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Autore: Feel Good Inc    25/07/2008    1 recensioni
"Non c'è pace, non c'è modo di sfuggire a ciò che odi. Verrà sempre ad esigere la tua attenzione, e ti perseguiterà in eterno, perché la risposta è una sola. No, non finirà mai. Il destino non si può cambiare."
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sei come me

Ho scritto questa storia in vista dell’attuale edizione del premio Campiello Giovani (intitolandola “Sei come me”, ma devo dire che questo nuovo titolo è molto più appropriato). Non è più in gara, perciò mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i miei lettori su EFP… Soprattutto perché è proprio da questa che ho preso ispirazione per scrivere “Aamyan degli Elfi”, su Card Captor Sakura. Perciò, chi ha letto quella fanfic troverà qui parecchi riferimenti alle vicende di Shaoran… ^^ Anche se non avete letto la suddetta, comunque, sarei ugualmente felice di sapere cosa pensate di questa shot!

Buona lettura!

 

 

Il sangue verde

 

 

La foresta era opprimente, nell’aria fredda di quella notte buia. Il silenzio pesava come un manto sullo spettacolo spettrale dei rami spogli e fragili, degli arbusti spinosi, dei sentieri sbarrati dai tronchi caduti dopo le ultime piogge della stagione. Solo il vento, con i suoi sussurri, fruscii, parole non dette, penetrava nella quiete della boscaglia.

Il ragazzo percorreva con passi esitanti il verde ormai secco che lo circondava. Odiava la notte, l’aveva sempre odiata. Era simbolo dell’arcano, del domani buio, di un’altra delle mille occasioni in cui la vita gli sarebbe sembrata oscura. Ancor di più la odiava ora, ora che doveva affrontare quel buio per sperare in una luce nuova, per cercare di illuminare quello stesso domani.

Solo le creature della foresta potevano aiutarlo. Conoscevano la natura, la sentivano, la respiravano, la vivevano, la capivano. Ed erano in grado di leggerne i segni, scrutando nell’oscurità del destino. Solo loro avevano la risposta alla sua domanda.

Finirà mai?

Uno scricchiolio improvviso. Il ragazzo si fermò, attento, ascoltando il bosco. Niente, forse lo aveva solo immaginato. No, ecco, si ripeteva. Due volte, tre. Passi poco distanti nell’erba secca. Si voltò nella direzione da cui provenivano. Fu allora che lo vide.

Doveva avere più o meno la sua età. Capelli scuri, occhi immersi nel buio, nascosti al suo sguardo. Lo sconosciuto si fermò e lo guardò a sua volta, apparentemente soppesandolo. Poi parlò.

«Chi sei, straniero?»

Avrebbe potuto fargli la stessa domanda, e lo sconosciuto lo sapeva.

«Uno di queste parti.»

Il ragazzo attese che anche lui si identificasse, magari in un modo altrettanto evasivo; ma il nuovo arrivato non fece nulla del genere. Si limitò a restare immobile, a qualche passo da lui, all’ombra del ramo proteso di un sempreverde. Solo dopo una breve pausa, lo sconosciuto parlò di nuovo.

«E cosa cerchi qui? Questo è territorio sacro. Non si dovrebbe battere questa terra senza una ragione valida e sincera.»

«Ho le mie ragioni, e certo sono valide e sincere.»

L’altro abbassò la voce, riducendola a un sussurro, in modo da non lasciarvi trasparire alcuna emozione.

«Allora tu sei come me, straniero…»

Il ragazzo lo fissò, incerto.

«Cosa vuoi dire?»

Lo sconosciuto avanzò, e la luce delle stelle finalmente colpì il suo viso, specchiandosi in due occhi verdi della stessa sfumatura del mare e creando giochi d’ombre sui lineamenti di un adolescente dal viso di un adulto. Quello sguardo lo colpì inspiegabilmente.

«Tu cerchi le creature. Non è vero, straniero?»

Ecco cosa c’era in quegli occhi. La capacità di trafiggere, permeare, arrivare fino in fondo all’anima di chiunque si fossero ritrovati di fronte. Il ragazzo non si azzardò a negare.

«Allora faresti bene a tornare sui tuoi passi. Non troverai ciò che cerchi, presso di loro.»

Ma cosa ne sapeva, lui? Cosa gli dava il diritto di dargli quel consiglio indesiderato? Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, sfogare contro un perfetto sconosciuto la frustrazione che lo attanagliava da una vita intera; ma quegli occhi verdi gli uccidevano le parole sulle labbra. Sentiva, in qualche assurdo modo, la verità di quelle parole.

