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Autore: Giulls    11/05/2014    6 recensioni
Può un incontro dettato dal caso salvare la vita ad un uomo a cui ormai non rimane più niente se non la certezza che, facendola finita, smetterebbe di soffrire una volta per tutte?
«Dovresti tornare a casa, Isabella,» le consigliò, «non puoi restare qui» sospirò e si voltò in direzione del mare.
«No!» gridò la ragazza terrorizzata, «Non farlo, non saltare. Qualunque cosa sia successa questa non è la risposta giusta»
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Ricominciare


    Quella sera a Forks, piccola città dello stato di Washington, faceva davvero freddo: nonostante fosse pieno inverno le temperature erano estremamente rigide. Gli abitanti più anziani sostenevano che un'ondata di freddo così simile era avvenuta solo nel 1966 e che era costata la vita a diciotto persone, tra cui la gentile e beneamata da tutti Marie Swan, la sarta di fiducia della cittadina ed il militare Edward Masen, ritornato in città per conoscere i figli neonati partoriti da Elizabeth, l'amore della sua vita: Esme e James Masen.
    I due bambini, orfani di padre, crebbero con l'amore e il rispetto di tutti i cittadini e questo all'apparenza sembrò bastare ad entrambi, finché all'età di quindici anni James non entrò a far parte di una banda di spacciatori e dopo essere scappato a Seattle nessuno ebbe più sue notizie. La giovane Esme, invece, crebbe bella e forte e divenne una delle più brave maestre d'asilo. Proprio grazie alla sua professione conobbe il medico Carlisle Cullen e si innamorarono perdutamente, tanto da sposarsi dopo solo un anno dal loro primo incontro. Dall'unione del loro amore nacque Edward Antony Cullen, la gioia della loro vita.
    Sempre nel lontano 1989 a pochi mesi di distanza dalla nascita del piccolo Cullen, una donna stava facendo le ultime spinte per dare alla luce Isabella Marie Swan, l'errore più grande della sua vita. Isabella nacque il tredici settembre in una giornata di pioggia. Sua madre, Renèe, aveva avuto la sfortuna di partire per l'anonima città di Forks per partecipare al matrimonio di una lontana partente e di conoscere Charlie Swan, di quattro anni più grande di lei e poliziotto. Si erano innamorati al primo sguardo e pochi mesi dopo convolarono anche loro a nozze. L'unico grande problema fu scoprire di aspettare un figlio.
    Edward Cullen crebbe nella ricchezza non solo economica, ma anche della vita, del rispetto delle persone di qualunque razza o rango sociale e anche lui finì per farsi benvolere dagli abitanti di Forks. Al liceo si frequentò con una sola ragazza, Lauren, capo cheerleader e persona abbastanza frivola, che lo portò alla popolarità. Divenne capitano della squadra di basket e si appassionò talmente tanto da volerne fare la sua professione. Amava quello sport tanto quanto amava suonare il piano, passione ereditata dalla nonna Elizabeth. Purtroppo dovette rinunciare al suo sogno quando all'età di diciassette anni si infortunò in maniera grave il ginocchio e da quel momento il basket a livello professionistico gli fu vietato.
    Anche Isabella Swan crebbe con l'amore e il rispetto verso il prossimo, ma quell'insegnamento lo apprese da sola. I suoi genitori erano troppo impegnati a portare avanti le loro carriere per prestare troppa attenzione alla loro bambina, anche se tra i due lo sceriffo Charlie Swan era senza dubbio quello che le mostrava maggior considerazione. Crebbe circondata dai libri e col tempo divenne un'assidua lettrice, passava delle ore nella biblioteca della scuola a leggere ed ogni volta si immedesimava nella protagonista: non sognava una vita avventurosa, né tanto meno piena di ricchezze, ciò che lei voleva era essere amata, voleva essere guardata dalla sua mamma e dal suo papà e sentirsi dire “Siamo orgogliosi di te, Bella” e per questo motivo dava sempre il massimo a scuola. Ma quelle parole non le udì mai e i suoi genitori non batterono ciglio quando lei, sei mesi dopo aver cominciato il liceo, chiese loro di andare a vivere con la prozia Victoria, donna che ogni giorno non faceva altro che ripeterle quanto avesse reso felice la vita di una povera anziana. Isabella si diplomò con il massimo dei voti e visse gli anni del college a Yale, dove si laureò come insegnante delle elementari. In tutti quegli anni non ritornò mai a Forks, dove i suoi genitori vivevano ancora insieme, troppo impegnati a vivere il loro amore e a fare carriera per occuparsi di una bambina.
    Edward Cullen, dopo aver visto la porta del suo futuro come giocatore di basket chiudersi davanti ai suoi occhi, non si perse d'animo e terminato il liceo si trasferì a New York per frequentare la Julliard contro il volere di Carlisle, che sperava lo affiancasse in ospedale, dove era diventato primario. Quella divergenza di opinioni aveva creato un po' di scompiglio nella famiglia Cullen, ma tutto si risolse quando i due coniugi volarono a New York per assistere al saggio di fine anno della scuola. Edward era uno degli ultimi ad esibirsi e suonò il piano con così tanta passione da far commuovere il padre, che finalmente gli disse:

