Ricominciare
Quella
sera a Forks, piccola città dello stato di Washington,
faceva
davvero freddo: nonostante fosse pieno inverno le temperature erano
estremamente rigide. Gli abitanti più anziani sostenevano
che
un'ondata di freddo così simile era avvenuta solo nel 1966 e
che era
costata la vita a diciotto persone, tra cui la gentile e beneamata da
tutti Marie Swan, la sarta di fiducia della cittadina ed il militare
Edward Masen, ritornato in città per conoscere i figli
neonati partoriti da Elizabeth, l'amore della sua vita: Esme e James
Masen.
I due
bambini, orfani di padre, crebbero con l'amore e il rispetto di tutti
i cittadini e questo all'apparenza sembrò bastare ad
entrambi,
finché all'età di quindici anni James non
entrò a far parte di una
banda di spacciatori e dopo essere scappato a Seattle nessuno ebbe
più sue notizie. La giovane Esme, invece, crebbe bella e
forte e
divenne una delle più brave maestre d'asilo. Proprio grazie
alla sua
professione conobbe il medico Carlisle Cullen e si innamorarono
perdutamente, tanto da sposarsi dopo solo un anno dal loro primo
incontro. Dall'unione del loro amore nacque Edward Antony Cullen, la
gioia della loro vita.
Sempre nel
lontano 1989 a pochi mesi di distanza dalla nascita del piccolo
Cullen, una donna stava facendo le ultime spinte per dare alla luce
Isabella Marie Swan, l'errore più grande della sua vita.
Isabella
nacque il tredici settembre in una giornata di pioggia. Sua madre,
Renèe, aveva avuto la sfortuna di partire per l'anonima
città di
Forks per partecipare al matrimonio di una lontana partente e di
conoscere Charlie Swan, di quattro anni più grande di lei e
poliziotto. Si erano innamorati al primo sguardo e pochi mesi dopo
convolarono anche loro a nozze. L'unico grande problema fu scoprire
di aspettare un figlio.
Edward
Cullen crebbe nella ricchezza non solo economica, ma anche della
vita, del rispetto delle persone di qualunque razza o rango sociale e
anche lui finì per farsi benvolere dagli abitanti di Forks.
Al liceo
si frequentò con una sola ragazza, Lauren, capo cheerleader
e
persona abbastanza frivola, che lo portò alla
popolarità. Divenne
capitano della squadra di basket e si appassionò talmente
tanto da
volerne fare la sua professione. Amava quello sport tanto quanto
amava suonare il piano, passione ereditata dalla nonna Elizabeth.
Purtroppo dovette rinunciare al suo sogno quando all'età di
diciassette anni si infortunò in maniera grave il ginocchio
e da
quel momento il basket a livello professionistico gli fu vietato.
Anche
Isabella Swan crebbe con l'amore e il rispetto verso il prossimo, ma
quell'insegnamento lo apprese da sola. I suoi genitori erano troppo
impegnati a portare avanti le loro carriere per prestare troppa
attenzione alla loro bambina, anche se tra i due lo sceriffo Charlie
Swan era senza dubbio quello che le mostrava maggior considerazione.
Crebbe circondata dai libri e col tempo divenne un'assidua lettrice,
passava delle ore nella biblioteca della scuola a leggere ed ogni
volta si immedesimava nella protagonista: non sognava una vita
avventurosa, né tanto meno piena di ricchezze,
ciò che lei voleva
era essere amata, voleva essere guardata dalla sua mamma e dal suo
papà e sentirsi dire “Siamo orgogliosi di te,
Bella” e per
questo motivo dava sempre il massimo a scuola. Ma quelle parole non
le udì mai e i suoi genitori non batterono ciglio quando
lei, sei
mesi dopo aver cominciato il liceo, chiese loro di andare a vivere
con la prozia Victoria, donna che ogni giorno non faceva altro che
ripeterle quanto avesse reso felice la vita di una povera anziana.
Isabella si diplomò con il massimo dei voti e visse gli anni
del
college a Yale, dove si laureò come insegnante delle
elementari. In
tutti quegli anni non ritornò mai a Forks, dove i suoi
genitori
vivevano ancora insieme, troppo impegnati a vivere il loro amore e a
fare carriera per occuparsi di una bambina.
