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Autore: Aya88    09/05/2014    4 recensioni
Seguendo una vecchia abitudine distese un braccio, il palmo della mano rivolto verso l’alto, e attese che sulle sue dita si depositasse qualche petalo volante, piccoli frammenti della rinascita della natura. Era intenta a compiere quello stesso gesto anche quando aveva incontrato Kakashi, l’uomo che in un modo o nell’altro occupava ancora il suo cuore. Quel giorno ormai lontano gli era quasi finita addosso, mentre in un infantile impulso di entusiasmo faceva una piccola giravolta, il naso all’insù e lo sguardo perso nel manto colorato degli alberi. [...] Forse si era innamorata nel preciso istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lui, sui lineamenti regolari e sull’espressione perennemente annoiata, resa viva dall’intensità dello sguardo; era stato il classico colpo di fulmine o semplicemente il più grande abbaglio della sua adolescenza, quelle due possibilità si scontravano da anni nei suoi pensieri in un’affannosa e dolorosa lotta.
Paring KakaSaku
Partecipante al contest "Scambio di citazioni" indetto da S. Elric_
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genma Shiranui, Kakashi Hatake, Sakura Haruno
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Lascia che sia primavera

Titolo:
Lascia che sia primavera
Autore: Aya88
Pacchetto scelto: Pacchetto Fiori di ciliegio
(dopo averla baciata) “Non dire mai più che ti piace un altro uomo”
“ … la seconda volta” 
“Cosa?”
“Che mi baci!”
”In realtà la terza… ma ormai non è necessario che tu tenga il conto”
(Itazura na kiss)
Fandom scelto: Naruto
Genere: Romantico, Introspettivo
Personaggi: Kakashi Hatake, Sakura Haruno, Genma Shiranui
Avvertimenti: Au, One-shot


  Seduta nel giardinetto dietro l’ospedale, Sakura lasciò che la brezza le scompigliasse le ciocche sulla fronte, godendosi il suo tocco gentile insieme al tiepido calore del sole d’inizio aprile, mentre rimaneva in ascolto del debole fruscio tra i rami di ciliegio come di una piacevole melodia. Amava davvero quel piccolo angolo di pace lontano dall’asettica atmosfera delle corsie; vi si rifugiava ogniqualvolta sentiva il bisogno di staccare dalla dura realtà del reparto e ritrovare un equilibrio interiore. Sebbene per motivi ben diversi, anche quel giorno aveva sperato di immergersi nell’aria tranquilla che vi si respirava traendone qualche beneficio, ma il nodo di tristezza che inviluppava il suo animo era ancora lì perfettamente intatto. Emise un breve sospiro, sollevando il viso per ammirare al meglio i fiori delicati da cui prendeva il nome, i loro boccioli agitati appena dal vento. Era sempre stata affascinata dal periodo della fioritura, tanto da aspettarlo con una certa trepidazione, desiderosa di imprimerne nella memoria la bellezza; il trascorrere degli anni e le coincidenze della vita avevano però finito con lo smorzare il piacere dell’attesa ed attribuire a quel momento dell’anno un’ombra di malinconia.
  Seguendo una vecchia abitudine distese un braccio, il palmo della mano rivolto verso l’alto, e attese che sulle sue dita si depositasse qualche petalo volante, piccoli frammenti della rinascita della natura. Era intenta a compiere quello stesso gesto anche quando aveva incontrato Kakashi, l’uomo che in un modo o nell’altro occupava ancora il suo cuore. Quel giorno ormai lontano gli era quasi finita addosso, mentre in un infantile impulso di entusiasmo faceva una piccola giravolta, il naso all’insù e lo sguardo perso nel manto colorato degli alberi. L’aveva salvata dal totale imbarazzo solo la prontezza di riflessi dello sconosciuto, che si era fermato appena in tempo. Così come allora un lieve rossore le imporporò le guance. Forse si era innamorata nel preciso istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lui, sui lineamenti regolari e sull’espressione perennemente annoiata, resa viva dall’intensità dello sguardo; era stato il classico colpo di fulmine o semplicemente il più grande abbaglio della sua adolescenza, quelle due possibilità si scontravano da anni nei suoi pensieri in un’affannosa e dolorosa lotta.
  Quando aveva iniziato a lavorare in quell’ospedale come specializzanda e aveva intravisto attraverso la finestra dello spogliatoio le fronde dei ciliegi in fiore, era rimasta subito sorpresa; scoprire qualcosa ricco di significato per il suo rapporto con Kakashi proprio dove avrebbe trascorso lunghe giornate al suo fianco le era apparso un vero e proprio segno del destino. Col senno di poi, si sentiva ancora più stupida per aver pensato una sciocchezza simile anche solo un per un momento. Aveva trascorso un pezzo della sua vita a crearsi un enorme castello di sabbia, che aveva visto crollare miseramente una sera di pochi mesi prima, quando aveva scioccamente sperato di dichiararsi e rendere realtà il suo sogno. In un moto di amarezza chiuse la mano a pugno, stropicciando tra le dita i petali chiari. Si era illusa basandosi su semplici coincidenze; se non fosse stato per il rapporto stretto tra le loro famiglie, la passione per gli stessi studi e la possibilità di lavorare insieme, forse tra loro non sarebbe mai nato un legame effettivo. Per non rimanere in eterno in una fase di stasi doveva rassegnarsi all’evidenza: non erano fatti per stare insieme, non c’era niente che lo univa davvero a lei e lo spingesse a renderla a tutti gli effetti parte della sua vita.