«Io sono stato da loro, straniero. Non ho avuto alcun conforto dall’averle viste, né dall’essere riuscito a parlare con loro. Loro non possono nulla contro i miei demoni. E se anche tu sei afflitto dalle mie stesse domande, neppure contro i tuoi.» Lo strano ragazzo dai capelli scuri sorrise amaramente nel debole fulgore delle stelle. «Non c’è pace, non c’è modo di sfuggire a ciò che odi. Verrà sempre ad esigere la tua attenzione, e ti perseguiterà in eterno, perché la risposta è una sola. No, non finirà mai. Il destino non si può cambiare.»

Gelo. Smarrimento. Paura.

Fece un passo indietro. Questa volta, in fondo alla gola, riuscì a trovare le parole che meglio potevano esprimere il suo sconcerto.

«Ma tu chi sei? Come fai a sapere ciò che cerco?»

Lo sconosciuto non smise di sorridere.

«Il mio nome è Syrra. E credimi, noi due abbiamo in comune molto più di quanto tu non creda.»

 

Fu così che iniziò tutto.

Il tempo passava, la notte scorreva via veloce, ma lui non se ne rendeva conto. Rimase per tutto il tempo assorto nella conversazione con quel misterioso personaggio dagli occhi verdi, un estraneo in cui aveva visto un po’ di sé. Syrra, aveva detto di chiamarsi. Non sapeva altro, se non che era davvero uguale a lui. Impossibile non sentirsi vicini a ciò che esprimevano quegli occhi: tormento, ansia, affanno, il peso di una strada già tracciata da cui risultava impossibile potersi allontanare.

«Anche tu cerchi una scappatoia al destino, Syrra?»

Da quella semplice domanda era partito tutto. Avevano iniziato a parlare, abbandonati nella radura, due ragazzi uguali e diversi, vicini e lontani. Avevano condiviso debolezze, delusioni, disillusioni, pur senza rivelarsi nulla della loro vita. Lui ancora non sapeva chi fosse Syrra, né perché quella stessa notte avesse deciso di andare dalle creature della foresta, né quale fosse il destino pieno di ‘demoni’ da cui affermava di voler fuggire. Ma non riusciva ad evitare di parlare con lui del suo desiderio di una vita diversa, una vita da qualche altra parte del mondo, una vita in cui non fosse costretto a guardarsi continuamente alle spalle per essere sereno. A sua volta, non aveva detto a Syrra chi fosse, ma aveva messo a nudo la sua anima, parlando liberamente come mai aveva fatto prima.

L’alba tingeva di rosa il cielo a oriente.

«A quanto pare è ora di salutarci, straniero.»

Il ragazzo rimase a fissare Syrra che si alzava.

«Mi chiamo Koram.»

Lo sconosciuto dagli occhi verdi sorrise.

«Allora addio, Koram.»

Lui balzò in piedi. Non poteva permetterlo, non poteva lasciare che le loro strade si allontanassero. Non sapevano nulla l’uno dell’altro, se non il nome; non si erano mai visti prima e anche quel loro incontro era stato un puro caso voluto dagli dei; eppure erano così tremendamente simili, così curvi dal peso di una realtà troppo grande per loro. In Syrra aveva trovato qualcuno che poteva condividere tutto di lui, che poteva capirlo, che poteva forse sostenerlo.

«Incontriamoci di nuovo.»

Syrra lo fissò impassibile.

«Non ne abbiamo motivo.»

«Sì, invece… È come hai detto tu, abbiamo troppo in comune. L’esserci incontrati deve avere un significato.» Si interruppe, prima di concludere decisamente. «Domani notte, in questo stesso posto. Io ci sarò.»

L’altro non disse nulla, ma nel suo sguardo imperscrutabile balenò una debole luce di promessa.

 

«Non ci siamo, Koram, devi concentrarti.»

Koram sospirò profondamente, scostandosi dagli occhi i capelli biondi. Niente da fare, per quel giorno non sarebbe riuscito a dare di più. Ma questo, Fharma sembrava non capirlo.

Già normalmente, l’addestramento era l’esperienza che meno sopportava nei suoi giorni sempre uguali. A che scopo fingere di volersi uccidere a vicenda? Per essere pronti ad andare ad uccidere per davvero, uccidere qualcun altro, altre persone con le loro vite, i loro sogni, le loro strade? Bella motivazione. La vita nell’esercito gli sembrava sempre più squallida, e sempre meno una vera vita. Ma del resto che scelta aveva, lui che in guerra ci era nato ed era destinato a morirci?

Non c’è pace, non c’è modo di sfuggire a ciò che odi.

Le parole di Syrra, il ricordo più vivido della notte precedente, erano dure come pietre e insistenti come spifferi di vento tra le imposte rotte di una casa devastata.