    «Avevo torto, figliolo, questa è la tua strada. Sono orgoglioso della persona che sei diventata»

    La felicità del giovane uomo, però, ben presto venne a mancare: nonna Elizabeth morì di infarto la notte dopo il concerto e qualche anno dopo anche Esme e Carlisle Cullen abbandonarono la vita: erano in viaggio verso Seattle, dove Edward viveva e insegnava musica al conservatorio, quando un camionista perse il controllo della sua vettura e li prese in pieno. Morirono in ospedale sotto i ferri. Edward aveva ventitré anni quando rimase orfano e da quella notte non smise mai per un momento di pensare che si fosse iscritto a medicina probabilmente avrebbe potuto salvarli. Da quel momento non fece più ritorno a Forks se non il giorno dell'anniversario della loro morte per dare una ripulita a Villa Cullen e per portare i fiori sulle loro tombe. E quel 15 dicembre non fece eccezione: giunse a Forks, diede una pulita alla casa, portò i gigli sulla tomba della madre, i suoi fiori preferiti, e del padre e guidò fino alla scogliera della riserva di La Push.
    Aveva deciso di farla finita.


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    «Isabella, c'è un motivo se ti abbiamo chiesto di venire qui,» Renèe Swan sedeva composta sulla poltrona di fronte al divano dove sua figlia era seduta e la guardava con un disgusto e stizza nonostante fosse stata lei a chiamarla e a pregarla di tornare a Forks, «come ben sai la malattia di tuo padre è peggiorata e ben presto non sarà più autosufficiente per fare qualunque cosa. Ne abbiamo discusso e vogliamo che torni qui ad occuparti di lui»
    Isabella guardò Charlie seduto sulla poltrona accanto a quella dell'amata moglie con le spalle ricurve e lo sguardo rivolto verso il basso. L'età si faceva sentire, per lui soprattutto. Era visibilmente invecchiato e non si curava più come una volta. Aveva messo su molti chili e i suoi baffi neri si erano trasformati in una barba lasciata crescere allo sbando. Un anno prima gli era stata diagnosticata la degenerazione maculare, la cosiddetta “malattia nera” ad uno stadio talmente tanto avanzato da non poter far più nulla, per cui a breve avrebbe lasciato il proprio lavoro per andare incontro al suo destino: diventare cieco.
    «Non posso,» ribatté la ragazza senza battere ciglio, «non posso lasciare il mio lavoro» Ovviamente le dispiaceva per Charlie, ma trovava assurda la richiesta. In tutti quegli anni i loro incontri potevano benissimo essere contati sulle dita di una mano, con quale coraggio adesso le chiedevano questo?
    «Sei sua figlia, per la miseria!» urlò la donna alzandosi di scatto dalla sedia, «Devi occupartene tu»
    «E perché non tu?» la sfidò Isabella.
    «Perché visto che lui non sarà più in grado di provvedere per noi dovrò farlo io» a quell'affermazione Charlie Swan si mortificò ancora di più. Isabella gli diede un'altra occhiata. Avrebbe mentito se avesse detto che non le importava poi molto, era pur sempre suo padre, ma costringerla a tornare da loro per occuparsi di lui per non prendere una badante era troppo.
    «Mi dispiace davvero tanto per la tua malattia, Charlie,» rispose Bella con educazione, «ma non sono disposta a lasciare la scuola in cui lavoro o la mia vita per tornare qui, da persone che nemmeno mi vogliono bene. Resterò a Phoenix» e detto questo si alzò in piedi e uscì da quella casa senza voltarsi indietro, ignorando le urla isteriche di Renèe.
    Troppo stanca per poter fare tutti quei chilometri per l'aeroporto di Seattle, decise di fermarsi a riposare in un piccolo b&b per riposare e ripartire alle prime luci dell'alba. Una volta sola e al buio della sua stanza in affitto pianse. Pianse perché era infelice per l'affetto che i suoi genitori non hanno mai saputo darle, perché l'unica cosa che voleva era essere accettata.
    Il sole stava albeggiando dietro dei nuvoloni carichi di pioggia quando lei decise di rimettersi in marcia. Pagò la stanza senza nemmeno aver fatto colazione e giurò a se stessa che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe messo piede in quel posto. Doveva sbrigarsi, voleva arrivare a destinazione prima che scoppiasse il temporale, voleva prendere il primo volo per Phoenix e ce l'avrebbe fatta se, costeggiata la scogliera di La Push, non avesse guardato in alto: c'era un ragazzo sullo scoglio più alto, immobile come una statua. Il mare era in tempesta e di certo se si fosse tuffato per fare il bagno non l'avrebbe passata liscia. Ma Bella sapeva che era proprio quello l'obiettivo dello sconosciuto. Inchiodò e si fiondò fuori dalla macchina senza pensare.


