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Autore: fuoritema    12/05/2014    4 recensioni
{69esimi Hunger Games; OCs; guerra; triste; un po' introspettiva}
***
Camminò a ritroso ancora e ancora, gli occhi aperti come per captare ogni singolo cambiamento del paesaggio, ma il fantasma continuava a incombere su di lui. Era alto quanto bastava per farlo sentire inquieto, perché ricordava – e ne era certo – che Volpe fosse ormai più bassa di lui. Forse la morte rendeva più alti o forse la sua mente gli stava giocando dei brutti scherzi. Il ragazzo strizzò gli occhi nuovamente, convenendo che la seconda ipotesi era la più probabile se non voleva cadere nel sovrannaturale.
"I fantasmi non esistono, idiota."
E i fantasmi non esistevano fino a prova contraria, ma gli Strateghi sì: tra tutte le diavolerie che potevano aver inventato per terrorizzare i Tributi, quella poteva benissimo essere la vincente.
***
I 68esimi Hunger Games visti da Tributi di distretti totalmente diversi. Una delle edizioni dimenticate, una delle edizioni che hanno troncato la vita a ventitré giovani. Perché ci sono giochi a cui è meglio non partecipare.
Mai.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Finnick Odair, Presidente Snow, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We are not iron children, our shields are shattered glass '
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Banner stupenderrimo fatto da ThanatoseHypnos, che ringrazio molto <3

 
 (VII)
Abbiamo sciolto il nodo ed issato la vela,
dimenticato tutti i nostri ricordi.
 
 


Cassiopea non avrebbe mai saputo dire da quanto tempo era lì, forse giorni, forse ore. La sua mente era intorpidita per il gran freddo e non riusciva più a muoversi. Doveva essersi addormentata tempo prima, mentre stava cercando un po’ di cibo. Aveva trovato una scusa per lasciare i suoi alleati e stare per conto suo. Non era mai stata brava a fare amicizia: nel reparto dove lavorava, quello dei telai, non rivolgeva la parola a nessuno, anche per paura delle severe punizioni che venivano inflitte agli scansafatiche. La ragazza dell’otto non era mai stata particolarmente coraggiosa: lavorava in silenzio, non faceva domande, lasciava che tutto le scorresse addosso, specie gli insulti. Era una delle poche che non era mai stata sgridata dai Sorveglianti e spesso, per quel motivo, gli altri orfani le davano addosso dicendo che era la loro preferita.
Non era vero.
Lavorava bene e con sveltezza, senza distrarsi. Il suo era un dono: riuscire a dar vita a qualunque stoffa stesse tessendo, intrecciando i fili con cura. Ma nessuno pareva interessarsi della sua bravura; per gli altri era solo “la svitata delle stelle” perché ogni notte riusciva a salire sul tetto per riempirsi gli occhi con qualche falce di luna e sperare di ricominciare a sognare come faceva una volta. Aveva smesso di riuscirci a soli undici anni, ma ogni notte ci riprovava, chiudendo gli occhi rivolti al cielo stellato.
Anche nell’Arena non aveva perso neppure per un attimo di vista il cielo, soprattutto la notte, ma non aveva ancora visto la W che amava così tanto. Era strano, ma aveva dovuto farsene una ragione. Eppure continuava a provarci, mentre il biondo del sei sbuffava contrariato. Nat, invece, non aveva detto nulla: si era limitato a guardarla con l’intensione di farle una domanda che però non aveva neppure pronunciato, perché non voleva essere invadente. Cassiopea gliene era grata. Ci sono cose che ognuno vuole tenersi per sé, e le abitudini della ragazza facevano parte di quelle.
Si era chiesta varie volte come avesse fatto a capire che era meglio non parlarne, ed era arrivata alla conclusione che probabilmente aveva molta familiarità con i segreti. Più lo guardava più si accorgeva che anche lui aveva qualcosa di cui non voleva parlare, forse inerente al livido che la ragazza aveva notato riguardando le Mietiture alla televisione, forse ad altro. Nemmeno lei, però, gli aveva chiesto nulla: avevano solo parlottato, cercando di decidere che direzione prendere. Poi si erano fermati e ognuno si era dedicato a fare qualcosa: lei era andata a cercare un po’ di cibo, gli altri erano rimasti lì, cercando di accendere un fuoco che non sarebbe mai durato abbastanza per scaldarsi, ma solo per avere qualcosa da fare e distrarsi dalla paura che provavano tutti.
Era notte, nell’Arena tutto appariva calmo e sereno, immobile. Cassiopea cercò di alzarsi lentamente, scuotendosi la neve di dosso, ma non ne aveva le forze. Così rimase lì, incapace di muoversi, con la voce troppo ghiacciata per chiamare aiuto. Provò a urlare, ma gli occhi le si chiusero involontariamente, coperti dalle lacrime. Sentì dei passi schiacciare lentamente il ghiaccio vicino a lei, poi diventarono sempre più veloci. Vide una lama trapassarle lo stomaco, poi più nulla.
Riuscì a guardare il cielo per un’ultima volta, mentre posava le mani macchiate del suo stesso sangue sulla ferita che le squarciava l’addome, e notò che la sua costellazione era solo spostata verso destra, per darle l’addio. Sorrise leggermente, gli occhi lucidi chiusi, per poi addormentarsi.

