Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MadLucy    12/05/2014    4 recensioni
Sono passati ormai otto anni dalla prematura morte di re Joffrey; ora sul Trono di Spade siede Tommen Baratheon, bello quanto ignaro, manovrato con fine astuzia dall'intraprendente moglie, Margaery Tyrell. Al Nord regna Bran Stark: il suo improvviso ritorno è avvolto in una caligine di mistero, così come il sinistro e devastante potere grazie al quale ha conquistato il comando; al suo fianco c'è la moglie Meera, ma a corte tutti sanno che il re passa le notti nel letto del suo consigliere più fidato. Quando, per vendicare i torti subiti dalla sua famiglia in passato, il principe barbaro Rickon Stark si sporca le mani di sangue Lannister e rapisce la principessa Myrcella, non si può più tornare indietro: è guerra. Che parte interpreteranno Sansa Stark, Yara Greyjoy e Gendry Waters in tutto questo? Tra amori conflittuali, alleanze strategiche e scandali a palazzo, i nuovi concorrenti possono schierare le pedine: e che il gioco del trono abbia inizio.
(Bran/Jojen; Rickon/Myrcella; Gendry/Arya)
Genere: Generale, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bran Stark, Myrcella Baratheon, Rickon Stark, Shireen Baratheon, Tommen Baratheon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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XI. Blu fu l'inferno.






Tutto iniziò con un suono.
Era lieve, timido, incerto, quasi non volesse turbare l'oblio del silenzio; però si definiva sempre di più, arricchendosi di sapori e colori, quasi ritratto dal pennello di un pittore. Pian piano, visione si srotolò davanti a Bran in un arazzo -dai colori scuri d'un sudario.
Era la voce delle foglie d'un albero del cuore, livide come le dita dei morti ed il vino essiccato, che frusciavano scambiandosi baci effimeri. Il vento soffiava il proprio fiato a pelo dell'acqua, tracciando traiettorie incomprensibili che s'inarcavano mortificate e sfregiando l'esattezza della superficie, levigata come vetro. L'acqua dello stagno, torbida e chiazzata di foglie autunnali, esalava una nebbiolina impalpabile ed odorosa di linfa; la geometria dei rami dell'albero del cuore, pallido ed imponente come un sovrano fra i suoi sudditi, vi si stagliava in un gioco d'ombre ed inganni, facendo cadere i frequentatori nell'errore di credere che esistesse un'altra dimensione, parallela a quella, alla rovescia ed immersa nel buio degli abissi.
La mestizia di quella giornata, plumbea ed uggiosa, trovava il proprio paradosso in un sole rigoglioso ed un cielo puro.
La riva dello stagno, leggermente in rilievo rispetto al prato che la circondava, era solcata di radici simili a vene e foderata di umido muschio verde. Due giovani, un ragazzo ed una ragazza, vi erano accomodati, le ginocchia ritratte al petto e le braccia a cingerle. Lei dimostrava all'incirca sedici anni, e la cosa davvero formidabile era la sua somiglianza con Bran, che -da mero spettatore qual era- non poteva fare altro che contemplarla incredulo. Aveva lo stesso viso allungato, le stesse labbra piene, lo stesso profilo diritto ma sgraziato del naso, le stesse guance affilate, lo stesso taglio degli occhi. Persino i capelli erano i suoi, d'un castano mogano e torvo, dalle fibre spesse, e scrosciavano fino alle cosce della ragazza. Indossava un abito di raso rilucente, avorio ma ricco di bagliori rosati, che si allargava attorno alle sue gambe come una pozza adamantina; le maniche erano interamente di pizzo, sul petto v'erano decorazioni di rame e in vita portava una cinta di minuti fiori d'ambra. In definitiva aveva un'aria molto virginale, ma anche parecchio triste. Nei suoi occhi risiedeva un tormento indefinibile.
Il ragazzo, Bran lo conosceva benissimo, perchè era Jojen Reed.
Fu a quel punto che il re del Nord si rese conto di starsi affacciando alla vita di Levenna Stark, sua figlia.
-Questo è vento d'autunno, ormai.- Il sussurro di Jojen si disgregò nello spazio fra loro, diffondendo un sentore di pericolo.
Levenna ghermì la brezza con i palmi delle mani, come un'assetata che attinge ad una fonte. Chiuse gli occhi. La sua bocca aveva la piega sofferta di chi ha vissuto i dolori di chiunque le sia vicino; Bran pensò che le analogie fra loro stavano diventando sempre più inquietanti.
-La nostra era un'estate bugiarda.- commentò Levenna, con una voce chiara e melodiosa che mal s'addiceva al suo sguardo intransigente. -Ma non so se le preferisco la sincerità dell'inverno.-
-Nessuno lo sa meglio di te.- la contraddisse Jojen, con la solennità che gli era propria.
La fanciulla serrò gli occhi in due fessure. La bluastra e surreale atmosfera del parco degli dèi la faceva somigliare ad un'apparizione spettrale.
-La consapevolezza paga.-
-Troppo, ma mai quanto vale.-
Il discorso annegò nello stagno. Il silenzio si dilatò come una ragnatela di brina. Levenna esitò; sembrava perseguitata da un pensiero.
-C'è qualcosa che mi preoccupa da molto più vicino, Jojen, e non riesco a capire...-
Bran avrebbe voluto opporsi a quella visione: lo infastidiva sempre di più.
Quella non aveva nessun diritto di parlargli così, di consultarlo in quel modo, di... di fare le stesse cose che anche Bran aveva fatto. Jojen era il suo consigliere, e quindi doveva aiutare solo lui. La loro confidenza gli risultava intollerabile. Cosa ci faceva, Jojen, proiettato nel futuro con quella, quando era Bran ad avere un gran bisogno di lui? Era profondamente ingiusto. 
Jojen, aggrottando le sopracciglia, esortò Levenna a proseguire.
Lei tentennò. -... se le visioni non possono cambiare, ciò che mi appare... è già stabilito? Irrevocabile? Non c'è speranza di... rimediare?-
Il ragazzo riflettè. -Per quanto ho potuto dedurre è così, ma la nostra non è una scienza esatta. Cos'hai visto, Levenna?-
Il petto della fanciulla s'alzò ed abbassò in un respiro affranto. -Non... non ne voglio parlare. Il solo fatto di dirlo ad alta voce me lo farebbe sembrare più vero, ed è l'ultima cosa che desidero.-
Jojen la fissò negli occhi, con quella delicata premura, quella sollecita partecipazione che Bran era solito scorgere solo quando il greenseer parlava con lui.
-Siamo qui per affrontare le cose insieme, non per fare finta che non esistano finchè non ci travolgono.- mormorò piano, con voce morbida, sfiorandole una mano con le dita.
Bastò un simile effimero contatto per velare di rosso la visuale di Bran, offuscata di rabbia. Perchè la toccava? Perchè era lì? Perchè quell'
insieme così infido, lasciato così impunemente in una frase? Insieme... che fosse possibile?
Levenna cominciò a scuotere la testa, quasi stesse arretrando di fronte all'imponente dolore di quel destino.
-Non in questo caso. Non a queste condizioni. No, non ci sto. No...-
-Levenna, Levenna, ti prego, mantieni la
calma.- Le prese i polsi senza violenza, spingendola a guardarlo negli occhi. Solo allora Bran si accorse ch'erano identici, quelli di lei e quelli di lui: verdi come il muschio ai loro piedi.
La principessa di Grande Inverno ansimò. -Kenned... lui... non...-
-Kenned è un buon re.- sussurrò Jojen, meditabondo. -Solo, è privo di qualsiasi esperienza. È per questo che ha bisogno di te, ad aiutarlo, a sorreggerlo, a consigliarlo.-
Levenna strappò all'improvviso una manciata d'erba, mentre una smorfia di dolore le attraversava il volto, come se un arbusto le avesse sfregiato una guancia.
-Come faccio a dare consigli, se io per prima non ho idea di che cosa fare?! Ho visto cose, cose...- S'interruppe, come se il dolore la soffocasse, sopraffatta. Continuò a voce più bassa. -Ho visto la capitale nello scompiglio. Ho visto quei due maledetti gemelli devastare il Sud con le loro eterne lotte fratricide. Ho visto una ragazza bionda e bellissima baciare mio fratello sulle labbra, estrarre un pugnale e conficcarglielo nel petto...-
Un'ombra calò sul viso di Jojen, che chinò il capo. La consapevolezza palpitò lenta e silenziosa sui suoi lineamenti, come un'ustione. Il dolore non era altro che un ricordo sbiadito; ce ne erano stati tanti, prima di questo, Bran lo sapeva. Egli, intento all'impatto visivo che quella visione esercitava su di lui, faticò vagamente ad accorgersi che stavano preannunciando la morte del suo primogenito. Il greenseer riprese a parlare in modo talmente sommesso, che il bisbiglio dell'acqua quasi lo sovrastava.
-Gli Stark sono perseguitati dalla maledizione del primogenito. Prima Brandon, fratello di tuo nonno. Poi tuo zio Robb e suo figlio, ancora in grembo alla madre. Ora Kenned... Dovrai essere forte, Levenna. Lo sai.-
Lei si scostò, come se si fosse scottata. L'indignazione le storceva le labbra in un urlo soppresso.
-Io non voglio essere forte, Jojen. Io voglio rannicchiarmi fra le braccia di qualcuno più forte di me e piangere. Voglio nascondermi e lasciare agli altri queste dannate responsabilità. Tu eri un eroe, mio padre era un eroe. Io no. Non voglio esserlo. Non posso esserlo.- Il respiro che le dilatava la carotide era spasmodico.
-Il destino ha in serbo molte sorprese per te, anche se adesso non ti sembra affatto.- esordì Jojen con calma circospetta. -Gli dèi ti hanno concesso questo dono per un motivo.-
-Giusto, per salvare il Nord!- Sulle labbra di Levenna tuonò un sorriso amaro. -Non so nemmeno salvare mio fratello, e dovrei pretendere di salvare il Nord intero.-
-Non il Nord.- Ormai la voce di Jojen era un soffio. -Tutti e sette i regni.-
Levenna fremette. Schiuse le labbra e non ne uscì alcun suono, quasi fosse la corolla d'un fiore. Le parole, perdute, volteggiarono nell'inanità del vuoto caliginoso che li avvolgeva.
I loro sguardi erano così persi l'uno nell'altro da parere indistinguibili. Verde nel verde, fermezza e dolore coniugati in un unico vibrante respiro. Silenzio.
