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Autore: Kia85    11/05/2014    6 recensioni
Se c’è una cosa che l’ispettore McCartney odia, quella sono i ladri.
Quando gli affidano il caso dell’anno, il caso di Hermes, il ladro melomane, Paul sa che farà di tutto per acciuffarlo.
Ma gli imprevisti nella vita possono celarsi dove meno te lo aspetti.
Anche nel negozio di musica davanti casa, gestito da un certo John Lennon...
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'I'll get you'
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I’ll get you

 

Capitolo 4: “What you’re doing”

 

Era strano.

Era strano ed eccitante.

Era la cosa più pericolosa che John avesse mai fatto e quando ne aveva parlato con George, anche lui gli aveva dato del folle, dello svitato, del completamente ammattito. Ma non uno dei suoi tentativi di convincimento riuscirono a fargli cambiare idea, né il “E’ un fottuto poliziotto”, né il “E’ il fottuto poliziotto che sta cercando te”, né il “Se compi un passo falso, sei fregato.”

Semplicemente a John piaceva il rischio. Il rischio era come prendere una piccola scossa, era come il ketchup sulle patatine, rendeva tutto migliore.

E doveva anche considerare che questa nuova “amicizia” gli sarebbe stata molto utile. Per suonare bene la chitarra? Sì, anche, ma soprattutto perché c’era la possibilità di ricavare qualche informazione utile sugli spostamenti della polizia.

Così ora si trovava in compagnia dello sbirro, no, anzi, di Paul, nel suo studio per la loro seconda lezione. John aveva ricavato questa piccola stanza per se stesso dietro il negozio. Qui custodiva un paio di chitarre acustiche, una elettrica, una tastiera, un amplificatore, poi c’era qualche scaffale con libri di musica, e sulla parete opposta rispetto a dove suonava John, erano appese diverse foto di lui con George e la sua fidanzata Pattie, ma soprattutto di lui e Julian, Julian che giocava nel parco, Julian che dormiva a casa, Julian che mangiava la pappa con il bavaglino… Era un modo per averlo sempre con sé, anche la mattina, quando lui era all’asilo.

“E’ tuo figlio?” gli chiese all’improvviso Paul.

Aveva visto quelle foto già durante la loro prima lezione, e aveva anche riconosciuto il ragazzo che qualche giorno prima l’aveva chiamato “sbirro”: si chiamava George e aiutava John in negozio. Tuttavia Paul si era dimenticato di chiedere informazioni riguardo le foto del bambino. E ora, mentre accordavano le chitarre prima di cominciare, Paul ne approfittò per sapere.

John sorrise, di un sorriso dolce, felice, sincero, “Sì, si chiama Julian.”

“Si vede, ti assomiglia molto.”

“Dici?”

“Sì, avete la stessa forma degli occhi.”

“Lo dicono tutti.” commentò John, compiaciuto, allentando la corda del Mi cantino.

“Quanti anni ha?”

“Quattro. È nell’età in cui posso ancora spupazzarlo quanto voglio.” esclamò, prima di non riuscire a trattenere una risatina.

Paul rise, “Sì, immagino. Quindi sei sposato?”

“No.”

“Fidanzato?”

“Mm…no.”

Paul aggrottò la fronte, perplesso, “E la madre?”

John sospirò, doveva pur aspettarsi quella domanda. Tuttavia non era pronto a condividere tanto con un perfetto sconosciuto.

“Diciamo solo che è una storia lunga.” tagliò corto John.

“Oh, capisco.”

Paul si morse il labbro, pensando che forse avesse osato un po’ troppo e che non gli fosse ancora permesso chiedere cose così private a un uomo che conosceva da appena due settimane. Tuttavia, sperava che John capisse che fare domande, essere curioso, era nella sua natura di poliziotto. Non lo faceva per essere scortese, era semplicemente più forte di lui.

“Andiamo avanti?” domandò infine John, sorridendo per mostrargli che non era arrabbiato, o meglio, era arrabbiato, ma non con Paul.

Era arrabbiato perché quella storia, quella della madre di Julian, faceva ancora male dopo tanto tempo e non era giusto.

Paul annuì più rilassato, “Hai studiato il giro di Do?”

“Certo, prof.”

“Allora, prego.” disse Paul, facendogli cenno di dimostrarglielo.

John guardò solo brevemente le corde sul manico della chitarra, per sistemare le dita nei tasti giusti, e poi cominciò a suonare gli accordi del giro di Do.

