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Autore: GuessWhat    11/05/2014    6 recensioni
Qualcuno c'era, nella vita di Erwin. Si chiamava Marie. Ne parlò a Levi durante un turno di sera, mentre sostavano presso un distributore di benzina a bere acqua frizzante. "Mi spiace non potere essere a casa stasera. C'è il film preferito di Marie in tv" silenzio, a cui rispose, "Sai, mia moglie."
Levi non gli chiese da quanto fossero sposati, né fece osservazioni sulla mancanza della fede al dito. "Qual è il suo film preferito?"

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Due anime che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
[Policeman!Eruri AU; One shot] [Dedicata a Uny ♥]
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Irvin, Smith
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Un piccolo pensierino per la cara Silvia (Uny su EFP) a cui avevo promesso una cosa eruri "dove le cose vanno male".
Tra le tematiche trattate c'è il tradimento del proprio partner ma nessuna esaltazione di questo comportamento ♥
Buona lettura <3

 
Bussando alla porta, gli rispose un secco "Avanti" tra le conversazioni al telefono.
Levi lo vide subito, entrando, senza avere il bisogno di cercarlo con lo sguardo: roteando leggermente sulla sedia da ufficio, librandosi aggraziato tra un cordless, una penna, un plico di  pratiche e una stampante impazzita, il dirigente generale Erwin Smith gestiva una chiacchierata urgente mentre l'altra linea gli faceva da coro.
Si rivolsero un'occhiata, gli occhi azzurri che dicevano a Levi "accomodati pure, non fare caso a me". Chiusa la porta, Levi obbedì mettendosi a sedere con la cartella gonfia sulle cosce. Poggiò il cappello sulla scrivania del generale, apparentemente saltò la formalità di chiedergli se poteva.
Sotto agli occhi di Levi, Erwin continuava a parlare, forse col prefetto, mentre lanciava occhiate al telefono fisso. La mano di Levi scattò in avanti e prese la telefonata per lui, che lo ringraziò con una piccola pausa nel respiro e un'espressione rilassata.
No, il dirigente generale al momento è impegnato. Sì, parla col vice commissario Ackerman, richiami tra mezz'ora, grazie - e, Erwin, non guardarmi in quel modo, pensò Levi a labbra chiuse, rimessosi a sedere.
L'ufficio era spoglio e disadorno, pure troppo polveroso, forse era Levi l'eccessivamente scrupoloso su quelle faccende. Decisamente troppo.
Terminare la conversazione al telefono fu una manna e un colpo allo stomaco, perché ne sarebbe iniziata un'altra, il genere di chiacchierata che avrebbero preferito intraprendere al telefono o ancora meglio, tramite terzi.
Generale Smith, diceva l'uno, commissario Ackerman, era la risposta dell'altro; nessuno dei due riusciva ad evitare di respirare il fallimento che permeava la stanza. Un vergognoso fallimento che non aveva nulla da spartire con il caso dell'omicida seriale che stava muovendo tutti i reparti della metropoli, centro e periferia. D'altronde, loro due non avevano più motivi di vedersi. Il lavoro complicava solo una faccenda chiusa da tempo.
La puzza di fallimento era quasi un profumo in confronto al fetore che si levava dai loro ricordi, e se si doveva dare ad essi un inizio, lo si poteva collocare all'interno dell'auto della Polizia parcheggiata sotto al sole. Un forno di plastica e metallo che li aveva accolti per la prima volta, dopo una stretta di mano semi-informale, la quale aveva lasciato in Levi il bisogno bruciante di gel igienizzante: le mani di Erwin erano sudate e le ascelle pezzate.
Giugno, che mese di merda.
La conoscenza fu dapprima leggermente imbarazzante. Erwin si era messo alla guida, quando Levi avrebbe preferito di gran lunga avere le mani sul volante. Era esistante sulla fiducia da concedere ad uno con quella pettinatura.
Non avevano parlato molto.  Non c'era molto da dirsi e faceva troppo caldo. Qualche commento sull'afa, a cui Erwin aveva risposto dicendo che loro avevano almeno l'aria condizionata. La radio trasmittente aveva crepitato qualche messaggio, niente per loro.
