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Autore: ISI    26/07/2008    4 recensioni
"Solo loro due in quella stanza, solo Manuel e l’uomo che gli ha insegnato a suonare la chitarra, solo Manuel e la persona che gli ha tolto la verginità."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Senza fiato

 

While my guitar gently weeps...*

 

-Febbre, inappetenza e conseguente denutrizione, tosse secca senza espettorazione, dispnea acuta, ispessimento dell’interstizio polmonare esteso a tutta la superficie dell’organo respiratorio, diaframma sollevato rispetto alla norma, diminuzione della capacità vitale e del volume massimo espiratorio per secondo, ma senza alterazione dei rapporti tra i due parametri. E ancora polmone a favo, dovuta alla fibrosi delle pareti alveolari, riduzione della pressione arteriosa parziale di ossigeno e aumento di quella di quella di anidride carbonica...-

Inutile dire che Giorgio, quando quel dottorino fresco di laurea gli aveva elencato, senza battere ciglio e con la freddezza  di un robot, tutti i suoi sintomi, non ci avesse capito nulla.

L’uomo dall’immobilità del suo letto d’ospedale, allora, aveva fissato interrogativo uno ad uno tutti i dottori del giro visita, cercando di scoprire dalle espressioni impassibili dei loro volti che cosa significassero tutti quei paroloni incomprensibili che il bimbetto in camice davanti a lui aveva snocciolato con la facilità del primo della classe per presentare il proprio caso a tutti i suoi colleghi.

Passò in rassegna le facce assonnate di chi, la sera prima, aveva fatto le ore piccole, e quelle sveglie ed attentissime di coloro che mentalmente prendevano appunti, cercando di non lasciarsi scappare neppure il più piccolo particolare.

La sensazione tutt’altro che gradevole di essere diventato una sorta di attrazione da circo, dovuta all’aggregarsi sempre maggiore intorno a lui di specializzanti in malattie respiratorie, nonostante fosse rinchiuso lì da almeno un mese, gli dava ancora sui nervi, ma la cosa che lo mandava più in bestia era sicuramente il dover pendere continuamente dalle loro labbra, dalle labbra di chi lasciava il discorso a metà come se dovesse essere lui stesso a fare una diagnosi della propria patologia.

-Ovvero?- aveva chiesto il dottore più anziano del gruppo indicando con un cenno del mento una tirocinante, affinché questa desse un nome, un’identità al malessere del paziente.

-Sindrome di Hamman_Rich.- aveva risposto questa senza scomporsi, con la stessa invidiabile freddezza di chi aveva parlato poco prima -O più comunemente conosciuta come forma acuta di fibrosi polmonare.-

 

***

 

Manuel sgattaiolava velocemente e senza sosta da un corridoio all’altro da circa mezz’or, sempre più incredulo di fronte al fatto che potesse esistere un ospedale tanto grande da potercisi perdere dentro. già trovare il policlinico, per un ragazzo di campagna senza il benché minimo senso dell’orientamento come lui era stato un dramma, tante erano le viuzze e le strade che aveva girato a vuoto, ma la situazione era decisamente peggiorata quando aveva raggiunto la sua prima tappa, dove, alla reception, un ometto basso, grasso e con una pettinatura molto simile a quella di un frate francescano, controvoglia, gli aveva fornito una serie infinita di indicazioni che il ragazzo aveva prontamente confuso e dimenticato, finendo per ritrovarsi ora all’obitorio, e lì una toccatine era stata d’obbligo, ora in cardiochirurgia, ora in qualche altro sperduto luogo di quell’universo in camice bianco.

Era ormai sul punto di gettare la spugna, quando un foglio appiccicato con del nastro adesivo ad una porta socchiusa alla fine di quel corridoio attirò la sua attenzione.

-Degenza malattie respiratorie...- lesse a mezza voce constatando di essere finalmente giunto a destinazione.

Di tutte le cose che l’ometto della reception gli aveva detto, l’unica che fosse riuscito a ricordarsi era il numero della camera, sessantasette, che, guarda caso, era stato anche l’anno di nascita di un certo dio del grunge chiamato Kurt Cobain, il musicista che, con le sue meravigliose canzoni, più di tutti aveva contribuito a fargli prendere in mano per la prima volta alla tenera età di sei anni e mezzo, una chitarra; lo stesso musicista che aveva finito per farli incontrare, avvicinando i loro mondi più di quanto non fosse lecito.