Era molto più difficile, rispetto a come era solito suonare lui. Il suo primo insegnante, quello che l’aveva introdotto nel mondo della musica, aveva omesso il piccolo particolare che il banjo avesse solo cinque corde, mentre la chitarra sei. Era ovvio che il modo di suonare fosse diverso.

Inoltre, non si doveva arpeggiare sempre con tutte le corde. Alcuni accordi ne coinvolgevano solo cinque o addirittura quattro. Questo spiegava perché quando suonava, alcuni suoni non erano proprio pulitissimi.

Paul aveva ridacchiato quando l’aveva visto suonare in quel modo, prima di correggere subito la sua tecnica.

Così da quella prima lezione John si era esercitato un po’ ogni giorno, mentre George lo sostituiva in negozio, o a casa, mentre Julian giocava con le sue costruzioni.

Con Paul avevano stabilito di vedersi due volte a settimana. Le lezioni erano piacevoli, era come se il tempo passasse velocemente, John si divertiva, mentre Paul non sembrava essere altrettanto a proprio agio, sia per la questione della musica, sia perché era ancora un po’ in imbarazzo con John, considerato il fatto che si conoscessero da poco tempo. Tuttavia John sentiva che col tempo si sarebbe lasciato andare. Se c’era una cosa in cui era bravo, era piacere alle persone. Quando si impegnava, era un maestro in quell’arte.

E Paul, l’ispettore McCartney, la sua nemesi, non avrebbe impiegato molto tempo a lasciarsi andare, a fidarsi di lui, a confidarsi con lui…Dopotutto, da quello che John aveva capito, a Londra Paul non conosceva molte persone, doveva sentirsi abbastanza solo, desideroso di parlare con qualcuno prima o poi, e quando fosse stato pronto, John sarebbe stato lì, pronto a raccogliere le sue confidenze, cercando di capire i suoi punti deboli e qualunque altra informazione che avrebbe potuto sfruttare per la buona riuscita dei suoi colpi.

Piuttosto crudele come piano, ma non importava. Non a John almeno. La vita, le persone si erano prese gioco di lui, l’avevano illuso, abbandonato. Quindi ora perché avrebbe dovuto portare rispetto, preoccuparsi di persone che non fossero quelle poche che era certo, non l’avrebbero mai lasciato? George, Julian, l’uomo che l’aveva salvato, solo loro contavano per John.

“Niente male, impari in fretta, vedo.” commentò Paul, alla fine della lezione.

John aveva suonato senza neanche un’incertezza il giro di Do e poi, insieme a Paul, aveva perfezionato quello di Sol e Re.

“Non imparo in fretta.” disse lui, scuotendo lievemente il capo, “E’ solo che voglio imparare.”

“Giusto. È una differenza importante.” esclamò Paul, riponendo la chitarra nella custodia.

“Tu, invece, dici di odiare la musica, ma ti ricordi bene come suonare.”

Paul si accigliò lievemente, “Sì, beh, ho suonato per tanto tempo. Sono cose che non si dimenticano. È come andare in bicicletta. Saprai farlo per sempre.”

Detto questo, gli porse la chitarra. Era una delle chitarre che aveva John. Paul naturalmente aveva lasciato la sua a casa di sua madre, per cui John gli aveva offerto una di quelle che teneva nel suo piccolo studio.

“Se vuoi, puoi tenerla.” gli disse John.

“No, grazie.”

"Sei sicuro? A me non dispiace, sai. Ne ho un bel po' a disposizione."

Paul sorrise, "Sono sicuro, non ti preoccupare."

“Come desideri.” sospirò l'altro ragazzo.

Così John prese la chitarra dalle mani di Paul e la sistemò insieme alla sua.

“Devo andare ora.” esclamò Paul, “Devo ancora recuperare qualcosa da mangiare e andare a letto presto. Domani mi aspetta una giornata di lavoro impegnativa.”

John drizzò le orecchie, tutti i suoi sensi erano improvvisamente all’erta.

“Certo. Come…” disse, voltandosi con un movimento lento verso Paul, “Come va con il lavoro? Qualche svolta interessante?”

“Ecco, veramente…” iniziò a dire Paul, ma si fermò appena in tempo, “Forse non dovrei parlare di queste cose, sai, sono riservate.”

“Oh sì, giusto.” commentò John, mordendosi il labbro, “Perdonami, non volevo intromettermi.”