Contro ogni aspettativa, ad entrambi rimase qualcosa di quella giornata. E fu lo stesso per le settimane seguenti, in cui non accadde niente di eclatante nella loro zona: l'effrazione più eccitante riguardò un signore che aveva lasciato il proprio cane defecare deliberatamente in un parco giochi, ai piedi di uno scivolo. A Levi era rimasta impressa la guida liscia come seta di Erwin e la sua mancanza di malumore nonostante il caldo atroce, e ad Erwin l'insolita riservatezza del nuovo collega, assurdamente ingentilita dall'aria burbera. Le domande erano molte di più, nella norma di quell'abitacolo. Dove vivi, cosa fai nel week-end, dove andrai in ferie quest'anno, sei sposato, hai figli.
Qualcuno c'era, nella vita di Erwin. Si chiamava Marie. Ne parlò a Levi durante un turno di sera, mentre sostavano presso un distributore di benzina a bere acqua frizzante. "Mi spiace non potere essere a casa stasera. C'è il film preferito di Marie in tv" silenzio, a cui rispose, "Sai, mia moglie."
Levi non gli chiese da quanto fossero sposati, né fece osservazioni sulla mancanza della fede al dito. "Qual è il suo film preferito?"
"Mean Girls."
"Spero per te che lei non lo sia."
"Cosa?"
"Una 'mean girl'."
Erwin aveva riso, dicendo che qualche volta sapeva essere davvero cattiva. Levi lo aveva guardato tentando di ridere, ma restò serio e lanciò la bottiglia vuota nel secchio della plastica per poi tornare in macchina. Rincasando all'alba, Erwin dovette ammettere a se stesso sotto al getto della doccia che quel gesto lo aveva stranito.
A dire il vero, c'era qualcuno anche nella vita di Levi. Ma non aveva piacere a parlarne e a ricordare a se stesso che buttare i soldi nel cesso sarebbe stata la stessa identica cosa, se non migliore, di investirli nel proprio matrimonio. Il quale, per inciso, era tutt'altro che un matrimonio infelice.
Forse era fin troppo felice.
Lei si chiamava Petra, ed era carina, graziosa, ma anche tosta. Erano stati compagni al liceo, quando Levi giocava a fare il delinquente spacciando foglie di rosmarino essiccate e tritate che i compagnucci idioti scambiavano per marijuana, pagandola sonante, e poi avevano continuato a frequentarsi come fidanzatini durante gli anni in cui Levi faceva del suo meglio per entrare in Polizia. Avevano deciso di sposarsi al termine del suo iter di studio. E compiuti trent'anni, Levi realizzò la scelta peggiore della sua vita: sposarsi per paura di restare solo, convinto che, tanto, quella ragazza dai capelli rossi tanto devota a lui fosse il meglio che potesse chiedere dalla vita.
Si era sbagliato così tanto. Ci pensava tutte le mattine, quando posava il culo in macchina con Smith. Quando questi gli diceva buongiorno, o buonasera, o quando gli offriva un caffé, quando gli scappava una battuta che non faceva ridere nessuno nella stanza, a parte lui stesso. Smith aveva un buon profumo al mattino, una fragranza fresca che sapeva di mare e sabbia e sole e porti lontani ancora da esplorare.
In casa Smith, si parlava spesso del piccolo Ackerman - del modo in cui Erwin trovasse curioso il fatto che 'adesso li prendono così bassi!', del suo umorismo che girava spesso intorno agli escrementi, e del suo vocabolario raffinato come una stuoia di paglia. E anche del fatto che avesse sollevato l'ipotesi che Marie potesse essere una donna cattiva, questo la faceva alterare sempre un poco.
E ogni volta che accadeva, Erwin si divertiva a dirlo a Levi, il giorno dopo. Stava diventando il loro piccolo segreto. A dire il vero, troppe cose lo stavano diventando. Erwin aveva chiuso un occhio sul pacco di biscotti che Levi aveva nascosto nel cruscotto: "Non lo dirò a nessuno" giurò, e infatti non lo disse a nessuno. Stessa cosa per il pacchetto di sigarette, ma ci tenne ad alzare l'indice e a fargli presente "Fossi in te cercherei di smettere. Quando ero piccolo, il cancro ai polmoni si è portato via mio padre."
"Erwin, meni sfiga..."
Aveva ridacchiato e aveva tamburellato le dita sul volante. "Sì, me l'hanno detto spesso."
