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Autore: shadowmemories    11/05/2014    3 recensioni
Dal testo:
"Mi sporsi verso di lui e posai un bacio sulla sua tempia, nascondendo poi il viso nell'incavo del suo collo. « Va bene se ci fermiamo qui? » soffiai sulla sua pelle. Non arrivò risposta, mentre la stretta della sua mano sulla mia diventava sempre più forte. Spostai il capo, rivolgendo lo sguardo a lui.
Vidi i suoi occhi sgranati dal terrore, il corpo rigido, immobile, ed un braccio teso davanti a sé. Seguii la direzione di quest'ultimo, e le mie labbra si dischiusero per l'indebita sorpresa, gli occhi si riempirono di lacrime di tarda consapevolezza."
Genere: Angst, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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NOTE DELL'AUTRICE.

(1)(2)entrambi i versi sono presi da “Acciaio” di Noemi, grazie al quale è stata concepita questa OS, per cui vi consiglio d'ascoltarla. ( http://www.youtube.com/watch?v=Gtbvj6LWV4A ). Anyway, è da un po' che ho parecchie storie in cantiere, e questa è tra quelle che mi convincevano più delle altre. Quindi tornerò con un'altra delle mie stranezze non appena avrò un po' di tempo, queste ultime settimane di scuola mi lasceranno a malapena respirare. Sulla storia non ho troppo da dire, se non che vi stupirò hahaha, dicendo che un millesimo di tuttò questo è tratto da un mio ricordo.

E per il banner, grazie alla mia principessa.

Un bacio, el. <3

 

 

 

 

“Siamo fiori d'acciaio
il freddo della notte non ci spezzerà
siamo fiori d'acciaio
siamo grandi ormai”(1)

 

 

 

Corremmo più velocemente che potemmo, la mia mano stretta saldamente alla sua, àncora di speranza e di vita, le nostre dita intrecciate.
Io e lui, come fiori d'acciaio, la luce cristallina della luna ad illuminarci.

Il freddo della notte non avrebe potuto fermarci.
Nulla avrebbe potuto spezzarci. Forti, splendenti, indistruttibili insieme.
Non ci voltammo mai, nemmeno una volta, a guardare quella città fantasma che con le sue catene ci teneva segregati nel gelo e nel silenzio delle sue prigioni.
Un silenzio assordante ne è infatti sovrano, capace di far tremare, corrodere ossa e cuore.
Il tempo non passa mai in quella città dannata, dove le persone altro non sono che ombre, prive di soffio vitale, riflessi nel buio.
Dolorosa l'abitudine alla loro compagnia.
Corremmo, corremmo fino a non avere più fiato, fino a che le gambe resistettero. Arrivammo ad un piccolo bosco, su un'altura. Avevamo con noi solo un telo di plastica, pensando che avrebbe potuto proteggerci dai venti e dalle rigide temperature glaciali, alcuni vestiti e poco altro necessario. Harry, stretto a me, tremava ed i suoi denti lottavano per non sgretolarsi al continuo battere tra loro. Coprii le nostre gambe con il telo e lo circondai con le braccia. Aprii la felpa, coprendolo come meglio potevo anche con essa. Avvinghiato a me, dopo abbondanti baci a fior di labbra, linfa ad alimentare il coraggio, si addormentò spossato dalla fatica. Rimasi sveglio tutta la notte, occhi spalancati che non volevano saperne di riposare neanche un secondo, mascella strella per impedire ai denti di consumarsi tra loro, corpo rigido per il troppo freddo. Rimasi in incessante allerta dalle luci dell'ormai lontana prigione cui era costretta la nostra vita e da ogni più flebile scricchiolio di foglie o ramoscelli. Ma non sentii alcuna stanchezza. Con lui al mio fianco, nulla poteva creparmi, indebolirmi. Avevo la forza dalla mia parte, forza che solo lui era all'altezza d'infondermi con la sua sola presenza.
L'avrei protetto e amato, sempre.
Avremmo resistito, fino a risorgere come il sole nell'alba pura di un nuovo mattino. In quella città, il sole non sorge. L'oscurità tiene al sicuro.
Mai avremmo guardato indietro alla nostra vita, che vita non era.
Solo futuro davanti a noi. Solo io e lui.