  Sulla scia di quel pensiero provò un’improvvisa rabbia. Le avevano insegnato che l’età e l’esperienza servivano a qualcosa, ma evidentemente quello non era il caso di Kakashi Hatake. Più ci rifletteva, più stentava a credere che non avesse capito già da tempo quali fossero i suoi sentimenti verso di lui, eppure non aveva fatto nulla per impedire che si creasse false speranze. Lo ringraziava per il supporto morale che le aveva dato in quegli anni, durante gli studi e la scoperta delle difficoltà della loro professione, ma avrebbe potuto chiarire che tra loro poteva esserci solo amicizia piuttosto di farle subire l’umiliazione e la cocente delusione di un rifiuto. Strinse il pugno, reprimendo il desiderio di colpire qualcosa. Aveva creduto di riuscire a controllare il proprio risentimento, invece si sbagliava; mettere una distanza tra di loro, come aveva fatto nell’ultimo periodo, serviva a ben poco, non poteva fare a meno di pensare a lui ed innervosirsi; forse avrebbe dovuto provare davvero a cambiare aria. Quell’idea le aveva attraversato la mente pochi giorni prima, mentre tentava di evitare per l’ennesima volta Kakashi, stanca di dover far finta di niente e comportarsi professionalmente.     
  Trasse un lungo sospiro nella speranza di scaricare la tensione, poi riaprì lentamente le dita scrutando l’effetto della sua stretta. Inclinò il palmo della mano lasciando cadere i petali sgualciti ed osservò seria la loro lenta discesa verso terra. Quei fiori erano davvero la sintesi di tutto: simboleggiavano alla perfezione la natura effimera del suo sogno d’amore e la forza che doveva trovare per rinunciarvi e ricominciare. Anche se appariva ancora troppo difficile, ce l’avrebbe fatta, avrebbe scelto una nuova strada per la sua vita, in un modo o in un altro.
  Con l’animo in parte rinfrancato da quella risoluzione, Sakura si alzò dalla panchina, diede una rapida pulita al camice e se lo risistemò addosso prima di avviarsi a passo sicuro verso l’ospedale. Sebbene avesse già terminato il turno di visita mattutino, si era ripromessa di riesaminare le analisi di una paziente su cui aveva qualche dubbio, quindi una volta varcata la soglia della struttura si diresse direttamente alla reception. Lavorare era dopotutto la soluzione migliore per non pensare alle questioni personali; aveva fatto un errore di calcolo nel credere il contrario, non le restava che recuperare. Si crogiolò in quel pensiero fino a quando non raggiunse il bancone per chiedere la cartella clinica di cui aveva bisogno. Un’infermiera la fermò infatti con una richiesta che avrebbe messo a dura prova i suoi nervi, ma da cui non poteva esimersi. Diede un cenno di assenso alla donna, afferrò i documenti che le consegnava e prese la direzione necessaria per arrivare allo studio di Kakashi, lasciandosi andare ad uno sbuffo e ad una smorfia di secca disapprovazione. Se incontrarlo insieme ad altri colleghi era già difficile, dovergli parlare totalmente da sola in uno spazio ristretto era qualcosa che avrebbe voluto evitare come la peste. Percorse i corridoi sforzandosi di mantenere la calma ed augurandosi di uscire indenne dal loro tetê a tetê.


  Libero da compiti urgenti, Kakashi sarebbe rimasto a guardare con espressione assente fuori dalla finestra per chissà quanto tempo, se non fosse arrivato Genma a strapparlo dal circolo opprimente dei suoi pensieri. Anche mentre il collega gli esponeva alcune problematiche riguardo ad un intervento chirurgico che avrebbero dovuto eseguire tra un paio di settimane, la sua mente non riusciva a concentrarsi del tutto, ma fuggiva verso la questione che l’aveva monopolizzata negli ultimi mesi. Dopo la sera in cui Sakura si era dichiarata non avevano praticamente più un rapporto e, per quanto non rimpiangesse di aver chiarito che tra loro non poteva esserci una storia, perdere la loro amicizia da un momento all’altro era stato un duro colpo. Quando poi, qualche giorno prima, si era accorto di come l’avesse evitato anche in un contesto di lavoro, gli era sembrato che il terreno gli mancasse sotto i piedi. Sebbene provasse per lei più di un semplice affetto, non voleva imbarcarsi in una relazione rischiando di farla soffrire a causa della sua instabilità emotiva, ma nemmeno avrebbe voluto ottenere un simile risultato.
  Si rese conto di aver prolungato il suo silenzio più del tempo utile a celare la sua scarsa attenzione solo quando Genma s’interruppe all’improvviso senza un apparente motivo. Per salvarsi avrebbe potuto dire qualche parola di assenso, invece commise l’errore di incrociare le iridi color nocciola dell’amico, che lo scrutava con aria critica.                     
“Per caso mi prendi per deficiente, Hatake?” Lo rimproverò quest’ultimo con tono bonario, incrociando le braccia sul petto. “Avrai anche tutte le carte in regola per diventare primario, ma da quando sono arrivato non hai prestato attenzione a metà di quello che ho detto”.
Smascherato, Kakashi si portò una mano dietro la nuca con un sospiro.
“Scusa, in effetti non è una delle mie settimane migliori”. Cercò di giustificarsi.