Glielo aveva detto spesso anche il suo amico Nile, a cui non era mai andato giù il fatto che Marie ricambiasse i sentimenti di Erwin e non i suoi. E non solo lui - compagni di scuola, parenti, conoscenti, amici. Più o meno per scherzo, più o meno con l'intenzione di ferirlo. Tuttavia, il modo in cui Levi glielo disse fu stranamente piacevole: quasi lo ritenesse un fatto passeggero, come il brutto tempo.
Era notte tarda, l'orario di qualche rissa da calmare in un locale, qualche ubriaco a cui fare il test del palloncino o semplicemente qualche pensiero da condividere.
"Mi fa piacere essere in squadra con te" gli disse Erwin, una di quelle sere d'inverno, fermi in macchina vicino a una rotonda nei pressi di una discoteca.
"Perché?"
Dita tamburellate sul volante della macchina. "Mi piace la tua compagnia."
"Sei masochista."
"Bisogna esserlo, per fare questo lavoro."
"...Non ti do torto. E comunque..."
"Comunque?"
"Siamo una buona coppia.."
Il commento fece sorridere Erwin. Coppia, non squadra. "Ma siamo sposati."
"Sì, e come ogni coppia sposata che si rispetti, ci compensiamo a vicenda."
Erwin si morse la lingua, c'era una domanda che moriva dalla voglia di fare, ma si era ripromesso riservatezza.
"Non è così con mia moglie."
Ci rimase male. Posò le mani in grembò e lo guardò. "Cosa intendi dire?"
"E' inutile fare finta che vada tutto bene. A volte..." un sospiro e Levi poggiò la testa allo schienale, "Ho l'impressione che tu mi capisca molto meglio di lei. Che tu abbia qualcosa che a me manca e non riesco a capire cos'è, Erwin."
Erwin restò in silenzio con le mani sul volante e lo sguardo fisso su di lui, ad occhi socchiusi. Avrebbe avuto bisogno di un artificiere dato che il discorso rischiava di scoppiare. "Non sapevo che fossi sposato."
"Non mi piace portare la fede al dito..."
"...Ho paura che si scheggi..."
"...O che si rompa-"
"O che mi impicci con la pistola..."
"..Che mi ricordi che ho qualcuno a casa."
"E dunque mi impedisca di fare il mio lavoro."
Si guardarono per un attimo che parve non avere mai fine ed entrambi furono pronti a giurare che sotto le divise, alla luce triste e fioca dei lampioni, i loro cuori avessero preso a battere all'unisono.
Un crepitio dalla trasmittente. Erwin si inumidì le labbra. Non poteva permettersi di essere egoista e concedere a Levi lo stesso lusso: nella discoteca era scoppiata una rissa.
Il discorso fu il seme di un sentimento che germogliò troppo velocemente. Non si fossero mai detti quelle parole, gli eventi sarebbero potuti andare in un'altra direzione. Logicamente, non lo fecero: una cascata incontrollabile li travolse e li soffocò nel giro di poco tempo.
In quella pausa piena di significato si erano giocati tutta la loro integrità e la loro fedeltà. Levi avrebbe ceduto volentieri. Lo avrebbe baciato con molto piacere. Erwin aveva esitato, e si chiedeva, perché? La risposta lo angosciava, non l'aveva fatto per Marie, ma per il lavoro. Non l'aveva fatto perché era un comportamento sconveniente sul lavoro.
E se fosse successo durante un'ora libera? Durante le ferie? Cos'avrebbe fatto?
La sua fedeltà alla moglie stava vacillando. O forse aveva vacillato solo in quel momento. Fece del suo meglio per espiare le sue colpe con se stesso, per averla tradita pure se col pensiero - la baciava e la stringeva più spesso, ma non serviva a granché. Ad ogni bacio, ad ogni abbraccio, ad ogni incontro sotto alle lenzuola, non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Sapeva che tutto ciò era genuino in piccola parte; più tentava di cancellare la sua colpa, più essa cresceva.
Quando guardava il collega, si chiedeva cosa lo avesse spinto a desiderare di baciarlo. Marie aveva tutto quel che potesse sognare da una compagna, no? Era intelligente, capace a fare molte cose, avida lettrice proprio come lui, era arguta. E persino una bella donna, anche brava a letto, pure se per Erwin non erano caratteristiche essenziali.
Allora, perché? Dovette escludere il desiderio sessuale, la scoperta di cose nuove ed eccitanti; non aveva provato particolare curiosità di baciare un uomo prima di allora. Oh, e nemmeno una donna, prima di Marie. Molto probabilmente, si disse di essere incapace di provare attrazione senza una base solida, senza un sentimento a sostenerla.
