“Soffierà
nel vento
una lacrima...”
Che
tornerà da te,
Per
dirti Ciao, ciao.
Mio
piccolo ricordo in cui nascosi anni di felicità.
Ciao…
e guardami affrontare questa vita
come
se fossi ancora qui.
~
“Da
quando camminare è così difficile?”
Passi di
piombo. E ogni passo in
meno che lo divide dalla camera dove ha sentito Eloise urlare
è un peso in più
che cala sul suo cuore.
Non posso essere arrivato così
tardi. Non così tardi.
Rivedere
qualcuno che ami... qualcuno che
pensavi di aver perso per sempre, 50 anni dopo.
Sospira di sollievo
quando
avverte il battito pulsare contro la pelle sottile.
Si guarda intorno, ispezionando
la camera con attenzione: dei cuscini sono posati contro la testata di
un letto,
in fondo alla stanza.
Li prende, adagiandoli sotto i
piedi di Amelia a rialzarne le gambe, per favorire la circolazione
dell’ossigeno nel sangue.
“Da quanto tempo può trovarsi in
questo stato?” chiede a Eloise, che ha il viso pietrificato
mentre fissa il
corpo rigido di sua nonna.
“Non lo so... l’ho trovata
così...”,
distoglie lo sguardo, impaurita. “... ma non può
essere da molto. Non mi sono
accorta di niente, come ho potuto? ”
Il Dottore poggia una mano sulla
spalla della ragazza: “Ascoltami, Eloise, va tutto bene. Il
battito c’è, e
tiene, è solo una perdita di sensi, un calo di pressione
molto probabilmente”. La
ragazza rialza lo sguardo e lo fissa dritto negli occhi, prima di
asciugarsi le
guance, una piccola speranza che sembra riaccendersi nel fondo delle
sue
pupille.
“Portami dell’acqua fredda, una
spugna... o anche delle bende di cotone possono andare bene. Non
possiamo
muoverla da questa posizione purtroppo, potrebbe essere rischioso.
Chiama la
tua famiglia e falli tornare a casa per quando si sveglia! Tutto
chiaro?”
La ragazzina annuisce convinta col
capo, attenta.
“Andrà tutto bene, okay? ...sta
tranquilla... te lo prometto sulla mia parola”.
Gli occhi di Eloise sono ancora
umidi quando sparisce in corridoio.
“Resta con
me, Pond... non ti
permettere... non ci pensare neanche per un
momento...”sussurra vicino al suo
orecchio “...resta con me, sono qui, mi senti?”
Sa che non può sentirlo, eppure
prega, spera che lo faccia.
“Io torno e tu ne
vai? No, non si fa così...
dobbiamo coordinarci la prossima volta, eh? Che ne dici?”
l’ammonisce
dolcemente, tastandole la fronte accaldata, la voce che si piega di
preoccupazione, tenerezza.
Poi le stringe la mano, così
piccola, fragile, nella sua. La memoria tattile gli riporta alla mente
la mano
della piccola bambina scozzese che strinse anni prima, quando la crepa
nella
parete della sua camera la spaventava. Lei aveva pregato Babbo Natale
di
mandare qualcuno ad aiutarla.
E lui era arrivato nella sua
cabina blu precipitata in giardino.
Tu
chiami e io arrivo in soccorso, Pond. E’
sempre la stessa vecchia storia.
Sorride ancora, stringendole la
mano, mentre le posa un bacio lieve sulla fronte.
“Ma come
posso... come posso pensare di lasciarti
andare di nuovo, proprio adesso che ti ho ritrovato?”
~
Stanca, Amelia si
sente così stanca...
Le sembra di aver
risalito a
forza delle sabbie mobili, combattendo con le unghie e con i denti
contro la
gravità. L’udito chiuso all’esterno da
un tappo che la isola dal mondo, un
tepore intimo chiuso dentro al petto. La pelle che formicola di fresco
contro
le articolazioni che tornano a muoversi di nuovo.