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    Edward aveva guidato la sua vecchia Volvo senza rendersi conto di dove essa lo stesse conducendo. Piangeva, piangeva come sempre e sapeva che nessuno ci sarebbe stato per lui quel giorno. Nessuno: né un vicino, un parente, o un amico. Era solo, completamente solo. I pochi amici che aveva a Seattle lo conoscevano superficialmente, nessuno sapeva dei suoi genitori e lui aveva fatto di tutto per non farlo scoprire. Era andato più volte da uno psicologo, ma si sentiva troppo debole per continuare la terapia e ogni volta dopo un paio di sedute mollava.
    Quando si rese conto di aver raggiunto la scogliera della riserva spense la macchina e stette a fissarla per diverso tempo. Da piccolo sua madre lo portava spesso al mare, gli piaceva molto fare il bagno e i castelli di sabbia. Spesso quando Carlisle finiva il suo turno li raggiungeva e ogni volta creavano un castello enorme per Esme, un castello degno per una regina. Ora aveva smesso di andare al mare, troppi ricordi. Un tuono rimbombò nel cielo e puntò lo sguardo verso l'alto. La luna e le stelle erano nascoste dietro delle nubi nere e minacciose.
    “Il cielo è nero quanto la mia anima”, pensò e con un sorriso amaro aprì la portiera della macchina e uscì. Quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe sofferto.



    L'umidità le impedì di raggiungere in fretta la cima della scogliera e ad ogni passo pregava Dio di non arrivare troppo tardi. Chi era così disperato da compiere un gesto così estremo? Aveva notato una Volvo con la targa che le sembrava familiare ai piedi della scogliera, ma non le aveva prestato troppa attenzione. Aveva fretta, molta fretta. Un tuono rimbombò nel cielo per la seconda volta e Bella si spaventò ancora. Aveva sempre odiato i temporali. Da piccola correva nella stanza dei suoi genitori per chiedere protezione, ma ogni volta veniva rispedita in camera sua. Scivolò per terra un paio di volte, ma alla fine raggiunse il suo obiettivo. Il sole era alto nel cielo, seppur coperto dai minacciosi cumulonembi, e le diede modo di scorgere la figura poco distante da lei. I capelli ramati della figura che le dava le spalle richiamarono la sua attenzione e la mente cominciò la sua associazione di immagini. I capelli, la Volvo… non poteva essere.
    «Edward?»

    Al sentirsi chiamare, Edward Cullen si girò sorpreso. Chi era quella ragazza? E perché lo conosceva?
    «Sono Bella Swan,» disse la ragazza rispondendo alla domanda che effettivamente aveva espresso ad alta voce, «eravamo insieme al liceo, abbiamo frequentato la stessa classe del professor Medina. Sono…»

    «… la figlia dello sceriffo» concluse lui per lei. Sì, si ricordava vagamente di quella ragazza timida che stava sempre in fondo all'aula e parlava solo se interpellata dal professore. Era sempre stato incuriosito da lei, ma non le aveva mai rivolto la parola, e all'improvviso lei se ne era andata via.