Erwin si rese conto che stava guardando impotente un se stesso a cui scivolava tra le mani un amore che era durato qualche anno. La sua tendenza ad analizzare ogni più piccola cosa non gli fu d'aiuto, questa volta; era stato a causa di Levi, o era il normale corso degli eventi? Forse, Marie non era la persona giusta. Le aveva voluto bene, ma forse non era la sua 'anima gemella'. Dicono che il primo amore non è quasi mai quello giusto. Erwin cominciava a vedere un senso in questa diceria.
Levi, dal canto suo, lo stava odiando con ogni fibra del suo essere. Passavano i giorni e non ci fu più traccia apparente del discorso che avevano fatto quella notte. Non faceva che pensare a quel bacio, a come sarebbe stato bello, se solo quel coglione di Erwin Smith non si fosse tirato indietro all'ultimo - lasciandogli alcun senso di colpa nei confronti di una moglie per cui provava gli stessi sentimenti per un gattino, solo un'enorme frustrazione.
Le settimane passavano, e quella notte sembrava essere diventata solo un vago ricordo lontano, complice anche il lavoro e l'aumento della criminalità nella loro zona, finché sulla via del ritorno per la caserma, Erwin non sospirò un, "Ieri sera ho litigato con Marie. In caso ti stessi chiedendo come mai oggi sono strano."
"Non mi sembri più suonato del solito."
Erwin aveva riso, come sempre quando Levi lanciava battute cattive su di lui, e Levi aveva sussultato leggermente alla sensazione del palmo di lui sulla gamba. Erwin non chiese scusa, limitandosi a fare scendere la mano sul cambio.
Levi intuì che Erwin non avrebbe aperto bocca senza un incoraggiamento. "Che è successo?"
"E' insoddisfatta."
"Non la scopi abbastanza?"
Erwin arricciò il naso. Pur sapendo che certi termini avevano da sempre fatto parte del vocabolario di Levi, non gli piaceva sentirli. "Pare di no."
Silenzio. A Levi fece stranamente piacere.
"E fallo di più."
"Non ci riesco."
"Non ti si tira su?"
"In un certo senso."
"Vai dall'urologo."
Erwin scosse il capo. "Sono perfettamente sano."
"E allora?"
"Non ci riesco."
Superate le barriere scorrevoli, Erwin fermò l'auto nel parcheggio sotterraneo vuoto e buio.
"Se ti si tira su e non ci riesci, allora cosa c'è?"
"Non faccio il primo passo da qualche mese" spiegò, spegnendo il motore. Rimasero seduti a guardarsi nella scarsa luce che proveniva dall'esterno.
Levi non gli chiese perché stesse facendo quel genere di discorsi con lui. Si conoscevano da più di un anno. Ne avevano passate di cotte e di crude; il loro non era un mestiere facile. Oh, 'fanculo, chi voleva prendere in giro? Il lavoro c'entrava solo per un quarto. "Che cosa ti blocca?"
La mano di Erwin scivolò a prendere la sua. "Dimmelo tu."
Levi ricambiò la stretta, il cuore che saltava un battito e il respiro incerto. Fu questione di un attimo e le labbra di Erwin furono sulle sue, il suo profumo di mare, sabbia, sole e porti lontani nel naso. Un altro attimo, e le labbra si dischiusero, mentre le braccia si stringevano le une al corpo dell'altro, e una mano impacciata cercava di rimuovere le cinture di sicurezza.
In quel bacio calmo e appassionato c'erano tutti i motivi per cui i loro matrimoni erano stati piccoli, grandi fallimenti. C'era Levi, legato sentimentalmente ad una donna che non amava e con cui stava per noia e  abitudine, e Erwin, vittima di un legame che si stava dissolvendo e che non riusciva, né voleva ricucire. Il tempo sapeva essere davvero crudele, a volte.
Anche se l'alito di Erwin sapeva di caffé misto a gomma da masticare alla menta, Levi lo baciò lo stesso, pur se con una certa riluttanza, perdendosi tra le sue braccia che avrebbero potuto sollevarlo come un bimbo e proteggerlo da tutto. Erwin lo stringeva a sé con gentilezza, ma con la fermezza di chi non poteva permettersi di lasciarlo andare.