Edward
Cullen, dopo aver visto la porta del suo futuro come giocatore di
basket chiudersi davanti ai suoi occhi, non si perse d'animo e
terminato il liceo si trasferì a New York per frequentare la
Julliard contro il volere di Carlisle, che sperava lo affiancasse in
ospedale, dove era diventato primario. Quella divergenza di opinioni
aveva creato un po' di scompiglio nella famiglia Cullen, ma tutto si
risolse quando i due coniugi volarono a New York per assistere al
saggio di fine anno della scuola. Edward era uno degli ultimi ad
esibirsi e suonò il piano con così tanta passione
da far commuovere
il padre, che finalmente gli disse:
«Avevo torto, figliolo, questa è la tua strada. Sono orgoglioso della persona che sei diventata»
La
felicità del giovane uomo, però, ben presto venne
a mancare: nonna
Elizabeth morì di infarto la notte dopo il concerto e
qualche anno
dopo anche Esme e Carlisle Cullen abbandonarono la vita: erano in
viaggio verso Seattle, dove Edward viveva e insegnava musica al
conservatorio, quando un camionista perse il controllo della sua
vettura e li prese in pieno. Morirono in ospedale sotto i ferri.
Edward aveva ventitré anni quando rimase orfano e da quella
notte
non smise mai per un momento di pensare che si fosse iscritto a
medicina probabilmente avrebbe potuto salvarli. Da quel momento non
fece più ritorno a Forks se non il giorno dell'anniversario
della
loro morte per dare una ripulita a Villa Cullen e per portare i fiori
sulle loro tombe. E quel 15 dicembre non fece eccezione: giunse a
Forks, diede una pulita alla casa, portò i gigli sulla tomba
della
madre, i suoi fiori preferiti, e del padre e guidò fino alla
scogliera della riserva di La Push.
Aveva
deciso di farla finita.
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«Isabella,
c'è un motivo se ti abbiamo chiesto di venire
qui,» Renèe Swan
sedeva composta sulla poltrona di fronte al divano dove sua figlia
era seduta e la guardava con un disgusto e stizza nonostante fosse
stata lei a chiamarla e a pregarla di tornare a Forks, «come
ben sai
la malattia di tuo padre è peggiorata e ben presto non
sarà più
autosufficiente per fare qualunque cosa. Ne abbiamo discusso e
vogliamo che torni qui ad occuparti di lui»
Isabella
guardò Charlie seduto sulla poltrona accanto a quella
dell'amata
moglie con le spalle ricurve e lo sguardo rivolto verso il basso.
L'età si faceva sentire, per lui soprattutto. Era
visibilmente
invecchiato e non si curava più come una volta. Aveva messo
su molti
chili e i suoi baffi neri si erano trasformati in una barba lasciata
crescere allo sbando. Un anno prima gli era stata diagnosticata la
degenerazione maculare, la cosiddetta “malattia
nera” ad uno
stadio talmente tanto avanzato da non poter far più nulla,
per cui a
breve avrebbe lasciato il proprio lavoro per andare incontro al suo
destino: diventare cieco.
«Non
posso,» ribatté la ragazza senza battere ciglio,
«non posso
lasciare il mio lavoro» Ovviamente le dispiaceva per Charlie,
ma
trovava assurda la richiesta. In tutti quegli anni i loro incontri
potevano benissimo essere contati sulle dita di una mano, con quale
coraggio adesso le chiedevano questo?
«Sei sua
figlia, per la miseria!» urlò la donna alzandosi
di scatto dalla
sedia, «Devi occupartene tu»
«E perché
non tu?» la sfidò Isabella.
«Perché
visto che lui non sarà più in grado di provvedere
per noi dovrò
farlo io» a quell'affermazione Charlie Swan si
mortificò ancora di
più. Isabella gli diede un'altra occhiata. Avrebbe mentito
se avesse
detto che non le importava poi molto, era pur sempre suo padre, ma
costringerla a tornare da loro per occuparsi di lui per non prendere
una badante era troppo.
«Mi
dispiace davvero tanto per la tua malattia, Charlie,» rispose
Bella
con educazione, «ma non sono disposta a lasciare la scuola in
cui
lavoro o la mia vita per tornare qui, da persone che nemmeno mi
vogliono bene. Resterò a Phoenix» e detto questo
si alzò in piedi
e uscì da quella casa senza voltarsi indietro, ignorando le
urla
isteriche di Renèe.