Bran percepiva il cuore battergli sempre più rapido, frenetico, pungolato da un presentimento oscuro. Aveva paura. Riusciva quasi a
fiutare nell'aria ciò che stava per succedere. E aveva paura, fottutamente paura, ancora più paura di quando Jaime Lannister gli aveva sorriso dolcemente scagliandolo giù da quella torre -ancora più paura di quando aveva scoperto che Theon Greyjoy era un traditore. E Bran ebbe la certezza che, in quel preciso momento, anche il cuore di sua figlia stesse pulsando all'impazzata, sotto i finimenti di rame del vestito candido che indossava.
D'un tratto, non volle assistere fino alla fine.
-Jojen, tu... devi aiutarmi... aiutarmi a...-
Levenna precipitò sulle labbra di Jojen come se si stesse lanciando in una voragine senza ritorno.
Quei brevi, infiniti istanti furono in apnea per Bran. Ciò che davvero lo ferì non fu lo sconcerto, l'incredulità; al contrario, la cosa più terribile era quella sorta di ironica accettazione, di mesta rassegnazione, come se in fondo l'avesse sempre sospettato.
E l'aveva sempre sospettato.
Levenna è... qualcosa di meraviglioso. Non aveva forse detto così? Qualcosa di meraviglioso... Quelle parole gli morsero la nuca. Il silenzio si fece insopportabile come una cappa di piombo rovente, e quel bacio parve non finire mai, sospeso nella dimensione dell'eternità dell'orrore.
Poi, dopo l'infinito, l'inferno e tutto quel che lo segue, Jojen la scostò.
Con dolcezza, con riguardo, certo, ma la scostò.
-Levenna, no. Ti prego. Non costringermi a dire quel non vuoi sentire.- pronunciò scadendo le parole, le mani ancora sulle sue spalle. I suoi occhi erano velati d'una fermezza stoica come il metallo e pallida come le lacrime. Non parve avere intenzione di dire altro.
-Che ami soltanto lui? Lo so.- La ragazza si limitò a fissarlo, con un sorriso beffardo sulle labbra e una cicatrice nello sguardo. -Lo so già. Mi viene ostinatamente impedito di scordarlo ogni singolo giorno, dopotutto.-
-Non ho mai amato nessuno prima di lui,- asserì Jojen, lentamente, -non mi è stato dato di sopravvivergli per amare dopo. L'ho amato, lo amo ancora.-
Levenna annuì con il capo, una volta, due, tre. Nelle sue pupille, il vuoto. Sul suo viso, d'un tratto, v'era la stessa tristezza che minacciava di sfregiare il volto di Meera Reed.
-È questo il motivo per cui io e Brandon Stark non siamo mai riusciti ad essere padre e figlia. Come
potrei dimenticarlo?-
E Bran, spettatore impotente, pensò che era vero. Pensò che quell'inspiegabile risentimento che aveva provato nei suoi confronti, nel momento aveva udito il suo nome per la prima volta, sarebbe rimasto fino a che non avrebbe esalato l'ultimo respiro.
Pensò, semplicemente, che la detestava. Una brace sconosciuta gli aggredì il cuore come se volesse arderglielo, ancora pulsante, nel petto.
Sua figlia rabbrividì, quasi che il vento, in vece di araldo, avesse soffiato sino a lei quello spiffero d'odio.
-Non mi voglio svegliare mai più, Jojen. Non voglio tornare alla vita reale.- Le sue parole dolevano come ferite.
-Alla fine ci si sveglia sempre,- ribattè lui. -fortunatamente.-
-Kenned morirà?-
La linea delle labbra di Jojen s'inasprì. -C'è ancora qualcosa che tu puoi fare.-
Levenna schiuse le labbra. Nelle sue iridi, tonda, elementare ed inestimabile, la speranza.
-Qualsiasi cosa.-
***
I polsi morsicati da una tagliente corda di fibre vegetali, i piedi scalzi a causa delle minute scarpette smarrite nel cammino, fecero rivivere a Myrcella quello ch'era ormai un frammento del suo passato. Ricordava vividamente quel giorno lontano, in cui aveva posato le piante dei piedi sulla neve illibata del Nord, in cui si era presentata al cospetto di Brandon Stark, in cui Rickon l'aveva condotta per la prima volta nelle segrete e le aveva detto che la parola onore è offensiva, sulle labbra di un Lannister... Solo che adesso era tutto alla rovescia. Era tutto sbagliato.
Suo zio Jaime le fece salire molte scale, senza più pronunciare una parola. Si chiese, vagamente disinteressata, dove volessero rinchiuderla: realizzò che probabilmente l'avrebbero condotta nella torre più alta, perchè così per Rickon sarebbe stato eventualmente più difficile raggiungerla, senza farsi cogliere in flagrante. Sorrise, e provò quasi compassione per i suoi familiari. Non avevano idea del nemico che stavano per affrontare. Non sapevano com'era fatto Rickon, non conoscevano l'ostinazione con cui egli si impuntava quando desiderava qualcosa. Non si sarebbe lasciato scoraggiare davanti a nulla, lui; se l'avesse voluta di nuovo al suo fianco, cosa più che ovvia, l'avrebbe recuperata, e basta.
La fanciulla, attenta a non attirare l'attenzione, tastò prudentemente la federa nascosta cucita all'interno del suo vestito: ne aveva fatta applicare una in ciascuno, in modo da poter portare sempre con sè l'arma che Rickon le aveva donato, il prezioso corno proveniente da Skagos. Si accertò che fosse ancora lì riposta, intuendone con i polpastrelli la sagoma lunga ed affusolata, e si sentì rassicurata. Non aveva avuto il tempo di estrarlo quando Jaime era sopraggiunto, perchè l'aveva fatto alle sue spalle, all'improvviso -e lei mancava dei riflessi della guerriera- per poi bloccarle le mani dietro la schiena, vanificando ogni possibilità di recuperare l'arma dal nascondiglio. Invece che insistere per cercare di sguainarla, Myrcella aveva ritenuto più furbo attendere pazientemente di rimanere sola, o comunque di vedere la sorveglianza allentarsi attorno a lei, e solo allora trovare il momento giusto. Continuava ad avere le mani legate, in fondo. L'importante era che il corno fosse ancora lì e che nessuno sapesse della sua esistenza.
Quando finalmente giunsero sulla cima di quella che a Myrcella parve la torricciola più alta della Fortezza Rossa, ai loro occhi si presentò soltanto una piccola stanza circolare, disadorna, dalle pareti acciottolate di grossi mattoni squadrati. Era talmente insignificante che lei non l'aveva neppure mai vista, in tanti anni che aveva trascorso lì. Però era in alto e, cosa altrettanto importante che non mancò di notare, v'era al centro una botola protetta da sbarre di ferro: l'ideale per una fuga improvvisata. Per il resto, nemmeno una finestra o una traccia di mobilia.
-Un bel cambiamento, rispetto agli appartamenti che avevo prima di andarmene.- commentò Myrcella, con voce leggera ma non esente da un pizzico di asprezza.
Un bel cambiamento, rispetto al temperamento che avevi prima che Rickon Stark ti fottesse, pensò Jaime con tristezza. Altrettanto odioso gli suonava quell'andarmene, come se fosse stata fin dall'inizio una sua scelta libera e consapevole, e non un lurido rapimento consumato da un bruto selvaggio e forsennato.
-Spero sia ugualmente di tuo gradimento.- rispose, con voce monocorde. -È solo un alloggio temporaneo. Quando l'assedio sarà finito...- Esitò.
-... se vincerete.- aggiunse la fanciulla, con placido sarcasmo, sorridendo fra sè. Vincete. Se voi Lannister vincete.
-... sarà re Tommen a decidere il tuo destino.- concluse Jaime, con voce ferma e sguardo imperscrutabile, in cuor suo a disagio. Questa nuova Myrcella lo spiazzava, gli impediva di reagire, di provare un sentimento chiaro e comprensibile come rabbia o delusione, ma solo un groviglio di debolezza e malinconia bizzarro ed ingovernabile. Non sapeva se voleva abbracciarla o metterla in punizione. Non sapeva se era felice del suo cambiamento, che l'aveva resa più donna, o se fosse indiscutibile l'imperativo dell'indignazione e della costernazione per quel radicale tradimento. Come tutti i figli suoi e di Cersei, anche Myrcella era oggetto del suo affetto, odio ed indifferenza contemporaneamente, sporadicamente ed enigmaticamente. Non riusciva a riconoscerla come qualcosa di proprio, su cui esercitare un potere, un giudizio, una condanna. Non riusciva a decifrarla, a classificarla.
Jaime indicò alla figlia il pavimento, per farle intendere di sedersi; accidentalmente, l'occhio gli scivolò sulle braccia di lei. All'interno dei gomiti, lunghe strisce blu e nere come inchiostri tracciavano il racconto d'una storia macabra ed irreparabile sulla sua pelle candida. Risalivano agguantando la spalla, possedendo il petto, aggredendo il collo, invadendo la nuca. Più Jaime nè cercava, più ne trovava, sconvolto ed atterrito dall'orrore.
Non potè trattenersi dall'allungare una mano e scostarle la gonna del vestito, incredulo; Myrcella lo lasciò fare, noncurante, quasi assorta nelle proprie meditazioni. Sul fianco e sulle cosce di lei, come sospettava, si allungavano chiazze viola merlettate di verde, manifestandosi a macchie e puntini come un morbo pestifero, inerpicandosi sul suo corpo come una bizzarra pianta rampicante.
-Questi,- biascicò, concitato, indicandoli uno ad uno, -è stato lui a farteli?-
La fanciulla non si scompose; non lo guardò nemmeno, come se desiderasse ignorare la sua presenza.
-Sì. Risalgono a tre mesi fa. Allora eravamo solo all'inizio. Questi sono vecchi. Questi invece sono nuovi.- spiegò, sfiorandoli con il dito indice. Con la serenità con cui diceva tutto ciò, pareva sfidarlo a protestare, a controbattere, ad infuriarsi. La sua voce era di velluto. -Lui mi ama, mi desidera. Desidera ogni parte di me. Ci tiene a marchiarmi. A ribadire che sono sua.-
-Rickon Stark è pazzo.- replicò Jaime, scuotendo la testa con una smorfia di disprezzo.
La fanciulla lo fulminò con lo sguardo, scontrosa.
-Non capisci, zio Jaime. Nessuno di voi capisce. Lui ha bisogno di amore.- Accentò quell'ultima parola con un vigore quasi rabbioso.