Da lì in poi, nulla fu più lo stesso. Nessun buongiorno aveva lo stesso sapore, non ora che, al sicuro nell'abitacolo, le loro mani si sfioravano di quando in quando; ora che, all'ombra di un vicolo, dopo aver guardato a destra e a sinistra, Erwin si chinava o Levi si alzava sulle punte per rubare un bacio.
Per assurdo, nulla era cambiato. Erwin continuava ad avere quell'aria distaccata e tranquilla mentre Levi si trascinava tra lunghi attimi di silenzio e scatti di logorrea infiniti. Quei baci che diventavano carezze erano fuori contesto. Nessuno dei due aveva mai detto una parola riguardo a ciò. Semplicemente, lasciavano che accadesse.
La situazione non tendeva a migliorare. Erwin si disse che se si trattava solo di baci, andava bene. Poteva accettarlo. Era ancora una vergogna, ma era più accettabile del sesso; inutile negare a se stesso il battito accelerato in ogni momento di solitudine, tanto valeva prendere tutto come veniva... Prima o poi sarebbe svanito, così sperava, mentre si tempestava di domande.
Perché continuava a stare con lei? Per 'forma'? Perché aveva fatto un giuramento? Erwin vedeva Marie ogni giorno più lontana.. La vedeva, esattamente come si guardano le nuvole dissolversi all'orizzonte. Nessuno sforzo le riporterà indietro. Oppure avrebbe potuto inseguire le nuvole per rivederle, ma il posto in cui stava era diverso.. Migliore.
I litigi con Marie erano più frequenti. Le sue accuse sempre più feroci. La sua rabbia nei confronti della freddezza di Erwin era palpabile. Era  nervosa e insoddisfatta; gli diceva che quando facevano l'amore, lui non era lì. Si era scordato del suo compleanno, e del compleanno della madre di lei. Che scuse aveva per questo, Erwin?
A casa Ackerman, non era cambiato niente. Entrambi abituati ad un rapporto che andava avanti a routine, a sorrisi stanchi e sesso tiepido, Petra non aveva notato alcuna differenza; fondamentalmente, non ce n'era stata alcuna.
Tutto peggiorava. Erwin sapeva di dovere prendere una decisione e in fretta. Ma Levi non sembrava essergli d'aiuto, con quei baci che si spostavano dalle labbra al collo, con l'andare dei giorni, e le dita che tiravano la cintura, come ad intimargli di toglierla subito.
Deglutiva al pensiero dei loro due corpi avvinghiati, delle mani di Levi addosso, della sua bocca sulla pelle, di sentirlo fremere sotto di lui. Non uno di quei pensieri era sano, eppure, da parte di Erwin, mancava ormai una forma di attaccamento a quel genere di preoccupazione.
"Levi, fermo" gli aveva bisbigliato quando lui aveva preso a slacciargli la cintura, l'altra mano sul cavallo dei pantaloni.
Le guance rosse e lo sguardo fisso, Levi aveva alzato un sopracciglio.
"Non qui" aveva sussurrato Erwin, prendendogli il viso tra le mani. "Marie starà fuori casa per un mese, dalla settimana prossima."
Marie. La donna che Erwin definiva 'mia moglie' era ormai diventata solo Marie, un nome di cinque lettere a definire una persona di troppo nella sua vita, e da cui non riusciva comunque a staccarsi. A quel punto, non sapeva a chi dovesse di più, se a Levi, o a lei. Non avevano scuse per ciò che stavano facendo e ne erano perfettamente consapevoli.
Che fortuna, aveva pensato Levi, che fortuna che quella donna di merda si leva dai coglioni. Aveva tenuto la bocca ben cucita. Il fatto di non sapere cosa Erwin provasse per lui iniziava a consumarlo; che idioti, si stavano comportando come due ragazzini immaturi.
O forse, come due uomini pazzamente innamorati.
La settimana dopo Levi era sul suo letto, a farsi baciare, stringere, anche graffiare; a passargli le mani tra le scapole, a sentire il peso del suo corpo muscoloso addosso, a respirare il suo profumo pulito e a godersi per la prima volta dopo tanti anni del gran bel sesso. Erwin era preparato, e chissà perché, Levi se lo aspettava. Come minimo, il biondino -come ogni tanto lo chiamava per sfregio- si era documentato. Per il vero, erano preparati entrambi. Fu strano, assurdamente piacevole; si muovevano come se lo facessero da anni. La novità non li aveva spaventati. Erano due vecchi, sciocchi, pazzi sentimentali.