Non ha il coraggio e la forza di riaprire gli
occhi. Per
un po’ vuole cullarsi in quello stallo che è ad un
passo tra il mondo
dei sogni e la realtà. Quando il formicolio passa, e le
sembra anche di
incominciare a percepire dei rumori, i sensi le danno la certezza che
si trovi
con la schiena contro il pavimento.
E qualcuno si sta prendendo cura
di lei dall’alto, spostandole i capelli dal viso e bagnandole
lentamente tempie
e collo con piccoli colpi di spugna.
Intercetta quella mano, ad occhi
chiusi, e la stringe nella sua.
E’ solo
che il modo in cui si prende cura di
lei... quell’attenzione; per un attimo ha avuto la sensazione
di sentire Rory
al suo fianco, e
a questo ha contribuito l’odore pungente e stordente del
disinfettante, che le macchia le dita di rosso mentre si porta una mano
alla
fronte.
“Ha sbattuto la testa cadendo, è
solo una ferita superficiale” dice l’uomo di fronte
a lei, con voce calma.
Il Dottore, quando Amelia ha riaperto
gli occhi, per un attimo le ha sorriso.
Non può avercela con lei per questo.
A conti
fatti, lui è diverso: aspetto,
voce, tutto.
Ed è triste, perché adesso il
Dottore non ha il coraggio di dirle: “Amelia,
sono io... sono tornato!”.
Ha solo la forza di spiegarle con
voce ferma e professionale che è un medico funzionario del
Ministero, venuto in
visita di controllo. E che è stato solo davvero fortunato a
capitare nel posto
giusto al momento giusto, così da correre in aiuto.
Regola numero uno:
il Dottore mente.
“Ha avuto
un leggero calo di
pressione”, le spiega. “… forza, adesso
l’aiuto a rialzarsi. Si aggrappi a me!”
Il Dottore stringe Amelia:
piccola, fragile tra le sue braccia.
La guarda senza guardarla
davvero, con timore. Ha paura che tutto questo possa sparire da un
secondo all’altro,
svanendo come una nuvola di fumo.
Amelia sorride a sua nipote, che
ha finalmente smesso di piangere.
Con un gesto silenzioso della
mano la invita a sedersi affianco a lei.
“Mi dispiace bambina mia se ti
sei presa uno spavento”, le dice.
La ragazza chiude un secondo gli
occhi, mentre si
siede sul bordo del
letto, accanto alla nonna. Le sue palpebre che tremano leggermente.
Poi sorride, ma ancora
visibilmente spaventata.
“Non fa niente”, la rassicura a
sua volta “... papà dovrebbe tornare presto a
casa… e anche Crystal”.
Amelia appoggia una mano su
quella della nipote, mentre con l’altra si alliscia le pieghe
della camicia da
notte sulle ginocchia. Sbuffa, prima di dire: “Perfetto!
Adesso tuo padre
metterà su quell’aria da baia isterica e non mi
permetterà neanche più di
alzarmi dal letto per andare al bagno, o per andarmi a prendere un
bicchiere
d’acqua in cucina!”
Eloise ride, una risata
cristallina e ingenua da bambina, ma negli occhi ha un velo di
preoccupazione:
“Sei stata male, nonna. Non prenderla sempre così
alla leggera.”, risponde. “Devi
restare a letto a riposare. Vero, dottore?”
Ma il Dottore fa un passo
indietro, colto alla sprovvista.
“C-come?”
Sente gli occhi
indagatori di
Amelia su di lui. Pizzicano sulla pelle, rendendolo inquieto.
“…ehm…
certo che è importante
riposare… ma sono altrettanto certo che la che signora Pond
potrà alzarsi e camminare
senza problemi tra un po’, purché si senta in
forze”.
Amelia guarda prima
lui, poi la
nipote con sguardo soddisfatto e un sorriso sulle labbra.
“Grazie”
dice, infine. “… scusami
Eloise, saresti così gentile da prendermi la
vestaglia?”
