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Autore: R e d_V a m p i r e     10/05/2014    5 recensioni
John non aveva mai provato nessun sentimento negativo nei confronti del Mondo Invisibile, ma era anche vero che fosse cresciuto secondo i dettami dei Cacciatori: una rigida educazione che vedeva i Nascosti come diversi e, per certi versi, inferiori.
Potevi essere loro amico, potevi anche intrecciare una relazione con loro; ma non sarebbero mai stati allo stesso livello dei Figli dell'Angelo.
[Johnlock - Accenni Mystrade ; AU!Shadowhunters]
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Città delle Ombre










Il viaggio non era stato poi così lungo, ma i continui lamenti di Anderson e Donovan l'avevano fatto sembrare eterno, a John.
Non che non fosse abituato ad uscire in missione con loro due, ma preferiva fare da solo e poi i compagni spesso e volentieri risultavano solo un intralcio più che un aiuto.
E, come se non bastasse, avevano sempre da ridire sulla sua andatura.
«Come fai ad essere un Cacciatore se sei così lento?» si lagnò per l'ennesima volta la ragazza del gruppo, scoccando un'occhiata di scherno al bastone da passeggio che il più giovane usava come sostegno per muoversi.
Watson le sorrise freddamente, distogliendo poi lo sguardo ed ignorandola. Non riuscì ad impedirsi, però, di stringere la presa sul pomello d'argento, intarsiato nella figura di un fiero leone ruggente dagli occhi rubino, simbolo di famiglia. Era ormai abituato anche alle battute di pessimo gusto circa la sua zoppia, anche se Gregory aveva portato avanti una campagna contro quelle cattiverie gratuite dopo la prima settimana di permanenza all'Istituto.
Inutile a dirsi che non era servito a niente visto che, se è vero che davanti al Direttore nessuno faceva parola dell'handicap del Nephilim biondo, quando Lestrade non c'era si divertivano a sfogare tutto ciò che avevano taciuto in presenza di quello; tanto sapevano perfettamente che John non avrebbe aperto bocca, con il Cacciatore più grande, per colpa di quel suo irritante senso di ''giustizia a tutti i costi'' che gli impediva persino di fare la spia. Anche quando sarebbe stato più che lecito.
Ma non avrebbe dato a quei due il piacere di aggiungere anche un ''moccioso frignone'' all'elenco di frecciatine ed insulti che avevano accuratamente stilato per lui.
«Manca ancora molto?» chiese, invece, dopo aver esaminato un cartellone pubblicitario sulla fiancata di uno dei tipici bus rossi a due piani, fermo al semaforo lì vicino. Ogni tanto gli piaceva mescolarsi ai mondani e annullare l'incanto che lo rendeva invisibile ai loro occhi ciechi. Forse sarebbe andato a vedere quel film, la settimana successiva, l'attrice protagonista era davvero carina.
Sospirò, scuotendo il capo. Sempre se nel frattempo non fosse scoppiata una guerra, ovviamente.
Philip, che non aveva fatto altro che borbottare fra sé e sé da quando erano usciti, si fermò per controllare il nome della via e poi sbuffò. Anche se sembrò più uno starnuto.
«No, ci siamo»
John fu del tutto sicuro di aver sentito anche un ''purtroppo'', ma non se ne curò. Era più interessato a leggere il nome della strada.
Baker Street. Però, si trattava bene lo Stregone. A quanto ne sapeva le case, lì, non erano poi così economiche per una persona sola.
Scosse il capo, di nuovo. Chissà perché dava per scontato che quel tizio abitasse da solo, poi.
Forse perché era un Nascosto, si disse, e a quanto ne sapeva i Figli di Lilith non erano molto socievoli tra di loro. Erano gli unici che nei secoli non si erano riuniti mai in Clan, come i vampiri, Branchi, come i licantropi, o Coorti, come le fate.
Strane creature, gli stregoni.