L’orario delle visite era ormai finito da un pezzo, ma all’infermiera di guardia in corridoio, pronta a scattare per qualsiasi emergenza si fosse verificata in quella zona di reparto, Manuel, nonostante i suoi diciott’anni ed il suo metro e novanta, che, diciamocelo, non lo facevano sembrare propriamente un infante, fece, chissà come, tenerezza, tanto da riuscire a meritarsi il permesso di vedere, senza dover aspettare le quattro del pomeriggio, la persona che l’aveva reso un uomo.

-Fallo parlare il meno possibile, mi raccomando...- lo pregò la donna prima di lasciarlo finalmente entrare nella stanza numero sessantasette -Sai com’è, con la malattia che ha è già tanto se riesce ancora a respirare e si affaticherebbe troppo.- il ragazzo annuì per poi chiudersi la porta alle spalle.

Sbatté le palpebre.

L’unica cosa che gli riuscì di fare, dopo aver alzato lo sguardo sull’uomo che giaceva inerme ed addormentato dinnanzi a lui, fu sbattere le palpebre.

Solo loro due in quella stanza, solo Manuel e l’uomo che gli ha insegnato a suonare la chitarra, solo Manuel e la persona che gli ha tolto la verginità.

Per un attimo il mondo di Manuel, il suo io, la sua intera esistenza parvero ridursi a quella camera d’ospedale, mentre tutto il resto scompariva dissolvendosi, come polverizzandosi, perdendo contatto con la realtà.

Realtà?

No, quella non era la realtà, era solo un brutto, bruttissimo sogno dal quale si sarebbe presto svegliato. Sì, si sarebbe svegliato e sarebbe andato a scuola, come faceva tutti i santi giorni. Avrebbe preso il suo meritato cinque e mezzo alla versione di greco, perché, invece di studiare, la sera precedente al compito l’aveva passata strimpellando la sua chitarra, fregandosene altamente se il coinquilino sottostante era arrivato sull’orlo di una crisi di nervi e sbatteva il manico della scopa contro il soffitto, intimandolo di smetterla.

Sarebbe tornato a casa, avrebbe pranzato al volo e sarebbe andato di corsa a lezione da Giorgio e allora avrebbero suonato insieme, come facevano sempre. Nel caso Manuel avesse sbagliato qualcosa, Giorgio l’avrebbe corretto, avrebbe fatto aderire il proprio petto alla sua schiena, sovrapposto le proprie mani alle sue e gli avrebbe mostrato come fare per non sbagliare più.

Poi avrebbero fatto l’amore, come quella volta e Giorgio gli avrebbe promesso che sarebbe rimasto per sempre acanto a lui, per sempre.

Chiuse gli occhi, s’appoggiò di schiena alla parete e per un attimo fu certo che tutto ciò si sarebbe verificato da un momento all’altro, doveva solo aspettare, doveva solo svegliarsi dall’incubo terribile nel quale Orfeo l’aveva lasciato precipitare.

-D’ora in poi ti starò sempre accanto, sempre Manuel. Non sarai mai più solo, mai più...- glielo avrebbe giurato sulla propria vita mentre facevano l’amore.

Sì, glielo avrebbe giurato.

Poi l’avrebbe abbandonato.

Sussultò riaprendo di colpo gli occhi, mentre una nauseante sensazione di dejà vu gli chiudeva lo stomaco rovesciandogli le budella.

Che stupido...

Tutto ciò era già successo. E da un paio d’anni ormai.

E per quanto quei due anni si fossero dilatati agli occhi di Manuel, tutto il tempo trascorso non era comunque riuscito né ad intaccare, né tantomeno a corrompere in alcun modo, i ricordi, le immagini ed i sentimenti, in una solo parola, la dannatissima realtà che, puntualmente, finiva per riaffiorare nel momento meno opportuno, specialmente quando cercava d’illudersi che lui avesse tenuto fede alla propria promessa, che in quei due anni gli fosse stato accanto e soprattutto che ora non stesse per morire.

Non riusciva a mentire né a se stesso né agli altri, non sapeva come ridefinire il proprio dolore, perché questo gli pareva infinito, e soprattutto non sapeva come dirgli addio.