Paul fece un vago gesto della mano, “Non c’è problema, anzi, ti ringrazio per l’interessamento.”

John annuì, sorridendo, e poi si salutarono, decidendo di incontrarsi all’inizio della settimana successiva, per la nuova lezione.

Quando l’ispettore se ne andò, John imprecò sottovoce. Non avrebbe mai dovuto fare quella domanda. Era troppo presto, dannazione, ed era ovvio che Paul avrebbe risposto in quel modo. Sicuramente non sarebbe stato difficile da fare fuori, questo piccolo sbirro, ma era altrettanto vero che non era uno stupido. John poteva farcela, doveva solo giocare bene le sue carte.

Ora più che mai doveva ricorrere al suo ingegno.

E poi Paul McCartney sarebbe stato un semplice ricordo.

****

Il giorno dopo, mentre Paul esaminava alcuni file sul computer riguardanti Hermes, l’ispettore capo Starkey gli comunicò che fra un paio di settimane sarebbe arrivato in città un ricco impresario, il quale possedeva una famosa collezione di cimeli dei più famosi cantanti rock. Di recente ne aveva aggiunto uno piuttosto particolare: si trattava di un disegno della metà degli anni Sessanta, il quale rappresentava un personaggio composto da alcuni tratti individuali dei cinque Rolling Stones, ovvero i capelli di Mick, la faccia di Brian, gli occhi di Keith, il naso di Charlie, e la bocca di Bill. Il ritratto era stato fatto da un’adolescente inglese che era riuscita a farlo autografare dagli stessi componenti della band.

L’uomo, ora proprietario del ritratto, aveva ricevuto una lettera da parte di Hermes, che lo avvisava di voler rubare quel cimelio e l’avrebbe fatto tra due domeniche. Per questo motivo aveva richiesto un sopralluogo della polizia e ovviamente, la loro protezione.

Quel pomeriggio, quindi, Paul e qualche agente scelto si recarono nella villa dell’uomo. Era un grande palazzo che si sviluppava su tre piani. Paul ne rimase affascinato, sembrava un castello, non aveva mai visto una casa così enorme. Che se ne facevano di tutte quelle stanze?

Rise un po’ del suo pensiero, fino a quando una giovane donna dai lunghi capelli biondi, una dei suoi agenti scelti, gli rivolse uno sguardo sconcertato e lui riprese un po’ di contegno e professionalità. Osservò bene la casa e i dintorni. Era immersa nel verde: ai lati vi erano alberi dalle fronde rigogliose e il giardino era ben curato, circondato da un elegante cancello smaltato di nero, con le punte dorate e ben affilate.

Il proprietario del palazzo, tale John Lowe (1) li accolse calorosamente e subito si apprestò a fargli fare un giro della tenuta. Beh, se Paul era rimasto affascinato dalla facciata anteriore, lo fu ancor di più quando scoprì che nella parte posteriore vi era una immensa piscina. Tuttavia la cosa davvero spettacolare era ancora quella distesa verde, con siepi e alberi meravigliosi, che rendevano tutto così naturale. Santo cielo, c’era anche un laghetto da cui partiva un piccolo ruscello che si snodava tra gli alberi e confluiva in un lago un po’ più grande.

L’uomo informò Paul su tutte le telecamere appostate nei diversi punti del cancello e del palazzo, aggiungendo che erano tutte collegate ai monitor della sala video che si trovava in un’ala del suo vastissimo palazzo. Paul decise di andare subito a esaminare la sala. Non era niente male, qualcosa di estremamente tecnologico, neanche la polizia era così avanzata da quel punto di vista.

E lì, in quella sala, il signor Lowe informò Paul del suo piano.

“Il vero ritratto è nel sotterraneo?” ripeté sbalordito l’ispettore.

“Sì.”

“Allora dovremmo disporre degli uomini anche laggiù.”

“Certo che no.”

Paul sbatté le palpebre, perplesso, “Chiedo scusa?”

“Non ce ne sarà bisogno. È rinchiuso in una cassaforte a prova di scasso.” affermò orgoglioso l’uomo, “Inoltre se il ladro vedesse degli uomini nel sotterraneo, si insospettirebbe. Al contrario, lasciandolo incustodito, lo attireremo nella sala dove è esposto e potrete arrestarlo.”

“Ma è troppo rischioso, signore, stiamo parlando di un ladro esperto, non di un volgare delinquente.”