~


«Eccoci qua» motteggiò Sally, con finta allegria, fermandosi davanti una palazzina dall'aria piuttosto antica, ma altrimenti normalissima.
John avvertì un moto di delusione, ma non capì perché.
In compenso, Anderson sembrò accorgersene perché gli rivolse una smorfia che doveva essere un sorriso di scherno.
«Che ti aspettavi, una caverna buia e qualche pipistrello?» chiese, alzando lo sguardo sul portoncino elegante ed inarcando un sopracciglio «Beh, non mi stupirei se i pipistrelli ci fossero, effettivamente»
Watson lo ignorò, come sempre, cercando di trovare qualcosa che potesse distrarlo nell'abitazione che aveva davanti. Ok, forse si era aspettato qualcosa di più... regale, o sfarzoso, o impressionante.
Aveva sentito dire che il Summus di Parigi viveva in una reggia, quindi era lecito suppore che il suo corrispondente londinese potesse fare altrettanto.
Oh, magari non proprio a Buckingham Palace, ma insomma...
«Qual è?»
Domandò, invece, osservando curioso la targhetta d'ottone che riportava il numero civico e il quadro in lucido metallo con i nomi di chi li vi abitava.
A quanto pare erano due appartamenti diversi, o forse tre. Non avrebbe saputo dirlo con sicurezza.
«Il 221B. Il 221A è abitato da una vecchia pazza...» borbottò, accigliata, la ragazza mentre si arrampicava sullo scalone per suonare il campanello.
John la guardò confuso. Una vecchia pazza?
«Arrivo, arrivo...»
Si udì un pò di trambusto, prima che la porta si aprisse rivelando una signora che doveva aver passato da un po' la cinquantina ma che mostrava con orgoglio una perfetta messa impiega di capelli biondi e due vivaci occhi scuri.
«Oh cielo, siete voi»
Il Cacciatore biondo dovette supporre che la ''pazza'' fosse lei. E dire che sembrava una signora così a modo...
«Un momento» si riscosse, sbatacchiando un paio di volte le palpebre ed appoggiandosi sul suo bastone, incerto.
«Sì, caro?» chiese la donna con un sorriso preoccupato, quasi temesse che quel giovanotto potesse sentirsi male da un momento all'altro. O forse fosse un po' tardo.
«Lei ci vede.»
John si sentì stupido l'attimo dopo aver finito di pronunciare quelle parole, tesi avvalorata dal ghignetto di Anderson e la smorfia esasperata di Sally, che aveva alzato gli occhi al cielo e sembrava non sapere se trovare peggio la sua stupidità o la presenza della donna.
«Certo, caro»
Il ragazzo increspò le sopracciglia, riflettendoci un attimo su, prima di aprire di nuovo bocca «Ma come-»
«Oh, per Raziel!» esclamò alla fine la ragazza del trio, che evidentemente non trovava più divertente la scenetta. O forse voleva solo sbrigarsi. «E' una mondana, Watson, ma ha la Vista. E' per questo che quello sciroccato la tiene come governante»
La signora le scoccò un'occhiata risentita.
«Sherlock non è uno sciroccato e io non sono la sua governante»
Per tutta risposta la ragazza le sorrise in modo diabetico.
«Oh, giusto. La sua babysitter»
John però aveva solo recepito il nome pronunciato dalla donna. Quindi il Sommo Stregone si chiamava Sherlock? Che nome strano. Ma era chiaro che un personaggio così eccentrico com'era stato definito non poteva che avere un nome all'altezza delle chiacchere che lo circondavano.
Si fece avanti, zoppicando, e porgendo una mano alla vecchia signora con un sorriso gentile, sotto lo sguardo astioso dei suoi due compagni.
«Il mio nome è John Watson, sono un Cacciatore dell'Istituto di Londra. Siamo qui per parlare con Sherl- con lo Stregone. Crede di poter aiutarci?»
La donna lo guardò per qualche istante, come studiandolo, poi sorrise e una scintilla di furberia animò il suo sguardo, rendendo il suo viso molto più giovane sotto tutte quelle rughe.
«Molto piacere, caro. Sono la signora Hudson, la padrona di casa di Sherlock» e sottolineò quel concetto marcando le parole, a beneficio della Donovan «Posso portarvi da lui, ma temo che i soli che possano aiutarvi siate voi stessi»