Era davvero così? Non si poteva cambiare il proprio destino? Nemmeno le creature della foresta ne erano in grado?

Non poteva credere che sarebbe stato sempre così, ogni giorno, combattere e uccidere e rischiare la vita per obbedire agli ordini, sopraffare gente verso cui non provava alcun rancore personale, e ancora, e per sempre, fino ad annullarsi completamente, a diventare un mero strumento di morte, e a desiderare la morte stessa come liberazione da quella strada di sangue che non aveva mai desiderato percorrere, quella cui era stato iniziato fin dalla nascita…

«Koram?»

Fharma non capiva, non poteva capire. Era un soldato, un veterano, il suo protettore, l’ultimo parente che gli fosse rimasto. Era colui che, alla morte dei suoi genitori, lo aveva raccolto tra le braccia e lo aveva indirizzato a quel supplizio che chiamavano vita. Lui aveva già visto, si era già annullato, forse già desiderava la liberazione finale. Non poteva più avere l’impeto adolescenziale che portava Koram a volere qualcosa di diverso, qualcosa di suo.

«Perdonami, nonno. Oggi non mi sento in vena.»

Koram gettò a terra la spada e si allontanò a grandi passi dal campo di addestramento, costellato da uomini che non erano più uomini e da ferite che insieme al sangue portavano via tutto il resto.

Doveva, doveva esserci qualcos’altro al mondo. Doveva esserci un senso in quello smarrimento.

Si fermò sulla cima della collina sovrastante il campo. Non si soffermò ad osservare i suoi compagni dell’esercito di Galta, ma spinse lo sguardo oltre, verso la foresta. Si chiese se quella notte Syrra sarebbe stato di nuovo lì, se sarebbe sempre stato convinto di non poter nulla contro il destino.

E si chiese se anche il suo demone fosse la guerra.

 

Quella notte, Syrra era lì.

Ritrovare il suo viso tra le ombre degli alberi più fitti della foresta fu per Koram un toccasana dopo una giornata di dubbi e ripensamenti. Si era chiesto per quale maledetto motivo doveva fidarsi di quel ragazzo, perché diavolo avesse desiderato vederlo di nuovo, e perché era rimasto tanto ferito dal suo fatalismo. In fondo non lo conosceva affatto, non aveva motivo di condividere con lui la sua insoddisfazione, né di tenere in considerazione il suo modo di vedere la vita. Si ostinava ad affermare la propria impotenza di fronte agli eventi? Bene, allora era chiaro che non erano sulla stessa lunghezza d’onda, che lui era come Fharma, come tutti i soldati consacrati unicamente alla missione di guerra. No, davvero, non aveva senso tornare alla foresta, quella notte.

Eppure era tornato lo stesso. Sentiva che era la cosa più giusta da fare.

Syrra era seduto nella radura in cui si erano incontrati la notte precedente. Le braccia incrociate, il capo chino, sembrò accorgersi della sua presenza prima ancora che Koram potesse avvicinarsi.

«Credevo che avessi cambiato idea.»

Di nuovo quella sensazione, come se gli leggesse dentro. Ma chi era quel tipo?

«Sono qui.»

Una frase inutile, ma non aveva altro da dirgli. Tutte le parole erano state già dette, in quel loro primo colloquio notturno, e non ce n’erano altre da aggiungere. Questa volta, avrebbe ascoltato. Koram sedette di fronte a lui.

«Syrra, qual è il tuo destino?»

Lo sconosciuto dagli occhi verdi sollevò la testa e lo guardò.

«Sono un esiliato. Non appartengo ad alcun popolo. Non appartengo nemmeno a me stesso, perché da che vivo ho sempre viaggiato tra le genti, alla ricerca di una strada che non c’è. Ho desiderato uscire da questo senso di ricerca mai finita, ma non ne ho mai trovato il modo. E anche le creature della foresta mi hanno assicurato che non quella strada non c’è, che sono nato solo, vivo solo e morirò solo, perché è così che deve essere.»

Koram non disse nulla. Si limitò a guardarlo, sentendo un flusso di comprensione per lui crescere sempre più forte, come un fiume in piena.

«Ma tu, Koram, non sei un esiliato. Tu subisci un altro genere di demone. Non è così?»

«È così.»

Non poteva nascondergli ancora la sua vera vita, come aveva fatto finora; non poteva restare nel vago, quando lui era stato così sincero e schietto, rivelandogli senza più remore né allusioni la fonte del proprio turbamento interiore. Era il suo turno di fronteggiare i fatti.