“Uhm, una settimana, io direi qualcuna in più”. Mormorò l’altro poco convinto. “Che cosa è successo esattamente tra te e il fiore di ciliegio?” Gli domandò a bruciapelo, aggrottando le sopracciglia.
Colto di sorpresa il dottor Hatake non replicò, avvertendo una fitta di disagio sotto lo sguardo indagatore dell’amico. Non aveva mai parlato con lui del suo rapporto con Sakura, anzi aveva sempre eluso qualsiasi domanda o commento troppo personale per i suoi gusti, quindi non aveva idea di cosa avesse intuito dei suoi sentimenti verso la giovane collega. Si chiese se tacere sarebbe stato il modo migliore per far cadere la questione, ma la luce di curiosità negli occhi di Genma lo dissuase velocemente dal provarci. Stava per ricorrere ad una risposta di circostanza quando il suo interlocutore proseguì spiazzandolo per la seconda volta.
“Non dirmi che lei si è finalmente dichiarata e tu l’hai rifiutata?” Domandò calmo e pragmatico, come se stesse parlando della cosa più ovvia del mondo.
Kakashi richiuse la bocca, ingoiando le parole che aveva sulla punta della lingua. C’erano momenti in cui detestava la perspicacia di Genma Shiranui e quello era uno di quei momenti. Represse l’impulso di lanciargli uno sguardo omicida e si calò sul viso la consueta maschera di indifferenza.    
“No, niente di simile. Abbiamo avuto semplicemente una discussione a causa di un malinteso”. Replicò atono, poi nel tentativo di cambiare l’argomento della conversazione si avvicinò alla libreria per recuperare un volume utile in vista dell’intervento chirurgico.
“E per un malinteso lei ti evita tutte le volte che può e tu non riesci a pensare ad altro? Trova un’altra scusa, Kakashi, perché non sei convincente”.
Se aveva ancora qualche dubbio che il collega avesse capito fin troppo, quelle ultime parole lo dileguarono definitivamente. Rassegnato, appoggiò il libro sulla scrivania e tornò a guardarlo dritto negli occhi.
“Genma, dove vuoi arrivare esattamente?” Chiese asciutto, il volto inespressivo.
Il sorrisetto che increspò all’improvviso le labbra dell’amico gli comunicò la netta sensazione di essere rimasto intrappolato nella ragnatela di un ragno. La domanda successiva gliene dette l’immediata conferma.
“Che tipo tu ammetta la verità?” Ribatté Genma, nella voce una nota di sfida. “Che lei ti ami è limpido come l’acqua e il fatto che un po’ d’indifferenza ti faccia un simile effetto rafforza ciò che ho sempre pensato, che sotto sotto tu la ricambi”. Spiegò dopo un attimo di pausa.
Pur di non concedergli un’indiretta ammissione, Kakashi scacciò la malsana tentazione di fargli presente che non aveva bisogno di uno psicologo, ripiegando sulla via più semplice della negazione.     
“L’unica verità è che si tratta di un’amica e mi dispiace che non mi parli a causa di un equivoco, tutto qui”. Affermò ricorrendo ad un tono il più possibile definitivo.
Sebbene avesse previsto il tentativo dell’amico di negare, Genma non rispose subito ma lo scrutò in silenzio, così da dargli l’impressione di valutare l’attendibilità della sua affermazione; solo in tal modo sarebbe riuscito a realizzare fino in fondo il suo piano. 
“Uhm, ok, si vede che ho preso un abbaglio”. Disse dopo un po’, sforzandosi di non apparire scettico. “Se è così, allora per te non ci sarebbe nessun problema se le chiedessi di uscire? È bella ed intelligente, non mi dispiacerebbe conoscerla meglio”. Continuò con finta noncuranza, rimanendo poi in attesa di una sua reazione.     
Il dottore Hatake lo fissò senza mostrare segni di turbamento, ma sotto l’apparente compostezza si ritrovò a fare i conti con una stretta dolorosa alla bocca dello stomaco, consapevole che la gelosia non ne era la sola causa. Sebbene non fosse un rospo facile da ingoiare, la possibilità che Sakura frequentasse qualcuno rientrava da un pezzo nel novero delle cose da accettare. Il problema in quel caso era Genma; immaginarla insieme a lui non era la più rosea delle prospettive. Forse l’affermazione dell’amico era una mera provocazione, tuttavia non poteva fare a meno di preoccuparsi. Era decisamente meglio che Sakura gli stesse alla larga; così come lui, Genma non era il tipo da relazione stabile e avrebbe finito col farla soffrire, qualcosa che non gli avrebbe permesso per nessun motivo al mondo.
  Era sul punto di ribattere quando un lieve ma deciso bussare attirò l’attenzione di entrambi. Pur di non lasciarsi sfuggire l’opportunità di riprendere in mano la situazione, si affrettò a concedere il permesso di entrare al nuovo arrivato, chiunque fosse. Appena la porta si aprì rivelando la figura snella e slanciata di Sakura, ebbe però il fondato sospetto che qualcuno avesse organizzato una congiura ai suoi danni. Considerata la recente tendenza della collega ad evitarlo, non si sarebbe mai aspettato di vederla comparire nel suo studio e in quel momento, contro ogni suo pronostico, desiderò che non l’avesse fatto o che se ne andasse il più in fretta possibile. La pronta intromissione di Genma contribuì ad alimentare quel desiderio.
“Oh, lupus in fabula!” Esclamò con un sorriso, guadagnandosi un’occhiata perplessa da parte di Sakura. 