La ragazza viene
colta alla
sprovvista ma scatta subito in piedi dopo un primo momento di
smarrimento.
“Certo”, risponde. “Senti freddo,
nonna?”
“Oh,
no. Qui si sta benone, ma fuori sicuramente
farà un po’ freddo”.
“Non
capisco... fuori dove?” chiede
la ragazza, sfilando la vestaglia dalla gruccia e aggrottando le
sopracciglia,
confusa.
“Sì,
fuori!” ripete semplicemente
Amelia con più enfasi. “Sto per alzarmi dal letto,
indossare la vestaglia,
uscire dalla porta di casa e andare a fare due passi. E sì,
torno presto, non
ti preoccupare!”
Eloise sbarra gli
occhi fino a
quando le pupille non sembrano fuoriuscire dalle orbite come due biglie
colorate. Il
Dottore, che fino a quel
momento è restato in silenzio in un angolo della camera,
s’intromette nella
discussione: “Mi scusi, Amelia, non credo sia opportuno in
questo preciso
momento!”
Amelia volta lo
sguardo verso di
lui, restringe gli occhi come a mettere a fuoco il suo viso con
maggiore
precisione.
“Ma cosa
devi andarci a fare poi,
fuori?” sbraita Eloise, raggiungendo i piedi del letto con la
vestaglia in mano.
Amelia sta ancora
guardando il
Dottore, con attenzione.
“Eloise.
Cara, saresti così
gentile da lasciarci dieci minuti da soli?”
La ragazza non
è convinta ma
obbedisce. Guarda per l’ultima volta il Dottore, sorride
leggermente di
gratitudine. Lascia la vestaglia piegata ai piedi del letto ed esce
dalla
stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Poi Amelia ride.
“La prego,
si avvicini di qualche
passo”, dice con voce profonda, ironica.
E così
fa. Il Dottore si avvicina
di un passo, dalla sua altezza guarda verso il basso con
preoccupazione. Poi
Amelia allunga una mano a raggiungere il primo bottone del suo cappotto.
Il Dottore la lascia
fare,
pietrificato ed emozionato, perché
forse ha capito.
Lei, meravigliosa
Amelia Pond, ha sempre capito tutto.
E quando Amelia
trova quello che
stava cercando, spuntando il primo e il secondo bottone del cappotto,
il suo
volto si apre in un sorriso.
“Come hai
fatto a capire?”
Il Dottore abbassa lo sguardo
quasi imbarazzato, colto sul fatto.
Si guarda le punte delle scarpe
lucide, non ha il coraggio, adesso, di guardarla negli occhi.
E’ lui il Signore del Tempo
centenario. Ma di fronte a questa donna, di fronte alla sua migliora
amica,
alla sua famiglia un tempo, si sente vulnerabile come un bambino.
Perché sa che, se alza lo
sguardo, se solo permette a lei di leggere in questi nuovi occhi
–che sono
diversi da quelli a cui lei era abituata, ma non così meno
stanchi- lei capirà tutto.
Amelia si fa forza sulla
spalliera del letto e si mette seduta, prima di allungare le mani verso
il
Dottore, cercando aiuto per rialzarsi. Il Dottore afferra le sue
braccia, di
nuovo, come prima.
Amelia è di nuovo occhi nei suoi
occhi.
Lo studia, forse a cercare nel
suo viso i tratti del passato.
Il Dottore sente le dita sottili
di Amelia accarezzargli la fronte, tastargli il naso, schiacciargli le
guance. Infine
alliscia il ciuffo di capelli rossi che gli ricade sulla fronte.
“Rossi…
e lentiggini sulle
guance. Mi piace! Ottima combinazione!”
E il Dottore si
ritrova stretto
in un abbraccio a cui non può opporre resistenza.
Amelia si alza sulle punte dei
piedi e gli circonda le spalle con le sue braccia.
