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Autore: blackhina    12/05/2014    3 recensioni
Il liceo è finito, ed è ora di andare al college. La vita autonoma sta per cominciare, con nuove scoperte e nuove amicizie; tutto avrà inizio in una nuova casa, con l'inseparabile compagna delle superiori e due nuovi coinquilini. Ma la calma e la tranquillità previste dalla protagonista saranno solo un sogno lontano, dato che il carattere di uno dei due ragazzi le renderà tutto più difficile, o almeno così lei crederà...
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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ECCOMI QUI! Scusate per l’enorme ritardo! In questi giorni ho avuto da fare con la scuola e tutto il resto, ma finalmente ce l’ho fatta J
Spero vi piaccia e buona lettura!
 
 
 
 
 
Quel venerdì mattina era particolarmente rilassante: ero sdraiata sul letto più morbido e comodo del mondo, la finestra era socchiusa e ne traspariva un raggio debole di luce.
Ma c’erano anche altri motivi per i quali ero ‘sollevata’, per quanto lo potessi essere in quei tempi.
Mi poggiai un braccio sulla fronte, e la testa sprofondò ancora di più nell’ipotetico cuscino, che nella notte avevo trasformato in una palla di piume.
Uno dei due occhi era nascosto dal mio avambraccio, l’altro era semi aperto, che fissava il soffitto. L’altro braccio era piegato sul mio ventre, la mano aperta, a riscaldare la pelle scoperta.
Mi scappò un sorriso. “ Derek…”.
- Connie! Scendi, le frittelle sono pronte!- stava urlando come una pazza- ma dove diavolo ho messo lo sciroppo? Porca miseria!- si, stava decisamente urlando.
Mi tirai su, appoggiando l’avambraccio che avevo sulla fronte sul cuscino, per darmi la spinta, grattandomi uno zigomo con l’altra mano. Mi partii uno sbadiglio, che apparentemente durò più di cinque minuti.
- Oddio… ma che diamin…- altro sbadiglio.
Misi le gambe giù dal letto, portandomi dietro metà lenzuolo. I miei piedi si appoggiarono delicatamente sul parquet freddo. Mi vidi nel rifesso della finestra: se andavo a giro così per il quartiere mi portavano allo zoo, nella gabbia dei leoni, o dei bradipi, ammesso ce ne fosse una.
Mi alzai quasi di scatto e feci un passo; il lenzuolo blu si era attorcigliato intorno alla caviglia e quasi non caddi, agitando le braccia in aria ed imprecando. Non ne ero sicura, ma probabilmente avevo creato una nuova parolaccia.
Spalancai i vetri della finestra, e come quasi ogni mattina un vento freddo mi avvolse, pungendomi delicatamente la pelle.
Mi girai e mi avviai verso la porta, aprendola ed infilandomi la vestaglia. Mi chiusi la porta alle spalle, poi venni inondata da un profumo di pancake e sciroppo d’acero.
 