Kakashi gli scoccò a sua volta uno sguardo di sottecchi come a volerne carpire le reali intenzioni; ma qualunque cosa l’amico avesse in mente nelle sue orecchie risuonava chiaro e nitido uno sgradevole campanello ammonitore, d’allarme. 
“Stavo giusto dicendo che tra un intervento e l’altro siamo fortunati se possiamo ristorarci un po’ con lo spettacolo della fioritura. Ce lo concede il giardinetto dell’ospedale, ma anche la presenza di un grazioso fiore di ciliegio nei nostri corridoi”. Disse intanto Genma, le mani nelle tasche del camice e un’espressione ammiccante sul viso.
Di fronte a quel complimento inatteso Sakura arrossì; le sue guance acquisirono rapide una tinta cremisi, intonandosi alla perfezione con il colore dei suoi capelli, mentre una luce di piacevole imbarazzo brillò nelle iridi verde smeraldo. Strinse la cartellina che aveva tra le mani, schiudendo le labbra in un gesto involontario d’incertezza.
“E a quanto pare è anche più bello se arrossisce”. Proseguì il medico dopo un istante, strappandole così un evidente sorriso e un grazie mormorato.       
Durante il loro scambio di battute Kakashi non poté impedirsi di notare i lievi mutamenti di espressione e i piccoli gesti di nervosismo della collega, avvertendo la gelosia bruciare silenziosa nel petto man mano che si consolidava nella sua mente l’idea che forse non avrebbe mai ricevuto da lei una simile reazione di compiaciuta confusione.
“Comunque adesso devo proprio andare, appena hai finito con questa mummia, però, puoi venire a cercarmi”. Concluse Genma, indicando con un cenno della mano il collega e rivolgendo un occhiolino d’intesa a Sakura.
Il dottor Hatake lo vide poi lasciare lo studio senza aggiungere nessun’altra parola, come se nulla fosse, mentre di certo era perfettamente consapevole delle conseguenze delle sue azioni. Decise che avrebbe scambiato altre due chiacchiere con lui appena gli fosse stato possibile, poi si voltò verso la giovane collega per sapere il motivo della sua presenza. La prima cosa che scoprì fu però il suo repentino cambiamento di atteggiamento; sul suo viso non c’era già più nessuna traccia di disorientamento, ma solo una fredda professionalità; si sentì come se gli avesse riversato addosso sferzanti parole di rabbia.
“Beh, io ero passata solo a portarti alcune analisi del paziente che dovete operare”. Lo informò concisa, porgendogli la cartellina senza incrociare davvero il suo sguardo.          
L’uomo afferrò i documenti in un gesto meccanico, per nulla interessato a leggerne il contenuto, e prima che Sakura se ne andasse in fretta e furia, come era sicuro avesse intenzione di fare, la trattenne pronunciando il suo nome con un tono più brusco di quanto avesse voluto. L’occhiata di seccata circospezione che gli scoccò fu eloquente dell’ostilità a cui sarebbe andato incontro, ma l’ignorò provando improvvisamente più calma di quanto immaginasse possibile; almeno aveva ottenuto la sua completa attenzione, la prima volta dopo mesi.
Posò le analisi sulla scrivania senza smettere di fissarla.
“Riguardo a ciò che è successo pochi istanti fa, mi auguro non lo asseconderai”. Affermò asciutto, non sapendo esattamente perché glielo stesse dicendo, se per paura di perderla, senso di responsabilità o semplice orgoglio.
Sakura rimase sulle prime spiazzata, poi nei suoi occhi balenò un lampo di violenta irritazione.
“Questi non sono certo affari tuoi!” Esclamò lapidaria, i pugni stretti lungo i fianchi.
Kakashi incassò il risentimento che avvolgeva quelle poche parole senza scomporsi, conscio di meritarselo fino in fondo, ma incapace di lasciar perdere. 
“Invece sì”, replicò con pacata sicurezza, “fino a prova contraria lavoriamo nello stesso reparto, sono un tuo superiore ed è quindi mio compito prevenire spiacevoli conseguenze”.
”Quali diavolo di spiacevoli conseguenze? Genma è solo stato gentile e se pure dovessimo provare a fre…”
“Nessun solo e nessun se, Sakura”. La interruppe con prontezza. “Il luogo di lavoro non dovrebbe essere il posto dove flirtare, inoltre relazioni troppo personali a lungo andare non possono che influire negativamente. Abbiamo delle vite nelle nostre mani e non ci possiamo permettere alcun tipo di distrazione”. Spiegò, ammonendo non solo la collega ma in parte anche se stesso.
Sakura sentì a quel punto il sangue andarle al cervello, sbriciolando gli ultimi residui della sua pazienza; non poteva sopportare che le rimproverasse qualcosa su cui non aveva alcun diritto di sindacare mettendo per giunta in dubbio la sua professionalità, tutto con quella detestabile aria di supponenza impressa sul viso. 
“Già, e tu sei bravissimo nell’evitare entrambe le cose così da abolire ogni problema alla radice!” Sbottò stizzita. “Puoi pensare quello che ti pare, ormai non mi interessa più. Non mi precluderò la possibilità di conoscere meglio una persona che potrebbe piacermi perché non mi credi in grado di separare lavoro e questioni personali”.
Kakashi la ascoltò con la sempre più netta impressione di un pesante macigno bloccato sotto lo sterno; era riuscita a sintetizzare alla perfezione la più grande debolezza della sua vita e come essa aveva danneggiato il loro rapporto.       