Lui si ritrova a chiudere gli
occhi e a respirare nell’incavo del collo il suo odore.
Sente i suoi due
cuori tremare.
“Secondo:
il modo in cui il
cappotto ti fasciava il collo… il sospetto c’era.
Era come un istinto, come se
una voce mi dicesse che tutto ciò che poteva darmi conferma
di quello che
pensavo era lì, nascosto. E, Dottore,
dopo tutto questo tempo… continuo a conoscere
solo una persona che
potrebbe sfidare con così tanta audacia il buongusto in
fatto di farfallini!”
“Ehi!!!”
“Ohii!”
“Amelia”.
“Dottore...”
Restano in
quell’abbraccio fermo,
ciondolando sui piedi come una danza.
Le risate dell’una scuotono il
petto dell’altro.
“Tua nipote ha qualcosa di tuo…
ti assomiglia, sai?”
“Eloise è una di due gemelle,
l’altra, Crystal… anche lei mi
assomiglia!”
“E tuo figlio? Anthony?”
“Ah, lui assomiglia a suo padre…
e suo nonno, Brian. Anche se sai che non è davvero possibile
parlare di
somiglianze. Anthony non è davvero mio figlio. Non
l’ho portato dentro di me,
ma l’ho sentito dentro di me dalla prima volta che
l’ho preso tra le braccia!”.
Melody.
La sua bambina, che ha stretto tra le braccia solo un attimo.
Ma lei rimane in silenzio.
Lui le cede il suo
braccio e lei
lo stringe. “Non vedo l’ora!”.
Fuori
il tempo è sereno.
Il
cielo è buio e trapiantato di luminose stelle, ben visibili
stagliate nella
notte.
Una
brezza leggera scuote gli alberi dei parchi in lontananza, qualche
uccello
notturno, inquieto, vola libero tra un albero e l’altro.
Due
persone camminano lungo la strada, mano nella mano.
Lui,
più giovane, alto, dalle lunghe gambe quasi sproporzionate
rispetto al resto
del corpo.
Lei,
bella, i capelli argentei raccolti perfettamente sul capo, le spalle
rilassate
e i passi brevi, corti. Il Dottore l’aspetta paziente,
divertito, tenendole la
mano.
La
conduce silenziosamente a un angolo della strada, all’ombra
di un grande
salice.
Si
guarda attorno, attento.
Amelia
fa lo stesso, allunga il collo in cerca di una cabina blu nel buio
della notte.
Ma
non la trova.
“Non
preoccuparti… non siamo molto lontani” le dice il
Dottore, e per un attimo gli
lascia la mano.
Si
avvicina all’albero e guarda su.
Saltella,
allungando le braccia. Ci riprova un paio di volte, poi, finalmente,
afferra
qualcosa.
Tira
con forza quello che ad Amelia sembra una fune.
La
sgancia da un tronco robusto di un albero, poi le riafferra la mano.
“Pronta?”
“Pronta
per cosa?”
Il
Dottore non risponde. Sorride, schiocca le dita tre volte.
Amelia
alza la testa in tempo per veder scendere dal cielo, silenziosamente,
una lunga
scala a chiocciola che le arriva a toccarle le punte dei piedi.
“Oh…
immagino che lo vedrai con i tuoi occhi”.
La
conduce sul primo scalino, al suo fianco, poi batte le mani.
La
scala incomincia a muoversi, a salire, come a richiudersi su se stessa.
Amelia,
meravigliata, si porta una mano alla bocca, mentre la scala sale nel
cielo e
lei ammira il panorama di una New York luminosa e quieta.
Si
tiene stretta al corrimano da un lato, dall’altro al braccio
del Dottore.
“Ma…
come… è possibile?”
Il
Dottore agita la mano, in direzione di due passanti avventurosi nel
cuore della
New York notturna.
Ma
questi continuano la loro passeggiata senza neanche vederli,
inconsapevoli.
“E’
invisibile, non ci vedono. Su, saluta!!!”