 

 
Il cannone suonò per l’ennesima volta, debole,
portando con sé la ragazza dell’otto.
Si dice che non sia mai morta,
che sia diventata una delle stelle più belle del cielo.
Prima di allora era successo una sola volta,
con un bambino dagli occhi color dell’acqua, del suo stesso distretto.
Gli anziani raccontano lui l’abbia accompagnata,
e che ora i loro fili del destino siano intrecciati.
 
 
 
 
Una ragazzina procedeva verso il mercato reggendo tra le mani una cassa. I suoi piedi scalzi affondavano nella sabbia umida che abbondava in tutto il distretto quattro. Non si fermò neppure per riposarsi, continuò a camminare, barcollando per il gran peso che gravava sulle sue esili braccia. Le mancavano solo pochi passi e finalmente sarebbe arrivata alla bancarella del pesce, dove lavorava.
Quando fu a ormai pochi metri fischiettò tre note per avvertire il suo datore di lavoro di essere arrivata, di nuovo in ritardo. «E’ questa l’ora?» le chiese un ragazzo di pochi anni più grande di lei, senza darle neppure il tempo di riprendere fiato. «Non riuscivano a prendere i pesci, Hito, mio padre e gli altri. Non abboccavano» spiegò seccata, andandosi a sedere al bancone e tirando fuori un coltellino dalla tasca dei pantaloni. L’altro sbuffò, «non mi importa. Tu domani devi essere qui all’ora giusta, anzi, anche in anticipo. Ché il capo se la prende con me se fai tardi!» aggiunse lanciandole un’occhiataccia.
Mahinete incise il primo pesce, privandolo delle interiora e della pelle, un lavoro schifoso senza dubbio, ma che le permetteva di guadagnarsi il pane e, magari, riuscire a comprare un nuovo coltellino e un vestito nuovo che non le andasse stretto. Per il momento si arrangiava con le camicie dei suoi fratelli, rimboccandosi le mani, ma non sarebbero andate bene per altro tempo.
Mentre lavorava si guardava attorno, incontrando spesso gli occhi dei lavoratori come lei, o quelli dei bambini che scorrazzavano tra le bancarelle. Ascoltava persino il suono del mare, poco lontano da dove era, e il partire dei pescherecci più ampi, dove non era mai stata ammessa. Lei vendeva il pesce: non navigava, e quello era un dato di fatto.
 
«Mahinete, Mahinete! Mi stai ascoltando?»
La ragazzina scosse i capelli bianchi, facendoseli finire davanti agli occhi. Erano legati in una lunga e morbida treccia che le arrivava fino a metà busto, forse l’unica cosa che la soddisfaceva di lei. Avevano lo stesso colore della spuma che si creava nell’infrangersi di un’onda contro gli scogli o la sabbia.
La rendevano particolare, perché nessuno era così tra i pescatori.
Guardò il suo mentore, un giovane dai capelli biondi e la pelle abbronzata, che aveva vinto soli tre anni prima. Aveva due anni più di lei, ma la superava di almeno mezza spanna. Fino a poco tempo fa poteva giurare di averlo visto partecipare alla pesca, ma poi si era isolato dal resto del mondo.
«Sì… Sì ti sto ascoltando» rispose piccata, non aveva voglia di parlare, non lì, non in quel momento.
«Sai, mi ricordi una persona» disse Finnick sorridendo leggermente, gli occhi velati di una limpidezza fanciullesca, inadatta ad un Vincitore come lui. Mahinete lo guardò di rimando, cercando di concentrarsi sulle sue parole, ma, per quanto ci provasse, non ci riusciva. I ricordi le erano rimasti ancorati nel cuore, perché non aveva alcuna intensione di lasciarseli scappare, di dimenticare tutta la sua vita per quegli stupidi Giochi. Peccato che non la potessero in alcun modo aiutarla a sopravvivere, ma almeno le davano la sensazione di essere a casa, osservando il lento incresparsi delle onde.
Hazard, dall’altra parte della stanza, sogghignava.
«Neth!» Finnick scosse le spalle della sua protetta, costringendola a girare la testa verso di lui.
«Scusami… E’ che proprio non ce la faccio a rimanere concentrata» sussurrò reprimendo un singhiozzo, non sapeva neppure perché stesse per piangere, ma sentiva che non sarebbe riuscita a resistere a lungo.
Il biondo le passò una mano tra i capelli, con un gesto un po’ goffo, per poi accarezzarle la guancia dove una lacrima brillava solitaria.
«Shh, tranquilla… Non permetterò che ti succeda nulla di male, ok, piccoletta?» le passò una zolletta di zucchero e rimase lì, a guardarla mentre la succhiava regalandogli il primo sorriso di tutta la giornata.
 