«Il mio destino non è l’esilio, ma la guerra. Eppure in un certo senso è la stessa cosa. Tu vai alla ricerca di un’identità, e io cerco di allontanarmi da questo mio mondo, che ha distrutto tutto ciò che avevo. Se non fosse per la guerra, la mia famiglia sarebbe ancora intatta… Ma io discendo da una stirpe di soldati, e ci si aspetta da me la stessa frenesia bellicosa. Mentre invece darei qualsiasi cosa per essere come te, solo e libero, libero di andare dove voglio e di pensare ciò che voglio…»

«Io non sono affatto libero.»

Nel sussurro di Syrra, Koram ritrovò un attaccamento al passato che ben conosceva. Era qualcosa di cui si sarebbe ben volentieri sbarazzato, ma che faceva parte di lui, e che per questo non poteva essere ignorato…

Allora tu sei come me, straniero…

Quanto aveva avuto ragione… In un semplice sguardo, Syrra aveva capito tutto ciò che li univa. Stanotte Koram ne trovava tutte le conferme.

 

Fu l’inizio di una lunga serie di notti, di incontri, di parole finalmente prive di impedimenti, di scudi caduti, di fiducie condivise senza motivo. Tutto di quelle notti, di quei confronti, era condivisibile: i gesti, gli sguardi, anche i silenzi avevano per entrambi lo stesso significato.

La sedicesima notte, Koram non riusciva ad alleggerirsi del peso della notizia appresa quel giorno al campo. Anche parlarne a Syrra fu inutile.

«Domani gli eserciti di Galta e Nalera si scontreranno.»

Syrra non lo interruppe; mantenne un silenzio d’attesa. Koram continuò in tono incerto.

«Conosco la gente di Nalera. Mia madre era nata in quella terra. Non posso tollerare di dover sostenere il loro attacco, non riesco a immaginare di dovermi battere con loro…»

«Nalera o Galta, credevi che le cose fossero diverse?»

Koram incrociò lo sguardo verde di Syrra, senza capire. Lui proseguì nello stesso tono neutro.

«Ovunque ci siano uomini c’è guerra, Koram. Pensare che tua madre faceva parte di quel popolo non può renderlo diverso ai tuoi occhi. Sono uomini, uomini che sono diventati soldati. Come qui c’è il male e il bene, lì c’è il bene e il male. Non si può dividere nettamente le genti, e non si può evitare uno scontro in nome di un ricordo. È il destino… Il tuo destino.»

Koram lo fissò, improvvisamente furioso.

«Ma come fai? Come puoi restare così impassibile? Pensi davvero che non ci sia nulla più di… di questo? Che non si possa avere altro?»

Syrra sostenne il suo sguardo. Quella notte si erano spinti più nel folto della foresta, fino ad un piccolo lago poco profondo; l’acqua brillante di riflessi di stelle illuminava gli occhi color smeraldo del misterioso esule adolescente.

«Dimentichi che mi è stato detto dalle stesse creature…»

«Già, le creature… Cosa possono sapere, loro? Vivono in pace, in questa oasi nel mezzo del caos, protette da tutto e da tutti, sicure nel loro mondo intoccabile dai comuni mortali… Davvero credi che loro possano capire gli uomini, che possano capire te o me?»

«Sì.» La voce di Syrra era ferma, ma come sempre pacata. «Sì, Koram, lo credo. Io ho fiducia nelle creature. È l’unica cosa che mi resta. E tu? Cosa resta a te?»

Senza parole, Koram si alzò di scatto, gli voltò le spalle e si incamminò tra gli alberi, per uscire dal bosco. Era stanco dell’arrendevolezza di Syrra, ma al tempo stesso non poteva sostenere il confronto con la sua sicurezza: Syrra era almeno incrollabile nella sua remissione al destino; lui, invece, non aveva certezza, non aveva nulla, non sapeva cosa pensare.

Cosa resta a te?

Solo quando giunse in vista del campo trovò la risposta a quella domanda.

“Mi resti tu. Il mio unico amico.”

Il risentimento si spense rapidamente. Rimpianse di essersene andato senza avergli rivolto quelle parole. Se lo immaginò ancora lì, immobile sulla sponda del laghetto, i capelli scuri a nascondergli il viso, le gambe strette al petto, il mantello in tessuto leggero ondeggiante nella brezza dietro le sue spalle, e il suo abbandono della lotta eterna tra ideali e realtà.

Così uguali, così diversi… Ma amici…

Gli sembrava quasi impossibile che, nel disordine di quell’esistenza vuota, fosse riuscito a trovare qualcuno come Syrra, qualcuno come lui… che però la pensava in un modo diverso. Nonostante questo, sentiva di dover essere grato agli dei per aver incontrato quello strano ragazzo sulla sua strada. Per la prima volta si sentiva compreso, ascoltato, seppur non pienamente sostenuto; ed era quanto di meglio avesse mai avuto dalla vita.