"Che bel figliolo" commentò Levi nel suo angolo del letto -l'angolo di Marie- mangiando un pezzo di pane.
"Figliolo?"
Diede un colpetto al membro dell'altro. "Complimenti."
Erwin si nascose il viso con una mano e si fece sfuggire un suono buffo, pareva un palloncino sgonfiato. Levi lo trovò ridicolo e adorabile insieme. Si stava facendo venire il vomito. Doveva andare a farsi una doccia.
Fu un mese incredibile. Un mese in cui Erwin si ritrovò costretto a comprare due scatole da sei di preservativi - e finirle tutte- e a riconoscere che il lubrificante era quasi finito. Pazzi, davvero due pazzi. La scusa di Levi era sempre la stessa, 'Mi fermo da Erwin a fare aperitivo'. Sembrava funzionare. Funzionava così bene che non gli si stringeva mai il cuore a mentirle.
Trovava che non ci fosse modo di pentirsi o sentirsi in colpa, non quando il pensiero di passare un paio d'ore, a volte l'intera sera a casa di Erwin lo elettrizzava e lo mandava su di giri. Oh, e non era solo per il sesso. Stare in compagnia di Erwin era tutto ciò che voleva. Tante volte si erano buttati sul divano a sbaciucchiarsi, o solo a guardare un film, oppure le vecchie foto di famiglia di Erwin.
"Un giorno ti farò vedere anche le mie" gli disse Levi, "Te lo prometto. O almeno ci provo."
Era una bella promessa, destinata a rimanere tale - in fondo, Erwin se lo sentiva. Mise via l'album di foto con un peso immane nel petto.
Doveva decidersi. Doveva farlo in fretta.
Qualche settimana dopo, ci fu una rapina nella piccola filiale di una banca, nel quartiere relativamente tranquillo in cui erano di pattuglia. Nessun civile ferito, nessun soldo sottratto, ma una promozione a favore dell'agente Smith per essersi messo in mezzo e avere bloccato la fuga del criminale armato di coltello.
Levi ne fu felice, seppur non dimostrandolo. Le capacità di Erwin gli avrebbero fruttato un buon posto in centro città, così si diceva in caserma; Levi tendeva a non dare ascolto a questi discorsi bevendo il suo caffé amaro, ma lo guardava passare tra i colleghi che gli davano pacche sulle spalle e gli auguravano il meglio per il futuro.
Il meglio per il futuro era un trasferimento, un cambio di sezione; le possibilità che Levi venisse promosso insieme a lui erano scarse.
"Chiederai il trasferimento?"
Erwin si tolse il cappello salendo in macchina. Guardò fisso davanti a sé mentre metteva in moto. "Non sta a me la decisione" rispose con piattezza e calma.
Non stava a lui la decisione. Era vero. Levi evitò di affondare nel sedile dell'auto come un bimbetto di cinque anni, rimase composto a guardare fuori a sua volta. Era difficile distrarsi pensando al lavoro quando questo era la prima causa dei suoi crucci.
L'atteggiamento di Erwin stava diventando... Quasi allarmante. I baci che si prendeva spontaneamente erano sempre più rari, di giorno in giorno; le carezze, pure. Finché di colpo non smisero del tutto. Levi immaginò fosse una giornata nera, una giornata in cui aveva litigato con Marie -Erwin si comportava spesso così, quando discuteva con lei.
Levi aveva spesso voglia di vomitare, ma mai come quel giorno. Tenere su quella commedia con Petra lo stava drenando di ogni energia, Erwin era la sola fonte di sollievo che aveva per fare fronte allo stress della sua vita domestica. Si riteneva fortunato che Petra fosse una donna che non chiedeva di essere soddisfatta tanto quanto Marie, perché fare sesso con lei, o anche solo baciarla e toccarla, stava iniziando a dargli il voltastomaco. Non si era mai sentito così vicino al divorzio come allora, e per cosa? Per un uomo che non aveva mai detto una parola su quella strana relazione del post-lavoro?  Per un uomo che sentiva di amare, ma che non gli dava alcuna certezza?
Levi aveva iniziato a capire cosa provava Marie quando era ormai troppo tardi.
"Che muso lungo" gli aveva detto, rubando un biscotto dal pacchetto che teneva nascosto nel cruscotto.