 
Aveva deciso di separarsi dai Favoriti, una delle tante decisioni che era sicura le sarebbero state fatte pagare - una per una - e così stava camminando per allontanarsi dalla Cornucopia. Sotto il peso degli zaini, i suoi piedi affondavano nella neve fresca, mentre fiocchi bianchi le si posavano sui capelli.
Nevicava.
Uno spesso strato di nebbia copriva il paesaggio davanti a lui, intervallato da alberi alti e dai rami sottili. Non aveva mai imparato a salire bene sugli alberi ma era sicura che issarsi su uno di quei rami equivaleva a firmare la sua condanna a morte. Sbuffò scuotendosi la neve di dosso, che nel frattempo le aveva inzuppato i vestiti, e si ficcò il cappuccio fin sopra i capelli. “Almeno – pensava quasi scivolando sul ghiaccio – la nebbia mi coprirà e la nevicata cancellerà le tracce.” Sperava soltanto che non ci fossero ibridi in giro, impugnando con la mano libera il coltello dai margini lisci e taglienti che aveva preso nel Corno insieme a cibo, un sacco a pelo, e una sacca contenente lame di vario genere. Era pronta a difendersi, ma non ad uccidere.
Non di nuovo.
La quindicenne del quattro si guardava attorno, indecisa su da che parte andare. Sentì dei passi dietro di lei, che la seguivano, e il suo cuore che le martellava nel petto, ma decise di non girarsi per non aumentare la paura che già provava. Una grotta le apparve davanti ma decise di non entrarci, continuando a camminare spedita per la sua strada. Poteva dire che l’Arena era un cerchio perfetto, al cui centro spiccava la Cornucopia da cui si diramavano dei lunghi cunicoli, ma i Favoriti parevano non averlo capito, e avevano preferito dare la bambina del sette per scomparsa e morta per gli ibridi. Peccato che il cannone non avesse suonato per lei, quella notte.
Mahinete si sforzò di mettere un piede davanti all’altro e muoversi più velocemente, ma il freddo si stava impadronendo di lei e rallentandole i movimenti degli arti. Si sentiva stanca e aveva bisogno di riposarsi, ma non poteva lasciarsi andare sulla neve, nel bel mezzo di una nevicata.
«Cosa sei a fare qui? Ti sei perduta, pecorella smarrita
Vide una figura avanzare verso di lei, con un cappuccio nero calcato fin sopra gli occhi e una balestra sulla schiena. Indietreggiò istintivamente portandosi le mani alla cintura dove luccicavano i coltelli. Aveva paura, una dannatissima paura che non le permetteva di ragionare per bene. Ricordava di aver sentito parlare, da piccola, di un ragazzo che riuscì a sopravvivere dopo aver sfidato la Morte.
Ormai l’ombra era vicina a lei, innevata, pronta a ucciderla: le tolse il coltello di mano fermandole il braccio pronto a scattare per infliggergli un colpo mortale.
La lama cadde a terra tintinnando sul ghiaccio del terreno.
 
 
NDA:

E sono tornata... In realtà mi stava frullando in testa l'idea di abbandonare anche questa long, dopo la prima che ho fatto, ma poi ci ho ripensato... Ed eccomi qui, a pubblicare. Mi scuso per tutto il tempo che ho fatto passare. Ma davvero: non ho più uno straccio di ispirazione e sono in una fase di blocco :'(
Non escludo di spiattellarvi chi vince senza finire la long... O di uccidere tutti senza esclusione di colpi :3
Forse è meglio passare al capitolo, che è meglio *alla Quattrocchi*
Questa volta abbiamo dovuto salutare Cassiopea e mi dispiace tantissimo :'( Era uno dei miei primi OC e già moriva nella mia raccolta, ergo... Mi sono semplicemente basata sul suo capitolo:  "le stelle." Il paragone con quel ragazzino dagli occhi color ghiaccio è una cavolata che mi sono inventata perché ho un altro OC dell'otto (in un'interattiva) e anche lui è fissato con le stelle. Morirà certamente nella 27esima Edizione. Si chiama Hya Denver.
Ora, però, passiamo alla questione Mahinete... Essì: è cretina ed è scappata dai Favoriti. E chi poteva trovarsi davanti? RAIKA <3 Non vi dico come va a finire, però sappiate che li amo troppo entrambi <3 E nulla. Finno è il mentore di Neth insieme a Conn(or) che è di proprietà di Paolinz e comparirà nelle prossime puntate(?)
Ou revoir e vado a fare una fan art Clato e a scrivere il prossimo capitolo <3

Talking Cricket
PS: Ho scitto una OS su Nat (Tributo del 10). E' questa "errore" <3
  
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