“E io le dico che il piano funzionerà, non si preoccupi, ispettore McCartney. Hermes finirà in gabbia, glielo prometto.”

Così, alla fine, Paul fu costretto a sottostare al suggerimento del signor Lowe.

Era totalmente da folli, Paul lo sapeva. Ma cosa poteva fare? Anche l’ispettore capo Starkey, quando tornarono dal sopralluogo, gli aveva consigliato di seguire le indicazioni dell’uomo. Non potevano fare altro, era la sua decisione dopotutto.

Tuttavia la rabbia in Paul continuò a ribollire per tutto il giorno. Solo quando fu l’ora di andare a casa cominciò a stare meglio, a rilassarsi. In fondo, non sarebbe stata colpa sua, se Hermes fosse riuscito a rubare quel ritratto.

Tornando verso casa, sentì il bisogno di sfogarsi con qualcuno, di parlare di quanto era successo, ma con chi? A casa non lo aspettava nessuno e Jane era lontana, impegnata probabilmente a girare il suo film.

Un senso di solitudine gli oppresse il cuore, mentre imboccava la via del suo appartamento, e quando fu davanti alla sua porta, il suo sguardo cadde sul negozio di John, già chiuso, dal momento che era molto tardi.

Peccato, avrebbe potuto parlare con lui. Gli sarebbe piaciuto passare a salutarlo, solo per scambiare due parole con qualcuno che non fosse un suo collega di lavoro, solo per sfogare l’assoluta frustrazione di quella giornata.

Poi però si ricordò dell’ultima volta che si erano visti e si morse il labbro, mentre entrava in casa. Forse a John non avrebbe fatto così piacere vedere proprio lui, dopo quello che era successo.

Paul sapeva di aver fatto la cosa giusta, eppure una piccola parte di lui, gli stava sussurrando che non aveva risposto alla sua domanda perché non si fidava. Paul non si fidava mai di nessuno e questo lo portava ad avere pochi amici, anzi pochissimi amici.

Jane gli diceva che era sempre troppo chiuso in sé e nelle loro chiacchierate al telefono, lo incoraggiava a cercare di frequentare qualcuno per socializzare e non lasciare che Paul si sentisse troppo solo, dal momento che il suo lavoro l’avrebbe tenuta lontano da Londra per molti mesi durante l’anno. Se Paul ci pensava bene, ormai aveva solo Jane e un paio di amici d’infanzia a Liverpool.

Non riuscire a fidarsi delle persone era un vero problema. Paul sapeva che era dovuto all’essere stato abbandonato da quell’uomo nella sua infanzia. Non era qualcosa che avrebbe risolto da un momento all’altro. Lui allontanava le persone dalla sua vita, poca confidenza lo difendeva da altro dolore. L’unica che fosse riuscita ad avvicinarglisi era stata Jane. Paul sarebbe stato perso senza di lei. Letteralmente. Jane era l’unica cosa certa nella sua vita, l’unica cosa per cui valesse la pena rischiare.

Tuttavia era anche vero che non potesse continuare così e lo stava capendo solo ora, ora che non aveva nessuno con cui confidarsi, neanche i colleghi, dal momento che tutti erano ai suoi ordini e non poteva permettersi di mostrarsi incerto, dubbioso, arrabbiato.

Da quando aveva iniziato quelle lezioni con John, Paul pensava che forse non ci fosse pericolo a dargli un po’ di confidenza. Solo un po’. Dopotutto stava affrontando anche il suo problema con la musica un passo alla volta. Era stato difficile la prima volta che aveva ripreso la chitarra in mano. All’inizio si era meravigliato che ricordasse alla perfezione tutti gli accordi e questo forse l’aveva aiutato ad andare avanti, imbracciare nuovamente la chitarra e suonare per mostrare a John le posizioni corrette. Tuttavia, in seguito, Paul aveva capito che non aveva motivo di essere così sorpreso, perché era semplicemente naturale. Il suo primo approccio con la musica era stato entusiasmante, importante, l'aveva segnato a vita, proprio come ciò che era seguito, ciò che l'aveva portato ad allontanarsi definitivamente dalla musica. Allontanarsi, ma non dimenticarla, perché ora era diventata come una cicatrice: non provocava più dolore, ma era lì e Paul lo sapeva, sapeva tutto di quella cicatrice, chi l'avesse causata, perché e come... Una cicatrice che era debole, poteva riaprire la ferita e fare ancora male.