    «S-sì,» balbettò abbozzando un sorriso, «non credevo ti ricordassi di me» aggiunse. Come molte altre ragazze era caduta nella sua ragnatela, si era invaghita di lui, ma a differenza delle altre non aveva mai avuto il coraggio di parlargli.
   
«Perché sei qui?» le domandò per niente gentile Bella tornò con i piedi per terra.
«Tu perché sei qui?» rispose lei cauta.
   
Dal cielo cominciarono a scendere le prime gocce di pioggia ed entrambi alzarono lo sguardo verso l'alto. L'acqua li bagnò sul volto e per un attimo nessuno dei due disse nulla.
   
«Dovresti tornare a casa, Isabella,» le consigliò, «non puoi restare qui» sospirò e si voltò in direzione del mare.
   
«No!» gridò la ragazza terrorizzata, «Non farlo, non saltare. Qualunque cosa sia successa questa non è la risposta giusta»
   
«E perché non dovrei?» rispose deridendola, «Non verrai mica a dirmi che questo non è il piano che Dio ha in serbo per me e stronzate varie, vero? Senza offesa, ma ho smesso di credere in lui da qualche anno» Da quando i suoi genitori gli erano stati portati via, voleva aggiungere, ma quel pensiero lo tenne per sé.
   
«No,» replicò lei scuotendo la testa, «ma la tua vita è comunque un dono e non puoi sprecarla così. Cosa penserebbero i tuoi genitori di questo?»
   
«Non parlare di loro!» urlò Edward visibilmente infuriato, «Non osare. Sul serio, vattene a casa»
   
Isabella era ormai sull'orlo delle lacrime. Aveva paura, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di suicidarsi davanti ai suoi occhi.
   
«Aspetta,» lo pregò, «la vita è piena di momenti bui, ma non è così che si risolvono. Bisogna reagire e arriverà anche la luce. Non puoi pensare che questa sia la scelta giusta solo perché sei… sei…» si bloccò. Non aveva il coraggio di dirlo.
    «Sono depresso, lo puoi dire. Lo sono da un sacco di cazzutissimi anni e nessuno è mai riuscito ad aiutarmi. Sai perché sono qui, Bella? Perché sono solo. Niente famiglia, niente fidanzate, niente amici stretti»
    «Quindi solo perché sei solo hai deciso di morire? La solitudine per te è uguale alla morte?» Isabella gli domanda alzando la voce sia per farsi sentire sia perché si sta arrabbiando, ma non riceve risposta, «molto bene. Allora salterò giù con te» aggiunse avvicinandosi di qualche passo.
   
«Cosa? NO!» esclamò Edward guardandola stralunato, «Non puoi buttarti di sotto»
   
Voleva davvero farla finita anche lei? Era per caso impazzita? Perché voleva compiere quel gesto estremo? Non era una cosa da niente e lui lo sapeva bene. Aveva pensato per diverso tempo ai pro e ai contro, finché la sua depressione non lo aveva spinto a far valere i contro.
    «E perché no? Ho un pessimo rapporto con i miei genitori e non ho nessuno che mi ami. Non dovrei mancare a molte persone»

    «Non essere ridicola,» la riprese, «non ti puoi suicidare»

    Si stava davvero preoccupando per lei? Avrebbe giocato quella carta a suo favore.

    «Perché tu sì, allora? La tua motivazione non mi sembra molto diversa dalla mia»

    «Perché tu ami la vita, Bella,» rispose monotone, «tu ami la vita»
   
«E tu no?»
   
«Io amavo i miei genitori,» confessò d'un tratto, «erano i miei primi fan e le uniche persone con cui potessi parlare liberamente. Dopo la loro dipartita,» Edward si asciugò una lacrima e fece un respiro profondo, «la mia vita è stata tutta una discesa. Se avessi dato retta a mio padre, se fossi diventato medico, li avrei salvati. Li avrei operarti io stesso e le cose sarebbero andate bene. Sarei stato bravo come lui e ce l'avrei fatta. E invece sono stato un egoista, ho pensato solo a me stesso e ho scelto la Julliard. Da quel giorno sento una voce dentro di me che come un tarlo mi ripete che non posso essere felice perché è colpa mia se sono morti. Questo è l'unico modo per farla zittire una volta per tutte, mi capisci?»
    Ora anche il viso di Bella era solcato dalle lacrime. Erano più simili di quanto non pensassero.