Ero seduta sullo schienale della sedia, con i piedi nudi appoggiati sul cuscino che rendeva più comoda la seduta di paglia e legno.
Giocavo con le mie dita, e ogni tanto un ciuffo di capelli scivolava e mi solleticava la guancia.
- Alloooooora…- Erin poggiò al centro del tavolo tondo un piatto con una montagna di frittelle dolci fumanti- ieri sera, dove sei stata?- il suo sguardo era quello di uno psicopatico in cerca di segreti di stato.
- In biblioteca- ero ancora assonata.
- A fare?-
“ Eh… sapessi con chi sono stata…” riuscii a trattenermi , mordicchiandomi il labbro inferiore. – A leggere-
- Ah ah, non ci casco scricciola-
Alzai di scatto la testa, fulminando mia sorella con uno sguardo infuocato. – Non dire più, non chiamarmi più, con quel fottutissimo soprannome, ok?-
- Ok… scusami, non volevo offenderti- aveva un tono afflitto.
- Io… io non volevo. Scusa Erin, non volevo. È che sono stanca e non ho voglia di affrontare alcune cose, non ne ho proprio voglia- il mio sguardo era di nuovo quello stanco di pochi attimi prima.
- Non preoccuparti, so cosa stai passando. Avanti vieni qui, grulla- si avvicinò a me e mi mise le braccia intorno al collo. Rimanemmo per alcuni secondi abbracciate. Gli occhi mi bruciavano, la bocca mi tremava.
- Erin… ti voglio così tanto bene- lacrime cominciarono a scivolare lungo il mio viso- te ne voglio davvero tanto- la mia voce tremava, gli occhi erano ormai solo un punto di luce sfuocata e offuscata dalle lacrime che avevano inumidito il mio viso.
- Anch’io, sorella balena- la sentii sorridere.
Rimasi per qualche attimo in silenzio, poi mi staccai e mi asciugai le lacrime col bordo della manica della vestaglia.
- Questo…- deglutii- questo dovrebbe essere un complimento?- un sorriso timido faceva capolino sulla mia bocca.
- A te piacciono le balene, giusto?-
-Beh, certo-
- Sono i tuoi animali preferiti, ovvio che ti piacciono. Quindi teoricamente dovrebbe essere un complimento- mi osservò perplessa dalle sue stesse parole. Ricambiai lo sguardo.
- Lo sarà teoricamente, ma non praticamente- cominciai a ridacchiare.
Lei scoppiò in una grossa risata, mentre distribuiva le frittelle nei piatti.
- Ah ah… io ho una frittella in meno, ciccia- le puntai un dito contro e assottigliai gli occhi.
- Va bene va bene, pensavo di farla franca e invece Miss Detective Ethan  colpisce ancora!-
- Io preferivo essere il colpevole, è più eccitante, e comunque sei sicura che si possa mettere ‘Miss’ con ‘Detective’?-
- Rispettivamente: si, sei tu il colpevole e no, non ne sono sicura- detto questo si sedette in un modo leggermente buffo, e si infilò mezzo pancake in bocca.
- Ti sei dimenticata dello sciroppo d’acero, genia- ridacchiai. Mi accomodai anch’io sulla seduta della sedia e mi versai un po’ di sciroppo sui pancake, mi versai del succo di mela nel bicchiere più alto che avessi mai avuto e mi portai i capelli dietro l’orecchio.
- Parla quella che ne ha spanto sul tutto il mento!- Erin cominciò a ridere.
- Cos… che diamine!- mandai giù il boccone, bevvi un sorso dal bicchiere e mi alzai, diretta verso il lavabo.
Aprii l’acqua fredda e cominciai a sciacquarmi la parte inferiore del viso: i brividi che mi provocava l’acqua scrosciante gelata erano meravigliosi di prima mattina.
- Si, davvero affascinante. Con quella stria di sciroppo sul naso. Ma santo cielo! Ce l’hai anche lì?- rise di gusto, come d’altronde stava facendo da almeno venti minuti.
- Il prof Foster  non la pensava così ieri sera- rimasi interdetta- porca miseria. Ma perché non so mai zitta- mancava poco che quasi mi strozzai con dell’acqua di traverso.
- Il prof Foster… il prof del tuo corso di medicina… tu e lui, in biblioteca. Quanto aspettavi a dirmelo?-
- Sinceramente?-
- Direi di si- ammiccò.
- Credo che non te lo avrei mai detto- sorrisi, mentre l’acqua mi rinfrescava la punta del naso.
Sentii dei colpi di tosse, troppo profondi perché fossero di Erin. Ancora piegata sul lavabo, allungai la mano verso il rubinetto e girai la manopola d’acciaio, chiudendo il flusso d’acqua che mi schizzava a tratti il braccio.
Mi tirai su, e senza girarmi acchiappai un asciugamano, usandolo per asciugarmi quel che era bagnato del mio viso.
Mi girai. Ma perché cazzo mi girai?
- Buongiorno- voce profonda, occhi scuri, macchiolina chiara.
Porca miseria. Anzi no, merda.
- ‘Giorno- abbassai lo sguardo, facendolo scorrere su mia sorella. Era girata, ma naturalmente, il suo orecchio era ben attento.
Provai a muovermi facendo un passo verso destra. L’intenzione era quella di andare al tavolo, ma anche lui si mosse, bloccandomi il passaggio. Evidentemente l’obbiettivo era di non lasciarmi andare a mangiare, oppure era stata semplicemente una coincidenza.
Si, lo era stata. Sicuramente.
- Tu va a sinistra e io a destra, così forse riesco a raggiungere il tavolo- avevo il tono piuttosto seccato.
Lui annuì.
Ci muovemmo simultaneamente, ma la mia faccia finì comunque contro il suo petto.
Sentii il suo battito, più veloce di quanto dovrebbe essere normalmente.
Non andava affatto bene, affatto.
Appoggiai il palmo della mia mano sul suo petto: era caldo, a differenza di quella sensazione che mi scatenava addosso quando mi guardava.
Mi scostai, arretrando, e solo così mi accorsi che le sue mani sfioravano i miei fianchi. Erano a soli pochi millimetri da me.
