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Autore: Sebastiano Theus    12/05/2014    5 recensioni
Geralt parte da Vengerberg in compagnia di Ranuncolo, impegnato in una pericolosa missione per riparare il liuto del bardo. Un'altra persona segue il loro stesso percorso per altri motivi: Essi Daven, vecchia conoscenza di Geralt. I due si incontreranno? Riusciranno a dirsi tutto quello che non hanno potuto dire in passato? O potranno solo vedersi da lontano, guidati da diverse correnti del destino?
*questa storia è il seguito de Un Vero Amico*
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Soddisfatta, sorella?»
«Non so. Ammetto che non è andata come mi aspettavo.»
La vecchia stava seduta nell'ombra umida accanto alla finestra. Si dondolava avanti e indietro sullo sgabello, gesticolando nervosamente e in modo strano con le mani, che davano l'idea di scandire due linee di pensiero differenti.
«È stato quasi ammazzato da quella mammoletta di poeta, certo che non è andata come ti aspettavi!»
«E allora cosa me lo chiedi a fare?»
«Così, mi piace darti fastidio», rispose mentre una mano andava ad accarezzare i pochi capelli rimasti sul capo.
La vecchia sbuffò e si inclinò all'indietro, appoggiando la schiena contro il muro. «Parlare con te è esasperante!»
Stette zitta per un po', ridacchiando ogni tanto tra sé.
«La smetti?», sbuffò a un tratto.
«Va bene, va bene», sospirò. «Ricordi l'ultima volta che abbiamo usato quella pozione?»
«Oh, me lo ricordo... Quei baccanti che si erano messi a far festa per sei giorni di fila vicino a casa nostra, vero? Dove ora c'è la quercia...»
«Sì, ma era prima che diventasse grossa. Ricordi? Poche gocce nei loro barili di birra e cominciarono a massacrarsi a vicenda!»
«Orribile, la puzza di sangue non se n'è andata per settimane...»
«Già, il periodo migliore della nostra vita!».
Piegò la testa all'indietro e rise sguaiatamente. Si riprese solo qualche minuto dopo, riprendendo fiato in ampie boccate.
«Mia cara Setsy, vorrei che fosse ancora così semplice. E che ci fosse più tempo...», aggiunse dopo un attimo di silenzio, guardando una ciocca di capelli che le si era staccata dalla tempia.
«Non ci pensare, sorella. Che è successo questa volta?»
«Nonostante tutta la rabbia che aveva in corpo, lo strigo ha avuto la peggio.»
«Volevi che uccidesse il poeta?»
«Non era strettamente necessario, ma sarebbe stata una perdita irrilevante. Non so, forse non è abbastanza forte...»
«Tu dici? L'hai visto anche tu nudo: quegli addominali... Potresti lavarci i panni al fiume su addominali del genere!»
«Setsy!»
«Dovresti imparare a goderti di più la vita, sorella... Che cosa facciamo?»
Le due mani si congiunsero sulle gambe, le dita si intrecciarono facendo schioccare i nodi delle falangi.
«Lo mettiamo ancora alla prova, sorella. Una volta per tutte.»
I suoi occhi vagarono nella stanza fino a fermarsi sul piccolo topo che stava seduto sulle zampe posteriori dall'altra parte della stanza. Aveva seguito il dialogo della sua padrona stando a debita distanza. Non era riuscito a capire quale delle due mani seguisse i pensieri di Setsy e quale quelli di Metsy, e quindi da quale lato fosse più sicuro avvicinarla. Era arrivato alla conclusione che avvicinarsi non era davvero necessario, quindi era rimasto seduto in disparte, tutto preso a lisciarsi i baffi con le zampe.
«Topo!».
Le zampine si bloccarono e metà di un baffo mentre i suoi occhietti si fissarono sulla vecchia.
«Muoviti, vieni qui!»
La bestiola si avvicinò lentamente, mettendo un piccolo passo dopo l'altro.
«Svelto!»
Con due salti, il topo fu davanti alla sua padrona. La guardava dal basso, restando sul pavimento. La vecchia sorrideva, quasi con affetto.
«Mio caro, hai visto cos'è successo, vero? Quell'uomo dai capelli bianchi ci ha fatto un regalo.»