Amelia
si sente di nuovo bambina, e anche un po’ stupida, in
realtà, mentre alza la
mano e saluta dall’alto i passanti che sembrano ormai puntini
in lontananza.
“Dottore,
non ti sembra di aver dei gusti un po’ estremi in fatto di
parcheggio? Insomma,
sulle nuvole?”
“Oh,
sì…” Il Dottore ride. “O
quasi…”
Amelia
sbarra gli occhi quando arrivano a destinazione. La scala si ferma. E
il
Dottore salta su quelle che sembrano proprio nuvole, correndo verso la
sua
cabina. Amelia, a passo incerto, le si avvicina a sua volta. E nei suoi
occhi
verdi quel blu si staglia fino a riempirla dentro, a commuoverla.
Alza
una mano verso la porta della cabina e l’accarezza.
“Ciao,
bambina. Mi sei mancata!” sussurra a bassa voce.
Il
Dottore accarezza a sua volta la cabina nello stesso punto dove Amelia
ha
posato la mano.
“Anche
tu sei mancata a lei… a noi. Insomma, ci sei mancata a
entrambi”.
Amelia
ride, si stropiccia gli occhi che incominciano a pizzicare per le
lacrime che
vogliono uscire.
Ma
non vuole piangere. Non deve.
E’
solo tempo di sorridere.
“Dove
mi porti questa volta, Dottore?”
“E’
il nostro ultimo viaggio insieme, Amelia”, le dice lui. La
voce rotta,
emozionata.
“…
facciamo che ti porto ovunque nel tempo e nello spazio. Potrebbe andare
bene?”
Amelia
ci pensa. E sa precisamente dove vuole andare.
Non ricorda con
precisione come c’erano finiti a quella festa. Forse Mels ce
li aveva
trascinati e poi era sparita a fare chi sa che cosa, o forse erano
stati
invitati ma non ricordava da chi.
In un angolino della
sala - quella riservata al rinfresco- Amy e Rory si erano seduti a bere
il
punch annacquato, spacciato per alcolico, su un divanetto. Leggermente
annoiati
e imbarazzati per l’atmosfera che si era venuta a creare: il
deejay aveva messo
su dei lenti, e tutte le coppiette erano accorse al centro della sala,
a
dondolarsi l’uno stretta all’altro, lasciando i
poveri single sui divanetti, a
deprimersi in silenzio.
In realtà, Amy ricorda
che avrebbe pure ballato volentieri un lento, se solo Rory non si fosse
immobilizzato sul divano, impaurito, con la faccia di un condannato a
morte.
Un bicchiere dopo
l’altro, e un altro ancora, la musica era cambiata e quasi
non se n’erano
accorti. Fin quando Amy era saltata in piedi, gli occhi sgranati.
“Nooooo, Roryy… questaa
canzone!!!!”
Aveva barcollato
sul
posto, impacciata, afferrato il polso di Rory obbligandolo ad alzarsi.
"Che vuoi fare?” gli
aveva chiesto lui, terrorizzato, opponendo resistenza.
“Ballare, mi sembra
ovvio!”
“N-no, Amy. No, no, no,
no, non ne sono capace”
“…
EEEEEEE…MACARENAAA!!!!” aveva urlato lei,
entusiasta, trascinandolo al centro
della sala, coinvolgendolo in quell’incubo di ballo.
Un’alternanza di
movimenti di braccia e bacino, giri, e ancora braccia, bacino, testa.
Nascosti
tra la folla, Amelia e il Dottore assistevano alla scena.
“E
adesso… che succede?” le aveva chiesto il Dottore,
curioso, divertito e felice
di rivedere di nuovo quei due ragazzi che conosceva così
bene. Felici,
spensierati.
Inconsapevolmente
già innamorati l’una dell’altra.
“SPOILER!”
Amelia
aveva poi appoggiato la testa alla spalla del Dottore, sospirando.
Amelia sapeva che
Rory
si sentiva un perfetto idiota.