“È quello che hai fatto in questi mesi, però”. Disse in un tentativo istintivo di difesa, come se la fondatezza di una critica potesse attenuare l’astio di Sakura nei suoi confronti.
Non solo l’inutilità ma anche l’effetto controproducente di quell’affermazione gli fu subito chiara. Un cipiglio scuro adombrò ancora di più i lineamenti della collega, le sue labbra tremarono appena prima di stringersi in un broncio nervoso e il suo sguardo smeraldino sembrò volerlo incenerire all’istante. Se voleva ottenere lo scoppiò di una tempesta, ci era riuscito perfettamente.
“Non è assolutamente vero, non mi sono mai sottratta alle situazioni che richiedevano la mia presenza!” Affermò con tono categorico la giovane donna. “Ma in ogni caso non avrai più bisogno di preoccupartene, perché ho intenzione di lasciare questo ospedale”. Concluse tutto d’un fiato.
E anche se avesse voluto aggiungere altro non ci sarebbe riuscita; un groppo improvviso le bloccò le parole in gola, rendendole evidente il doloroso sconforto sotto la cenere della rabbia.
In un primo momento Kakashi sperò di aver capito male, ma il silenzio carico di tensione che calò su di loro e l’espressione di ferma decisione sul volto della collega erano troppo reali per lasciare spazio al dubbio, avevano la stessa solida consistenza di un pugno nello stomaco; il solo pensiero di non poterla più incontrare, di potersi chiarire e ricucire la loro amicizia gli tolse l’aria. Appena la vide in procinto di dargli le spalle, avanzò di un passo afferrandole un polso. Se le avesse permesso di varcare la soglia dello studio senza fare o dire nulla, sentiva che l’avrebbe persa per sempre. Di fronte al suo gesto improvviso Sakura strinse gli occhi e specchiarsi nelle sue iridi colme di delusione e rancore gli fece ancora più male.  
“Lasciami!” Gli disse tentando di svincolarsi con uno strattone, la voce strozzata dall’emozione. 
  Quando l’aveva trattenuta non aveva saputo cosa volesse fare di preciso, ma in quell’istante niente gli sembrò più giusto della verità. Senza pensarci oltre la attirò verso di sé, lasciando scivolare una mano dietro la sua schiena. Colta alla sprovvista dalla velocità della sua reazione, la giovane donna perse l’equilibrio e d’impulso si puntellò al bordo della scrivania dietro di loro, un genuino stupore dipinto sul volto. Le sue guance si tinsero di un rosso accesso appena comprese cosa le avesse impedito di sbattere rovinosamente contro il suo sostegno di fortuna; il calore della mano di Kakashi tra le scapole e l’improvvisa consistenza del suo corpo contro il proprio la gettarono in uno stato di confusione.
  L’uomo si perse a fissare le sue labbra sottili, memore di un bacio rubato una notte ormai lontana, quando l’aveva colta addormentata su un divanetto con un libro di chirurgia accanto. Ricordava ancora alla perfezione la loro morbidezza e non tardò ad assecondare il desiderio di provarla di nuovo. Con un movimento rapido insinuò le dita tra il collo e la nuca della collega, sfiorandole i capelli sfuggiti dall’elastico e accorciando la distanza anche tra i loro visi, premette la lingua con irruenza contro le sue labbra schiuse e si immerse in un’ostinata ricerca di un contatto più profondo.
  Sulle prime Sakura non reagì in alcun modo, non ricambiò il bacio, né vi si oppose, ancora avvolta dalla nebbia dello sconcerto e dell’incomprensione. Bastò però che il piacere di essere stretta tra le sue braccia come aveva sempre desiderato si sovrapponesse all’amaro ricordo del rifiuto subito pochi mesi prima per dissipare ogni incertezza; sollevò la mano libera e la lasciò ricadere pesantemente sulla guancia del collega in un sonoro schiaffo.
  Kakashi si allontanò da lei col fiato corto e un debole gemito di dolore, coprendosi d’istinto la parte offesa del volto. Anche se una piccola parte di se stesso ci aveva sperato, non si era affatto aspettato una reazione positiva, tuttavia quel suo gesto impulsivo l’aveva lo stesso colto impreparato. Gli sarebbe venuto addirittura da ridere se il peso invisibile che aveva sul petto non avesse soffocato ogni briciola di ironia. La vide scappare via incapace di trovare un motivo valido per fermarla ancora. Avrebbe voluto provare la sicurezza di aver ottenuto qualcosa con quella confessione indiretta, ma la porta del suo studio che si richiudeva in malo modo gli lasciò solo un’assordante sensazione di vuoto.  