 

 

Quando anche Harry fu sveglio l'aria fredda e il cielo appartenevano ancora alla notte. Avevamo fame, e con noi soltanto quattro tozzi di pane. Ne mangiammo uno in due e c'incamminammo nuovamente. Avanzavamo reggendoci l'uno all'altro e ai tronchi, a causa della pendenza del terreno.
« Lou » si arrischiò a sussurrare lui. Io rimasi in silenzio, non potevamo permetterci di parlare. Ancora troppo vicini alla dimora delle ombre, ancora la notte imperava su di noi. Lo guardai per un solo istante, in una tacita richiesta d'attesa. Dovevamo pensare soltanto ad allontanarci il più possibile. Ci fermammo quando il bosco era ormai lontano e la nebbia in parte rarefatta. Una cinquantina di metri davanti a noi scorsi quello che sembrava un piccolo albergo. Ci scambiammo un sorriso, il cuore alleggerito. Le speranze si stavano lentamente tramutando in realtà. Avremmo passato una notte al caldo e ci saremmo preparati a proseguire la nostra evasione.
Non appena entrati lasciai la sua mano, per prudenza. Sperai che non fosse troppo tardi, così da non ricevere domande sconvenienti. Mi guardai attorno, cercando orologi che non trovai. L'entrata, illuminata da alcune candele, ci permise di vedere soltanto l'anziana donna dietro ad un bancone in legno, consumato e logorato dal tempo come il resto della locanda.
Non feci caso ai suoi occhi vitrei, di un grigio sordido.
Non feci caso alla vellutata pelle del collo, in netto stridore con il viso scavato dalle rughe e dagli anni.
Ci lasciammo condurre alla camera che avevamo prenotato per la notte ed il giorno seguente, percorrendo una lunga scala in legno, la quale scricchiolava gravemente sotto i nostri passi . I lumi riflettevano due ombre sulla parete accanto a noi, ma non notai nemmeno quello, perso nei lineamenti del ragazzo con me. Le guance smagrite, gli zigomi e l'osso della mascella forse troppo pronunciati, il pallore magari dovuto al barlume delle candele, le labbra carnose, scarlatte.
L'anziana si fermò davanti alla nostra camera, lasciò la chiave nella serratura dopo aver aperto la porta e tornò al piano di sotto, senza proferir parola o alzare lo sguardo a noi.
Non appena entrammo cercai l'interruttore, ma non lo trovai. Non era comunque un problema, avevamo imparato, con gli anni, a vedere attraverso la fioca luce delle fiaccole sparse per la città e dei nivei raggi lunari, che adesso accarezzavano dolcemente il viso del mio ragazzo, steso accanto a me sotto le lenzuola. Mimò un “ti amo” con le labbra. Sorrisi, carezzandogli distrattamente una guancia. « Possiamo parlare, amore, ma piano, mi raccomando » sussurrai. Mi parve esitare, ma poi « Lou.. lei è una di loro, ne sono certo » soffiò a pochi centimetri dalle mie labbra. Leggevo nei suoi occhi la paura espandersi, la speranza vacillare, il coraggio rischiare di precipitare. Allora unii le mie labbra alle sue, spostando un braccio a cingere la sua vita in un abbraccio. Sentii il suo corpo rilassarsi, potei vederlo liberarsi d'ogni pensiero per quella manciata di secondi in cui le nostre labbra si mossero tra loro con quanto più amore disponevano. « Siamo fuori dalla città, è solo un'anziana. Non ci succederà nulla di male, te l'ho promesso. Dobbiamo solo allontanarci ancora. Ti amo, Harry, e non torneremo mai più. » mormorai poi guardandolo negli occhi.
Verità, purtoppo, destinata a rimanere peritura.

 

 

Quando mi svegliai, rimasi completamente meravigliato.
Ne avevo sentito parlare, in segreto, ma mai, mai ai miei occhi era stato concesso uno spettacolo tanto incomparabile. In un libro, anni prima, mi era capitato di leggerne la descrizione. Veniva chiamata “alba”. Era scritto che avveniva quando il buio si ritirava e tutto gioiva di una nuova luce, emanata dal sole, lasciato a noi dalla luna.
Alba di una nuova vita, nuove realtà.
Il sole, il sole stava sorgendo per prendersi cura di noi, lenire le anime, tenere al sicuro il nostro amore.
Eravamo liberi.
Non feci troppa fatica ad abituarmi ai flebili raggi che trapelavano incerti dalle vecchie assi mal inchiodate alla finestra.
Volsi lo sguardo al mio ragazzo; la luce accarezzava debolmente i suoi lineamenti, restituiva loro vita.
« Buongiorno, amore mio » sussurrai sulle sue labbra, dopo aver lasciato un bacio all'angolo di quello inferiore. Aprì lentamente gli occhi, impiegando qualche secondo a recepire le mie parole. Quando si rese conto di ciò che era attorno a lui, dischiuse le labbra voltando il capo alla finestra.
Sorrisi mettendomi a sedere sul materasso, prendendo una sua mano tra le mie. Solo in quel momento parve riprendersi, e tornò a guardarmi con un sorriso che mai gli avevo visto. Un sorriso che, potrei giurarlo, risplendeva più di quel sole.
« Ce l'abbiamo fatta, ce l'abbiamo fatta, lou! » quasi alzò la voce, prima di prendere il mio viso tra le mani e baciarmi. Ricambiai appena sentii le sue labbra sulle mie, e solo con quel contatto potevo percepire tutta la felicità che, lenta e inconsistente, si insinuò in lui. Scostai appena il viso dal suo, a contemplarlo. Era bello e vivo come mai.
E avevo bisogno di sentirlo, di imprimere il mio amore in ogni parte di lui.
Mi sentivo capace di proteggerlo.
Nessuno ci avrebbe fatto del male, non più.
Mi distesi portandolo su di me, le mie mani correvano lungo la sua schiena finendo per unirsi alle sue, le mie labbra saggiavano la tenera pelle del suo petto e gli occhi rimanevano chiusi, ad amplificare ogni sensazione.
Dimenticai ciò che era la nostra esistenza soltanto fino a circa venti ore prima non appena le sue labbra, immacolate e piene, mi accolsero.
Dimenticai di anni passati nel terrore, nella rassegnazione, anni di lacrime interminabili, quando il suo corpo si aprì a me per la prima volta.
Dimenticai di anni costretti in quella città, protetta da lastre di pietra ghiacciata. Dimenticai ogni cosa con le sue dita strette tra i miei capelli, la pelle calda del suo collo al passaggio delle mie labbra, la sua voce roca nel gemere, i nostri ansiti sommessi, gli occhi socchiusi e lucidi a cercarsi sempre.