E così dicendo estrasse dal vestito la moneta d'argento che lo strigo le aveva lasciato. Se ci avesse badato, il topo avrebbe visto che teneva la moneta con un panno, in modo da non toccarla direttamente. Ma lui non era tipo da badare a queste cose.
«Ci ha fatto un regalo e noi dobbiamo ripagarlo in qualche modo, giusto? Quindi tu ora andrai nel bosco e ci porterai tutti i fiori che troverai, soprattutto campanule e gelsomini, capito?»
Scosse il muso in segno affermativo. Facile!
«Bene, ripeti: cos'è che ci devi portare?»
Lui si bloccò improvvisamente.
«Forza, ripeti. Come facciamo a sapere che hai capito, altrimenti?»
Lui mosse le zampine, fece un giro su se stesso, cominciò a farsi prendere dal panico.
Lei lo fissò con uno sguardo di ghiaccio, come se potesse trafiggerlo con i suoi soli occhi. Poi si mise a ridere: «Su, scherzavamo! Vai, piccolino, portaci quello che ti abbiamo chiesto.»
Il topo corse fuori dalla casa più in fretta che poté.
«Bah, è sempre sul chi vive...», commentò lei mettendosi in piedi.
Si mosse attorno al tavolo, raccolse qualche coccio per terra e ne fece un mucchio in un angolo, quindi aprì la porta e fece entrare un po' di luce.
«Dobbiamo proprio mettere un po' in ordine, qui, Setsy»
«Dobbiamo? A me piace così...»
«Quello strigo tornerà qui, sorella, meglio rendere questo posto presentabile.»
Prese la scopa e cominciò a spazzare per terra.
«Uff... È una fatica inutile, te lo dico io! Non ci baderà neppure.»
«Smettila di brontolare e aiutami una buona volta!»
L'aria sembrò vibrare per un attimo attorno alla testa della scopa, poi il terreno sul quale passava diventò bagnato come se ci avesse versato sopra un secchio d'acqua.  
«Contenta?»
«Grazie. Sai come faremmo prima? Cantando!»
«Non dirai sul serio...»
«Ma sì! Hai mai imparato a fischiettare?»
«E poi cosa vuoi fare? Richiamare qualche animale dal bosco per farti dare una mano?»
«Perché no?»
«Perché quello lo fanno solo le ragazzine in calore, sperando che arrivi un orso dotato come un...»
«Setsy! Ma che ti prende oggi?»
«Niente, lascia stare...»
Completò le pulizie in silenzio. Al passaggio della scopa, la sporcizia spariva come se non ci fosse mai stata e i cocci svanivano nel nulla. Un prodigio del genere avrebbe lasciato di stucco chiunque fosse entrato dalla porta in quel momento, ma solo i più eruditi stregoni, istruiti nelle leggi della magia e della conservazione della massa, si sarebbero chiesti dove fosse finita quella roba, ma ovviamente non c'era nessun individuo del genere nei paraggi.
Quasi contemporaneamente, ci fu un'improvvisa e inspiegabile moria di pesci nel fiume Dyfne.

Era ormai metà mattina quando Polanna portò le proprie grandi tette dal fiume alla collina dove sorgeva la casa della vecchia Ma'. Non si accorgeva neppure degli sguardi che seguivano, anzi precedevano il suo petto lungo la sua strada. In fondo, solo gli occhi di una persona le sarebbero interessati, e quella persona non si fece vedere.
Raggiunse la sommità della collina e si fermò un attimo a guardare la casa che sorgeva nel tronco del frassino. Le aveva sempre messo addosso una paura tremenda fin da bambina, anche se sua madre le aveva detto più volte che lei non sarebbe neppure lì se la vecchia non l'avesse guarita dalla polmonite.
Ora che era una donna, provava ancora la stessa paura.
Ma era davvero una donna? Rimase sorpresa davanti a questi strani pensieri, e fu con quella faccia stupita che la vecchia la colse uscendo improvvisamente dalla porta.
«E tu che vuoi?», le chiese bruscamente.
«Io sono...»
«Sappiamo chi sei. Ti abbiamo chiesto cosa vuoi.»
Perché parlava sempre al plurale? In molti se lo chiedevano, in paese, ma nessuno sapeva dare una risposta definitiva. Le avrebbe fatto meno paura se le avesse offerto di mangiare una mela rossa. Fece ricorso a tutto il proprio coraggio e la guardò negli occhi.