L’aurora illuminava le schiere dell’accampamento. Era il giorno della battaglia.

 

Da più di cinquecento anni la Durmandia era contesa tra le varie terre che tentavano di imporre la propria supremazia. Solo le razze pacifiche per natura, come gli elfi dei boschi, erano rimaste al di fuori di quella storia di sangue. Galta, la terra del nord, aveva sempre avuto un ruolo preminente nella lotta per il dominio assoluto. Aveva sottomesso nel corso degli anni più recenti Tirama, terra d’ovest, e Pavla, terra del sud. Non restava che la terra d’est, Nalera, con la quale lo scontro era risultato sempre più imminente, fino a quell’inverno, quando Nalera aveva dichiarato ufficialmente aperto il conflitto.

L’arme di Galta, forte di tutte le sue divisioni, era venuto incontro all’assalto di Nalera fino alle montagne del confine, poco distante dalla foresta in cui Koram aveva conosciuto Syrra.

Quel giorno, le valli risuonavano dei corni e dei tamburi di guerra dei due eserciti.

La battaglia imperversava, impietosa come solo le guerre sanno essere.

«Nonno, dietro di te!»

«Come mi hai chiamato, ragazzo?»

«Fharma. D’accordo, Fharma, dietro di te!»

Il vecchio soldato si voltò solo all’ultimo momento, decapitando con la spada il nemico che Koram gli aveva indicato. Quando si volse di nuovo al nipote, dopo una sola occhiata urlò un avvertimento.

Nel frastuono delle armi e delle grida, Koram non riuscì a distinguere le sue parole; ma subito girò su se stesso. Si ritrovò a fronteggiare un nemico che calava la spada su di lui. Alzò meccanicamente la propria arma per parare il colpo; il nemico ora era vicinissimo a lui, il viso a poca distanza dal suo, occhi negli occhi. Occhi verdi. Il cuore di Koram saltò un battito.

Era Syrra.

Il mondo intero si fermò. No, non aveva senso, non poteva essere. Syrra non era un soldato; era solo un esule che aveva rinunciato a cercare di costruirsi una vita, abbandonandosi alla sorte. Syrra non poteva essere lì, in quel momento, a combattere contro di lui. Syrra era suo amico.

Stordito, incredulo, Koram abbassò il braccio. Syrra fece lo stesso, impassibile. Rimasero immobili a guardarsi per un tempo infinito. Alle sue spalle, Koram sentiva le urla sconnesse di Fharma, ma non riusciva a coglierne il senso; probabilmente lo incitava a combattere, ma non poteva, non poteva battersi con Syrra, non poteva e non voleva. Non…

Il colpo arrivò improvviso e inaspettato, accompagnato dal dolore. Koram aprì la bocca per urlare, ma non un suono uscì dalle sue labbra. Fissò stolidamente la spada che gli era penetrata nella spalla destra, all’altezza del cuore. Non capiva cosa fosse successo. Seguì con lo sguardo la spada, il braccio che la sosteneva, fino ad incontrare di nuovo gli occhi verdi di Syrra.

Lo aveva colpito…

Le spade cozzavano, i soldati cadevano, Fharma urlava più che mai, ma Koram non aveva più sentore del mondo: tutto si riduceva a loro due, a quello che era stato durante quelle notti nella foresta, e a quello che era adesso, e al dolore. Non quello fisico, no; faceva molto più male dentro…

E all’improvviso tutto fu bianco, e il verde degli occhi di Syrra si spense in quella luce smorta.

 

Si svegliò in una penombra grigiastra. Dovette sbattere le palpebre più volte per capire di essere vivo. Si trovava in quella che doveva essere una grotta, ma non aveva la più pallida idea di come ci fosse finito. Ricordava solo la montagna, la gola in cui si era svolta la battaglia, il sangue e…

Il solo pensiero di Syrra gli procurò una fitta dolorosa in un punto imprecisato tra lo stomaco e il cuore. Scosse debolmente la testa e si sforzò di parlare, a nessuno in particolare.

«Dove sono?»

Ma con sua sorpresa in effetti gli giunse una risposta, da una voce fin troppo familiare.

«C’è stata una frana. La neve ci ha spinti in questa caverna. L’apertura è bloccata.»

Koram voltò la testa. Syrra era in piedi davanti ad una grande spaccatura nella parete della grotta, interamente ostruita dalla neve. Gli dava le spalle. Il desiderio di urlare, di travolgerlo con la rabbia, la delusione, la confusione che lo tormentavano gli ghermì la mente; ma non si sentiva in grado di alzare la voce. Koram si limitò ad un sibilo pieno d’odio.