 

 

E non vorrai mai guardarti indietro
e non dovrai mai guardare indietro mai
indietro mai...
non lo farai...”(2)

 

 

Avevamo cercato l'anziana donna che ci aveva condotti alla nostra camera per pagare e riconsegnarle le chiavi, prima di andarcene, ma sembrava svanita.
Ci allontanammo nuovamente camminando mano nella mano, confortata la speranza, riposati i pensieri e fortificate le promesse.

La paura era certo ancora radicata in noi, ma n'ero sicuro, ci avrebbe abbandonato presto.
La luce era diversa, ma ugualmente straordinaria.
Il cielo era mosso da infinite sfumature: rosa chiaro, violetto, azzurro chiaro, scuro.
Mai avremmo potuto immaginare questi colori affrescati con tale cura nell'empireo.
Da ore ormai scrutavamo questo spettacolo, per troppo tempo taciuto dall'atro sipario che da sempre vessava su di noi, imprimendolo nelle nostre menti.
« Il buio tornerà, lou? » mi chiese piano, con timore.
Carezzai il dorso della sua mano, come assorto nel trovare una risposta, e non soltanto per lui. Lo portai poi all'altezza delle mie labbra e vi lasciai un bacio.
« Credevamo impossibile che se ne andasse, e invece guarda, amore, guarda tutto questo.. no, non tornerà ».
Non sorrise alle mie parole, non ne fu rassicurato.
Parole da cui avrei dovuto diffidare anch'io.
E parve farsi sempre più preoccupato dall'indebolirsi della luce, l'insurirsi e fondersi dei colori in un azzurro sempre più cupo.
E fremette, quando una folata d'aria fredda lambì sua pelle.
« Ce la faremo? » domandò in un sussurro.
« Ce l'abbiamo già fatta, Harry » dissi tenendo lo sguardo al cielo, preoccupandomi di non lasciar tremare la mia voce a quell'ingenua affermazione.
Dovevo essere abbastanza forte per entrambi.
Solo così non saremmo stati vinti.
Percorremmo parecchia strada, forse quattro, cinque chilometri. Dovevamo averci messo poco più di un'ora e mezza.
Non avevamo trovato nessun altra locanda o riparo in cui rifugiarci per riprenderci. Le precarie condizioni in cui eravamo non ci permettevano di reggere bene la fatica. Decisi di cercare una piccola radura nel bosco che continuava a costeggiare la strada, nonostante l'insistenza di Harry nel voler proseguire. Il terreno pendeva molto più di prima, ed avanzai dietro di lui; nel caso fosse scivolato avrei potuto reggerlo.Quando il terreno fu sicuro e ci permise di avanzare orizzontalmente, ripresi la sua mano facendolo fermare. Mi sporsi verso di lui e posai un bacio sulla sua tempia, nascondendo poi il viso nell'incavo del suo collo. « Va bene se ci fermiamo qui? » soffiai sulla sua pelle. Non arrivò risposta, mentre la stretta della sua mano sulla mia diventava sempre più forte. Spostai il capo, rivolgendo lo sguardo a lui.
Vidi i suoi occhi sgranati dal terrore, il corpo rigido, immobile, ed un braccio teso davanti a sé. Seguii la direzione di quest'ultimo, e le mie labbra si dischiusero per l'indebita sorpresa, gli occhi si riempirono di lacrime di tarda consapevolezza.
Davanti a noi si estendeva la valle, e dall'altra parte, la città.
Ervamo tornati su quell'altura, nonostante avessimo proseguito per chilometri e chilometri verso la direzione opposta.
Caddi in ginocchio, il corpo scosso da tremori, non più dovuti al freddo.

La luce era stata solo una concessione, forse un'illusione, monito di ciò che non sarebbe mai stato nostro, di ciò che avremmo sospirato per il resto della nostra eternale condanna.
La notte non avrebbe mai avuto fine.

 

  
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