Jaime fece una smorfia stomacata. -L'unica cosa di cui ha bisogno è una spada nelle budella. Ti ha stuprata, Myrcella. Sai cosa significa?- Fissò la figlia negli occhi, con gravosa intensità, sillabando quelle parole con astio faticosamente trattenuto; e lei sostenne il suo sguardo senza vacillare, con chiusa ostinazione. -Significa che ti ha costretto a fare sesso con lui contro la tua volontà. Un uomo simile non ti ama, ed evidentemente non merita di essere amato. Tutto questo, a partire dai lividi fino alla tua malata ossessione per lui, è frutto di un tragico, traumatico stupro, che, a quanto sembra, non sei stata in grado di affrontare.-
-Io mi sono innamorata di lui, zio Jaime.- La risposta di Myrcella fu fredda ed un po' scostante. -Il fatto che non sappia spiegarti come è potuto succedere, non significa che non sia vero.-
-Non ci si innamora in sette mesi.- proferì il padre, con respingente scetticismo.
-A me è capitato in un istante.- rimbeccò la ragazza, seccamente.
-Tu credi di amarlo,- la corresse lui, -ma è solo un'illusione dettata dall'eco del potere che lui ha esercitato su di te finora. Una specie di inganno che stai giocando a te stessa.-
-In questo momento, è l'unica cosa di cui io sia davvero sicura.-
-Spiacente di aver mandato a monte la tua farsa, allora.- Jaime sospirò, passandosi una mano sul viso. Il fatto che la figlia non riuscisse a vedere ad un palmo dal suo naso, che persistesse ad essere così cieca, che si rifiutasse di ammettere l'evidenza da un lato lo infastidiva, dall'altro gli comprimeva il cuore di compassione. -Ragiona, Myrcella. Non puoi esserti innamorata di un uomo che ti ha fatto violenza...-
Myrcella, arrossendo, scattò come una biscia.
-Come puoi sapere, tu, come puoi capire?! Tu non c'eri. Tu non hai vissuto niente di tutto ciò.- lo accusò con voce stridula, vibrante di stizza. -Ma io c'ero, e posso assicurarti che quello che dici tu era solo nei primi tempi. Ero ancora molto stupida e molto confusa. Poi tutto all'improvviso è diventato chiaro, e ho capito. E mi sono concessa a lui, come qualsiasi fanciulla innamorata farebbe.- Distolse lo sguardo, intimidita all'idea di ritrovarsi a parlare di cose simili con suo zio.
Jaime sorrise senz'allegria. -Dopo che lui aveva già fatto i suoi porci comodi in ogni maniera, vorrai dire.-
-Stai zitto, zio Jaime.- esclamò Myrcella a quel punto, furibonda, avvampando di sdegno. Così, con quell'espressione indispettita sulle labbra e gli occhi serrati in due fessure, assomigliava quasi brutalmente a Cersei. Beh, anche l'atteggiamento è più o meno lo stesso, pensò Jaime con ironia.
Stava probabilmente per aggiungere qualcosa, quando Tommen Lannister entrò nella stanza a passo di carica. Al suo fianco e alle sue spalle, un drappello di guardie con lo stemma dei Lannister e dei Baratheon insieme lo seguiva silenzioso. Myrcella squadrò il re dei Sette Regni, senza sorridere. Gli parve diverso, ma probabilmente era per via dei capelli un po' più lunghi e della peluria dorata che egli aveva lasciato crescere sopra il labbro e sulle guance. E la sua espressione, anche, irremovibile in una disapprovazione che non si curava di nascondere. Mascherare i propri sentimenti non era abitudine di Tommen. Egli continuò a guardare la sorella, però, quando parlò, si rivolse a Jaime.
-Vedo che hai portato a compimento il tuo incarico.- osservò, lapidario. -Hai riscontrato difficoltà?-
-Nessuna.- assicurò il padre, aggrottando la fronte. -Era sola. Non c'è stato bisogno di versare sangue. Gli Stark non lo verranno a sapere prima che l'esercito si ritiri.-
Myrcella era irritata: si parlava di lei come se non fosse stata presente. -Quindi sei stato tu a dare l'ordine ti portarmi qui...-
Fu come se non avesse aperto bocca.
-Quel che importa non è quando. È sufficiente che Rickon Stark, nel momento in cui lo saprà, si precipiti a salvarla.- proseguì Tommen, indifferente. -Stavamo discutendo su chi dovesse farle la guardia, e io avevo proposto che fossi tu... però zio Tyrion dice che sei indispensabile per la mia difesa, che non mi devi abbandonare un attimo. Stessa cosa per ser Loras. Voi dovrete proteggere me, e io... beh, io ho cose più importanti da fare che stare qui. Io, te e ser Loras attenderemo il maledetto ai piani inferiori, così che, con un po' di fortuna, chi fa la guardia alla prigioniera dovrà soltanto annoiarsi. Vorrei che fosse ugualmente una persona di fiducia. Hai qualche proposta, zio?-
-Brienne.- disse Jaime, prontamente, senza esitare neppure un attimo. -Le affiderei la vita di chiunque. È un'eccellente spadaccina e la donna più coraggiosa che abbia mai conosciuto.-
Tommen annuì, approvando una per una le parole dello zio. -Molto bene. Vado ad avvertire lady Brienne: raggiungimi non appena lei ti dà il cambio.-
Si voltò e fece per uscire, impassibile, seguito da tutti i suoi uomini. Myrcella non riuscì a trattenersi, ancora risentita per essere stata ignorata.
-Hai commesso un terribile errore. Lui verrà a riprendermi e vi ucciderà tutti. Tutti.- Una strana nota trionfante storpiò l'ultima parola.
Proprio come la sorella sperava, Tommen s'immobilizzò: non riuscì a far finta di nulla. Quando si girò nuovamente, nei suoi occhi c'era uno squarcio quasi repellente alla vista.
-Queste parole potrebbero essere punite molto severamente, Myrcella. Non hai più i diritti di prima. Non sei qui in vece di principessa, ma di prigioniera. Per quel che mi riguarda, sei una Stark, adesso.- La sua voce non era solo dura e potente, ma diritta, solida, compatta, senza crepe. Apparentemente, immune al dolore: in realtà, nient'altro che dolore. Myrcella lo sapeva.
Percepì un ghigno sventato disegnarlesi sulla bocca. Le parole suonarono insolenti alle sue stesse orecchie.
-Lieta di sentirlo. Lo prendo come un riconoscimento d'onore.-
Tommen serrò i pugni; evidentemente, compiacerla non era il suo scopo. Sputò acido, cercando di impregnare le proprie parole di tutto il male che aveva subito per colpa sua- di tutto il male che voleva restituirle, in un vizioso circolo a cui l'imperfetta umana natura costringeva.
-O, per meglio dire, la puttana di Rickon Stark.- precisò fra i denti. La sorella, però, non si scompose affatto. Quell'insulto così volgare, che un tempo l'avrebbe fatta sussultare dallo sgomento e dall'imbarazzo -soprattutto se proferito dal fratello- non la toccò per nulla. A giudicare da quel sottile ghigno scellerato, i capelli sciolti e il viso proteso in avanti, pareva che il sangue le si fosse acceso nelle vene. Possibile che avesse aspettato di mettersi contro i Lannister, per diventare a tutti gli effetti una di loro?
-Meglio essere la puttana di Rickon Stark che la regina legittima di un re debole e incapace come te.- obiettò, inarcando le sopracciglia. -Rickon è un uomo. Tu sei un lattante che non sa nemmeno tenersi fedele la moglie.- Lo squadrò da sotto in su, con un sorriso carico di derisione e disprezzo. -Non ho mai visto al fianco di Rickon una sola guardia, e guardando te, circondato di uomini come una fanciulletta di dieci anni, mi viene da ridere.-
-Non osare mai più paragonarmi a quell'animale!-
Tommen non riuscì a credere di averla schiaffeggiata con tutte le sue forze, fino ad aprire un taglio sul suo labbro inferiore; quando vide un rivolo di sangue colare sul pavimento, inorridì della sua stessa inconsulta violenza e deprecò quel gesto impulsivo, e per un attimo fu quasi tentato di chiederle scusa. Myrcella rimase a capo chino, con il collo piegato come la corolla d'un giglio morente, i capelli sporchi di cenere come una cortina a nasconderle il viso. Le sue spalle bianche e belle fremettero.
-Sei un vigliacco.- sentenziò, ancora una volta senza lasciarsi travolgere dall'ira, ma pervasa solo da una superiorità quasi altezzosa, come una fedele che guardi agli spergiuri con commiserazione. -E non sai nemmeno tirare un manrovescio come si deve.-
Tommen recuperò il respiro, scosso dagli ansiti. Un'espressione di pena gli arricciava la fronte, sciupando l'aureo barbaglio della sua adolescenza. Quandò parlò, lo fece estorcendo alla propria gola una sillaba dopo l'altra, con una fatica riottosa che sapeva di ruggine.
-Rickon Stark stacca la carne umana dai corpi vivi, divora le interiora delle persone, beve sangue invece che vino. E tu, mostrando la tua devozione per lui, non fai altro che renderti complice dei suoi crimini. Gioisci, Myrcella: magari morirete insieme.- La linea della sua bocca era severa come mai prima d'ora, quasi estranea a lui stesso. 
Myrcella scosse lentamente la testa, sollevandola con gran dignità, come una regina che raddrizza il proprio diadema. Il suo sguardo era lontano, teso a contemplare l'orizzonte. Il suo culto incrollabile le ossidava di certezza gli occhi verdi. Così sembrava molto più saggia di quanto effettivamente fosse.
-Sei un povero illuso, Tommen. Ma non voglio sprecare altre parole con te: lui sta arrivando.-
Tommen non raccolse quell'ulteriore provocazione; il fruscio del suo mantello vermiglio fu la sua replica. Pochi secondi dopo, la stanza era vuota.
Jaime fu quasi contento di andarsene. La strana ragazza sconosciuta che aveva preso il posto di Myrcella era oltre il suo aiuto, oltre le parole di chiunque. La salutò con poche parole; lei parve non accorgersene neppure. Stava riflettendo pienamente, ma senza doversi sforzare, come un astronomo che si bea della luce della propria stella e si crogiola nella soddisfazione di averla trovata.
Non esiste l'amore contro natura, semplicemente perchè non esiste nemmeno un amore secondo natura. L'amore è la potenza che si oppone alla natura, non intrinseca alla realtà in cui gli uomini vivono ma intrinseca a loro stessi. È l'unica arma che i poveri mortali hanno contro la schiacciante inclemenza della fatalità. Se quello che Myrcella provava fosse stato qualcosa di sbagliato, non avrebbe sentito quel calore, quell'ardore che la spingeva fra le braccia di Rickon, quella sensazione di benessere così imperiosa ed irrinunciabile. Se aveva bisogno di lui, se lui era l'unico a saziare il suo cuore e manipolare la sua anima, era perchè Rickon era giusto, per lei, sotto tutti gli aspetti.