Troppo
stanca per poter fare tutti quei chilometri per l'aeroporto di
Seattle, decise di fermarsi a riposare in un piccolo b&b per
riposare e ripartire alle prime luci dell'alba. Una volta sola e al
buio della sua stanza in affitto pianse. Pianse perché era
infelice
per l'affetto che i suoi genitori non hanno mai saputo darle,
perché
l'unica cosa che voleva era essere accettata.
Il sole
stava albeggiando dietro dei nuvoloni carichi di pioggia quando lei
decise di rimettersi in marcia. Pagò la stanza senza nemmeno
aver
fatto colazione e giurò a se stessa che quella sarebbe stata
l'ultima volta in cui avrebbe messo piede in quel posto. Doveva
sbrigarsi, voleva arrivare a destinazione prima che scoppiasse il
temporale, voleva prendere il primo volo per Phoenix e ce l'avrebbe
fatta se, costeggiata la scogliera di La Push, non avesse guardato in
alto: c'era un ragazzo sullo scoglio più alto, immobile come
una
statua. Il mare era in tempesta e di certo se si fosse tuffato per
fare il bagno non l'avrebbe passata liscia. Ma Bella sapeva che era
proprio quello l'obiettivo dello sconosciuto. Inchiodò e si
fiondò
fuori dalla macchina senza pensare.
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Edward
aveva guidato la sua vecchia Volvo senza rendersi conto di dove essa
lo stesse conducendo. Piangeva, piangeva come sempre e sapeva che
nessuno ci sarebbe stato per lui quel giorno. Nessuno: né un
vicino,
un parente, o un amico. Era solo, completamente solo. I pochi amici
che aveva a Seattle lo conoscevano superficialmente, nessuno sapeva
dei suoi genitori e lui aveva fatto di tutto per non farlo scoprire.
Era andato più volte da uno psicologo, ma si sentiva troppo
debole
per continuare la terapia e ogni volta dopo un paio di sedute
mollava.
Quando si
rese conto di aver raggiunto la scogliera della riserva spense la
macchina e stette a fissarla per diverso tempo. Da piccolo sua madre
lo portava spesso al mare, gli piaceva molto fare il bagno e i
castelli di sabbia. Spesso quando Carlisle finiva il suo turno li
raggiungeva e ogni volta creavano un castello enorme per Esme, un
castello degno per una regina. Ora aveva smesso di andare al mare,
troppi ricordi. Un tuono rimbombò nel cielo e
puntò lo sguardo
verso l'alto. La luna e le stelle erano nascoste dietro delle nubi
nere e minacciose.
“Il
cielo è nero quanto la mia anima”,
pensò e con un sorriso amaro
aprì la portiera della macchina e uscì. Quella
sarebbe stata
l'ultima volta in cui avrebbe sofferto.
L'umidità
le impedì di raggiungere in fretta la cima della scogliera e
ad ogni
passo pregava Dio di non arrivare troppo tardi. Chi era così
disperato da compiere un gesto così estremo? Aveva notato
una Volvo
con la targa che le sembrava familiare ai piedi della scogliera, ma
non le aveva prestato troppa attenzione. Aveva fretta, molta fretta.
Un tuono rimbombò nel cielo per la seconda volta e Bella si
spaventò
ancora. Aveva sempre odiato i temporali. Da piccola correva nella
stanza dei suoi genitori per chiedere protezione, ma ogni volta
veniva rispedita in camera sua. Scivolò per terra un paio di
volte,
ma alla fine raggiunse il suo obiettivo. Il sole era alto nel cielo,
seppur coperto dai minacciosi cumulonembi, e le diede modo di
scorgere la figura poco distante da lei. I capelli ramati della
figura che le dava le spalle richiamarono la sua attenzione e la
mente cominciò la sua associazione di immagini. I capelli,
la Volvo…
non poteva essere.
«Edward?»
«Sono Bella Swan,» disse la ragazza rispondendo alla domanda che effettivamente aveva espresso ad alta voce, «eravamo insieme al liceo, abbiamo frequentato la stessa classe del professor Medina. Sono…»
«… la figlia dello sceriffo» concluse lui per lei. Sì, si ricordava vagamente di quella ragazza timida che stava sempre in fondo all'aula e parlava solo se interpellata dal professore. Era sempre stato incuriosito da lei, ma non le aveva mai rivolto la parola, e all'improvviso lei se ne era andata via.