Non sarebbe dovuto accadere; lui non dovrebbe essere stato dietro di me, non avrebbe dovuto fissarmi ne parlarmi. Ma no! Tutto il mio piano di evitarlo per il resto dei giorni che sarei rimasta in quella casa era sfumato non appena lui, e sottolineo il ‘lui’, aveva tossito.
Maledetto lui e la sua tosse. Lui e la sua voglia di attirare l’attenzione, di essere osservato o di essere desiderato, perché in fondo lo sapevo bene. Io sapevo benissimo che lo desideravo. Desideravo il suo sguardo, la sua bocca, il suo incessante e esasperante nomignolo affibbiatomi senza alcun preavviso.
- Hai sbagliato direzione, scricciola- la sua voce mi penetrò come uno spillo.
Di nuovo. Voleva ricominciare con la solita routine, voleva infastidirmi con varie stronzate che però mi facevano sorridere, voleva farmi soffrire di nuovo.
- La mia di sinistra, ma non importa, faccio da me- mi soffermai un attimo- come sempre-
Mi girai e mi avviai verso il tavolo, col viso che si faceva sempre più scuro.
Mi sedetti e misi in bocca un altro pezzettino di frittella, ormai quasi fredda. Qualche volta lanciavo un’occhiata di verifica ad Erin, che, ne ero sicura, stava analizzando punto per punto la situazione.
- Non dire nulla, assolutamente nulla, d’accordo?- sussurrai abbastanza arrabbiata a mia sorella.
- D’accordo- mi fece un sorrisetto. Io adoravo quel tipo di sorriso, il genere di colpisci e fuggi, fuggi per scherzo, per il gusto di dare noia.
Finii velocemente la colazione, misi le stoviglie nel lavello e mi diressi verso il salotto. Notai che Khaled era rimasto lì, immobile, ad osservare ciò che facevo. Una sensazione mi avvolse: non capivo se fosse fastidio oppure soddisfazione, piacere di essere ancora ‘interessante’, in qualche modo.
Sulla soglia del soggiorno, sotto l’arco di mattoni, mi fermai e lasciai correre il mio sguardo su quel maledetto fardello vivente, dopo minuti tenuto sotto stretta sorveglianza.
Con mio stupore anche i suoi occhi mi cercavano. Io volevo farmi trovare. S’incontrarono a mezz’aria, capaci di dire tutto quello che la bocca non era capace di fare.
Avrei dovuto muovermi, invece di stare lì come un’idiota. Perché lo ero, ero decisamente demente.
Una scarica di adrenalina invase le mie vene, dovevo spostarmi, dovevo andare via da lì e sfuggire al suo sguardo ipnotizzante. Feci un passo indietro e mi risvegliai, accorgendomi del fatto che Erin se n’era andata. Eravamo soli, e questo non andava affatto bene. Motivo in più di spicciarmi e andarmi a cambiare, dopotutto ero in pigiama.
Ero in pigiama, solo con quei due veli di stoffa addosso.
Merda.
Mi resi conto solo e soltanto in quel momento della grandissima cazzata che avevo fatto: non avevo messo il reggiseno. Andare a giro per casa, dove sapevo che c’era colui da evitare, con le tette praticamente al vento era stata una delle idee più brillanti della storia. Ne approfittai di qualche secondo per farmi dei complimenti.
Mi aspettavo un qualche commento del tipo ‘ Ehi, bei capezzoli!’.
Sentii avvampare la faccia. Ero al top: faccia rossa come uno a cui hanno appena spruzzato uno spray al peperoncino negli occhi, pseudo nudità alla quale potevano dare un premio come ‘ miglior mortadella dell’anno’  infine, come ciliegina sulla torta, un probabile terzo o quarto baffo di sciroppo da qualche parte sul mio viso.
- Carino il pigiama- appunto. La speranza che avesse un po’ di tatto era evaporata quando sollevò per me la bottigliona di latte al supermarket, ma in fondo in fondo un puntino di illusione mi era rimasto- mette in risalto le ‘forme’- addio anche al puntino.
- Già… carino- abbassai la testa, evidentemente imbarazzata.
Lo sentii avvicinarsi a me, poi nella mia visuale, che comprendeva il pavimento e tutte le sue striature, apparvero i suoi piedi, nudi. Si spostarono di poco, giusto per fermarsi al mio fianco. Il mio braccio sfiorava il suo.
Un brivido mi fece venire la pelle d’oca. Provavo ancora quella sensazione.
- Tranquilla. Ti ho già vista- un suo sussurro mi arrivò all’orecchio.
Alzai di scatto la testa, affondando il mio sguardo nei suoi occhi, concentrandomi su quella macchiolina.
Mi sorrise. Tentai di ricambiare, ma ne uscì solo una specie di smorfia.
Il mio corpo era desideroso, annebbiato dalla voglia di averlo, possederlo, poi arrivava la mente, la morale che mi impediva di rispondere ad uno stupido, maledetto sorriso. A pensarci bene, probabilmente era un sistema di autodifesa.
- Tsk- sbuffai e me ne andai. C’ero già cascata una volta, e non avevo intenzione di rendermi di nuovo la compatita della situazione.
Fare anche solo un passo sembrava di essere una delle pedine di Jumanji, che non si muovono se il turno non era il proprio. A pensare al paragone tra il gioco di un film e la mia vita mi sentivo particolarmente strana, presa in giro per essere precisi.
Sfiorai lo schienale del divano e un’improvvisa voglia di buttarmici sopra m’invase. Mi affacciai sull’ingresso e feci un mezzo giro aggrappata al corrimano di legno scuro delle scale.
Il povero disgraziato di Wayne stava per saltare l’ultimo scalino, quando contro il suo petto andò a sbatterci piuttosto violentemente la mia faccia.
- Connie! Questa era una tentata imboscata andata male oppure un gesto d’affetto fatto passare per una pura coincidenza?- lo sentivo ridacchiare, mentre le sue braccia calde mi circondavano inondandomi di profumo all’aroma di pino dello shampoo.