«Credevo che fossi mio amico…»

Syrra non rispose. Si voltò verso di lui, lo raggiunse e tese le mani sul suo petto. Koram si ritrasse, ma il giovane dagli occhi verdi gli ispezionò comunque la ferita; poi chiuse gli occhi e mormorò una serie di parole in una lingua sconosciuta, mentre uno strano bagliore si protendeva dalle sue dita sulla pelle lacerata di Koram.

Confuso, Koram abbassò gli occhi sulla ferita. La luce dalle mani di Syrra stava rimarginando la pelle. In meno di qualche secondo, l’epidermide tornò intatta.

Il ragazzo alzò di nuovo lo sguardo su Syrra. Si sentiva annientato. La confusione aveva lasciato il posto al più totale smarrimento, la rabbia all’esasperazione.

«Ma tu chi sei in realtà?»

Fu tutto ciò che riuscì a dire.

Syrra si portò le mani al viso. Da che lo conosceva, Koram non lo aveva mai visto così agitato.

«Koram, è così… così difficile.»

Lui non si fece impressionare. Un lieve fastidio iniziò a ribollire di nuovo in lui, al pensiero della fiducia che aveva riposto in quell’estraneo, un estraneo che si era rivelato essere un soldato nemico.

«Mi avevi detto di essere un esiliato.»

«Lo sono.»

«Allora cosa ci facevi tra i soldati di Nalera? Cosa ti ha spinto a tentare di uccidermi?»

La rabbia montava di nuovo, rifluendo come il sangue, nella pelle miracolosamente sanata. Syrra abbassò le mani e lo fissò di nuovo. I suoi occhi verdissimi rilucevano di qualcosa di nuovo.

«Non ti avrei mai ucciso, Koram. Io… Io non so cosa sto facendo.» Sospirò, fremente. «La verità è che sono un mezzosangue, un ibrido, un bastardo. Mio padre era un soldato di Nalera. Ma mia madre apparteneva a una razza superiore, più pura e nobile. È da lei che ho imparato a leggere nell’animo di chi mi sta di fronte. È così che ho capito di aver incontrato qualcuno come me, quella notte nella foresta, quando ti ho visto.»

Koram non disse nulla. Syrra distolse gli occhi.

«Perché è così, Koram, io e te siamo davvero uguali. Anch’io, come te, non ho più una famiglia… Anch’io ho perso i miei genitori quando ero solo un bambino, per colpa di questa guerra… E anch’io ho sperato a lungo di trovare una vita diversa da quella che mi aspettava, ho disprezzato l’idea di unirmi ai vecchi compagni d’armi di mio padre… Ma la stirpe di mia madre mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto capire che non si è mai in pace, mai, e mi ha scacciato quando ho mostrato la mia volontà di cercare un’altra strada, un’altra vita…»

Koram iniziava a sentirsi a disagio. Attese che Syrra continuasse.

«Tu mi hai fatto credere di nuovo in ciò che sognavo, Koram. Quella notte ero tornato dagli elfi della foresta dopo un lungo viaggio senza meta, e ancora una volta mi ero sentito dire che non c’è fuga dal destino. Ma in te ho visto quello che avevo perso, la speranza assurda di un’esistenza migliore, il desiderio appassionato per quanto vano di cambiare tutto… In te ho ritrovato me stesso.» Syrra tornò a guardarlo in viso, facendolo sentire ancor più a disagio. «Ma ancora non riuscivo a ritrovare quella speranza. Sapevo che, se anche mi fossi di nuovo illuso, la disillusione poi avrebbe fatto ancora più male. E alla fine, ieri notte, in qualche modo involontario mi hai sbattuto in faccia la realtà, e cioè che non sono altro che un codardo, che il mio cedimento alla sorte non è altro che vigliaccheria, perché non ho più il coraggio di rischiare di desiderare qualcosa. Mi ha fatto malissimo, Koram. E allora ho cercato di non pensarci, di continuare come prima, e per essere ancora più irremovibile mi sono schierato con i soldati di Nalera per questa battaglia. Volevo annullarmi. Volevo dimenticare tutte quelle speranze, tutto ciò che avevo ritrovato di me in te.» Abbassò la voce fino a un sussurro. «E sono stato uno stupido.»

Koram lo guardò. Non sapeva cosa provare. Non riusciva ad arrabbiarsi, né ad intristirsi, per quella storia di sogni distrutti, una storia in cui lui stesso aveva spesso rischiato di ritrovarsi aggrovigliato. Sentiva solo un gran senso di vuoto.