«S-sì,» balbettò abbozzando un sorriso, «non credevo ti ricordassi di me» aggiunse. Come molte altre ragazze era caduta nella sua ragnatela, si era invaghita di lui, ma a differenza delle altre non aveva mai avuto il coraggio di parlargli.
«Perché sei qui?» le domandò per niente gentile Bella tornò con i piedi per terra.
«Tu perché sei qui?» rispose lei cauta.
Dal cielo cominciarono a scendere le prime gocce di pioggia ed entrambi alzarono lo sguardo verso l'alto. L'acqua li bagnò sul volto e per un attimo nessuno dei due disse nulla.
«Dovresti tornare a casa, Isabella,» le consigliò, «non puoi restare qui» sospirò e si voltò in direzione del mare.
«No!» gridò la ragazza terrorizzata, «Non farlo, non saltare. Qualunque cosa sia successa questa non è la risposta giusta»
«E perché non dovrei?» rispose deridendola, «Non verrai mica a dirmi che questo non è il piano che Dio ha in serbo per me e stronzate varie, vero? Senza offesa, ma ho smesso di credere in lui da qualche anno» Da quando i suoi genitori gli erano stati portati via, voleva aggiungere, ma quel pensiero lo tenne per sé.
«No,» replicò lei scuotendo la testa, «ma la tua vita è comunque un dono e non puoi sprecarla così. Cosa penserebbero i tuoi genitori di questo?»
«Non parlare di loro!» urlò Edward visibilmente infuriato, «Non osare. Sul serio, vattene a casa»
Isabella era ormai sull'orlo delle lacrime. Aveva paura, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di suicidarsi davanti ai suoi occhi.
«Aspetta,» lo pregò, «la vita è piena di momenti bui, ma non è così che si risolvono. Bisogna reagire e arriverà anche la luce. Non puoi pensare che questa sia la scelta giusta solo perché sei… sei…» si bloccò. Non aveva il coraggio di dirlo.
«Sono depresso, lo puoi dire. Lo sono da un sacco di cazzutissimi anni e nessuno è mai riuscito ad aiutarmi. Sai perché sono qui, Bella? Perché sono solo. Niente famiglia, niente fidanzate, niente amici stretti»
«Quindi solo perché sei solo hai deciso di morire? La solitudine per te è uguale alla morte?» Isabella gli domanda alzando la voce sia per farsi sentire sia perché si sta arrabbiando, ma non riceve risposta, «molto bene. Allora salterò giù con te» aggiunse avvicinandosi di qualche passo.
«Cosa? NO!» esclamò Edward guardandola stralunato, «Non puoi buttarti di sotto»
Voleva davvero farla finita anche lei? Era per caso impazzita? Perché voleva compiere quel gesto estremo? Non era una cosa da niente e lui lo sapeva bene. Aveva pensato per diverso tempo ai pro e ai contro, finché la sua depressione non lo aveva spinto a far valere i contro.
«E perché no? Ho un pessimo rapporto con i miei genitori e non ho nessuno che mi ami. Non dovrei mancare a molte persone»
«Non essere ridicola,» la riprese, «non ti puoi suicidare»
Si stava davvero preoccupando per lei? Avrebbe giocato quella carta a suo favore.
«Perché tu sì, allora? La tua motivazione non mi sembra molto diversa dalla mia»
«Perché tu ami la vita, Bella,» rispose monotone, «tu ami la vita»
«E tu no?»
«Io amavo i miei genitori,» confessò d'un tratto, «erano i miei primi fan e le uniche persone con cui potessi parlare liberamente. Dopo la loro dipartita,» Edward si asciugò una lacrima e fece un respiro profondo, «la mia vita è stata tutta una discesa. Se avessi dato retta a mio padre, se fossi diventato medico, li avrei salvati. Li avrei operarti io stesso e le cose sarebbero andate bene. Sarei stato bravo come lui e ce l'avrei fatta. E invece sono stato un egoista, ho pensato solo a me stesso e ho scelto la Julliard. Da quel giorno sento una voce dentro di me che come un tarlo mi ripete che non posso essere felice perché è colpa mia se sono morti. Questo è l'unico modo per farla zittire una volta per tutte, mi capisci?»