    «Lascia che ti aiuti, ti supplico. Non sono una psicologa, ma anche io non ho una vita facile. Tu almeno sei consapevole che i tuoi genitori ti hanno amato finché glielo è stato concesso, i miei non mi hanno mai voluta bene. Non me l'hanno mai detto una sola volta. Al liceo me ne sono andata via da Forks perché non ce la facevo più a vivere così. Se fossi rimasta probabilmente anche io avrei fatto quello che vuoi fare tu ora. Ma non puoi, Edward, devi trovare quello che è giusto per te. Hai tutto il tempo del mondo per innamorarti e mettere su famiglia, per raccontare ai tuoi figli che persone dal cuore d'oro fossero i loro nonni. Il tuo destino è da qualche parte con una donna straordinaria che saprà renderti felice, non sotto terra a venticinque anni»

    Un lampo illuminò il cielo vicino a loro e il tuono che rimbombò subito dopo fu talmente forte da spaventare Bella, che fece un passo indietro e cadde per terra. Edward le fu subito accanto senza pensare; le circondò la vita e l'attirò a sé. Lei, confusa e spaventata, ricambiò quel gesto e si aggrappò a lui.

    «Non farlo,» lo supplicava, «non saltare»

    Piangeva e pregava, lo stringeva forte e singhiozzava. I brividi di freddo le facevano battere i denti, ma non avrebbe mai mollato la presa.

    «Bella…»

    «N-no,» gemette aumentando la stretta e nascose il viso sul collo di lui, «no, Edward. No»

    Il ragazzo sospirò e le accarezzò i capelli bagnati.

    «Perché? Perché vuoi salvarmi?»

    «Perché sei una persona buona, Edward. E perché se ti gettassi dalla scogliera non me lo perdonerei mai, perché vuol dire che non ho fatto tutto il possibile. Perché hai ancora tutta una vita davanti. Non hai mai desiderato girare il mondo? Andare a Parigi con la tua fidanzata e passeggiare mano nella mano davanti alla torre Eiffel? Non hai mai sognato di volare in Spagna e fare il giro delle tapas con i tuoi amici? O andare a Roma e rimanere affascinato davanti all'imponenza del Colosseo?» chiuse gli occhi per un secondo, cercò di sopraffare un brivido che stava per scuoterla e poi riprese a parlare, «O una grande casa con un portico dove trascorrere la tua vecchiaia mano nella mano con tua moglie mentre i vostri nipotini si rincorrono nel prato? Vu-vuoi davvero precluderti questo?»

    Edward abbozzò un sorriso mentre immaginava tutto quello che Bella gli stava raccontando.

    «Detto così sembrerebbe una bella vita»

    «E può esserlo,» tentò di convincerlo ancora, «po-potrai lib-berarti di que-que-quella vocina se lo vorrai davvero. E po-potresti vivere felice»

    Un altro tuono disturbò i loro discorsi e Bella si aggrappò ancora di più al corpo di Edward. I loro sguardi si incrociarono per un secondo e in quel momento lui si rese conto del pallore e delle labbra blu della ragazza. Le toccò una guancia. Era fredda.

    «Santo cielo, Bella! Ma sei congelata» esclamò inorridito. Quanto tempo erano stati lì sotto la pioggia?

    «N-no, sto bene,» mentì.

    Il ragazzo scosse la testa e cercò di tirarsi su in piedi, ma la presa di lei glielo impedì.

    «Va tutto bene, Bella,» cercò di rassicurarla, «dobbiamo andare a cercare un posto all'asciutto»

    «No!» urlo lei spaventata, «Appena ti lascerò tu ti butterai di sotto»

    «Non lo farò, te lo prometto» Ed era vero. Tutto quello che ora voleva fare era portarla all'asciutto; voleva salvarla, «mi lascerò aiutare da te, ma prima io voglio aiutare te»

    Gli occhi color cioccolato della ragazza brillarono e lui pensò di non averne mai visti di più belli. Riuscì ad alzarsi in piedi e subito dopo la prese in braccio per portarla via. Bella lo lasciò fare e si accoccolò tra le sue braccia, gli circondò il collo con le sue e avvicinò il viso all'incavo di nuovo. E finalmente pianse.