La lingua a penzoloni,
faticava a stare al suo passo.
Ma ci provava.
Tutto pur di farla
felice, di vederla sorridere.
Ricorda di essersi
sentita bene, con lui, quella sera.
Ricorda di essergli
stata grata.
.
Troppo vicina. L’aveva
stretta. Amelia aveva alzato lo sguardo verso il suo.
E tutto il caos, musica,
deejay, macarena: non contava più nulla.
Perché il tempo si era
fermato.
Che fosse l’effetto del
punch analcolico - che veniva spacciato per alcolico- o forse una
spinta di
coraggio che stava cercando, Rory non lo sapeva.
Tutto ciò che sapeva era
che aveva messo da parte le paure.
Aveva annullato le
distanze e appoggiato le sue labbra a quelle di Amy.
Un bacio timido e
impacciato. Amelia che aveva risposto al bacio più
prontamente di quanto lui si
fosse mai aspettato, appoggiandogli le mani sul viso arrossato,
avvicinandolo
ancora di più a lei.
Quando si erano staccati
erano rimasti fronte contro fronte, storditi e intimiditi a guardarsi,
a
respirarsi l’uno sul viso dell’altra.
“A-Amelia…
i-io… “ aveva
balbettato Rory, il panico nella sua voce. “…ci
siamo… ehm…insomma…”
“Baciati. Ci siamo baciati,
sì!” Amy aveva riso, incredula a sua volta da
quello che era appena successo.
“E tu… cioè…
t-ti…insomma,
va bene?”
Amelia
l’aveva guardato
per un attimo, lo sguardo serio.
Rory aveva represso
l’istinto di prendersi a pugni da solo.
“Solo…
sta zitto, Rory!
Chiudi la bocca!”
L’aveva sorpreso Amelia,
di nuovo, tirandolo a se per il colletto della camicia, chiudendo le
labbra
sulle sue, in un bacio diverso dal primo.
Consapevole, questa
volta.
E i due ragazzi non
c’erano più per nessuno se non per se stessi,
stretti al centro della pista da
ballo.
“Hai
visto quello che volevi vedere?”
“Sì…
possiamo andare”.
E
ancora…
Il viso raggiante di sua madre e suo padre, il giorno del
suo matrimonio.
Lei e il Dottore si
erano seduti su una panca in fondo alla
chiesa.
“Mi raccomando, non diamo nell’occhio
più del necessario”, si era raccomandato
il Dottore.
“Non ti preoccupare. Nessuno ci noterà. Io posso
spacciarmi
benissimo per una zia acida venuta da lontano, e tu per mio
nipote”
"E' la prima volta che vengo al tuo matrimonio" aveva costatato il
Dottore, sorridendo divertito.
"E sì, non ho fatto in tempo a portarti indietro prima,
scusa!"
Molte cose del suo matrimonio non riusciva a ricordare
perfettamente.
Rimanevano ricordi offuscati, che non riusciva a raggiungere
pienamente quando chiudeva gli occhi e ci pensava. Ricordava
precisamente solo
un momento: suo padre che l’accompagnava
all’altare, più emozionato di lei.
“Papà,
tienimi
stretta… non farmi cadere!” ricordava di avergli
aveva sussurrato, temendo un
mancamento nelle ginocchia, stringendosi con più forza al
suo braccio.
“Mai. Mai… non ti lascio!”,
l’aveva rassicurata suo padre
con un sorriso, la voce fiduciosa e sicura. Amelia aveva ispirato ed
espirato
profondamente, prima che la marcia nunziale raggiungesse le sue
orecchie. Con
un nodo allo stomaco si era costretta a guardare avanti.
E quando aveva riconosciuto la figura di Rory in fondo alla
navata, ad aspettare il suo arrivo, tutto era andato per il verso
giusto.
“Sicura
di non voler rimanere per il dopo festa? Ricordo di aver ballato con
tutti ed
aver sfoggiato il meglio della mia dote da ballerino quella
sera”.