Ora anche il viso di Bella era solcato dalle lacrime. Erano più simili di quanto non pensassero.
«Lascia che ti aiuti, ti supplico. Non sono una psicologa, ma anche io non ho una vita facile. Tu almeno sei consapevole che i tuoi genitori ti hanno amato finché glielo è stato concesso, i miei non mi hanno mai voluta bene. Non me l'hanno mai detto una sola volta. Al liceo me ne sono andata via da Forks perché non ce la facevo più a vivere così. Se fossi rimasta probabilmente anche io avrei fatto quello che vuoi fare tu ora. Ma non puoi, Edward, devi trovare quello che è giusto per te. Hai tutto il tempo del mondo per innamorarti e mettere su famiglia, per raccontare ai tuoi figli che persone dal cuore d'oro fossero i loro nonni. Il tuo destino è da qualche parte con una donna straordinaria che saprà renderti felice, non sotto terra a venticinque anni»
Un lampo illuminò il cielo vicino a loro e il tuono che rimbombò subito dopo fu talmente forte da spaventare Bella, che fece un passo indietro e cadde per terra. Edward le fu subito accanto senza pensare; le circondò la vita e l'attirò a sé. Lei, confusa e spaventata, ricambiò quel gesto e si aggrappò a lui.
«Non farlo,» lo supplicava, «non saltare»
Piangeva e pregava, lo stringeva forte e singhiozzava. I brividi di freddo le facevano battere i denti, ma non avrebbe mai mollato la presa.
«Bella…»
«N-no,» gemette aumentando la stretta e nascose il viso sul collo di lui, «no, Edward. No»
Il ragazzo sospirò e le accarezzò i capelli bagnati.
«Perché? Perché vuoi salvarmi?»
«Perché sei una persona buona, Edward. E perché se ti gettassi dalla scogliera non me lo perdonerei mai, perché vuol dire che non ho fatto tutto il possibile. Perché hai ancora tutta una vita davanti. Non hai mai desiderato girare il mondo? Andare a Parigi con la tua fidanzata e passeggiare mano nella mano davanti alla torre Eiffel? Non hai mai sognato di volare in Spagna e fare il giro delle tapas con i tuoi amici? O andare a Roma e rimanere affascinato davanti all'imponenza del Colosseo?» chiuse gli occhi per un secondo, cercò di sopraffare un brivido che stava per scuoterla e poi riprese a parlare, «O una grande casa con un portico dove trascorrere la tua vecchiaia mano nella mano con tua moglie mentre i vostri nipotini si rincorrono nel prato? Vu-vuoi davvero precluderti questo?»
Edward abbozzò un sorriso mentre immaginava tutto quello che Bella gli stava raccontando.
«Detto così sembrerebbe una bella vita»
«E può esserlo,» tentò di convincerlo ancora, «po-potrai lib-berarti di que-que-quella vocina se lo vorrai davvero. E po-potresti vivere felice»
Un altro tuono disturbò i loro discorsi e Bella si aggrappò ancora di più al corpo di Edward. I loro sguardi si incrociarono per un secondo e in quel momento lui si rese conto del pallore e delle labbra blu della ragazza. Le toccò una guancia. Era fredda.
«Santo cielo, Bella! Ma sei congelata» esclamò inorridito. Quanto tempo erano stati lì sotto la pioggia?
«N-no, sto bene,» mentì.
Il ragazzo scosse la testa e cercò di tirarsi su in piedi, ma la presa di lei glielo impedì.
«Va tutto bene, Bella,» cercò di rassicurarla, «dobbiamo andare a cercare un posto all'asciutto»
«No!» urlo lei spaventata, «Appena ti lascerò tu ti butterai di sotto»
«Non lo farò, te lo prometto» Ed era vero. Tutto quello che ora voleva fare era portarla all'asciutto; voleva salvarla, «mi lascerò aiutare da te, ma prima io voglio aiutare te»
Gli occhi color cioccolato della ragazza brillarono e lui pensò di non averne mai visti di più belli. Riuscì ad alzarsi in piedi e subito dopo la prese in braccio per portarla via. Bella lo lasciò fare e si accoccolò tra le sue braccia, gli circondò il collo con le sue e avvicinò il viso all'incavo di nuovo. E finalmente pianse.