    «Grazie,» gli disse, «grazie»

    Edward la portò nella sua Volvo e la fece sedere sul sedile del passeggero. Ritrovò la sua vecchia coperta nel bagagliaio e la usò per avvolgerci la ragazza che stava tremando come una foglia. Non sapeva dove andare. Voleva portarla al sicuro, ma non aveva il coraggio di entrare nella casa dei suoi genitori.

    «Più indietro c'è un bed&breakfast,» sussurrò Bella cercando di rimanere sveglia, «potremmo andare lì ad asciugarci»

Se avesse espresso il timore di portarla nella sua vecchia casa ad alta voce o meno quello non lo sapeva, ma mai come in quel momento le fu grato per averle dato un'alternativa. Guidò con attenzione per le strade bagnate e quando intravide il cartello con la loro destinazione spense il motore della macchina e la riprese in braccio.

    «È tutto okay, Bella,» la rassicurò quando sussultò dopo averla presa in braccio, «adesso siamo al sicuro» e quando si rese conto di aver parlato anche per se stesso, sorrise.


_______________________



    Trascorsero sei anni da quella mattina. Anni di terapie su terapie per uscire dalla depressione, anni in cui alcune volte il pensiero del “non ce la faccio” era più forte del “posso farcela”, ma alla fine riusciva sempre a desistere dal compiere quel gesto estremo. Bella lo aveva salvato, con pazienza era riuscita a riportare la luce nella sua vita: grazie a lei e alla psicologa che aveva cominciato a vedere assiduamente superò il lutto dei suoi genitori e col tempo la Isabella imparò che poteva essere amata. Da quella volta incontrò gli Swan un paio di volte ed ogni volta Edward le era sempre accanto. Charlie divenne completamente cieco e Renèe finalmente si decise ad assumere una persona che potesse aiutarlo quando lei lavorava ed era stata proprio Bella a presentargliela: Sue Clearwater era la vedova del tenente di Seattle Harry Clearwater, morto eroicamente per proteggere un suo collega. Edward e Bella la conobbero per caso in ospedale mentre faceva la volontaria. Renèe adorava Sue e anche se non aveva mai ringraziato la figlia, lei era certa che fosse almeno riconoscente.
    I due ragazzi non incominciarono subito a frequentarsi. Prima di tutto impararono ad essere amici, confidenti. La loro relazione nacque in maniera del tutto spontanea, quando una calda mattina di agosto Edward, dopo essersi addormentato a casa di lei sul divano dopo aver visto tutti i film di Harry Potter, aveva salutato la sua amica baciandola sulle labbra e non più sulla guancia. Da quel gesto ne seguirono altri: abbracci più intimi, tenersi per mano, dividere lo stesso letto, lavarsi i denti nello stesso bagno e nello stesso momento e per finire fare l'amore insieme. Si amavano e si rispettavano.
    Il giorno del compleanno di Bella, Edward rientrò a casa presto per prepararle la cena. Era felice, talmente tanto da canticchiare mentre era davanti ai fornelli. Quando Bella lo vide così si emozionò. Il suo compagno stava bene già da diverso tempo e vederlo così spensierato la faceva stare bene.
    «Edward» lo chiamò schiarendosi la voce.
    Si voltò verso di lei e le regalò il sorriso che l'aveva fatta innamorare di lui.
    «Sei tornata a casa presto» brontolò.
    «Anche tu» gli fece notare lei. Il martedì di solito tornava a casa alle sette e mezza perché prima aveva un appuntamento con Jessica Stanley, la sua psicologa. Quelle sarebbero state le ultime sedute finalmente. Si sentiva bene, di non averne più bisogno e anche la dottoressa concordava.
    «La dottoressa è in malattia,» le spiegò, «e ho pensato di farti una sorpresa per il tuo compleanno. Tanti auguri, amore»
    Bella arrossì e gli si avvicinò. Portò le braccia dietro il suo collo e si alzò in punta di piedi per abbracciarlo.
