«I feel guilty
my words are empty
no signs to give you
I don't have the time for you»
[ «Guilty», The Rasmus ]
Guilty
Tratti che cambiano davanti ai tuoi
occhi, tanto spesso che quasi non sapresti dire chi si nasconda davvero sotto
quelle sembianze.
Certe volte quasi ti sorprendi a
fissarla, come incantato, mentre cambia il colore di capelli, di occhi, l’età o
la forma del naso. E subito dopo un enorme peso ti blocca il respiro.
Perché non ci sono occhi grigi accesi
di luce maliziosa a guardarti, né capelli corvini tra i quali passare le mani;
nessuna risata da ascoltare che ti ricorda un latrato, né un petto solido
contro cui appoggiarsi o grandi e rudi mani da cui essere toccato; le labbra
che ti baciano non sono quelle che vuoi, e la voce non è abbastanza roca e
amara.
Lei non è lui, né potrà mai esserlo,
per quanto tu ti aspetti di vederlo comparire da un momento all’altro.
E in certi momenti poco importa che il
senso di colpa ti schiacci, o la chiarezza della tua ipocrisia ti strisci alle
spalle: sì, non avresti voluto mettere al mondo un bambino con il destino
segnato nell’essere un mostro, ma, soprattutto, per quanto tu lo ami, non è
figlio della persona che hai amato più di te stesso per tutta la vita.
Così sì che stai male, tanto da voler
urlare. Non hai rispetto per la tua nuova famiglia, né per il ricordo di lui.
E quando ti butti nella battaglia, e
lei ti segue, l’ultima cosa a cui pensi non è la mano di lei che stringe la
tua, ma il viso di lui, bello come sempre, soprattutto nella giovinezza, e il
pensiero di aver abbandonato tuo figlio, proprio come James aveva fatto con il
suo.
E così, anche il tuo ultimo respiro non
è altro che puro senso di colpa che entra nei polmoni e li perfora con ferocia.