~


Diciassette scalini.
John contò diciassette scalini per arrivare all'appartamento, aggrappato al corrimano e con la sua andatura più lenta. Non se la prese quando i suoi compagni lo superarono con uno sbuffo stizzito o lo incitarono ad andare più veloce, ormai sul pianerottolo.
La signora Hudson che aveva un problema all'anca - o così gli aveva detto - aveva salito adagio le scale con lui e si era arrischiata a fare qualche domanda.
«Sei così giovane, caro, come mai...» e accennò col capo al bastone con cui il ragazzo faceva perno per salire.
Il Cacciatore abbassò lo sguardo, abbozzando un sorrisetto incerto.
«Sono uno Shadowhunter, signora... sono inconvenienti del mestiere»
Fortunatamente sembrò bastare alla donna, che lo risparmiò da altre domande personali, togliendolo dall'imbarazzo nel farsi spazio fra Donovan ed Anderson fermi davanti alla porta e arrischiandosi a bussare contro il legno un po' rovinato.
«Sherlock? Sherlock, caro, hai visite» provò a chiamarlo, ottenendo come risposta solo il silenzio.
Philip spostò il peso da un piede all'altro, guardando nervosamente la porta e poi l'anziana signora.
«Forse non è in casa...» buttò lì, senza particolare convinzione. Più che altro sembrava sperare che fosse così e dover risparmiarsi quella visita.
Ciò aumentò in John, che finalmente era arrivato al piano, la curiosità di conoscere questo Sommo Stregone.
La signora Hudson scosse il capo, borbottando, e prese a frugare all'interno del giacchino di lana che indossava «Oh, figurati. L'avrei sentito se fosse uscito, e fino a mezz'ora fa sembrava che qui sopra si stesse combattendo la Terza Guerra Mondiale... oh, ecco!»
Sorrise, tutta contenta, mostrando loro una chiave d'ottone come se fosse stata qualche importante trofeo.
Watson deglutì, guardandola infilarla nella toppa. Forse non era più così sicuro di volere conoscere quel tipo.
Bastò una sola mandata, in ogni caso, segno che chiunque abitasse lì dentro era in casa.
«L'avevo detto» asserì con convinzione la donna, facendo l'occhiolino a John che ricambiò con un sorrisetto stentato, prima di seguirla all'interno dell'appartamento, visto che gli altri due Nephilim non sembravano intenzionati a muoversi.
Oh bene, mi lasciano entrare per primo nella tana del leone...