All'improvviso, a strapparla ai suoi pensieri fu l'arrivo di una donna molto alta e dai corti capelli biondi.
-Brienne.- salutò Myrcella, atona.
-Principessa.- mormorò lei, muovendo gli occhi azzurri in un'altra direzione, a disagio. La giovane Lannister notò che, se prima aveva provato una spontanea simpatia nei suoi confronti, ora tutto questo s'era essiccato in un'apatia quasi patologica. Solo la visione di Rickon avrebbe suscitato una reazione in lei. Nonostante non avesse motivi per volere il bene nè il male di Brienne, Myrcella realizzò che, se qualcuno l'avesse assassinata sotto i suoi occhi in quel preciso momento, ella non avrebbe provato altro che una pallida, acerba, pigra curiosità, senza che lo stato di noia catatonica in cui si trovava venisse guastato.
-Mi dispiace.- aggiunse Brienne, aggrottando le sopracciglia folte e sedendosi con la schiena contro la parete opposta, di fronte a lei.
Myrcella non riuscì a sorridere. -Anche a me.-
Non parlarono più. L'inquietudine della notte calò lenta, senza che le palpebre della giovane Lannister cedessero al sonno.
Arriverà, era il pensiero a cui tutte le altre sue vaghe, sformate riflessioni sfociavano, grate, esultanti e pacifiche, in un getto di luce calda e morbida, arriverà.
Mi salverà.
***
Poco prima che la serata crollasse e soffocasse fra le proprie macerie, come un irrecuperabile incubo, Meera Stark stava pensando al proprio matrimonio, proprio quello che l'aveva fregiata d'un nome così solenne e potente. Non era stata una vera festa: una cerimonia ufficiale, più che altro, una formalizzazione a cui spettatori silenti come ombre avevano assistito con occhi di marmo e cuore freddo. L'ultimo matrimonio celebrato dai vicini della casa Stark era stato una carneficina; dopo le Nozze Rosse, nessuno aveva più voglia di festeggiare. Si erano sposati proprio lì, il re del Nord e sua moglie: nella sala del trono, di fronte ad un septon, la cui voce erano l'unico pallido rumore che si potesse intuire fra le buie pareti caliginose della pietra. L'atmosfera era rarefatta come lava. L'unione di Brandon Stark e Meera Reed fu stipulata al modo di un funerale, in un silenzio attanagliante; al punto che lei fu quasi sollevata, quando Bran si scrollò di dosso il manto di broccato grigio con ricamato sopra il metalupo, e la sposa dovette inginocchiarsi davanti al suo scranno affinchè egli potesse sistemarglielo sulle spalle: la stoffa pesante aderì alla sua schiena parzialmente nuda e le cinse le braccia in una carezza rinfrancante, e il gelo punse un po' meno crudelmente. Nella sua anima, però, rimase il buio.
Al resto della serata, i sovrani assistettero da sopra i loro nuovi troni. Meera valutava il peso della propria corona sul capo, il cuore in gola, consapevole che non sarebbe mai stata in grado di stimarlo davvero, mentre con lo sguardo esaminava il sordido spettacolo di quei commensali tristi, la testa china sul piatto, seduti in fila sulle panche a quei lunghi tavoli scuri, il frastuono delle stoviglie ad assordare l'udito. Le piogge di Castamere risuonavano invisibili nell'aria, le pareti celavano chiazze di sangue, la morte di Robb impregnava l'aria come fumo. Nessuno parlava.
Il vuoto sterminato dell'immenso salone disadorno, all'improvviso, aveva sopraffatto e divorato ogni cosa. Bran non fingeva neppure di mangiare: fissava quella messinscena con occhi inclementi, crepati come i mattoni del suo castello, e di tanto in tanto lanciava fugaci occhiate a Jojen, quasi supplicandolo di dargli la forza per proseguire quel gioco infimo e necessario. Eppure Meera non l'aveva ancora compreso, il dramma che l'attendeva oltre le porte di Grande Inverno, non l'aveva ancora intuito. La regina di Grande Inverno ricordava di non aver mai partecipato ad un matrimonio triste come il proprio; d'altronde, esso aveva suggellato un'unione che aveva portato ad entrambi soltanto dolore. Bran soffriva per averle dovuto raccontare così tante bugie, Meera soffriva per averle dovute ascoltare. Eppure, non riusciva ad avercela sul serio con suo marito, per l'amore che provava per il di lei fratello. Lo capiva, semmai. Meera stessa era sempre stata stregata da Jojen, dai suoi occhi che sembravano contenere tutta la saggezza del mondo. L'aveva protetto, quel piccolo fratello debole, e non aveva mai sofferto per questo. Le sembrava un compito così importante, un ruolo di cui andare fiera. Per lei difendere Jojen era sempre stato più che un dovere: una missione. Fin da quando l'aveva visto per la prima volta contorcersi, per via degli spasmi che l'aggredivano durante le visioni, aveva ripromesso a se stessa che non l'avrebbe mai lasciato solo, ad affrontare quella maledizione. Meera ci teneva a fargli sentire la propria vicinanza; s'impegnava a non farlo crollare in una solitudine elitaria ed inoppugnabile, che avrebbe rischiato di estraniarlo dal mondo stesso, per rilegarlo nella promessa fittizia d'un futuro incompiuto. Gli stringeva la mano, gli mormorava sono qui. Era il loro modo di volersi bene.
Sempre insulso, sempre irrisorio, se paragonato a quello fra Jojen e suo marito, ad ogni modo. Lei, per Jojen, non era mai stata una priorità. Un affetto relativamente rilevante, forse. Nulla di che. Forse c'era persino del vero in questo, forse davvero Meera non meritava d'avere un posto speciale nel suo cuore: aveva fallito. Jojen era morto solo, dopotutto, senza nessuno che gli stringesse la mano. Si era tagliato la gola, da solo. Lei non c'era. Lei non l'aveva salvato. Lei l'aveva abbandonato.
Stava ormai per alzarsi da tavola insieme a Osha, oppressa da quei pensieri insostenibili, quando irruppero le guardie.
-Maestà, intrusi nel castello!-
Meera avvertì un tuffo al cuore. Si sentì d'un tratto come se le fosse stata gettata una secchiata d'acqua gelata addosso.
-Come sarebbe a dire?! Le mura sono sorvegliate e le sentinelle non-
-Vogliamo consultare anche l'oroscopo o possiamo darci una mossa?!- la interruppe Osha, sguainando la spada che portava nascosta sotto la pelliccia e afferrando la regina per il braccio. La giovane cercò di riordinare i pensieri, smarrita. Prima di tutto, Kenned.
-Dobbiamo portare il principe al sicuro.- dichiarò. -Date l'allarme e fate entrare nel castello tutti i nostri soldati. Sappiamo quanti invasori ci sono, qui dentro?-
-Una cinquantina, Maestà.- rispose il capo delle Guardie. Meera era perplessa.
-Come sperando di assediare Grande Inverno con cinquanta soldati? Sono pazzi?-
Tra l'altro, attualmente non sapeva nemmeno se Ramsay Snow era o no fra questi; poteva essere rimasto all'esterno per sicurezza, oppure poteva aver deciso di entrare per comandare di persona l'assedio e riprendersi Theon.
-No, sono furbi.- bofonchiò Osha. -Apri gli occhi, amica mia! Loro vogliono che tu faccia esattamente quello che stai per fare, cioè indebolire la difesa all'esterno, di modo che il grosso delle truppe possa avere l'accesso libero senza problemi. Lascia le sentinelle lì dove stanno, a respingere le truppe: di questi qui dentro, ce ne occuperemo noi.-
Meera si stupì del cinismo di quel ragionamento, del sangue freddo che Osha era riuscita a mantenere, pur in una situazione così difficile; lei non aveva di certo quella prontezza. La bruta era cresciuta in un mondo diverso dal suo, dopotutto, dove la propria sopravvivenza spesso viene preservata solo mettendo a repentaglio quella altrui, dove la morte è una consuetudine quotidiana e le armi sono ancora più indispensabili delle pellicce e delle provviste. Anche Meera, in quanto regina del Nord, avrebbe dovuto cercare di riflettere con scrupolo e criterio: ne andava della vita del suo bambino -dei suoi bambini.
-Ricapitoliamo, ce ne occuperemo noi. Tu, io e dieci guardie?- domandò scettica.
-Possiamo andare a reclutare la principessa dei calamari.- propose Osha, lanciando un'occhiata circospetta alle scale, quasi temendo di veder correre giù all'improvviso un drappello di uomini dei Bolton. Meera annuì distrattamente, poi il pensiero si fece strada con più violenza nella sua mente.
-Yara...- mormorò. -Qual è il primo posto in cui si recherebbe Ramsay Snow? La cella di Theon... e Yara era andata a trovare Theon!-
Le due non persero altro tempo.
-Venite con me.- tagliò corto Meera, rivolta ai soldati. -Osha, prendi Kenned. L'unico posto attualmente sicuro in cui può stare è con noi.-
Esaurirono i gradini in gran fretta: la regina del Nord era convinta di trovare Yara riversa in una pozza di sangue e Theon sparito nel nulla. D'altronde era quello l'obiettivo di Ramsay.... ma la speranza che Bolton non si fosse premurato di agire così in fretta v'era comunque: dopotutto, non voleva forse anche prendere Grande Inverno? Meera sperava vivamente che Yara fosse ancora viva -sì, era una ragazza presuntuosa e spesso sarcastica fino ad apparire detestabile, però, dopo due settimane insieme, aveva iniziato a provare una sorta di affetto per lei -forse per via dello sfortunato destino che condividevano, di donne e sorelle.
Mentre loro salivano, le truppe dei Bolton stavano giust'appunto scendendo. Meera strinse i denti.
-Osha...-
-Lo so, lo so. Non te lo toccherà nessuno, il tuo bambino, puoi starne certa.- udì rispondere alle proprie spalle.
La regina del Nord, confortata, estrasse la spada dal fodero: appena ricostruita Grande Inverno, Bran aveva chiamato un maestro d'armi affinchè istruisse la moglie con la spada; lei infatti fino ad allora era stata capace di combattere soltanto con l'arco, la lancia e la daga. Meera imparava in fretta, quando si trattava di armi, ed in quel momento ebbe modo di felicitarsene. Lanciò un'occhiata ai soldati: fra essi, nessuno era Ramsay Snow. Non l'aveva mai visto di persona, certo, però era convinta che, qualora si fosse parato sul suo cammino, l'avrebbe riconosciuto immediatamente. Non era il genere di persona che passava inosservato, a quanto pareva.