«Io voglio comprare...»
«Comprare? E con cosa?». La squadrò da capo a piedi e poi si soffermò sui seni, passandosi la punta della lingua sulle labbra secche.
«No. Sei troppo giovane per i nostri gusti», disse muovendosi per tornare in casa.
Polanna si sentì invadere dal panico.
«No! No... io intendevo... posso pagare, guardate.»
La ragazza aprì il borsello rivelando una notevole quantità di monete.
La vecchia le guardò. Erano quasi tutte di rame, alcune d'argento. Fece una smorfia e poi si mise i guanti di cuoio sulle mani.
«Forza, vieni dentro.»
Polanna la seguì all'interno e rimase stupita dall'ordine e dalla pulizia che regnavano nella stanza. Sembrava che una squadra di inservienti di corte fosse passata e si fosse dedicata anima e corpo a pulire ogni angolo.
«Allora, cos'è che vuoi?», chiese sedendosi sullo sgabello. «Felicità, amore, malocchio su qualche nemico, o...»
«Amore», disse lei con un filo di voce.
La vecchia fischiò sonoramente inarcando un sopracciglio. «Quella è roba complessa. Sicura?»
«Sì, io... Non so perché, ma non mi guarda neppure!»
«Forse dipende da cosa vuoi che guardi...».
Polanna non poté fare a meno di fissarla a bocca aperta. In lei partì un flusso di sentimenti diversi che partì dall'odio, seguita dalla rabbia che si mescolò in fretta con la paura che sgorgava dalla riverenza fino a sfociare nella più totale sottomissione.
«Chi è il fortunato?»
La domanda della vecchia ruppe il pesante silenzio che era sceso tra di loro. Lei rialzò la testa, rinfrancata.
«È il capitano delle guardie, lui...»
«Il nasone.»
«Be', un po', non così tanto... Ma si chiama...»
«È un nasone. Non ci importa il nome.»
Altro silenzio.
«Forza, giovane!», gridò improvvisamente. «Non guardarmi istupidita come un cerbiatto a cui hanno appena ammazzato la madre! Lo vuoi questo incantesimo d'amore o no?»
«Sì, lo voglio!»
«Brava. E la prossima volta che dirai questa frase, mettici un po' più di ardore: agli uomini piace. Aspetta qui.»
La vecchia si alzò e passò nella stanza oltre alla tenda. Passò accanto al letto in cui Essi dormiva senza degnarla di uno sguardo. Arrivò fino alla parete e puntellò alcune assi con un coltello finché non si sollevarono. Dietro di esse c'era un piccolo ambiente dominato da un enorme scudo ambrato sulla cui superficie era scolpito il muso di un leone inferocito. La vecchia non badò allo scudo e si chinò sullo scrigno che ci stava davanti. Aprì la serratura e sollevò il pesante coperchio di ferro, prese dal suo interno quello che sembrava un vecchio mantello sgualcito e poi richiuse lo scrigno.
«Finalmente ci torna utile...»
Tornò nella stanza dove Essi dormiva, richiuse le assi e poi attraversò di nuovo la tenda, dando il mantello in mano a Polanna.
La ragazza osservò meravigliata la stoffa invecchiata e bucherellata. Si riconosceva ancora il colore rosso del tessuto e uno strano simbolo cucito sul retro, ma non riusciva a capire cosa fosse.
«Questo? Non mi date una pozione, un filtro...?»
«Volevi una magia? Questo è magico.»
«Come devo...?»
«Regalaglielo, molto semplice.»
«Grazie! Grazie davvero! Quanto...?»
«Nulla. Te lo regaliamo.»
La vecchia osservò ancora l'espressione di stupore di Polanna e decise che ne aveva abbastanza: la cinse per i fianchi e la spinse poco delicatamente all'uscita.
«Forza, vai! Non ringraziare, tanto la nostra giornata resterà tale e quale!»
«Ma io...»
«Muoviti! Ah, un ultimo consiglio... sbrigati a farlo innamorare di te prima che a qualcuno venga l'idea di violentarti e rubarti tutto il tuo denaro. Incredibile che non ci abbia ancora pensato nessuno...»
Detto questo tornò dentro casa, lasciando Polanna a scendere a passi lenti la collina, incerta se essere stata benedetta da un angelo o aver fatto un patto col diavolo.
  
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