"Ho chiesto il trasferimento. L'hanno accettato. Mi hanno promosso ispettore" disse Erwin, alzando la mano per rifiutare il biscotto. Guidava guardando fuori dal finestrino, il braccio lungo il fianco della macchina, ed il suo profilo era troppo bello mentre lo prendeva a pugnalate.
"... Pensavo non volessi chiederlo."
"Marie è incinta" le sue dita tamburellavano sul volante, come quella sera di quasi un anno prima, quando si erano scoperti già persi l'uno dell'altro.
L'istinto diceva a Levi di aprire la portiera e vomitare tutto quello che aveva nello stomaco.
"Si era scordata di prendere la pillola" sospirò Erwin, fermandosi al semaforo rosso.
Levi sentiva di volergli dare del bastardo di merda, dello stronzo per avere scelto il momento in cui dirglielo: in macchina, mentre erano in servizio, quando non poteva prenderlo a pugni, a male parole o a zampate nei coglioni.
Non servì chiedere 'e che ne sarà di noi?', era tutto fin troppo implicito, la risposta era ben delineata tra le righe, senza bisogno di andarla a cercare. Era finita. Ma molto probabilmente non era nemmeno mai iniziata.
Levi si prese un periodo di ferie e sorprese Petra con una vacanza improvvisa: sarebbero partiti per Bora Bora, e si sarebbero goduti una tanto meritata pausa di relax. Difficile dire chi dei due ne avesse più bisogno. Levi sapeva solo di avere bisogno di staccarsi da Erwin  e possibilmente di non tornare mai più indietro. Si fece sorprendere un paio di volte da Petra a piangere in silenzio a notte fonda, e lui le disse solo "Sono molto stressato". Sarebbe passato tutto.
Sarebbe passato anche quel male che faceva ricordare i suoi sorrisi, il tepore dei suoi baci, la passione con cui lo aveva amato, il modo in cui si era sentito voluto senza un briciolo di devozione: voluto e basta. Il tempo avrebbe lavato via la bellissima sensazione di essere capito, di essere nel posto giusto con la persona giusta, come seppellisce ogni brutta cosa.
Sarebbe passato tutto anche per Erwin, forse, che avrebbe cercato di dimenticare e ignorare quel sentimento che lo aveva fatto tornare ragazzino, quella frenesia di fare l'amore come non mai e di volergli bene per la persona che era. Sapeva di non essere stato un codardo e di avere fatto la scelta giusta, alla fin fine. Avrebbe potuto lasciare Marie, forse, ma l'arrivo di un bambino capovolgeva la situazione. Una creatura che era anche sua sarebbe venuta al mondo ed Erwin non voleva dargli un padre che fuggiva, lasciando la madre a se stessa. Voleva dare alla creatura il buon esempio. Era giunto il momento di prendere una decisione e l'aveva fatto, sacrificando i propri affetti per cambiare le cose nella vita di entrambi, per il meglio: quanto sarebbe stata accettata una relazione tra colleghi ? Quanto ci sarebbe voluto prima che il prefetto decidesse di affidarli a due quartieri diversi per ragioni di formalità e sicurezza? E quanto per gestire i divorzi, le eventuali reazioni nelle loro famiglie?
In cuor suo, Erwin sapeva che un giorno o l'altro Levi avrebbe capito. Sperava solo che col tempo avrebbe smesso di amarlo.
Nell'ufficio polveroso di Erwin erano passati dieci anni, dieci lunghi anni in cui avevano sentito parlare l'uno dell'altro tramite colleghi, o in cui avevano avuto brevi conversazioni telefoniche, in cui i loro nomi erano rimasti solo firme su documenti. Si erano allontanati, com'era giusto e prevedibile che fosse, come due estranei che hanno vergogna a guardarsi in faccia. Nessuno dei due poteva fare a meno di chiedersi se si trattasse soltanto di vergogna.
 Il dirigente generale Smith aveva quarantadue anni e una bimba di nove anni, il vice commissario Ackerman quaranta e un bimbo di quattro. Qualche ruga qui e là, una voce un po' più stanca. Il tempo aveva cambiato molte cose, prima di tutto le loro facce, ma non era stato in grado di cancellare una sfumatura nei loro sguardi, immutata persino ora che si chiamavano l'un l'altro per cognome.
Si amavano ancora, e non meno di prima.
   
 
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