Note
Arrivata a questo punto, non ho davvero molto da aggiungere. Solo che tra gli appunti ho trovato questo sito internet che all'epoca avevo usato per trarre qualche informazione sul periodo e mi sembrava carino condividerlo per chi, come me, si trova a scrivere sugli anni '40 :)
Sparisco.
Baci,
Lechatvert
Occhi
di ghiaccio, cuore di terra
Capitolo
terzo
Il
giorno dopo, alla stessa ora, riposavano all’ombra della
costruzione che imperava in cima alla loro meta, fradici dopo aver
attraversato il torrente in piena. Erano stati rallentati dalla notte e
dal cattivo tempo ma, seppur allungando il percorso per via dei
numerosi blocchi ai ponti che i tedeschi avevano posto in quei giorni,
alla fine erano riusciti a raggiungere la chiesa tutti interi.
Ludovico e Giovanni divoravano avidamente le more e i mirtilli
pazientemente raccolti da Rosa durante il tragitto, deridendo i
proprietari dei magazzini che dei loro compagni avevano saccheggiato
per fornire al battaglione del cibo commestibile. Hermann sonnecchiava
sdraiato sull’erba, masticando del tabacco con aria assente.
Stringeva la mano di Rosa che lo guardava, imbarazzata seppur felice di
quel contatto sfacciato, e ascoltava le strofe della canzone
bisbigliata nel dormiveglia.
«Ti piace?», le chiese allora, osservando il cielo
grigio e terso di nuvole. «Sembra quasi che ti sia persa
nelle parole, sai?»
La ragazza gli sorrise.
«È una strana
canzone», si giustificò, scrollando il capo.
«A chi è dedicata?»
«Non ne ho idea, probabilmente chi l’ha scritta
parlava della sua fidanzata … è possibile.
Dovevano senz’altro amarsi moltissimo.» Hermann
fece una pausa, voltandosi a guardare Rosa. «E tu? Ce
l’hai, il fidanzato?»
Lei avvampò.
«Ma no!»,
gemette. «Cioè, dovrebbe essere Giovanni
però …» Fece una breve pausa,
sospirando sconsolata. «Lui è sempre
così gentile con me e gli voglio così bene,
eppure è così strano pensare che un giorno noi
…»
La verità era chea Ludovico Giovanni non piaceva per niente.
Nonostante i loro genitori fossero stati subito propensi ad accettare
la richiesta del ragazzo, suo fratello era sempre stato diffidente. Non
gli piacevano i comunisti della Caiani, lui era un attivista, lui
avrebbe riconquistato la sua Firenze e Giovanni, con quelle idee che
sfioravano quasi il pacifismo, lo stava soltanto rallentando.
Rosa lo sapeva, Ludovico gliel’aveva detto chiaro e tondo la
prima volta che l’aveva vista saltellare con aria sognante da
una parte all’altra del campo dove dormivano con i
garibaldini. “Giovanni
non fa per te, lo sai. Non vi sposerete mai”.
Ogni volta che le tornavano in mente, quelle parole le stringevano il
cuore in una morsa. Non amava Giovanni e, molto probabilmente,
ciò che le impediva di provare del sentimento nei suoi
confronti era proprio suo fratello.
Si rannicchiò, stringendosi le ginocchia contro il
petto.
«Non dovrei farmi
influenzare da Ludovico», ammise sottovoce.
Hermann sorrise.
«Lui non dovrebbe influenzare te», rispose.
Le accarezzò i capelli,
sistemandole una ciocca castana dietro l’orecchio.
Lei lo guardò, pensierosa. In altre circostanze non avrebbe
esitato a ritrarsi e arrossire, magari nascondendo il viso dietro le
spalle di Ludovico, eppure in quel momento non ne sentiva il bisogno,
anzi. Il tocco leggero dell’uomo in uniforme accendeva in lei
un sussulto ogni volta, e provava tanto piacere ad averlo vicino da non
desiderare altro che un’altra carezza, un altro sguardo di
quelli che le scaldavano il cuore. Hermann la capiva, la sapeva
ascoltare.
«Vieni, ti faccio vedere la fonte!»
Lo prese per mano, tirandosi in piedi, e lo condusse nel
bosco.
L’aria fresca profumava
di pioggia e foglie bagnate; arbusti secchi e pigne scricchiolavano
sotto i loro passi, mentre attraversavano di corsa il sentiero di Monte
Giovi, scendendo lungo il pendio fino alla Sorgente alla Capra.
Di colpo tutto fu così familiare che Rosa si
sentì quasi a casa. Più che sulla cima, dove si
era facilmente individuabili, era lì che la brigata
Garibaldi aveva aspettato la frazione della Caiani. Dal getto
d’acqua zampillante che fuoriusciva dalla fontana che
Ludovico stesso aveva costruito assieme ai suoi compagni, fino alla
terra bruciata con le tegole poste come canna fumaria quando si
cucinava, tutto, per la ragazza, era fonte di ricordi non troppo
lontani che, con la caotica fuga che avevano dovuto architettare,
sembravano ormai distanti anni.
«È qui che stavate!»
Hermann osservò stupito il luogo.