«Non ti avrei mai ucciso.»

Syrra lo ripeté ancora, come se sentisse il bisogno di spiegarlo nel più efficace dei modi.

E ancora una volta, come nella foresta, come sempre, Koram si fidò di lui.

«Syrra, andiamocene da qui.»

Il ragazzo dagli occhi verdi lo fissò.

«Come?»

«Andiamocene. Lasciamo il paese, lasciamo la Durmandia. Cerchiamo un altro posto in cui vivere, un posto in cui possiamo essere quello che vogliamo.»

Syrra sorrise tristemente.

«La guerra esiste ovunque, Koram. Non puoi sperare di lasciartela alle spalle semplicemente andando da qualche altra parte.»

«Non importa. Dove andremo, non saremo tenuti a far parte di nessun esercito. Non saremo tenuti a veder morire gente innocente. Ci sarà solo il ricordo del passato, e quello certo farà male… Ma alla fine costruiremo un futuro diverso. Non vuoi ritrovare la tua speranza?»

Syrra esitò, distolse di nuovo lo sguardo.

Koram sorrise mentre sbirciava di nuovo la propria spalla nuda. Insieme alla ferita era sparito tutto il dolore.

 

«Sono convinto che qui da qualche parte…»

Koram si interruppe. Un refolo di aria fredda gli aveva appena sollevato i capelli dalla fronte.

«Ne ero certo. Doveva esserci un’altra uscita. Per di qua.»

S’incamminò di nuovo, ascoltando i passi di Syrra alle sue spalle. Era riuscito a convincerlo a cercare una via per uscire dalla grotta; camminavano da un tempo indefinito, ma finalmente sapevano dove dirigersi. Uscire in un posto diverso dalla gola in cui probabilmente si stava ancora svolgendo la battaglia sarebbe stata la cosa migliore: avrebbero evitato da subito i due eserciti contrapposti, per viaggiare insieme fino ad una terra nuova, su una strada nuova.

L’apertura si spalancava sulle loro teste, affacciandosi promettente sul cielo azzurro.

«Come hai intenzione di arrampicarti?»

«Vediamo.»

Koram si guardò intorno. Ovviamente non c’era modo per uscire da lì. Avrebbe dovuto inventarsi qualcosa. Si tolse il mantello, lo strappò in tante strisce sottili e le legò insieme. A un’estremità formò un anello. Syrra capì le sue intenzioni senza dovergli chiedere nulla; anche lui si privò del mantello e ne fece altre strisce, che legò all’intreccio già realizzato da Koram. Lanciarono infine la corda improvvisata e la agganciarono ad uno spuntone nel soffitto della grotta. Koram saggiò la resistenza della ‘corda’.

«Bene. Terrà.» La pose a Syrra. «Vai tu per primo.»

Syrra la prese, arretrò fino a tenderla al limite massimo, corse verso la parete, camminò su di essa e si slanciò verso l’apertura nella sommità della grotta.

Quando la corda di stoffa ricadde dolcemente, Syrra era già uscito nell’aria aperta.

Koram imitò i suoi gesti, e in breve anche lui si ritrovò al di sopra della caverna.

Al suo fianco, Syrra sorrideva. Per la prima volta la sua espressione era distesa e serena, quasi spensierata. Koram ricambiò il suo sorriso.

«Non ci resta che lasciarci cadere.»

Si sedettero sulla superficie innevata della grotta, e si lasciarono scivolare lungo il pendio; finché non giunsero con i piedi al suolo, sul fianco della montagna opposto a quello in cui avevano iniziato la battaglia.

Koram avrebbe creduto che da quella parte non ci fossero soldati.

Sbagliava.

Non appena riuscirono ad alzarsi e a reggersi di nuovo sulle gambe, furono circondati dalla torma. Anche lì c’erano schieramenti di truppe di Galta e Nalera. Gli eserciti avevano oramai dominato quelle montagne, nessuna nicchia era rimasta illesa. Furono circondati da nuovi guerrieri.

«Uomini! C’è il ragazzo di Nalera!»

Koram impiegò meno di un secondo per accorgersi di alcuni dei suoi compagni di Galta che puntavano a Syrra. Mise mano alla spada e si preparò alla traversata nelle file.

«Corri!»

Scattò in avanti e sentì il compagno fare lo stesso. Intrapresero la folle corsa verso la fine invisibile di quella dispersione totale. Poi, un gemito sommesso. Koram si fermò.

Si voltò in tempo per vederlo cadere. Gli occhi verdi erano fissi nei suoi, l’espressione vagamente sorpresa si distese quando incontrò il suo sguardo. Si accasciò lentamente, e Koram vide la spada di un soldato di Galta sporgere dall’altra parte del suo addome, la lama che lo aveva trapassato da parte a parte.