«Grazie,» gli disse, «grazie»
Edward la portò nella sua Volvo e la fece sedere sul sedile del passeggero. Ritrovò la sua vecchia coperta nel bagagliaio e la usò per avvolgerci la ragazza che stava tremando come una foglia. Non sapeva dove andare. Voleva portarla al sicuro, ma non aveva il coraggio di entrare nella casa dei suoi genitori.
«Più indietro c'è un bed&breakfast,» sussurrò Bella cercando di rimanere sveglia, «potremmo andare lì ad asciugarci»
Se avesse espresso il timore di portarla nella sua vecchia casa ad alta voce o meno quello non lo sapeva, ma mai come in quel momento le fu grato per averle dato un'alternativa. Guidò con attenzione per le strade bagnate e quando intravide il cartello con la loro destinazione spense il motore della macchina e la riprese in braccio.
«È tutto okay, Bella,» la rassicurò quando sussultò dopo averla presa in braccio, «adesso siamo al sicuro» e quando si rese conto di aver parlato anche per se stesso, sorrise.
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Trascorsero
sei anni da quella mattina. Anni di terapie su terapie per uscire
dalla depressione, anni in cui alcune volte il pensiero del
“non ce
la faccio” era più forte del “posso
farcela”, ma alla fine
riusciva sempre a desistere dal compiere quel gesto estremo. Bella lo
aveva salvato, con pazienza era riuscita a riportare la luce nella
sua vita: grazie a lei e alla psicologa che aveva cominciato a vedere
assiduamente superò il lutto dei suoi genitori e col tempo
la
Isabella imparò che poteva essere amata. Da quella volta
incontrò
gli Swan un paio di volte ed ogni volta Edward le era sempre accanto.
Charlie divenne completamente cieco e Renèe finalmente si
decise ad
assumere una persona che potesse aiutarlo quando lei lavorava ed era
stata proprio Bella a presentargliela: Sue Clearwater era la vedova
del tenente di Seattle Harry Clearwater, morto eroicamente per
proteggere un suo collega. Edward e Bella la conobbero per caso in
ospedale mentre faceva la volontaria. Renèe adorava Sue e
anche se
non aveva mai ringraziato la figlia, lei era certa che fosse almeno
riconoscente.
I due
ragazzi non incominciarono subito a frequentarsi. Prima di tutto
impararono ad essere amici, confidenti. La loro relazione nacque in
maniera del tutto spontanea, quando una calda mattina di agosto
Edward, dopo essersi addormentato a casa di lei sul divano dopo aver
visto tutti i film di Harry Potter, aveva salutato la sua amica
baciandola sulle labbra e non più sulla guancia. Da quel
gesto ne
seguirono altri: abbracci più intimi, tenersi per mano,
dividere lo
stesso letto, lavarsi i denti nello stesso bagno e nello stesso
momento e per finire fare l'amore insieme. Si amavano e si
rispettavano.
Il giorno
del compleanno di Bella, Edward rientrò a casa presto per
prepararle
la cena. Era felice, talmente tanto da canticchiare mentre era
davanti ai fornelli. Quando Bella lo vide così si
emozionò. Il suo
compagno stava bene già da diverso tempo e vederlo
così spensierato
la faceva stare bene.
«Edward»
lo chiamò schiarendosi la voce.
Si voltò
verso di lei e le regalò il sorriso che l'aveva fatta
innamorare di
lui.
«Sei
tornata a casa presto» brontolò.
«Anche
tu» gli fece notare lei. Il martedì di solito
tornava a casa alle
sette e mezza perché prima aveva un appuntamento con Jessica
Stanley, la sua psicologa. Quelle sarebbero state le ultime sedute
finalmente. Si sentiva bene, di non averne più bisogno e
anche la
dottoressa concordava.
«La
dottoressa è in malattia,» le spiegò,
«e ho pensato di farti una
sorpresa per il tuo compleanno. Tanti auguri, amore»
Bella
arrossì e gli si avvicinò. Portò le
braccia dietro il suo collo e
si alzò in punta di piedi per abbracciarlo.
