistemato molte cose. Ma John era intelligente, John era tornato in tempo. John aveva pianto.

E anche lui lo aveva fatto, ma per un altro motivo.

Non doveva andare così, aveva sognato per due anni il ritorno, lo aveva perfezionato nella sua mente, e poi era andato tutto al diavolo.

E così aveva sperato di mettere fine a tutto quello, un proiettile in testa era un modo molto più rapido di andarsene piuttosto che stare in un letto aspettando chissà che cosa. Non voleva morire soffocato dalla sua stessa bava, lo aveva detto a John. E cosa aveva ottenuto in cambio? Uno stupido patto, una promessa…

Quando John se n’era andato, era andato fino al salotto, ma la pistola era stata privata di tutti i colpi.

John era intelligente, John era molto intelligente, altrimenti lui non avrebbe mai potuto amarlo.

E così non gli era rimasto altro che tornare barcollando fino al letto –dopo una visitina al bagno, dove il lavandino aveva accolto la sua cena- e rimettersi sotto i quintali di coperte.

Si era svegliato di nuovo quando John era tornato. Lo aveva sentito aprire la porta d’ingresso e, involontariamente, aveva sorriso. Suo fratello lo aveva detto quando li aveva visti insieme per la prima volta: John Watson lo avrebbe potuto rendere migliore o il peggiore tra gli uomini. Lo aveva reso migliore, o almeno così piaceva credere a Sherlock.

-Come ti senti?-

John sapeva di strada, di taxi, di persone, di mattino, di normalità… e di paura.

-Che succede?- chiese, cercando di puntellarsi sui gomiti.

-Pensavo avessimo smesso di risponderci con delle domande.-

Sherlock gli fece un mezzo sorriso e si tirò la coperta sulla testa.

-Sai,- cominciò John, sdraiandosi accanto a lui. –stavo pensando al fatto che tu non vuoi che nessuno sappia del tuo ritorno. Perché?-

-Perché è inutile dire a della gente che non sono morto per poi morire il giorno dopo. Una questione pratica.-

-A me lo hai detto.-

-Tu non sei “della gente”- virgolettò, emergendo dal piumone. –Se volevi sentirmi dire questo, perché non sei andato dritto al punto?-

John scrollò le spalle.

-Quindi non vuoi che si sappia in giro?-

-Pensavo ne avessimo già discusso.-

-Come ti senti?-

-Pensavo che anche questo me lo avessi già chiesto.-

-Sì, ma non mi hai risposto.-

-Sto così così. Finché sto orizzontale va tutto bene- mentì.

-Te la sentiresti di uscire?-

-Ma se ti ho appena detto… Che c’è? Cosa mi vuoi dire che non stai dicendo?- chiese indagatore, facendosi più vicino.

John si alzò di scatto.

-Niente, solo… ecco, non volevo fosse qui. Pensavo a qualcosa di meglio.-

-John, che cavolo…?- esclamò, mettendosi a sedere e ignorando il giramento di testa.

Ma John si era inginocchiato di fianco al letto e stava tirando fuori dalla tasca una scatolina. Sherlock non capiva e non aveva nulla a che fare con la malaria. Proprio non stava capendo cosa stesse succedendo.

-Sherlock Holmes- cominciò John, schiarendosi la gola. –Vuoi… sposarmi?- 

  
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