    «Mi sei mancato oggi» confessò. Era così bello vederlo girare per casa la mattina e fare colazione insieme. Avevano iniziato a convivere da un paio di mesi e non poteva essere più contenta di così.
    Edward le abbracciò la vita e la baciò sulla fronte. Adorava quelle dimostrazioni di affetto, significavano davvero tanto per lui, soprattutto dopo la morte dei suoi genitori.
    «Anche tu, piccola» rispose. Le baciò l'incavo del collo e poco dopo, ridendo, le diede una pacca sul sedere, «okay, ora basta altrimenti questa sera non si mangia»
    Bella sbuffò e si finse offesa, con un braccio aumentò la presa e con l'altro gli pizzicò un fianco.
    «Sei una persona cattiva» lo sgridò gonfiando le guance. Edward rise ancora più forte e premette su di esse con le mani per sgonfiargliele, poi la baciò come le piaceva tanto. Isabella si lasciò convincere e mentre lui pensava alla cena e a mettere a tavola, lei andò a farsi una doccia e a mettersi comoda.
    Quaranta minuti dopo erano a tavola e stavano gustando un ottimo risotto alle fragole, il preferito di Bella, accompagnato da un vino bianco.
    «Stai bene? Sei molto silenzioso» gli fece notare la sua ragazza e a quel commento il suo uomo le sorrise.
    «Stavo solo pensando»
    «E posso saperlo anche io?» gli domandò curiosa.
    Edward si fece indietro con la sedia, prese le mani di Bella con l'intento di farla alzare dalla sua e la fece sedere sulle sue gambe.
    «Stavo pensando al nostro incontro a La Push, a tutto quello che ci siamo detti,» le confessò e sentì la sua amata irrigidirsi per un attimo, «stavo pensando a tutti quei viaggi di cui mi hai parlato, alla casa col porticato e ai nipotini che scorrazzano. Ma soprattutto stavo pensando che mi hai salvato, Bella. Tu mi hai fatto tornare il sorriso sulle labbra, la voglia di vivere ed io davvero non so chi ringraziare per essermi fatto trovare da te. Ti amo tanto, Bells»
    Isabella non nascose le sue lacrime e gli sorrise.
    «Ti amo anche io, Edward»
    «Così tanto da voler costruire quel porticato con me?» le domandò. A Bella si mozzò il respiro e le lacrime ripresero a scendere con più foga. Sapeva quello che stava per chiederle e per nessun motivo al mondo avrebbe risposto “no”.
    «Più di qualunque altra cosa al mondo»
    Tirò fuori dal taschino della sua t-shirt un anello con al centro una pietra non troppo grande, quei tipi di anello che piacevano a lei, quelli che, a detta sua, erano adatti per le persone timide, quegli anelli che non volevano essere visti, ma che nascondevano un significato ancora più grande.
    «Isabella Marie Swan, prometto di amarti per tutta la vita e di trattarti come meriti di essere trattata. Mi vuoi sposare?»
    Il groppo in gola di Bella dovuto dalla forte emozione le impedì di parlare, per cui si limitò ad annuire e a porgergli la mano.
    «È bellissimo, ti amo, ti amo da morire» gli disse dopo qualche minuto senza respirare.
    Edward la baciò a lungo e la cena venne abbandonata presto. Quella notte si amarono finché la stanchezza non prevalse su di loro. Finalmente erano felici, si sentivano completi.
    Solo una cosa era sbagliata nel discorso di Edward: quella volta sulla scogliera di La Push si salvarono l'un l'altro.



Fine



Ciao a tutte!
Ebbene sì, ogni tanto mi faccio viva anche io. Non ho idea di come la storia sia uscita fuori e del perché mi sia concentrata su di essa anziché andare avanti con le OS di “I wish that I had Jamie's girl”. Ultimamente qualunque cosa scrivo la cancello immediatamente, ma siccome almeno a questa sono riuscita a mettere la parola “fine” ho deciso di pubblicarla prima di tornare in me (o di impazzire?) e di cancellare il file.
Mi auguro di non aver lasciato orrori ortografici e che non sia una minchiata. Sì, insomma, spero vi sia piaciuta un minimo.
Baci,


Giulls

   
 
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