Gelo. Smarrimento. Paura.

Voleva urlare, ma non aveva voce. Voleva impedire, cancellare, cambiare tutto, ma non poteva.

Incurante dei soldati raccolti intorno a loro, si precipitò al suo fianco. Gli strappò la spada dal ventre, aspettandosi di sentirlo gridare, ma Syrra rimase in silenzio. Sorrise, di nuovo amaramente, debolmente, mentre lo guardava in viso.

«Il destino non si può cambiare, straniero…»

Koram non aveva il fiato, né le parole, per replicare a quel congedo.

Syrra sospirò e restò immobile. Solo in quel momento, rifuggendo dai suoi occhi spenti, Koram si soffermò sul sangue che sgorgava dalla sua ferita.

Era verde.

Ma mia madre apparteneva a una razza superiore, più pura e nobile…

“Un elfo…”

 

La tenda che fungeva da infermeria era opprimente per via dell’odore quasi metallico del sangue, fresco e rappreso. Era destinata ai feriti delle truppe di Galta, ma non a lui. Lui non apparteneva a nessuno, a nessun esercito, a nessuna guerra. Lui non aveva più un’anima.

Quel giorno aveva combattuto, ma non per Galta. Si era battuto per se stesso, per il puro istinto di sopravvivenza, proprio delle bestie, più ancora che degli uomini. E si era battuto per gli occhi verdi del ragazzo mezzo elfo che in nome della loro amicizia aveva accettato di soccombere di fronte all’inevitabilità della vita.

«Come ti senti, Koram?»

La ragazza che gli aveva curato la lieve ferita al fianco lo guardava, assorta e preoccupata. Era poco più giovane di lui, non poteva avere più di sedici anni; odiò ciò che vide nei suoi occhi azzurri, quella luce dell’aspettativa di chi ancora non sa che non c’è modo, non c’è strada, non c’è scelta…

«Non sento niente.»

Era vero.

Quel giorno aveva capito.

Il destino non si poteva cambiare.

Il suo destino era annullarsi.

 

“Sono già passati quarant’anni…”

Il bambino dai capelli biondi scruta suo padre, steso nel letto, dilaniato dal dolore della ferita dell’ultima battaglia. Ha comunque trovato la forza di raccontargli quella storia, la storia di una vita nell’oblio, di speranze spezzate e di un’unica amicizia brutalmente uccisa dal destino.

«E così non hai più combattuto per l’esercito, papà?»

Lui geme ad una nuova fitta di dolore. Poi sceglie con cura le parole che possano spiegare le sue ragioni.

«No. Ho deciso di combattere solo per me stesso. Non ci sono amici, non ci sono nemici, quando c’è guerra. C’è solo la morte, che ci accomuna tutti, perché non c’è modo di sfuggirle. E in fondo alla guerra non potrai mai trovare qualcosa di diverso dalla morte. Lui… Lui lo sapeva. Aveva deciso di sperare di nuovo solo perché glielo avevo chiesto io. Lo fece per me. Morì per non deludere i miei sogni di ingenuo. Da allora, figlio mio, ho capito che non aveva senso sperare ancora. Ma da allora ho anche rifiutato di sottostare a chicchessia. E sono diventato un esule.»

«Proprio come Syrra…»

«Proprio come Syrra.»

«Perché hai deciso di raccontarmi tutto questo, papà?»

L’uomo geme di nuovo, si alza a sedere, pone una mano sul capo di suo figlio.

«Perché tu sei in tempo. Puoi ancora trovare il modo di cambiare il corso delle strade. Puoi riuscire dove io ho fallito, puoi essere forte come io non sono stato, puoi trovare la strada che non c’è. Ma per riuscirci, devi capire questo: non devi mai permettere, a niente e nessuno, di strappare i tuoi sogni. Almeno finché sei in grado di sognare. E quando la troverai, allora io potrò essere finalmente in pace.»

Il bambino sorride.

«Ho capito, papà.»

«Ora vai pure, Syrra.»

Suo figlio esce dalla stanza, lasciando dietro di sé solo uno sguardo di bambino, uno sguardo che sa fantasticare. Koram si lascia di nuovo cadere sul letto.

Allora tu sei come me, straniero…

Se chiude gli occhi, riesce ancora a vedere il verde di quegli occhi e di quel sangue.

Se chiude gli occhi, ora può raggiungere quello sconosciuto dalla natura di elfo, quell’unico amico che la vita gli ha tolto, insieme a tutto il resto.

Se chiude gli occhi, può trovare la strada che non c’è.

   
 
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