- Ti sei fatto la doccia? Adoro il tuo profumo, che ora sento anche fin troppo bene, dato che sto diventando parte integrante del tuo petto!- cercai di divincolarmi, ma la sua stretta era troppo resistente.
- Su su, un po’ di coccole non ti faranno di certo male-
Riuscii ad alzare la testa, e vidi il suo enorme sorriso. Era contagioso.
- Mollami che devo andare a vestirmi. Sai, non so se te ne sei accorto, ma sarei leggermente mezza nuda…-
Lui scoppiò in una grossa risata.
- Scusi signorina, vada pure-
- Non chiamarmi signorina, ti prego- stavo ridendo.
- Certamente, signorina-
Lo mandai a quel paese con un gesto rapido e poi mi avviai frettolosamente su per le scale.
- Connie, oggi usciamo insieme?-
Alzai lo sguardo verso la cima delle scale: mia sorella era in piedi, in reggiseno e pantaloni del pigiama. Salii l’ultimo gradino e mi avvicinai a lei.
- Certo! Dove vuoi andare?-
- A comprare un paio di mutande per Wayne!- la voce di Wayne arrivò dal salotto.
- Ti ho detto che le compro appena ne trovo un paio!- Erin stava vociando, ammazzandomi senza pietà il timpano destro.
- Non sapevo che sponsorizzassi una ditta di apparecchi acustici- risi.
- Ah ah ah ah, la tua simpatia va oltre ogni limite! Allora dove si va?-
- Andiamo a comprare le mutande, mi sembra una scelta ovvia. Poi magari compriamo anche qualcos’altro- passare del tempo insieme ad Erin mi avrebbe aiutata sicuramente, mi sarei distratta e rilassata per qualche ora.
Mi diressi verso camera mia, lasciando mia sorella a conversare con toni degni del coro di uno stadio di baseball con Wayne, che non era da meno.
Aprii la porta e l’aria gelida che si aveva trovato ormai fissa dimora nella stanza mi sfiorò il collo, scatenando una serie di brividi.
Chiusi la finestra dando uno sguardo al mare leggermente mosso.
Mi girai verso il cassettone al di là del letto e lo raggiunsi. Aprii il cassetto più grande, e mi misi ad osservare concentrata ogni vestito, passandolo in rassegna molto attentamente. Acchiappai un paio di jeans, una maglietta color panna e un golf, fregato a Wayne, di cotone pesante bordeaux.
Li buttai sul letto, poi aprii il secondo cassetto partendo dall’angolo più in alto a sinistra e ne tirai fuori un reggiseno e un paio di slip coordinati, blu scuri.
Mi tolsi il pigiama e anche la biancheria, e li buttai nella cesta di vimini dei panni da lavare.
Mi vestii velocemente e mi infilai le mie adorate converse nere.
- Dove diamine ho messo il cellulare?- imprecai borbottando, finché, lasciando sospesa a metà una parolaccia, lo vidi: era in bella vista sul comodino.- Dio sono così stupida-
Lo afferrai al volo, rischiando per un pelo di farlo cadere.
- Connie, ci sei?- Erin aveva aperto la porta, irrompendo con un’aria da comandante della guerra civile del 1864 in camera mia.
- Bussare è un nostro diritto! Peace and love!- formai una ‘v’ con l’indice e il medio della mano destra.- e comunque si sono pronta- sorrisi.
Erin prese la mia borsa di cuoio marroncina e controllò che dentro ci fossero le chiavi e il borsellino.
- Cos’è, ora mi perquisisci la borsa?- incrociai le braccia.
- Certo! Magari trovo qualche prova schiacciante che ieri sei stata col prof… o meglio Derry…- fece lo sguardo malizioso, di una che ha appena scoperto che il libro della sua saga preferita è in sconto del 70%.
- Derry? No sul serio, Derry?? No, proprio no. E comunque non penso che lì dentro ci sia un preservativo- mi misi a ridere.
 - Se devo essere sincera, spero proprio di no- rise anche lei.
Smise di trafficare nella mia borsa e, ne ero sicura, se quel giorno fossi morta, facendo le corna parlando, e la scientifica avesse preso le impronte nella mia borsa, avrebbero trovato solo quelle di mia sorella.
Uscimmo dalla camera dandoci delle spintarelle delicate e scendemmo le scale, avviandoci verso la porta.
- Noi usciamo e mangiamo fuori! Quindi arrangiatevi voialtri- fece un sorrisetto maligno.
- Erin, le mutande…- mia sorella e Wayne, che era appoggiato all’arco che ci separava dal salotto, avevano pronunciato quelle parole contemporaneamente.
- Lo so! Quante volte vuoi ripetermelo? Quando sarò fuori evita di farmi da promemoria mandandomi segnali di fumo!- vidi Wayne ridere, e scacciare le parole di mia sorella con una mano- Ah, a proposito, che taglia devo prendere?-
- Credo che tu lo sappia… l’hai visto l’altra sera…- ammiccò un paio di volte, con l’espressione maliziosa.
- Si certo… quando facevo il bucato- risero entrambi e risi anch’io, anche se mi era difficile essere allegra quando vedevo il fantastico legame che c’era tra loro.
Perché era così difficile pensare ad altro? Qualunque cosa mi passasse per la testa si trasformava in lui. Il suo viso, il suo sguardo, il suo corpo, il suo respiro.
Avevo bisogno d’aiuto.
Erin mi strattonò, facendomi tornare alla realtà.
- Siamo pronte! Avanti march!-
Detto questo uscimmo salutando Wayne, che aveva ancora stampato sulla faccia il sorrisetto da ebete.
Percorremmo il vialetto di pietra e raggiungemmo la mia piccola jeep blu scuro opaco: amavo la mia macchina, era simbolo della mia libertà.
Ci accomodammo, ed infilai la chiave nel quadro d’accensione. Misi in moto e partimmo verso il centro.
Furono cinque minuti di viaggio divertenti.
 