«Mi sei
mancato oggi» confessò. Era così bello
vederlo girare per casa la
mattina e fare colazione insieme. Avevano iniziato a convivere da un
paio di mesi e non poteva essere più contenta di
così.
Edward le
abbracciò la vita e la baciò sulla fronte.
Adorava quelle
dimostrazioni di affetto, significavano davvero tanto per lui,
soprattutto dopo la morte dei suoi genitori.
«Anche
tu, piccola» rispose. Le baciò l'incavo del collo
e poco dopo,
ridendo, le diede una pacca sul sedere, «okay, ora basta
altrimenti
questa sera non si mangia»
Bella
sbuffò e si finse offesa, con un braccio aumentò
la presa e con
l'altro gli pizzicò un fianco.
«Sei una
persona cattiva» lo sgridò gonfiando le guance.
Edward rise ancora
più forte e premette su di esse con le mani per
sgonfiargliele, poi
la baciò come le piaceva tanto. Isabella si
lasciò convincere e
mentre lui pensava alla cena e a mettere a tavola, lei andò
a farsi
una doccia e a mettersi comoda.
Quaranta
minuti dopo erano a tavola e stavano gustando un ottimo risotto alle
fragole, il preferito di Bella, accompagnato da un vino bianco.
«Stai
bene? Sei molto silenzioso» gli fece notare la sua ragazza e
a quel
commento il suo uomo le sorrise.
«Stavo
solo pensando»
«E posso
saperlo anche io?» gli domandò curiosa.
Edward si
fece indietro con la sedia, prese le mani di Bella con l'intento di
farla alzare dalla sua e la fece sedere sulle sue gambe.
«Stavo
pensando al nostro incontro a La Push, a tutto quello che ci siamo
detti,» le confessò e sentì la sua
amata irrigidirsi per un
attimo, «stavo pensando a tutti quei viaggi di cui mi hai
parlato,
alla casa col porticato e ai nipotini che scorrazzano. Ma soprattutto
stavo pensando che mi hai salvato, Bella. Tu mi hai fatto tornare il
sorriso sulle labbra, la voglia di vivere ed io davvero non so chi
ringraziare per essermi fatto trovare da te. Ti amo tanto,
Bells»
Isabella
non nascose le sue lacrime e gli sorrise.
«Ti amo
anche io, Edward»
«Così
tanto da voler costruire quel porticato con me?» le
domandò. A
Bella si mozzò il respiro e le lacrime ripresero a scendere
con più
foga. Sapeva quello che stava per chiederle e per nessun motivo al
mondo avrebbe risposto “no”.
«Più di
qualunque altra cosa al mondo»
Tirò
fuori dal taschino della sua t-shirt un anello con al centro una
pietra non troppo grande, quei tipi di anello che piacevano a lei,
quelli che, a detta sua, erano adatti per le persone timide, quegli
anelli che non volevano essere visti, ma che nascondevano un
significato ancora più grande.
«Isabella
Marie Swan, prometto di amarti per tutta la vita e di trattarti come
meriti di essere trattata. Mi vuoi sposare?»
Il groppo
in gola di Bella dovuto dalla forte emozione le impedì di
parlare,
per cui si limitò ad annuire e a porgergli la mano.
«È
bellissimo, ti amo, ti amo da morire» gli disse dopo qualche
minuto
senza respirare.
Edward la
baciò a lungo e la cena venne abbandonata presto. Quella
notte si
amarono finché la stanchezza non prevalse su di loro.
Finalmente
erano felici, si sentivano completi.
Solo una
cosa era sbagliata nel discorso di Edward: quella volta sulla
scogliera di La Push si salvarono l'un l'altro.
Fine
Ciao a
tutte!
Ebbene sì,
ogni tanto mi faccio viva anche io. Non ho idea di come la storia sia
uscita fuori e del perché mi sia concentrata su di essa
anziché
andare avanti con le OS di “I wish that I had Jamie's
girl”.
Ultimamente qualunque cosa scrivo la cancello immediatamente, ma
siccome almeno a questa sono riuscita a mettere la parola
“fine”
ho deciso di pubblicarla prima di tornare in me (o di impazzire?) e
di cancellare il file.
Mi auguro
di non aver lasciato orrori ortografici e che non sia una minchiata.
Sì, insomma, spero vi sia piaciuta un minimo.
Baci,
Giulls