Per un istante, sembrò
che il suo sguardo di ghiaccio si perdesse nei cieli mascherati dai
rami degli alberi.
«Ce lo siamo chiesti spesso, mentre organizzavamo
l’imboscata ai Tre Pini.»
Rosa sorrise al dolce andare dei momenti passati con le decine di
ragazzi di campagna che improvvisamente si erano trasformati in
soldati.
«Già. Eravamo
pronti per tornare a Firenze. Molti di noi erano nati là;
raggiungerla era il nostro sogno.» Parlò piano,
quasi la foresta potesse origliare. «Hermann, come mai tu sei
qui? Per cosa combattevi, prima? Non c’è qualcosa
in cui credi?»
L’uomo le sorrise e si avvicinò.
«Credo nella
libertà, ma la libertà non esiste se qualcuno
è rinchiuso dove non vuole stare.» Mosse un passo
verso Rosa, cingendole le spalle. La guardava dritto negli occhi, senza
accennare a un’espressione precisa. «Credo nei
valori, e dov’ero prima non ce n’era neanche
uno.»
Lentamente, quasi con discrezione, le prese il viso tra le mani. Le
sfiorò le labbra con un bacio, chinandosi su di lei per
abbracciarla.
Rimasero a lungo in silenzio, lui fermo ad ascoltare i rumori del
bosco, lei pietrificata dal frenetico battere del suo stesso cuore.
Voleva schizzare fuori dal petto, voleva scappare; lo sentiva agitarsi
dentro la gabbia che era divenuta il suo corpo, desideroso della stessa
libertà che anche Hermann stava inseguendo.
Lo guardò, arrossendo appena.
Lui le sorrise e riprese a parlare.
«E, Rosa», le sussurrò
all’orecchio, sfiorandole le guance con i palmi delle mani.
«Credo soprattutto nell’amore; anche se questa
guerra lo sta rubando un po’ a tutti.»
La baciò di nuovo, stavolta accarezzandole la schiena, e
rimase lì, immobile con la fronte appoggiata contro quella
di lei, stringendola contro il suo petto.
«Vorrei chiamarti Cuore di Terra, come anni fa chiamavano me
Occhi di Ghiaccio. È la tua particolarità che
spicca sulle altre: come la terra, che nasconde le sue ricchezze, anche
tu tendi a mascherare le tue qualità. È quello
che mi piace di te.»
Rosa si scostò appena, muovendo un passo indietro. Tenne lo
sguardo chino sulla punta degli stivali e frugò a lungo
nella tasca della giacca.
«Ecco, tieni»,
mormorò, consegnando all’uomo una pistola.
«Me l’ha data Ludovico ieri notte. Era la tua,
no?» Mostrò un sorriso forzato, alzando finalmente
gli occhi scuri sul viso di Hermann. «Così
sarò io a restare disarmata. Però, se dovesse
succedermi qualcosa, ci sarai tu a proteggermi.»
«Sì, Rosa. Ci sarò.»
Tornarono alla chiesa tenendosi per mano, attraversando il bosco in
silenzio. Quei suoni che prima aveva apprezzato, quelli di cui si era
innamorata nei giorni che aveva trascorso con la Brigata Garibaldi,
erano spariti. Nelle sue orecchie c’era soltanto la calda
voce di Hermann, le sue braccia che l’avvolgevano in un
abbraccio, le sue labbra adagiate sulla sua pelle. Sentiva lo stomaco
in subbuglio, agitato dalle emozioni che Giovanni non era mai riuscito
a farle provare. Si sentiva felice, leggera, finalmente compresa e
niente, in quel momento, avrebbe potuto rovinare l’immensa
gioia che l’aveva travolta.
Non appena Ludovico la vide arrivare, rossa in viso e con la mano
intrecciata a quella di un soldato tedesco, girò la testa
dall’altra parte. Nel suo sguardo, Rosa lesse la delusione,
ma neppure suo fratello poteva farla sentire in colpa.
Quell’astio le scivolò addosso senza sfiorarla
minimamente. Erano i sentimenti di Ludovico, ora, non i suoi.
D’ora in poi non si sarebbe lasciata influenzare dai sciocchi
pregiudizi della sua famiglia, mai più.
Passarono anche davanti a Giovanni, impegnato a fare la ronda. Lui le
corse incontro per salutarla, sorridendole felice. Non si
pronunciò sul contatto che Ludovico aveva disprezzato,
semplicemente si fece da parte, piegando il capo con un sospiro.
Aveva accettato la sconfitta.
Quella notte, sdraiati tra le panche dell’unica navata, Rosa
e Hermann parlarono a lungo. Parlarono del loro futuro, di quello che
li attendeva a Pontignano, di quello che sarebbe successo dopo la fine
della guerra. Come ragazzini ipotizzarono di sposarsi, un giorno, di
avere una famiglia.
Rosa si addormentò per prima, stringendosi sotto la giacca
che l’uomo le aveva avvolto sulle spalle per farla riposare
al caldo.
Per la prima volta sognò
un avvenire felice, lontana dalla sua casa e da quel fratello che,
seppur con tutto l’affetto di cui era capace,
l’aveva sempre sottomessa.