~


L'appartamento doveva essere stato arredato dalla signora Hudson, perché era insospettabilmente di buon gusto per un uomo - anche se era uno stregone, ovviamente.
Tolta la fantasia della carta da parati, ovviamente, che gli fece inarcare un sopracciglio. Soprattutto nel vedere uno smile giallo dipinto sul muro e corredato di piccoli crateri; avrebbe detto colpi di pistola, se non fossero stati grandi quanto un pugno di un bambino e la carta non fosse visibilmente bruciata rivelando l'intonaco annerito.
Ma se quella fosse stata l'unica cosa strana, probabilmente si sarebbe stupito.
Vigeva il caos assoluto in quello che sembrava una casa alla fin fine piccola, giusta per uno scapolo o per una coppia senza figli - o una coppia di amici, volendo.
Dalla cucina proveniva un nauseabondo odore di uova marce e zolfo e il tavolo quasi non si vedeva più coperto com'era di barattoli e ampolle di varie forme e colori.
La signora Hudson dovette correre ad aprire tutte le finestre perché, oltre ad essere l'aria inrespirabile, c'era un inquietante fumo violetto che faceva lacrimare gli occhi.
John barcollò e dovette appoggiarsi contro la poltrona rossa, della coppia che c'era nel piccolo soggiorno dove si trovava, strofinandosi il dorso della mano contro le palpebre per cercare di riottenere la vista.
Sally aveva avuto ragione a dirgli che avrebbe fatto bene a ripassare la sua runa della resistenza. Ma chi si immaginava un'accoglienza del genere?
«Oh cielo, quante volte ti ho detto di fare arieggiare quando combini quei tuoi pastrocchi?» sentì la vecchia padrona di casa chiedere a qualcuno che non riusciva a vedere bene. In quel momento maledisse Greg per averlo mandato lì e Sally e Philip per essere rimasti all'ingresso. Quei due figli di una fata sicuramente lo sapevano, a cosa sarebbero andati incontro entrando.
Ah, ma gliel'avrebbe fatta pagare...
«Esperimenti, non pastrocchi
La voce che udì lo colse di sorpresa. Era indubbiamente maschile e dalla perfetta pronuncia inglese, profonda e calda, quasi baritonale. Ma nel rispondere alla donna aveva avuto un'inflessione quasi annoiata, come se fosse abituato ad uno scambio di battute del genere.
Beh, certo, era la sua padrona di casa. John si diede di nuovo dello stupido.
Quando finalmente l'aria fu tornata mediamente respirabile e gli occhi smisero di bruciare, riuscì a vedere la figura di un uomo disteso sul divano a qualche metro da sé.
No, non un uomo. Un ragazzo, si corresse.
Poteva essere, ad occhio e croce, più giovane di lui di un paio di anni. Ventuno, ventidue al massimo.
Trovò buffo il fatto che fosse tanto alto e smilzo da non riuscire ad entrare tutto nel divano, così da avere le gambe penzolanti oltre il bracciolo.
Aveva una massa di capelli ricci e nerissimi, che contrastavano contro il pallore quasi cadaverico della sua pelle. Delle mani eleganti, da musicista, erano unite come in preghiera poco sotto il mento e teneva gli occhi chiusi.
Ciò che lo colpì fu il fatto che indossasse solo una vestaglia, visibilmente di fattura pregiata, nera - ma, del resto, era a casa sua... perché arrossire? Smettila John, sei ridicolo. E poi furono le piccole corna ossee che spuntavano da sotto i riccioli ribelli sulla fronte, deliziosamente incurvate all'insù, che gli ricordarono un Oni giapponese. Per non parlare degli artigli neri che ornavano ogni dito di quelle mani sfilate, appuntiti e probabilmente letali, se usati nella giusta maniera.
Sperò di non dover mai testarli su di sé.
«Certo, certo...» gli diede corda la signora, agitando con aria noncurante una mano «Hai degli ospiti, caro.»
«L'avevo notato, signora Hudson» rispose quello, pacatamente.
Senza sapere perché, John rabbrividì. Si sentiva osservato, anche se quel tipo continuava a tenere gli occhi chiusi.
«Oh allora vi lascio»
Sbuffò quella, scuotendo il capo e facendo per andarsene.
«Ah, signora Hudson...» la richiamò il ragazzo disteso sul divano.
«Sì, caro?»
«Potrebbe fare un po' di tea?»
La donna sgranò gli occhi scuri, poi sorrise affettuosamente e si voltò brontolando e gesticolando «Ovviamente caro, ma non sono la tua governante!»
John giurò di aver visto quelle labbra pallide piegarsi in un impercettibile sorriso, ma non ebbe tempo di rifletterci su troppo perché avvertì di nuovo quella sensazione di essere osservato. Studiato, quasi.
«Afghanistan o Iraq?»
Il Cacciatore lo guardò senza capire.
«Scusami?»
Lo stregone, ormai era chiaro fosse lui, increspò le sopracciglia, come infastidito, ma non aprì gli occhi.
«Dov'è successo? In Afghanistan o in Iraq?» ripeté, malgrado si notasse come per lui dovesse essere uno sforzo venirgli incontro in quel modo.
John attese qualche secondo, per assicurarsi di aver capito bene, poi il suo sguardo cadde sul bastone che stringeva ancora in mano. Poteva trattarsi solo di quello. Ma come diamine...
«A-afghanistan. Scusa, ma come-»
Il Figlio di Lilith prese un respiro profondo, e ciò lo indusse a zittirsi. Doveva averlo alterato, in qualche modo.
«Hai ancora l'abbronzatura, segno che devi essere tornato a Londra da poco. Cinque, sei mesi al massimo. Non avevi mai sentito parlare di me, prima, o non saresti entrato subito dopo la signora Hudson lasciando quei due inetti fuori. Ma per quel poco che sapevi, avrai capito che non sarebbe stato saggio fare il primo passo, ma l'hai fatto comunque. Perché sei abituato a batterti con Demoni Superiori, cosa che attualmente affligge solo gli Istituti in Afghanistan e Iraq.» si interruppe, quasi riflettendo fra sé e sé «Mi chiedo perché il bastone, però...»
«Cosa?» ripeté, per l'ennesima volta, il biondo non riuscendo a seguirlo.
«Bada a chi dai dell'inetto, Figlio di Lilith! Potremmo denunciarti all'Enclave!» esplose Sally, che era entrata seguita da Philip non appena aveva capito che non c'era rischio per la propria vita. Doveva aver sentito solo parte della conversazione, o forse solo quella che gli interessava.
«Potreste.» concesse lo stregone «Ma, in quel caso, avreste fallito la vostra missioncina perché non vi sarei di alcun aiuto nelle prigioni di Alicante. Sempre che mi reputassero colpevole solo grazie alle illazioni di una Cacciatrice mediocre, ovviamente. E di sicuro, allora, non avreste comunque il mio aiuto.»
Le sue parole ebbero l'effetto di una doccia ghiacciata, sulla ragazza, che strinse forte le labbra e lo guardò con odio. Ma servirono anche a riscuotere John, che guardò verso la creatura ancora placidamente distesa sul sofà.
«Fantastico...»
Non aveva la più pallida idea di come avesse fatto, ed era anche un po' irritante, ma non riusciva a togliersi dalla mente l'idea che fosse qualcosa di assolutamente straordinario.
«Davvero?» la voce dello stregone tradì una nota di sorpresa.
Watson lo sentì muoversi e tirarsi su, seduto, in un fruscio di stoffa. Si voltò a guardarlo e il sorriso gli morì sulle labbra.
Perché fu in quel momento, che il Sommo Stregone di Londra aprì finalmente gli occhi. 
   
 
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