[…]
 
Avevamo girato per più di tre ore il centro di New Haven, ero stanca morta.
Eravamo tornate a casa da circa quaranta minuti e ce ne vollero altrettanti per mettere a posto la roba nuova. Avevo comprato nuovi vestiti, per la prima volta dopo tempo invernali, e vari accessori; non ero una tipa tanto vanitosa, ma quando vedevo qualcosa di metallo, era quasi sicuro che sarebbe tornato a casa con me.
Dalla stanza accanto sentivo parlottare allegramente mia sorella e Wayne, che discutevano animatamente sull’indiscutibile grandezza del suo gingillo. Ne andavano fieri entrambi.
Sorrisi pensando che gente più pazza non avrei potuto trovarne.
Appena finito mi buttai sul letto, rimbalzando e facendolo stridulare tremendamente. Allungai il braccio, stirandomi un muscolo, per acchiappare il libro che avevo comprato quel pomeriggio; ne avevo già letto un quarto.
Mi accomodai, disfando inesorabilmente il letto, e sprofondai della lettura, oltre che nel cuscino.
La lampada di legno e stoffa sul comodino emetteva una luce soffusa, tipo quelle della biblioteca.
“ La biblioteca…”
Automaticamente mi si accese un sorriso, ripensando alla sera prima.
Sbadigliai, mi grattai il collo e BUM! Addio mondo.
 