“Ah,
ricordo bene. Il tuo ballo della giraffa ubriaca è entrato
nella storia dei
matrimoni di questa famiglia”.
“Giraffa
che…?”
“Possiamo
andare, Dottore! Ritorniamo al Tardis.”
“Tutto
bene, Amelia?”
“Sono
stanca. Dottore… tanto stanca…”.
~
(
http://youtu.be/cMWh0p_kQ88
)
Il
Dottore maneggia i comandi del Tardis in silenzio. Non pronuncia parola.
La
sua mente è altrove, lontana…
Sapevi
che saresti potuto tornare solo in una circostanza, vecchio pazzo che
non sei
altro.
Rimprovera
se stesso. Si vede riflesso sulla consolle lucida del Tardis.
Il
suo viso da ragazzo, la camicia azzurra, il farfallino che in
realtà non usa
più –l’ha
indossato solo per questo
giorno, solo per lei -, allentato intorno al collo, i capelli
rossi che gli
ricadono disordinati sulla fronte. Gli occhi grandi, azzurri,
profondamente
stanchi, umidi.
“Dottore…”
Amelia
richiama il suo nome nel silenzio, ma il Dottore non riesce ad alzare
la testa
dai comandi.
Ha
paura. Imposta le coordinate. Il Tardis atterra dov’era prima.
Amelia
si avvicina alle sue spalle, gli appoggia una mano sulla schiena.
Fa
in tempo per sentirle sussultare, scosse dai singhiozzi.
Il
Dottore si piega su se stesso, appoggia la fronte alla console.
“Scusami…”
E
urla. Arrabbiato con se stesso, cacciando indietro le lacrime.
Urla,
e Amelia ha paura.
“…
scusami, non voglio farmi vedere in questo stato…”
Si
nasconde la faccia tra le mani.
“E’
tutto okay, Dottore…” la voce di Amelia trema, ma
sa che adesso, più che in
qualunque altro momento, lui ha bisogno di lei.
“Sarò
anche vecchia… saranno passati anche tanti anni da quando
viaggiavamo insieme…
ma ricordo ancora due o tre cose sulle regole dei viaggi del
tempo”.
Amelia
lo fa voltare, gli prende il viso tra le mani.
Il
Dottore la guarda, sente le sue mani che lo toccano: mani
calde, vive.
“So
perché sei qui. So perché sei potuto tornare da
me solo oggi!”
“Amelia…”
“E’
tutto apposto… Dottore…
è tutto apposto.
Vieni con me!”.
Amelia
prende per mano il Dottore, lo porta fuori.
Camminano
tra le nuvole con il cielo sopra che fa da muto spettatore.
“Adesso
fai contenta questa povera vecchia…” dice,
sistemandosi la vestaglia,
allisciandosi le pieghe sulle gambe. “Balliamo?”
Il
Dottore annuisce in silenzio e le si avvicina.
Chiude
le braccia intorno alla sua vita sottile.
Amelia
ricambia l’abbraccio e chiude gli occhi.
“Sono
felice e serena, Dottore! Ho 87 anni dopotutto…”
“Mi
dispiace tanto, Amelia… mi dispiace non poter fare niente
per cambiarlo. Mi
dispiace non essere tornato per Rory come ho fatto per te…
non ho potuto”.
“Non
devi rimproverarti per questo. Siamo noi che abbiamo creato un
paradosso, siamo
noi che abbiamo chiuso le linee temporali… quando Rory
è andato via… mi ha
promesso una cosa!”
Amelia
guarda il Dottore negli occhi, con la mente ritorna al passato.
“Mi
ha promesso che avrebbe trovato il modo di portarti da me. E insomma,
tu adesso
sei qui. Ovunque adesso lui sia… sono certa che ci stia
guardando… e stia
sorridendo, non credi?”
Il
Dottore annuisce con la fronte appoggiata alla sua spalla.
Poi
guarda il cielo, le stelle.