Meera si sentì invadere da quel furore febbricitante e vivido che da un paio di giorni la rendeva irrequieta, ed agì come un combustibile sulla sua rabbia repressa, sul suo dolore snervante. Alzò la spada e disarmò senza difficoltà l'inetto che le stava davanti, presumibilmente rompendogli un polso, e gli strappò la gola con un solo fendente, dove la carne fra l'elmo e il pettorale era scoperto. Il sangue schizzò fino a bagnarle le mani ed imbrattare gli scalini, rendendoli sdrucciolevoli. Meera non ebbe nemmeno il tempo di rimanere sconvolta da ciò che aveva fatto: dovette parare l'attacco d'un nuovo nemico, un po' più rapido nei riflessi. Più che il gesto in sè, ciò che era davvero incredibile era l'istintiva spontaneità con cui l'aveva compiuto, con la schietta abilità di una mercenaria consumata. Non provava nè rimorso, nè pena, nè afflizione: soltanto uno sgomento inebriato, sbrigliato, estasiato. Perchè le era piaciuto. Aveva tolto la vita ad un essere umano, e le era piaciuto. Con qualche affondo nello stomaco dell'uomo, imprudentemente privo d'armatura, finì il secondo nemico; e poi ve ne fu un terzo, e un quarto, e poi Meera perse il conto. Il sangue di quanti uomini si stava essiccando sulle sue dita? Lanciando una fugace occhiata al proprio completo, lo vide impiastricciato di macchie che quasi la spaventarono, e le fecero vorticare pericolosamente la testa. Preferì non pensarci, e concentrarsi solo sulla propria mano che colpiva ed uccideva, con la letale celerità della coda d'uno scorpione. Perchè, in effetti, era divertente volteggiare da un gradino all'altro, ed era addirittura gradevole il calore palpitante del liquido vitale fra le sue dita, che gocciolava e le mordeva il polso.
Sapeva ch'era rischioso abbandonarsi così alle proprie sensazioni, che avrebbe dovuto rimanere più guardinga e lucida, ma era una tentazione irresistibile. Quando, grazie all'aiuto delle sue guardie e della lancia di Osha, il drappello di uomini che li avevano ostacolati stramazzava esanime sulla pietra, Meera corse al piano superiore, lasciando agli altri i pochi rimasti.
Una sentinella le venne incontro. -Maestà, la battaglia fuori dalle mura è tremendamente feroce. Gli uomini dei Bolton eguagliano il nostro numero.- ansimò.
Meera si affacciò alla finestra, ansiosa: riusciva a vedere poco e nulla, però non potè fare a meno di notare lo sciamare impetuoso ed abbondante di tutti i soldati nemici, ad abbattersi ancora ed ancora contro le mura, come tante piccole formiche nere; tanto che la regina, suggestionata da quella visione, si ritrovò davvero a temere per la salvezza di Grande Inverno e dei suoi abitanti. Ma non può essere espugnata di nuovo, cercò di convincersi, Bran ha preso delle precauzioni in merito. Questo non accadrà.
Mentre era assorta in quelle meditazioni, non si accorse di un guerriero che sopraggiungeva: una lama squarciò senza difficoltà la trama leggera della sua cotta di maglia, così come la pelle e la carne del braccio sinistro. Meera cacciò un urlo, ma prima che potesse reagire l'uomo la disarmò, e ormai nulla gli impediva di trafiggerla al petto. Non fece altro che alzare l'arma: la testa venne spiccata da un colpo rapido e precisissimo, che la fece letteralmente saltare via, fino ad urtare con un rumore disgustoso la parete e rotolare in una scia di sangue quasi melmoso. Meera, ripresasi dal raccapriccio, il viso lordo di rosso, fissò con stupore la responsabile.
-Yara!- esclamò, senza trattenere la sorpresa ed anche un certo sollievo. Era ancora più contenta di averla incontrata viva... sia perchè altrimenti le sarebbe dispiaciuto, sia perchè senza il suo tempestivo intervento sarebbe stata spacciata.
Yara sorrise quasi con ferocia: i capelli erano indistinguibili dai grumi di sangue e le vesti ne erano intrise.
-Lo so che ci ho messo tanto, però cercavo questa.- Brandì la scure che stringeva fra le mani, e la cui lama ricurva era ormai macchiata. Era grossa fino all'inverosimile ed aveva l'aria di pesare straordinariamente. -L'ho presa in prestito dalla vostra armeria. Non avrei mai potuto combattere degnamente, senza.-
Meera avrebbe voluto chiederle se era proprio sicura di saperla maneggiare così bene, perchè era davvero mostruosa, però ne aveva appena avuto la riprova, e bastava rivolgere lo sguardo alla testa mozzata per accertarsene.
-Come mai questa predilezione?- domandò invece.
Il ghigno di Yara si fece più ampio ed aguzzo. -Alle Isole di Ferro, ad ogni ricevimento che si rispetti, si balla la danza delle dita.-
Meera aggrottò la fronte. -La danza di che?-
-Te lo racconterò un'altra volta.- rimbeccò l'altra. D'un tratto, Shireen fece capolino alle sue spalle. Sopra la camicia da notte, portava un mantello di morbida lana color fragola.
-Principessa, non dovreste stare qui!- si spaventò Meera. -È troppo pericoloso...-
-Potrei dire lo stesso a te!- ribattè la ragazza. -È una vera fortuna, a proposito, che mia madre sia in visita dai Karstark. Altrimenti avrei dovuto preoccuparmi anche per lei.-
-L'ho trovata mentre venivo in vostro soccorso. Non c'è stato modo di convincerla a rimanere in camera sua.- spiegò Yara. -Dove sono Osha e le tue guardie?- 
-Stavano combattendo contro dei soldati, sulle scale.-
-Devi raggiungerli e farti medicare quanto meglio si può questa ferita.- Yara fece un cenno ad indicare il suo braccio. -Sembra piuttosto brutta. Sei stata davvero un'incosciente. Non potevi stare un po' più attenta?!-
Meera fece una smorfia; bruciava insopportabilmente, come se il sangue fosse all'improvviso diventato rovente, e solo l'idea di muovere la spalla l'atterriva; ma non l'avrebbe mai ammesso davanti a Yara.
-Hai ragione, ma sul serio, non è nulla di grave. Giusto una benda per fermare l'emorragia...-
-... a meno che l'osso non sia rotto.- borbottò l'altra. -Su, muoviti, non abbiamo tutto il giorno.-
Shireen attirò la loro attenzione. -Scusatemi, ho una cosa da chiedervi.-
-Giusto, dobbiamo trovarti un posto dove tu possa trascorrere le prossime ore.- rammentò Meera. Shireen strinse le labbra.
-Se foste disposte a tenermi con voi, giuro che non vi infastidirò nè vi rallenterò. Farò la brava e cercherò di non essere d'impiccio. Solo, vi prego, non rinchiudetemi in qualche torretta come se fossi l'unica principessa sul pisello della comitiva. Voglio venire con voi.-
Meera e Yara si rivolsero uno sguardo, infine annuirono all'unisono. Anche s'era piuttosto esile e delicata, la principessa dei Sette Regni era una fanciulla dal cuore nobile e l'animo coraggioso. Aveva trascorso metà della propria vita sulla Barriera, circondata da bruti e guardiani della notte, fra i ceffi più loschi di Westeros. Sapeva badare a se stessa.
-Sei abbastanza grande da decidere per te.- tagliò corto Yara. -Non possiamo proibirti nulla. Solo, non cacciarti nei guai.-
Mentre proseguivano per il corridoio, squadrò le mani e le impronte rosse sull'elsa della spada di Meera.
-Il battesimo di sangue è avvenuto, a quanto vedo, ed in pompa magna.- commentò, ironica.
-Puoi ben dirlo.- sospirò Meera. Shireen avvertì un leggero brivido sulla spina dorsale: le sembrava una ragazza troppo gentile e cordiale, e non riusciva proprio ad immaginarla uccidere.
Osha venne loro incontro, circondata dai soldati; teneva fra le braccia il fagotto di pelliccie che le era stato affidato, in cui Kenned s'era svegliato ed aveva cominciato a piagnucolare con voce alta e squillante. Gli occhi della donna scivolarono subito sulla manica strappata e la profusione di rosso che vi sgorgava impressionante.
-Cosa ti sei fatta?!- sbraitò, storcendo il naso.
La regina del Nord sorrise stancamente. -Sei la bambinaia di Kenned, non la mia.-
-Io non sono la bambinaia di nessuno.- puntualizzò Osha, pur senza riuscire a mantenere un atteggiamento scontroso, perchè troppo in pensiero. -Ti hanno attaccata?-
Lei annuì con il capo. -Mi hanno teso un agguato alla finestra.-
-Così impari ad allontanarti da sola. Devi stare attenta, Meera, te lo ricordi?-
Lo sguardo di Osha era così eloquente, così perforante, che la ragazza avvertì tutta la gravità di quell'accusa e il sapore infimo del pentimento.
-Sì che me lo ricordo!- protestò, seccamente, chinando il capo ed arrossendo. -Ho commesso soltanto... ecco... è stata soltanto una distrazione. Non succederà più, vedrai.-
La donna brontolò fra sè e, reggendo il bambino con un braccio, strappò una manica del proprio mantello con l'altra. Con gesti pratici ed affrettati, l'avvolse strettamente alla ferita.
-Spero per te che non sia infetta.- replicò, sbrigativa. -Ad ogni buon conto, te la controllerò più tardi, quando sarà tutto finito. Per ora può bastare così...-
Meera, Osha, Yara, Shireen ed i soldati proseguirono nell'intrico dei corridoi. La regina del Nord si stava giusto chiedendo dove accidenti si fossero cacciati gli altri invasori, quando:
-Maestà!- gridava un sottoposto, accorrendo trafelato. -Ramsay Bolton sta salendo sulla Torre Spezzata!-
Le tre donne si scambiarono uno sguardo inquieto. L'unica spiegazione logica era che, da lì, avrebbe potuto assistere all'intera battaglia.
-Devono esserci sfuggiti da qualche strana scala secondaria.- sbuffò Yara, irritata. -Su, andiamo a sbudellare lui e quel verme di Theon.-
-Cos'ha fatto Theon?- Osha inarcò le sopracciglia scure.