[…]
 
- Connie!! Ho bisogno di te e di un tuo favore!- Erin stava urlando da dietro la porta.
- Cosa…- il libro mi cascò sulla faccia, rischiando di rompermi il naso. Imprecai- Cosa c’è?-
- Dovresti portare un quaderno a Jimmie!-
- Jimmie? Quello del corso di matematica?- ero perplessa e giusto un po’ scocciata, dato che avevo intuito l’intenzione di Erin.
- Si!- sembrava frettolosa.
Mi alzai di scatto e mi diressi verso la porta. La aprii e mi ritrovai mia sorella di fronte con un aria a dir poco disperata.
- Sta dopo il parco in quella casetta gialla che si vede quando dobbiamo andare all’università-
- Perché dovrei andarci io e soprattutto alle nove di sera?- ero decisamente scocciata.
- Perché me ne sono dimenticata stamattina e mi vergogno. Mi ha telefonato poco fa con un tono leggermente irritato- era abbattuta: le dispiaceva di essersi dimenticata di fare una cosa importante per qualcuno. Mi faceva tenerezza.
- Va bene ci penso io…-
- Io ti amo!- le si illuminarono gli occhi.
- Sia chiaro che questo è l’ultimo favore che ti faccio per almeno due giorni!-
- L’ultimissimissimissimo!- appena terminata la parola ricca d’entusiasmo, Erin fece una mezza piroetta, o meglio un quarto, e si avviò verso le scale. Poco prima di scendere il primo scalino si girò e mi sorrise con un’espressione beata. Fece un passo e d’un tratto sentii una specie di crack: la faccia sorridente e rilassata di mia sorella si fece improvvisamente cupa.
- Erin… stai bene?- la mia voce era tremolante, ero preoccupata, ma nascondevo una risatina.
- MA PORCA DI QUELLA ZOCCOLA!- Pensavo andasse peggio- CAZZUTISSIMA PUTTANELLA DI CAMPAGNA- ecco appunto.
- Il… il mignolo?- la risata stava venendo alla luce.
- MALEDETTA SCALA DEL CAZZO! IL MIO DITO! IL MIO DITO!!- ok stava decisamente dando di matto.
- Erin, calmati su- andai da lei e le grattai la spalla- tutto ok?-
- Oddio…  santissimi cieli. Il mio dito. Credo di essermelo rotto- cominciai a ridere. Una grande, grossa, grassa risata- cosa ci trovi di tanto divertente in un mignolo piegato come non dovrebbe fare di natura?- il suo tono era leggermente arrabbiato, ma sapevo che stava per ridere anche lei.
Boccheggiavo.
- Sputo un polmone!- avevo le lacrime agli occhi- io ora vado. Altrimenti mi mandano a quel paese con qualche calcio nei bassi fondi-
- Ok ok. Vai, scappa da tua sorella in rischio di paralisi del piede destro- rise.
Le diedi un bacio sul naso e scesi le scale.
Salutai Wayne che stava scrivendo un qualcosa su un grosso quaderno ad anelli, poi acchiappai il Woolrich marrone scuro attaccato all’attaccapanni: adoravo quel giubbotto, era così morbido e comodo.
Aprii la porta, presi le chiavi e il quaderno di cui mi aveva parlato Erin dal mobiletto dell’ingresso. Uscii e partii alla ricerca della casetta gialla dopo il parco.
 