  Gli alberi di ciliegio si stagliavano in tutta la loro bellezza contro il cielo infiammato dal tramonto. Era piacevole osservare le sfumature di colore che quel panorama le offriva nella calma insolita delle prime ore serali. I rumori dell’ospedale erano distanti ed il vento aveva smesso di soffiare, lasciando nel piccolo giardino un silenzio in netto contrasto con la confusione interiore che provava. Sospirò, la schiena contro il tronco di un albero, poi sollevò il palmo della mano con cui aveva schiaffeggiato Kakashi, scrutandolo con sguardo stanco. Dopo essere fuggita dal suo ufficio si era immersa a capofitto nel lavoro, dedicandosi a qualsiasi compito pur di seppellire sotto altri pensieri quanto accaduto, ma aveva ottenuto scarsissimi risultati. Era stato impossibile anche solo stringere tra le mani una cartella clinica senza pensarvi e senza avvertire sulla pelle un lieve formicolio, che avrebbe giurato di sentire ancora, riflesso forse di un vago senso di colpa, perché in quello schiaffo non aveva messo solo la sua frustrazione, ma anche la volontà di ferirlo. A distanza di qualche ora, non era più così sicura di aver fatto la cosa giusta, né tanto meno ciò che veramente avrebbe voluto. Ancora una volta il ricordo delle sensazioni di quel bacio improvviso la colpì a tradimento, causandole un esaltante vuoto nello stomaco. Arrossì ed emise un nuovo sospiro, rinfilando le mani nelle tasche del camice. Avrebbe dovuto svestirsi degli indumenti di lavoro, tornarsene a casa e rifugiarsi sotto le lenzuola del suo letto, invece qualcosa continuava a trattenerla proprio lì, tra i fiori di ciliegio. Forse, contrariamente alle conclusioni pessimistiche di quella mattina, desiderava poter sperare di nuovo nel valore di buon auspicio che quel posto racchiudeva, solo che non era altrettanto facile come un tempo. Avrebbe voluto davvero essere in grado di credere incondizionatamente alla sincerità dei sentimenti di Kakashi, ma la ferita inflittale quando l’aveva respinta bruciava ancora in modo nitido. Non poteva giocare con il suo cuore; infrangere prima le sue speranze, poi rialimentarle ed aspettarsi di riottenere intatta la sua fiducia, tanto più se tutto appariva solo una reazione alla sua volontà di scegliere finalmente ciò che era meglio per se stessa. L’avrebbe mai baciata se non avesse minacciato di allontanarsi dall’ospedale e da lui? Indugiò su quella domanda, consapevole di non poter trovare una risposta che non fosse influenzata dai suoi desideri. Fissò distrattamente le fronde illuminate dalla luce languida del sole calante. Per cessare il suo inutile tormento non le restava che un’unica via: cercarlo e chiarire una volta per tutte quale fosse in realtà la natura del loro rapporto. Non sapeva però se avesse abbastanza pazienza e forza per affrontare un’altra discussione con lui.
  La voce profonda di Kakashi sopraggiunse a liberarla dal suo dubbio. Nel sentirsi chiamare da lui i suoi nervi si tesero impercettibilmente, mentre una nuvola di sentimenti confusi si addensava nel suo petto. Aveva creduto che sarebbe riuscita a conservare almeno un po’ di calma appena l’avrebbe rincontrato, invece vederlo in carne ed ossa col suo solito aspetto imperturbabile le ispirò il malsano istinto di lanciargli qualcosa contro, accantonando in un angolino del suo animo il rimorso per quanto successo nel suo studio. Sakura non impedì tuttavia all’uomo di avvicinarsi; rimase anzi immobile senza proferire parola, provando volente o nolente una innegabile ansia per ciò che avrebbe detto.
  Il dottor Hatake, a dispetto delle apparenze non meno inquieto di lei, le si fermò a pochi passi di distanza, tirando un respiro interiore di incoraggiamento prima di cercare con decisione il suo sguardo. La timida luce di incertezza che vi colse gli fece venire voglia di abbracciarla all’istante, ma il cumulo di domande in sospeso che aleggiava silenzioso tra di loro lo trattenne. Ci aveva pensato abbastanza nelle ultime ore per sapere che non sarebbe servito a niente; solo se fosse riuscito a spiegarle l’origine dei suoi errori, poteva sperare di riottenere almeno la loro amicizia.
“Credo di doverti innanzitutto delle scuse”. Esordì pacato, consapevole della debole utilità di quell’esordio, ma non trovando un miglior modo per iniziare. “Prima, in ufficio, ho esagerato”. Spiegò, scrutandola nel tentativo di intuirne in anticipo le possibili reazioni.
Il lieve irrigidirsi della linea sottile delle labbra gli annunciò subito che non avrebbe ottenuto affatto un ringraziamento per il suo sforzo.       
“In cosa esattamente? Nel mettere in dubbio la mia professionalità o nell’intrometterti nelle mie decisioni personali? Perché, per la cronaca, sei riuscito alla perfezione in entrambe le cose!” Replicò lei asciutta, evidenti strascichi di nervosismo nella voce.  
Kakashi esitò, nella bocca il sapore amaro di quelle accuse; benché si fosse ripromesso di accettare tutto ciò che gli avrebbe detto, il sentirsi considerare un intruso nella sua vita continuava ad essere un boccone difficile da mandare giù.
“Mi dispiace, non dovevo criticare a priori il tuo atteggiamento professionale, ma…”, disse dopo qualche istante, restio ad accollarsi del tutto le colpe che gli imputava, “so che in questo momento pensi che io non ne abbia alcun diritto, però conosco Genma e volevo evitarti inutili dispiaceri”.
Di fronte a quelle affermazioni Sakura lo fissò perplessa, incerta su cosa la indisponesse di più; se la sfacciata insistenza nel giudicare le sue scelte, due secondi dopo averle chiesto scusa, il riferimento a presunti dispiaceri che era stato il primo a causarle o la mancanza di un qualsivoglia accenno al bacio che le aveva strappato. Con stizza si morse il labbro inferiore, stringendo gli occhi in uno sguardo torvo, poi esplose non più capace di trattenere i pensieri che le affollavano la mente.      