L'erede dei Greyjoy s'incupì. -Lasciamo perdere, che è meglio.-
Quando cambiarono strada per avviarsi verso la Torre Spezzata, trovarono un drappello cospicuo di piantoni armati a rallentarle. Le guardie di Grande Inverno sguainarono le spade quasi all'unanimità, in una risata lunga e tagliente.
Yara strinse il manico della sua scure, sorridendo. -Bene, ne vogliono un altro po'. Che ne dite di-
Nel momento stesso in cui cercò di sfoderare la spada, Meera si piegò in due con un gemito acuto.
Shireen rabbrividì, come se quell'urlo le avesse trapassato il cuore. -Meera!-
***
Nel frondoso sottobosco che costeggiava le alte fortificazioni di pietre scabre, la luna scostava i rami e cercava i piccoli funghi umidi che, anemici e minuti, crescevano lenti fra le radici nodose delle querce. Tre sagome procedevano fra i tronchi, aggrappandosi con le dita alle fessure nelle cortecce, rapide e furtive; i lembi dei loro mantelli fluttuavano attorno alle caviglie, annodandosi e districandosi dai rovi che li ghermivano, come artigli rattrappiti. Masso dopo masso, calpestando uno strato di erba secca e croccante, le figure avanzavano in una marcia silenziosa. Il sentore odoroso degli aghi di pino pungeva le narici, giungendo di soppiatto come l'apprensione. Poco distanti da loro, un drappello di uomini li seguiva senza levare un fiato nell'aria irrigidita dalla brezza notturna.
La sagoma più alta, il capo velato da un manto azzurro, s'affrettò fino a che non raggiunse la pedana di piastrelle smaltate. Non appena vi mise cautamente piede, producendo rumore discreto, aguzzò la vista e sfogliò il buio con attenzione; quando vide una guardia farle un cenno col capo, il suo viso adombrato s'illuminò in un sorriso rasserenato.
-Venite.- sussurrò in fretta alle due figure che attendevano appunto un suo segnale, guardinghe come animali selvatici. I cappucci vennero scostati soltanto quando giunsero all'ombra dello stipite dell'uscio, nascosti a sguardi indiscreti. La più alta era una bella ragazza dai capelli ramati e i tratti alteri, arrossita sugli zigomi.
-Non troverete sentinelle da qui ai prossimi dieci metri.- la rassicurò la guardia, a mezza voce. -Lì c'è qualcuno che vi indicherà come giungere agli ingressi principali. Anche nella Sala del Trono.-
-Grazie mille.- bisbigliò Sansa, con un sorriso quasi euforico. Rickon era impaziente: non rilassava mai la fronte. La sorella intuì cosa gli passasse per la mente e si rivolse di nuovo alla guardia. -... e Myrcella Lannister? Ne sapete qualcosa?- domandò.
L'uomo scosse il capo. -No. Nulla. Sono informazioni troppo riservate. Le guardie incaricate di sorvegliarla sono fidatissime.-
-Capisco.- Sansa fece un cenno cortese con il capo.
-È davvero incredibile il modo in cui quel Baelish si prodiga per te.- commentò Rickon, tentando inutilmente di stemperare la tensione che gli opprimeva il petto.
La ragazza sorrise, quasi compiaciuta. -Petyr ha uomini ovunque. Non ha dovuto prodigarsi quasi per niente, in realtà, solo dare qualche disposizione... un po' di aiuto gratuito ci fa comodo, di questi tempi.-
-Gratuito? Non direi, cara sorella.- ghignò lui. -Nessuno fa niente per niente. Soprattutto non il gestore d'un bordello.-
-Smettetela di fare gli idioti!- esplose Arya, mantenendo però un tono di voce basso e lanciando occhiate inquiete qua e là. -Pensate a cose più serie. Avete qualche confessione di cui liberarvi? Potremmo benissimo essere morti, da qui a due ore.-
-Il che, lo ammetterai, non è una gran novità.- replicò la sorella maggiore, strofinando nervosamente le mani.
-In realtà ci sarebbe una cosa.- intervenne Rickon, voltandosi verso Sansa e guardandola negli occhi, quasi con un certo suo strano stupore, come se lui stesso per la prima volta se ne rendesse conto. Le parole suonarono bizzarre, troppo inusuali per la sua indole. -Mi piace la tua voce.-
Le sue guance s'imporporirono e la fanciulla schiuse le labbra, interdetta.
-... per quale motivo?- chiese infine, il cuore gonfio d'uno strano sentimento d'affetto, che finalmente cominciava ad assomigliare a quello che un tempo doveva aver provato per lui.
-Mi sembra di ricordarla.- raccontò il fratello, corrugando la fronte nel tentativo di rivangare un passato infestato dal fango dei ricordi deteriorati. Il verdetto fu quasi stupefacente nella sua singolarità. -... di averla ascoltata mentre cantava una canzone, molto tempo fa.-
Sansa si domandò ancora per quanto tempo il paragone con Catelyn Stark avrebbe dovuto invadere la sua vita, ma non volle mostrare il lieve disappunto che quell'affermazione aveva scatenato nei suoi pensieri. Per quanto riguarda Rickon, il profumo dei capelli di sua madre aleggiava ancora come lo spettro familiare dell'infanzia, che pareva quasi sognata una notte. Ma Catelyn non c'era più nel suo cuore. Solo Myrcella, c'era. Solo Myrcella capiva. Gli altri no. Nessun altro.
-Davvero, davvero commovente.- commentò Arya, nervosamente. -Dopo questo, direi che possiamo procedere. Vi ricordate tutto quel che dovete fare, vero?-
Sansa alzò gli occhi al cielo. -Arya, stai calma.-
-Ce lo ricordiamo.- intervenne Rickon, scandendo per bene le parole. -Ci ricordiamo ogni cosa.-
Arya annuì, torva. Pensava alla responsabilità che Gendry le aveva affidato, incaricandola di assalire la Fortezza Rossa dall'interno e far penetrare l'intero esercito del Nord di nascosto: non poteva fallire. Non ne andava soltanto della propria vita, ma anche della corona di Gendry. Tutto ciò che aveva imparato, dopo il colpisci con la parte appuntita di Jon, era teso a quel solo scopo. La responsabilità della vita di molte più persone di quante riuscisse ad immaginare gravava sulla sua testa.
Riuscì a sorridere a Rickon, ma solo flebilmente. -Attento a non andare incontro ad una morte lenta e dolorosa, fratellino.-
-Quando ti troverò stecchita dal moncherino di Jaime Lannister, prometto che non riderò.- ribattè candidamente il ragazzo.
Per qualche istante, si fissarono negli occhi con la fiducia reciproca che solo chi condivide il sangue può spartire.
Arya, insieme ad un manipolo di uomini, a Cagnaccio e Nymeria, proseguiva per il corridoio che, secondo l'uomo di Baelish, l'avrebbe condotta da chi le avrebbe dato le informazioni che cercava. Sansa avanzava verso il nucleo stesso della Fortezza, nella stanze da letto; Rickon, invece, sarebbe andato a cercare Myrcella. Ognuno di loro aveva un compito ben preciso -e il giovane Stark era ben determinato a portare a compimento il proprio senza intoppi. Il rapimento di Myrcella l'aveva fatto infuriare come nient'altro prima d'ora; sembrava quasi che i Lannister volessero di nuovo trascinarlo in quella condizione d'impotenza in cui versava prima, quella in cui loro gli sottraevano tutto ciò che aveva e lui rimaneva a guardare. Ma adesso Rickon non era più un ragazzino. Sapeva come farsi strada per ottenere quel che voleva. Aveva i mezzi per farlo. E loro avrebbero pagato cara quell'impudenza.
Myrcella, Myrcella... Myrcella e il suo sorriso esultante quando lo accoglieva la sera, tutto ciò che di lei era rimasto di innocente; Myrcella e le sue labbra profumate di sangue, che curavano le sue ferite e si strappavano sotto i suoi denti come petali. Rickon scosse la testa, istintivamente, ombroso. La doveva riavere con sè. Il pensiero di lei, nelle mani di un altro... Che Tommen Lannister non osasse prendere le abitudini di suo padre! Quell'idea lo fece imbestialire ancora di più, al punto che sputò per terra dal nervosismo. Ma avrebbe dovuto essere più discreto, più silenzioso... si stava comportando come un idiota, si rimproverò aspramente. Se non avesse mantenuto i nervi saldi, presto l'avrebbero scoperto e davvero non avrebbe mai recuperato Myrcella. Stava avanzando in un corridoio laterale, quando udì il rapido suono dei passi sulla pietra. Subito si ritrasse dietro un muro attiguo, immobilizzandosi; soltanto quando la figura lo oltrepassò in fretta, senza sorprenderlo, Rickon si permise di cercare d'identificarla -magari era una guardia che avrebbe potuto minacciare...
E invece era una donna: i suoi capelli erano boccoli lunghi e sontuosi, simili a spirali di velluto. Un'ampia gonna color vinaccia frusciava fra le sue gambe. E Rickon realizzò.
Prima che fosse troppo tardi, la raggiunse con un balzo, la spinse contro la parete, le conficcò un ginocchio fra le scapole ed estrasse la spada, tutto ciò quasi contemporaneamente.
Il viso che si presentò al suo sguardo non fu una vera e propria sorpresa: aveva visto dei ritratti della regina Margaery, per riconoscerla, ancora al tempo del torneo di Runestone, e poterla uccidere. Era una bellezza, non si poteva negarlo, e l'espressione apprensiva che le squarciava le pupille la rendeva ancora più appetibile.
-Urla, e scoprirai cosa significa affogare nel proprio sangue.- Rickon attese con un ghigno lento che la donna la riconoscesse. Lo smarrimento della regina dei Sette Regni non durò a lungo: l'affanno che le schiuse le labbra, così come la potente vampa rossa che le infiammò le guance, la fece apparire deliziosa.
-Guarda guarda... La nostra regina prigioniera gironzola per il castello tutta sola. Non te l'ha mai detto nessuno, che le donne che passeggiano di notte senza un accompagnatore rischiano di fare brutti incontri?-
Margaery Tyrell si riprese in maniera ammirabile.
-Brutti incontri, certo,- rispose, portandosi una mano all'altezza del viso e scostando un ricciolo, -oppure incontri interessanti. Era da tempo che desideravo fare la tua conoscenza, Rickon Stark.-
-Non trovo una sola buona ragione per cui qualcuno debba desiderare di fare la mia conoscenza.- replicò il ragazzo, risentito che i segni dell'effetto sorpresa si fossero già volatilizzati sul suo volto. -Dove stavi andando, Maestà? Magari possiamo fare un pezzo di strada insieme.-
Il filo della spada le carezzava il collo e la punta era delicatamente premuta contro la sua spalla, fino ad arrossarla con gran grazia. Era un peccato che non ci fosse un pittore, lì, ad immortalare una tonalità così preziosa; Rickon pensò che il fine disegno delle ossa, tutt'ora sotto la pelle -che proprio lì era traslucida e liliale come un'ala di libellula- sarebbe stato ancora più suggestivo... Al pensiero della consistenza sapida e fibrosa della carne sotto i denti, dell'aspra carezza del sangue sul palato, sentì la bocca colmarsi di saliva. Dopo, si sgridò, dopo.