Alzò nuovamente gli occhi sull’uomo e gli si avvicinò lentamente, insicuro sul da farsi, lasciandosi scivolare paino su una della due scomode sedie di plastica marrone che stavano di fianco al letto.

La malattia l’aveva consumato fino a farlo diventare poco più che uno scheletro, i polmoni, tra una predisposizione genetica a quel tipo di patologie, le sigarette e l’inquinamento atmosferico, dovevano essersi ormai incartapecoriti completamente, la debolezza doveva averlo sfibrato di ogni sua energia, ma la bellezza pareva non aver mai abbandonato i tratti delicati del suo volto, lo stesso volto che Manuel, quasi incosciente, si ritrovò ad accarezzare per poi insinuare le lunghe dita da chitarrista tra i capelli neri e corti dell’uomo, come faceva quando lo baciava.

-Ciao...- gli sussurrò appena, continuando ad accarezzarlo paino quando lo vide aprire a fatica gli occhi dalle iridi scurissime, per poi giustificarsi -Perdonami, non volevo svegliarti, volevo solo vederti...-

Vederti per l’ultima volta...

-S... scusa...- mormorò flebilmente Giorgio e Manuel scosse il capo sorridendo.

-No, non hai nulla di cui scusarti...- gli disse guardandolo con occhi pieni di nostalgia -Ogni persona è libera di fare le sue scelte: tu hai scelto di andartene ed io l’ho accettato. Mi sono detto che la tua felicità, molto probabilmente, non era accanto a me, bensì in questa città. Ho capito che non potevo fare nulla per fermarti e anche se avessi potuto sono certo che me ne sarei pentito ben presto: non si può essere egoisti in amore, significherebbe non amare davvero...- tacque un attimo e osservò l’espressione meravigliata dell’altro -E’ stata difficile, per me, non averi accanto come avevi detto; è stato difficile dover ammettere che mi avevi mentito, ma voglio illudermi che quando dicesti di amarmi tu fossi sincero, voglio credere che almeno quella volta tu non stessi dicendo una menzogna, voglio poter avere la certezza di essere stato amato da te, anche se solo per capriccio magari. Solo questo. Non so se ciò sia giusto o sbagliato, non mi interessa più ormai, come non m’interessa più sapere perché. Perché mi hai mentito, perché te ne sei andato, perché non riesco in alcun modo a dimenticarmi di te. Anche se avessi le giuste risposte a tutte le mie domande, non credo che le cose potrebbero migliorare. Purtroppo o per fortuna non si può tornare indietro, non si può mutare il passato, bisogna solo accettarlo per quello che è e cercare d’imparare il più possibile dai propri errori per poter affrontare al meglio il futuro...-

Peccato che a Giorgio, di futuro, non ne fosse rimasto poi molto...

-Non hai proprio nulla di cui scusarti, anzi, dovrei ringraziarti, perché da quando te ne sei andato sono diventato più forte, ho imparato che cosa significa essere indipendenti, quanti sacrifici siano da farsi per raggiungere una meta tanto ambita qual è l’autonomia personale e ho capito anche che le persone hanno paura della solitudine perché questa le avvicina a loro stesse più di quanto i nostri simili non sappiano fare... Ho tenuto a bada i miei demoni suonando; ho cercato di vivere tutto fino in fondo e alla fine ho scoperto che era nato un nuovo Manuel un Manuel più forte del primo e, se possibile, ancor più vivo dentro.

Giorgio allora gli sorrise, chiudendo gli occhi mentre le lacrime giungevano silenziose al ciglio: avrebbe voluto dirgli tante cose, suonare almeno per un ultima volta con lui, ma sapeva bene che il tempo a sua disposizione stava ormai per volgere al termine.

Semplicemente allungò il braccio libero dall’ago della flebo verso il volto del ragazzo, l’accarezzò, per poi guidarlo verso il proprio fintantoché le loro labbra non si sfiorarono in quello che doveva essere un bacio.

Poi solo il fischio continuo dell’elettrocardiogramma piato.

Solo allora Manuel si rese conto di non essere stato l’unico a rimanere senza fiato.

 

Fine.

 

*The Beatles, While my guitar gently weeps.

 

Grazie a Lucy3 per i suoi consigli e a tutti coloro che leggeranno e recensiranno...

Scusate per gli errori di battitura, spero che non ce ne siano troppi...

Grazie ancora e Ciao!

Vostra Isi.

  
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