Ma non tutti nel mondo desideravano fargli del male. Chi era lui, in fondo? Solo un ragazzo, uno come tanti. Perché mai qualcuno, uno come John per di più, che desiderava solo imparare qualcosa da lui, avrebbe dovuto per forza fargli del male? Non c'era motivo. Allora perché non provare a fidarsi di lui, solo di lui per ora? Un po' per volta...

Affrontando tutto ciò con convinzione ed estrema naturalezza, Paul aveva deciso di presentarsi al negozio di John il giorno successivo. George era alla cassa e quando vide Paul, gli indicò con un cenno del capo la stanzetta dietro il bancone.

Mormorando un rapido "Grazie", Paul si diresse verso il luogo da cui provenivano degli accordi più corretti rispetto a quelli sentiti diversi giorni prima.

John proprio non si aspettava di vedere Paul lì. Quando si accorse del giovane uomo in piedi di fronte a lui, sbatté le palpebre sorpreso.

"Paul?"

"Ciao, John."

"Cosa ci fai qui?"

"Devo...ehm... io…” iniziò a balbettare Paul, incerto, ma poi si ricordò che la sua decisione era stata presa ed era determinato ad andare fino in fondo, “John, io devo chiederti scusa."

Il giovane uomo sbatté le palpebre, perplesso, "Scusa?"

"Sì. Per l'altro giorno."

"Oh. L'altro giorno.” esclamò John, ricordando, “Ma, Paul, non ce n'è bisogno. Avevi ragione tu."

"No, non era giusto.” ribatté accalorato Paul, “Tu ti stai affidando a me per questo nostro accordo, significa che hai riposto in me vera fiducia. E io te ne sono grato, sai, ma non sto facendo lo stesso con te."

"Non è una cosa istantanea, Paul, ci vuole tempo. Non si diventa amici da un giorno all’altro." esclamò John, con una risata.

Paul scosse il capo, sorridendo fra sé, “No, ma la verità è che fino a questo momento, non avevo mai voluto trovarmi degli amici. Anzi, non avevo mai capito quanto potesse essere importante, avere qualcuno con cui parlare di qualunque cosa.”

"Ora sì?"

Paul annuì, percependo un lieve fremito alle mani. Sì. Ora sapeva. Sapeva che stava compiendo un altro passo importante nella sua vita, uno che non pensava di poter fare fino a poche settimane prima.

"Cosa ti ha fatto cambiare idea?" domandò John, sinceramente interessato.

"Stress da lavoro." rispose Paul, con una risata, "È sufficiente come risposta?"

"Altroché." esclamò John, mentre si alzava per recuperare una sedia affinché Paul potesse sedersi di fronte a lui, e poi ripeté la stessa domanda di qualche giorno prima, "Allora, Paul, come va con il lavoro?"

Paul guardò John che batteva la mano sulla sedia di fronte a lui, invitandolo ad accomodarsi; si morse il labbro, mentre una stupida vocina dentro di lui gli sussurrava di andarsene subito. Stava solo facendo del male a se stesso.

Ma Paul stava cambiando. Aveva deciso di cambiare.

Così, mise a tacere la vocina nella sua mente e si sedette di fronte a John.

"Un vero disastro." sbottò Paul esasperato, "Non hai idea di quello che abbia dovuto sopportare oggi."

John gli sorrise incoraggiante.

"Racconta."

 

(1)- John Lowe, uno dei componenti dei Quarrymen.

 

Note dell’autrice: buona domenica.

Andiamo con il nuovo capitolo. Allora, giusto un paio di cose da dire su questo. La prima è che questo capitolo, l’idea di fondo, diciamo, del piano di nascondere il vero ritratto nel sotterraneo è presa dal primo episodio dell’anime “Occhi di gatto”, che probabilmente voi siete troppo piccoli per ricordare, ma ai miei tempi andava alla grande. :3

E la seconda è che il ritratto che John vuole rubare esiste davvero, e se vi interessa, nel prossimo capitolo allegherò la foto.

Grazie a kiki per la correzione, a ringostarrismybeatle e SillyLoveSongs per il supporto e a tutti quelli che seguono la storia.

Il prossimo capitolo, “A hard day’s night” arriverà domenica prossima, probabilmente in serata, però. :/

E facendo anche tanti auguri a tutte le vostre mamme, vi lascio la storia che avevo scritto l’anno scorso per questa occasione, Mary Julia.

A presto

Kia85

 

 

   
 
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