Le labbra di Margaery s'incurvarono in un esitante sorriso ironico. -Potrei farti la stessa domanda.-
Rickon premette la lama contro il suo collo. -Potresti, è vero, ma prima risponderai alla mia.-
La donna percepì il respiro mozzarsi in gola, e faticò a deglutire. -I miei figli...-
-Non preoccuparti, dopo andiamo insieme a cercarli.- La voce del suo aggressore era quasi morbida, mentre, senza allontanare la spada, lasciava scivolare l'altra mano lungo il suo fianco, palpando rapidamente l'abito con le dita. Margaery seguì il suo gesto con lo sguardo solo per qualche istante; un occhio meno attento non avrebbe notato il simultaneo lampo di paura che era balenato sull'espressione delle sue labbra. Rickon esibì un ghigno allegro, indovinando i suoi timori.
-So che sembra che io stia facendo qualcosa di perverso, ma in realtà sto controllando che tu non sia armata.- Inarcò le sopracciglia con eloquenza. -Solo un idiota sottovaluterebbe una donna vedova per due volte.-
Margaery Tyrell trattenne il respiro, mentre la mano di Rickon perquisiva prudentemente il corpetto. Ovvio che, ad ogni modo, gli faceva un certo effetto. Era bella. Ed era spaventata. Per Rickon, non esisteva nulla di meglio.
O almeno, lo aveva creduto, fino a che non aveva incrociato lo sguardo di giada e piombo di Myrcella Lannister. Che non si era spezzato sotto il suo. Che non si era infranto nel buio, nè nel freddo, nè nel sangue, nonostante lei non conoscesse nessuna di queste tre cose.
Rickon non riuscì a trattenersi. Con un gesto languido, senza distogliere gli occhi da quelli della sua vittima, calò le dita lungo la sua coscia, trovò l'orlo della gonna, vi si insinuò sotto e salì. -No, sei assolutamente indifesa.- concluse candidamente.
Margaery ebbe un singulto e strizzò le palpebre, trattenendo un gemito. 
-Questo era decisamente qualcosa di perverso.- osservò.
-Sì, forse lo era.- sogghignò Rickon, ritirando la mano con disinvoltura. -Ma adesso non posso perdere altro tempo. Se mi porterai dove tengono Myrcella, magari avrai l'occasione di rivedere i tuoi figli vivi per un'ultima volta, prima di schiattare.-
La regina dei Sette Regni scandagliò il suo volto, mentre chissà quali pensieri si aggiravano per la sua mente. Pareva stare seguendo un filo d'intuizioni a catena. I calcoli scorrevano nei suoi occhi come perle di una collana. I secondi rintoccavano, sospesi, sordi.
Infine, un sorriso solcò le labbra di Margaery. La sua voce era piana, serena, come un mare piatto assediato dal sole.
-Io non morirò adesso, Rickon Stark. Morirò a novant'anni, circondata da nipoti che trameranno terribili congiure e indosseranno vestiti rosa. Morirò come muoiono tutte le donne della mia famiglia, a casa, ad Alto Giardino. Ma tu...- Scosse la testa, ostentando una completa disapprovazione. -...perchè sei qui? Mi deludi. Dopo tutto quello che hai fatto, pensavo che nulla e nessuno sarebbe riuscito a metterti una catena al collo. E invece, è bastato l'amore di una donna, come sempre, come per tutti quanti gli uomini...- La dolce amarezza della sua voce si dissolse nello struggente sapore di quelle parole, per poi calare di nuovo nel buio. -In questo castello c'è solo morte per te, Rickon Stark.-
Rickon rimase lì, a precipitare confuso nei suoi occhi, per qualche istante. Le iridi di Margaery, argentee, erano tiepide d'un sentimento accorato, intenso, simile alla compassione più intenerita e partecipe. Dopo un momento, vi esplose una scintilla di orrido, cruento trionfo.
Rickon percepì la furia montargli nel petto. Allontanò il ginocchio dal suo stomaco, solo per colpirla più forte, tanto che sentì vibrare il grido di dolore che Margaery stava ingoiando. 
-Coloro che ritengono che fare del male ad una donna sia più disonorevole che picchiare un uomo, sono dei luridi maschilisti.- decretò, piano, con una superficiale calma apparente che velava una minaccia. -Chiunque dovrebbe avere il diritto di darle e di prenderle, indiscriminatamente. Seguo questa corrente di pensiero anche nella vita di tutti i giorni. Per esempio, una volta ho stuprato una ragazza con un coltello.- La sua voce la sfiorò come faceva la lama della spada, sottile ed affilata. -Esistono diversi modi per garantirsi collaborazione.-
Margaery trattenne il respiro. Il suo sguardo era alto, solenne di dignità, e l'inquietudine era tradita solo dall'atteggiamento del viso. -Cerchi di farmi paura?-
-Non ce n'è bisogno. Ne hai già a sufficienza.-
I due si sfidarono vicendevolmente con lo sguardo, a lungo, finchè la donna cedette con un sospiro. Ricordò che, in un giorno lontano e diverso, aveva pensato di essere in debito con lui di un favore.
-Va bene, ti aiuterò. Ma solo se-
-Non sta a te dettare le condizioni.- la interruppe Rickon, bellicosamente. -Sono io quello con la spada in mano.-
-Sono io quella che sa dove si trova Myrcella. Ti servo.- 
-Almeno finchè non saremo là. Poi non più.-
Margaery socchiuse gli occhi, ed una risata carezzò la sua voce. -Però non è detto che io ti porti proprio là.-
Rickon era davvero esausto di lei e le sue provocazioni: doveva salvare Myrcella, mica sprecare tempo a giocare! D'un tratto, gli venne persino in mente che quella stronza avesse adottato come strategia quella di fargli perdere tempo, in attesa di essere soccorsa da qualcuno. Con un furore terribile, le compresse il volto contro il muro: un chiodo confitto in un mattone le graffiò la fronte.
-Se cercherai di fregarmi, divorerò quei piccoli bastardi sotto i tuoi occhi e ti costringerò a guardare. Ci siamo capiti?!- ringhiò Rickon, iracondo, conficcando le unghie nei suoi polsi. -E adesso parla.-
Margaery singhiozzò senza emettere un suono, mentre una ferita s'apriva sulla pelle, svelando l'oscurità del sangue. -Ho sentito le guardie parlare della Torre Ovest...-
-Allora sbrigati.-
-Cosa ne farai di me, quando non ti servirò?- si ritrovò a chiedere, in un bisbiglio.
Il ragazzo mentì con estrema serenità.
-Dipende.- Dipende, se ti aprirò la gola in un lampo o ti farò dissanguare senza fretta. -Dipende da te.-
Il viaggio fu lungo: imboccare i corridoi più secondari e meno frequentati era difficile, soprattutto perchè, se l'intento era evitare i passaggi principali, la struttura della Fortezza Rossa si faceva molto più labirintica. Margaery sapeva benissimo di non poter imbrogliare Rickon; se avessero incontrato qualcuno, lui per prima cosa l'avrebbe sgozzata. Da questo punto di vista, si rendeva conto di fungere anche da ostaggio. Quel che più premeva alla regina era scoprire dove fossero Nathaniel e Lionel: non era riuscita a scoprirlo da suo marito nè dalle guardie, nonostante le insistenze. Questo avrebbe potuto rivelarsi un problema. Senza sapere dove i piccoli fossero, non poteva neppure tenere Rickon il più lontano possibile da loro; magari, inconsapevolmente, avrebbe potuto addirittura condurre il nemico dai suoi piccoli, dolci figli. L'unica speranza era che Tommen avesse provveduto alla sicurezza dei gemelli con perizia e responsabilità, che li avesse tenuti sotto vigile controllo... doveva averlo fatto. Margaery riusciva già ad immaginare le empie mani rosse di sangue di Rickon sulle bianche carni dei bambini, a deturparle e divorarle.
Cominciò la salita delle scale. Il giovane Stark andava decisamente troppo veloce, scavalcando i gradini con ampie falcate, e per Margaery, che indossava molte gonne lunghe, era impossibile stargli dietro. Ansimava a pieni polmoni e boccheggiava di tanto in tanto, puntellandosi la milza con le mani.
-Non potremmo-
-Più veloce, Tyrell! Quando si tratta di fare l'arrivista sei un fulmine, e adesso arranchi? Oh, puoi fare meglio di così...-
La donna, però, non capiva. Pur essendo dei passaggi secondari del castello, era strano che non avessero incrociato nemmeno una guardia. Cominciò a lanciarsi furtive occhiate intorno, inquieta: non presentiva nulla di buono. Cosa poteva essere successo?
Rickon rise del suo smarrimento. -Dove sono finiti tutti quanti? Questo ti chiedi? Mentre noi siamo qui a gironzolare per la Fortezza, mia sorella la sta conquistando con gli uomini del Nord e dei Baratheon. Cos'è quel faccino spaventato? Non ti starà mica cascando sulla testa qualche sogno di gloria? Quanto mi dispiace... Un vero peccato che i soldati non potranno accorrere per impedire il rapimento della principessa Myrcella, vero? Beh, pazienza. Lei preferisce stare con me che con voi.-
Margaery era troppo incredula per farsi venire in mente qualcosa d'arguto da dire. Gli Stark stavano conquistando la Fortezza Rossa, insieme al figlio bastardo di re Robert? Era finita. Era finita per lei, per Tommen, per i Lannister, per chiunque... Che fare? Quelle parole parvero perdere qualsiasi significato e potere. Che fare?... era un po' tardi per cominciare a pregare, in effetti.
A quel punto, si rese conto di essere giunta a destinazione. Battè le ciglia.
-... è qui. Questa. Mi auguro sia qui.-
-Me lo auguro anch'io.- replicò Rickon, sottovoce. -Me lo auguro per te.-
Senza smettere di trattenerla per il braccio, salì di soppiatto gli ultimi gradini, con la schiena al muro. Anche lui, come Arya, percepiva chiaramente l'onere di quella missione. Myrcella... d'un tratto, salvarla era d'importanza struggente. E Rickon seppe che non voleva uscire da lì senza di lei. Fare piano, non fare rumore, non farsi scoprire. Fare piano. Non fare rumore. Non farsi scoprire. Fare piano, non fare rumore...