[…]
 
Ero fuori da almeno cinque minuti e già mi ero stancata di camminare: ero nel parco, avrei preso la scorciatoia attraverso esso.
Il rumore dei miei passi che spezzavano le foglie secche rimaste sul tappeto d’erma scura mi rilassava. Era silenzioso intorno a me.
Un improvviso passo frettoloso dietro di me mi fece rabbrividire: strinsi i pugni e mi preparai ad una lotta corpo a corpo.
Si avvicinava sempre più, sempre più veloce e impaziente di raggiungermi.
Un paio di mani si strinsero intorno alle mie spalle. Mi girai di scatto e un pugno partì veloce, puntando alla mascella dell’uomo che cercava di tenermi ferma.
- Connie! Ferma sono io!- il mio pugno venne prontamente fermato da una mano calda. I miei occhi si posarono sui suoi, sotto un gioco di ombre causato dai lampioni e dai rami che si muovevano davanti ad essi.
- Khaled! Cristo santo! Ma sei pazzo? Dio sei così stupido, maledettamente idiota!- non ero sicura che quelle parole fossero dirette a lui solamente per lo spavento- Cretino! Pezzo d’imbecille!- tiravo cazzotti sul suo petto, che a quanto pare non lo scalfivano neanche con palle di fuoco.
- Calmati! Connie, calmati ho detto!- mi strinse a sé, mentre io cercavo di divincolarmi.
- No, no, NO! Non  mi calmo! Tu non dovresti neanche toccarmi! Sei solo un fottutissimo stronzo che gioca a calcio con i sentimenti e la mente di una ragazzina ingenua del college! Non voglio starti vicino, ne sentire il tuo respiro o vedere quella dannata macchiolina chiara nel tuo occhio destro! Io ti odio. Hai capito ti odio!- sentii un fiume che solcava la mia guancia sinistra, poi anche quella destra. Nel naso il suo profumo di sudore e mare, che si insinuava nella mia testa e che non andava più via - Perché mi fai questo? Perché mi costringi a stare con te quando sai che puoi farmi solo del male?- la mia voce tremava.
- Io… io ti voglio. Non voglio che tu faccia sesso con altri, non voglio che quegli altri ti posino lo sguardo addosso-
- Non vuoi? Non vuoi? Io sono stata male e ci sto ancora. Quindi non venirmi a dire che no vuoi, perché quello che hai detto a Wayne fa pensare tutt’altro- ora ero arrabbiata. Riuscii a staccarmi con una certa violenza dal suo corpo caldo.
- Quello che ho detto a Wayne erano solo cazzate-
- Si cazzate…- roteai gli occhi. Ero stufa di quelle bugie.
- Io voglio stare con te. Voglio baciarti, ridere prendendoti in giro per scherzo, sentire il tuo profumo la notte quando ti addormenti sul davanzale ed io ti rimetto nel letto- era lui che mi metteva nel letto tutte le sere, quando mi mettevo a guardare il mare di notte, seduta sul davanzale- solo che…-
- Solo che ti vergogni. Ti vergogni di una come me…- il mio tono calò improvvisamente. Non avevo più voglia di affrontare quella situazione.
- Io non…- Non gli lasciai finire la frase.
- Lascia fare. Non importa- mi girai e andai nella direzione della casetta gialla che si vedeva spuntare dietro il cancello secondario del parco. La mia mano stringeva troppo forte il quaderno di matematica di Jimmie.
Lo sentii urlare il mio nome nel vano tentativo di farmi cambiare idea e tornare da lui.
Non l’avrei fatto.
Non quella sera.
 
 
 
Ecco qui l’ottavo capitolo! Cavolo… sono tanti…
Questo capitolo non è molto importante, ed è anche abbastanza noioso. Ma non tutti i capitoli possono essere agitati! Spero vi sia piaciuto lo stesso!
Come al solito ringrazio tutti quelli che mi seguono e un ringraziamento speciale va alla Bia, che con le sue minacce mi ha spronato a pubblicare finalmente questo capitolo.
Se lasciate un commentino mi farebbe piacere!
Grazie di nuovo a tutti e a presto,
Baci, Tex
  
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