“Lo stai facendo ancora, accidenti, scegliere per me e no, non ne hai alcun diritto”. Proruppe, interrompendolo prima che aggiungesse altro. “Fino ad ora l’unico a farmi stare male sei stato tu, quindi dato che Genma mi piace ci uscirò, se voglio, e non ho certo bisogno del tuo consenso. E questo credo sia tutto quello che dovevamo dirci”. Proseguì, lottando contro le lacrime di rabbia e dolore che sentiva salire con forza.
Non aveva alcuna intenzione di piangere davanti a lui, così come non aveva più voglia di discutere, sopraffatta com’era dall’inutilità di ogni parola.
  Per la seconda volta Kakashi rimase in silenzio, assalito dai più vari sentimenti; rimorso, gelosia, paura ed inquietudine sembravano divertirsi a stringere il suo cuore in una morsa tenace. L’aveva cercata per recuperare il loro rapporto, eppure stava riuscendo solo ad allontanarla sempre di più da lui, spingendola verso altri uomini. Gli sembrò di vivere quegli istanti al rallentatore; prima che la giovane donna gli passasse accanto col capo chino e lui riuscisse ad aprire bocca per convincerla a rimanere parve trascorrere un’eternità. Con sua sorpresa la voce gli uscì a fatica, quasi fosse un’impresa anche trovare l’aria necessaria.      
“Non andartene. Resta qui, resta in ospedale”. Disse roco, lo sguardo perso nel vuoto.
Avvertiva alle sue spalle la presenza della collega, fermatasi di nuovo. Si domandò se sarebbe riuscito a spiegarle tutto guardandola dritto negli occhi, ma prima che l’esitazione lo cogliesse ancora si voltò verso di lei.   
Sakura provò all’inizio un attimo di confusione, stupita dall’incrinatura percepibile nel suo tono fino a quel momento controllato; appena però il significato di ciò che aveva detto piombò nella sua mente come un sasso in uno stagno, la collera insorse improvvisa spingendola a girarsi di scatto. Era sinceramente pronta a scagliargli contro parole taglienti, ma l’espressione sofferta sul suo viso la frenò. Da quando lo conosceva, non ricordava di averne mai scorto una simile. Scacciò subito quel pensiero, proibendo a se stessa di cedere alla commiserazione; non poteva affatto dimenticare l’acredine ancora viva nel suo animo ferito. Non fu tuttavia in grado di replicare come avrebbe voluto.  
L’uomo si aggrappò al suo inaspettato silenzio; vederla ancora lì, disposta pur controvoglia ad ascoltarlo, allentava in parte il nodo d’angoscia che gli chiudeva lo stomaco. 
“Quando mi hai accusato di evitare relazioni troppo personali, avevi ragione”. Disse allora, sostenuto da una seppur debole fiamma di speranza. “È quello che faccio con tutti e per un buon pezzo ho creduto di riuscirci anche con te”.
Si interruppe per qualche istante, limitandosi ad osservarla. Non gli fu difficile leggere nel volto di lei il tentativo di cogliere il vero senso delle sue affermazioni, il dissidio tra ciò che desiderava e la paura di sbagliarsi ancora. Decise di non perdere altro tempo; ne aveva sprecato già abbastanza causandole inutile sofferenza. 
“Tutte le persone importanti per me sono sempre morte”. Proseguì con cautela, sforzandosi di ignorare la fitta silenziosa che ogni volta il ricordo del passato gli procurava. “Non averne altre sembrava la strada più facile, ma… ”.
“Facile per chi?” Lo bloccò lei, gli occhi socchiusi in uno sguardo velato di malinconia. “Quella sera mi hai ferita, mi hai fatto credere che… non fossi abbastanza importante per te”. Continuò, la voce che cedeva all’emozione.
Deglutì con un piccolo sforzo, incapace di aggiungere altro, mentre una lacrima ribelle spuntava silenziosa.       
Kakashi chiuse gli occhi per un istante, il petto oppresso dal senso di colpa; aveva voluto proteggerla, ma aveva fatto solo danni, e non avrebbe mai potuto scusarsi abbastanza.
Trasse un breve sospiro, poi tornò a guardarla serio. 
“Temevo di non poterti dare davvero ciò che meritavi, ciò che meriti”. Affermò con tono sommesso, scegliendo per l’ennesima volta in quella giornata la pura e semplice verità.
“Ed ora? È cambiato qualcosa?” Lo incalzò Sakura alla pressante ricerca di sicurezze.   
Nonostante l’urgenza che spingeva le sue parole, l’uomo colse ancora titubanza nelle sue iridi smeraldo; con tutto se stesso desiderò di riuscire a dissiparla una volta per tutte. Fece un passo in avanti, tendendo una mano per sfiorarle la guancia. Lasciò scorrere il pollice sul suo zigomo, asciugando con delicatezza la lacrima che le bagnava il viso. 
La giovane donna non si ritrasse dal suo tocco; sollevò solo il mento verso di lui in un gesto istintivo, i capelli ormai sciolti che le ricadevano morbidamente sulle spalle. Le sembrò che il respiro le mancasse, stretto tra lo sterno ed il battito irregolare del cuore. Non sapeva nemmeno lei cosa si aspettasse, se una risposta approfondita od un semplice sì; eppure già il calore delle sue dita sulla pelle e il suo sguardo scuro concentrato su di lei riuscirono a quietare un po’ il suo animo.  