Ovunque
tu sia, Rory…
“Sì,
sono certo che sia così…”
Grazie
anche a te.
Lui
le sorride, le fa fare una giravolta tenendola per la vita.
“Grazie
Dottore… grazie di tutto… e non rimproverarti
niente. Mi hai resa la persona
più importante e più felice di questo
mondo”.
“Grazie
a te, Pond… grazie a te!”
Il
Dottore la stringe forte, come a volerla farla entrare dentro di se,
per
proteggerla, per sostituirsi a quel peso che rende le sue gambe
più deboli.
E
lui se ne accorge, si accorge che sta
andando via da lei… e stringe con più
forza i suoi fianchi.
“Ti
riporto a casa?”
“Sì…
andiamo a casa!”
~
( http://youtu.be/CxV5vVcbfaI
)
Amelia
se n’è andata dopo una lunga notte.
E’
andata via serenamente, senza soffrire.
Nel
suo letto, al caldo.
Circondata
dalle persone che amava.
Da
suo figlio, Anthony. Dalle sue nipoti, Eloise e Crystal.
Ha
avuto tutto il tempo di dire addio.
Di
dispensare parole e carezze.
Baci
e raccomandazioni.
Ha
avuto anche il tempo di stringere per l’ultima volta la mano
del suo migliore amico.
Di
presentarlo a suo figlio, che non ha avuto parole da aggiungere.
Perché
è cresciuto con le favole dell’uomo che viaggia
tra le stelle, e ha capito.
E
quando Amelia ha accarezzato per l’ultima volta la guancia
del suo migliore
amico, una lacrima le è scesa lungo la tempia.
“Questa
è per lei…”
ha detto. “…porta questa
carezza a lei… da parte
mia…”
E
il Dottore ha preso la sua mano e l’ha trattenuta ancora un
po’ sulla sua
guancia.
Ha
annuito.
“Va
bene, lo farò…” le ha promesso.
Le ha
mentito.
Adesso
quel tocco caldo non lo lascia più.
Se
lo porta dentro. E quando cerca di immaginare la sua Amelia vuole
ricordarsela
così: viva, felice.
E
fa appello a quella carezza quando ha bisogno di trovare la forza di
perdonarsi.
Perché
avrebbe fatto troppo male a lui.
E non
voleva far del male a lei.
E’
un fardello, una verità che si porta dentro.
Adesso,
accanto alla lapide di Amelia Jessica Pond e Rory Arthur Williams ce
n’è un’altra.
Reca
il nome di Melody Williams.
Figlia
e moglie amata.
Donna coraggiosa e insostituibile.
E
mentre il Dottore lascia i fiori ordinatamente a terra, un pensiero va
a loro.
Che
avrete trovato anche il modo di raccontarvi tutto, ci credo.
Che mi
starete guardando, forse, da lassù.
E
magari starete pure ridendo di me. Perché io so che i musi
lunghi non vi
appartengono, non vi sono mai piaciuti. Perché, forse,
questa lacrima volerà
nel vento e arriverà da voi.
Perché
spero che, un giorno, forse, voi possiate perdonarmi.
Perché
vi ho amato, come non ho amato mai.
Vostro,
sempre, Dottore”.
Spazio
Autore: 8 MESI. Sono passati quasi 8
mesi da quando ho
aggiornato l’ultima volta questa storia. Sono imperdonabile.
Non voglio
accampare scuse, quindi dirò che è solo colpa
mia. Ma la storia è finita adesso
*finalmente ho portato a termine qualcosa, brava Francesca*, e spero
che qui ci
sia ancora qualcuno disposto a leggerla.
Scrivere questa storia mi è servito. Portarla a termine
è
stato importante per me.
Spero possa piacere, spero di essere stata chiara. Di aver
trasmesso quello che volevo trasmettere. Se mi lasciate una recensione
e mi
fate sapere… mi fate veramente un favore gradito. A presto
(spero).
-Francesca.