“Non commetterò altri errori con te”. Le assicurò dopo qualche attimo. “Questa volta non me lo perdonerei”. 
Sakura lo scrutò in silenzio, assorbendo ogni sua parola e lasciandosi avvolgere dal timbro calmo e profondo della sua voce. Sentì i lacci che stringevano il suo cuore sciogliersi del tutto, concedendo spazio alla voglia di provarci ancora. Avrebbe voluto prolungare quel momento di piacevole stasi, ma alcuni petali di ciliegio entrarono all’improvviso nel suo campo visivo catturando la sua attenzione. Li vide cadere lentamente tra di loro, poi sparire con altrettanta leggerezza. Quella mattina aveva interpretato la loro caduta come il coraggio di una rinuncia, ora invece le sembrava che volessero invitarla ad una rinascita; aveva finalmente a portata di mano ciò che aveva sempre desiderato e non aveva nulla da perdere nello scoprire a cosa l’avrebbe condotta. Si ancorò a quel pensiero, scacciando lontano i residui della rabbia degli ultimi mesi.         
“Meglio che sia così, o potrei dedicarmi a qualcun altro”. Lo avvisò, sotto il tono leggero il deciso monito che non avrebbe accettato ogni cosa. 
Percepì a quel punto un lieve irrigidimento nella mano di Kakashi, ancora ferma sul suo volto, poi lo vide storcere appena le labbra.
L’uomo, all’inizio rasserenato nel notare l’ammorbidirsi dei lineamenti della collega, non aveva però potuto fare a meno di provare di fronte a quell’ammonimento un vivo disappunto.
“Sempre che questo qualcuno potrà ronzarti intorno”. Disse atono, conscio di meritarsi in fondo quella velata minaccia, ma poco incline a convivere con l’idea di un Genma nelle strette vicinanze di Sakura.
La giovane dottoressa prima sollevò un sopracciglio interrogativo, poi una luce di sorpresa e comprensione attraversò come un lampo i suoi occhi, man mano che quanto accaduto la mattina in ufficio acquistava una nuova prospettiva.
“Eh, stamattina con Genma… tu eri…” Iniziò senza avere però il tempo necessario per esprimere la conclusione a cui era giunta.
Kakashi, infatti, intuito il prevedibile percorso dei suoi pensieri, fu assalito da un forte imbarazzo e prima che la collega potesse parlare, spiattellando ciò che egli stesso aveva difficoltà a confessare a voce alta, annullò le distanze tra di loro e le chiuse la bocca con un bacio. Incrociò la lingua alla sua in una danza languida e delicata, poi sempre più avida, abbracciandola come se non volesse lasciarla andare via, tanto più quando la sentì afferrare tra le dita il tessuto leggero del camice aggrappandosi alle sue spalle con una stretta decisa. Si allontanò da lei dopo quella che gli sembrò una piacevole eternità, il respiro corto e un senso di soddisfazione nel petto. Riprese fiato, incrociando di nuovo il verde limpido delle sue iridi.         
“Non dire mai più che ti piace un altro uomo”. Affermò come unica spiegazione appena fu sicuro di potersi esprimere senza scomodi cedimenti. 
Sakura lo fissò con un’espressione meditativa per un breve ma intenso istante, mentre i frammenti di quella lunga giornata si ricomponevano in un unico quadro. 
“ … la seconda volta”. Mormorò poi, pacata. 
“Cosa?”
“Che mi baci!” Sottolineò con lieve enfasi, come se fosse il sottinteso più ovvio delle sue precedenti parole.
L’uomo a quel punto non poté fare a meno di piegare le labbra in un sorriso.
”In realtà la terza… ma ormai non è necessario che tu tenga il conto”. La informò pragmatico, incapace poi di sopprimere un moto di divertimento di fronte allo stupore che vide brillare nei suoi occhi.
“E quando diavolo sarebbe successo?!” Esclamò la donna, le gote tinte da un vivo rossore, insieme imbarazzata e contrariata dalla nuova scoperta.
Kakashi le scostò alcune ciocche dalla fronte, scendendo ad accarezzarle con dolce lentezza il viso.   
“Non pensarci e baciami”. L’invitò, dopodiché si abbassò e la baciò ancora.
Sulle prime Sakura non contraccambiò, ma ben presto il sapore dell’incontro tra le loro labbra e la tenace esplorazione della sua lingua ebbero la meglio, spazzando via la già fragile irritazione per un bacio rubato chissà quando. Si lasciò allora travolgere dai brividi di piacere che attraversavano il suo corpo, apprezzando ogni singolo istante della loro vicinanza.
Rimasero così, stretti l’uno all’altro in quel piccolo giardino, ignari dello scorrere del tempo e circondati a tratti dalla ritmica danza dei fiori di ciliegio. Non sapevano cosa avrebbe riservato loro il futuro, ma la felicità che riempiva in quel momento i loro cuori sembrava già un dono prezioso. 



Note dell’autrice

Bene, posto qualcosa dopo eoni, mi sa, ma come si dice meglio tardi che mai. Tanto per cambiare una KakaSaku e tanto per cambiare mi hanno fatto penare, loro, l’ic e le pare. Meno male che si fanno perdonare con il fluff e che c'era Genma, una bella scoperta personaggio, molto interessante cone inquisitore soprattuttoXD Comunque spero che la fic sia piaciuta a qualcuno^^’ 


  
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