Scattò come una pantera-ombra, tirando una pedata così poderosa contro il portone che nel legno s'aprì un gran varco frastagliato. Rickon disintegrò con le mani il chiavistello, abbattendo quel poco che restava in piedi, e si sporse nella stanza.
***
Tyrion tracciò con la piuma una lunga linea da est a ovest, indicando una via verso il Mercato delle Pulci.
-... qua l'esercito va decisamente riorganizzato. Quando ieri mi è stato riferito il totale insuccesso che abbiamo riportato qui, quando ho scoperto il numero delle vittime, mi sono chiesto che razza di idiota avesse disposto le truppe... prima di rendermi conto di essere stato io. Come stavo dicendo, penso che quella nuova schiera che gli Swann ci hanno così cortesemente inviato stiano alla perfezione qui, a difendere la zona est, mentre per quanto riguarda gli arcieri-
-Tyrion.- Jaime non si curò di quanto violentemente avesse sbattuto la porta, nè di aver fatto sussultare metà delle guardie nella stanza, l'ufficio della Mano del re. -È scoppiato l'inferno.-
Il fratello tirò un sorriso scontento. -Sono così assuefatto dai suoi miasmi che non riesco più a distinguerli. Intendi che siamo finiti in una situazione peggiore di quella in cui siamo adesso, cioè con la città sotto assedio, i familiari decimati e un branco di lupi inferociti alle calcagna?-
Jaime spalancò le braccia e le lasciò ricadere contro i fianchi.
-Vedi tu. Il castello è sotto assedio, i nostri soldati sono decimati e un branco di lupi inferociti mette a ferro e fuoco casa nostra.- Inarcò le sopracciglia con sarcasmo. -Che te ne pare?-
Il Folletto tacque per una decina di secondi, lo sguardo fisso su un punto indefinibile della superficie della sua scrivania. Lentamente, aggrottò la fronte. Quando sollevò lo sguardo, sorrideva di nuovo amenamente.
-Se il tuo intento era riscuotermi dal torpore del mio sarcasmo di mezzanotte, ci sei riuscito.- annunciò, riponendo la piuma. -Cos'è successo? Rickon Stark?-
Jaime fece una smorfia. -Più che altro, Arya Stark. Lei e quel fottuto Gendry Waters si sono introdotti nella fortezza, presumibilmente con qualche stregoneria, visto che sono passati pressochè inosservati, fino a quando non hanno fatto irruzione nella sala del trono.-
-E la torre di Myrcella? È stata attaccata?- Il suo tono si era già fatto rapido e competente, mentre egli era intento nei suoi ragionamenti silenziosi.
-Non abbiamo avuto modo di appurarcene.- confessò Jaime, dopo una pausa, abbassando lo sguardo e mettendosi sulla difensiva. -Con che faccia posso dare ordini, in questo momento? Tutti combattono per la vita, e per nient'altro. Nessuno mi ascolterebbe.-
Tyrion scosse la testa, sbalordito. Era sdegnato all'idea che suo fratello non si fosse mobilitato fin da subito per la difesa della torre, e quindi per l'efficacia del loro piano.
-Non ti rendi conto che è un diversivo?! Rickon Stark ha voluto calamitare tutto il grosso delle nostre forze lì dove gli pareva e piaceva, ovvero lontano dalla torre, così da poter recuperare Myrcella in tutta tranquillità! Ti prego, Jaime, non dirmi che non te n'eri reso conto...-
-E se così fosse? Ah, è un diversivo, bene, allora possiamo stare tranquilli...!- Jaime rivolse un'occhiata truce a Tyrion: era facile parlare, da dietro una scrivania. -Anche sapendolo, non possiamo farci niente. Raggiungere la torre è praticamente impossibile. Là fuori c'è un putiferio da non crederci... Anche consapevoli del fatto che quella di Rickon Stark è una tattica per raggiungere i suoi scopi, non possiamo lo stesso fermarlo.- L'uomo sospirò e fece scorrere una mano fra i capelli, preoccupato. -Credevamo che Stark sarebbe venuto da solo, per non attirare l'attenzione. Invece tutti i soldati al completo stanno assediando l'intero castello. I nostri uomini non riusciranno a resistere. Quei due bastardi di Arya Sark e il suo amico hanno abbattuto le porte e l'esercito del Nord si è riversato qui dentro... Hai idea di cosa significa?- Jaime fissò il fratello negli occhi e fece una breve pausa, senza però lasciargli il tempo di rispondere. -Significa che l'unica cosa che possiamo fare è scappare. È per questo che sono qui. Andiamo via, Tyrion, e il più in fretta possibile, prima che sia troppo tardi. Prendi quello che può servirti e tiriamo la corda.-
-Tommen? Dov'è?- domandò Tyrion, cautamente, quasi temesse la risposta.
-L'ho lasciato a Loras. Scapperemo tutti insieme, ci siamo già accordati.- spiegò Jaime in fretta, indicando alle guardie di controllare l'ingresso. -Avanti, non c'è un secondo da perdere.-
A Tyrion l'idea di scappare non piaceva troppo. Certo, suonava più allettante che diventare la prima simpatica decorazione della sala del trono di re Gendry Baratheon, però non aveva dubbi: nel momento in cui i Lannister avessero lasciato la Fortezza Rossa, sarebbero scesi dal trono, per non risalirvi mai più. Era una fortuna che sua sorella Cersei, che tanto si era data pena per diventare regina reggente, non fosse lì ad assistere a quella sconfitta. Tyrion non era mai stato ambizioso, o meglio quasi per nulla, se messo a confronto con gli altri membri della famiglia; eppure, sentiva un po' d'amaro in bocca per quel finale così sconfortante. Fuggire, poi... fuggire dove? Le truppe del Nord erano ovunque, sia nella Fortezza Rossa che ad Approdo del Re. Dove rifugiarsi, per non essere catturati e giustiziati? Ma erano pensieri troppo lontani: innanzitutto era fondamentale trovare Tommen -trovare Tommen vivo- e magari Myrcella, anche se ormai Tyrion ne dubitava, e tutto il resto sarebbe venuto da sè.
Mentre il Folletto sistemava nel fodero una daga dall'impugnatura di rubini, finora tenuta nascosta in un forziere per ogni evenienza, ed un sacchetto d'oro nel mantello -che faceva sempre comodo- Jaime parlò di nuovo.
-C'è anche un'altra cosa.- raccontò. -Una notizia un po' più lieta. Le spie all'accampamento degli Stark mi hanno riferito che Brandon lo Storpio è stato rapito.-
Tyrion si voltò di scatto, sbigottito.
-Rapito? Quando? Da chi? I nostri sono implicati in qualche modo? Mi sono perso qualche puntata, evidentemente...-
Jaime scosse la testa, perplesso. -Poche ore fa. Da chi, non ne ho idea. Per quanto ne so, nessuno dei nostri alleati ha preso iniziative del genere. Stannis Baratheon sta sguinzagliando i pochi uomini che sono rimasti con lui all'accampamento per trovarlo, ma finora invano. Piuttosto, le spie mi hanno riferito di aver trovato il luogo in cui è stato portato, da dagli strani uomini incappucciati, apparentemente privi di qualsiasi vessillo.-
-E dove, per amor degli dèi, dove?- sbottò Tyrion, alzando gli occhi al soffitto. -Non farti strappare le parole dalla lingua, stellina mia! Che non si dica che anche nell'interloquire i Lannister sono avari!-
-Poco fuori città, ma non è questo il dettaglio interessante.- Jaime sorrise enigmatico. -Nei pressi delle tende di quegli uomini, è stata preparata una pira.-
Il Folletto era dubbioso. -Non capisco la logica di tutto questo. Intendono bruciarlo vivo?-
Il fratello fece un gesto vago con la mano sinistra. -Vivo, morto, non fa differenza.-
-Invece sì... invece è questo che fa precisamente la differenza.- Tyrion fu colto da un'illuminazione folgorante: folle, sì, ma d'altronde come tutte le idee geniali. -Se Brandon Stark muore, siamo perduti.-
Jaime rimase interdetto. -Aspetta un attimo, hai detto che se muore siamo perduti?-
-Esatto, fratellino, non è stato un attimo di defaillance.- confermò il Folletto, allacciandosi il mantello. -Pensaci. Cosa rischiamo, se scappiamo?-
-Di essere catturati.-
-E se veniamo catturati?-
Jaime scrollò le spalle. -Ci ammazzano tutti quanti.-
-E qual è la nostra unica speranza?- lo incalzò Tyrion, paziente come un insegnante che ripete la lezione all'alunno distratto.
-Non saprei. La grazia?-
-Ma la grazia ce la dobbiamo procurare, caro il mio Jaime. Per la precisione, tu ce la devi procurare.-
-Ma cosa...- bofonchiò Jaime, sconcertato. -Cosa stai cercando di indurmi a fare, Tyrion?-
-A salvarci il culo, in parole povere. Ma dobbiamo muoverci, ti spiegherò più tardi!-
I due fratelli abbandonarono l'ufficio, mentre Jaime cominciava ad inquietarsi per il guaio che Tyrion stava per fargli passare. In qualche inspiegabile maniera, gli sembrava quasi che egli gli stesse proponendo di aiutare Bran Stark...
Il Folletto si accorse di cosa intendesse il fratello, dicendo che i corridoi erano impraticabili; folle di armati si spintonarono l'un l'altro in scontri all'ultimo sangue, mentre il sangue schizzava sulle pareti e le guardie faticavano a proteggerli con gli scudi. I due Lannister procedettero verso la direzione che Jaime indicava come quella che li avrebbe condotti al punto di ritrovo stabilito con Loras e Tommen.
Tyrion era ancora assorto a pensare a Bran Stark e la pira, quando urtò violentemente contro una figura che, strano a dirsi, non portava un'armatura. Alzò lo sguardo, quasi nell'automatico tentativo di scusarsi, e le parole gli s'inaridirono sulla punta della lingua. Quella persona indossava un lungo mantello blu, indubbiamente femminile, che le adombrava il viso: però fu impossibile ignorare il bagliore d'un ricciolo cremisi come un fiamma, che scivolò al crudo contatto della luce delle lampade. Tyrion percepì una sensazione simile ad un pugno nello stomaco, e per qualche secondo non riuscì a respirare. La figura, senza neppure chinarsi a guardarlo, svincolò agilmente fra la massa, in un guizzo di vivace turchese.
Tyrion deglutì. -Aspetta, Jaime. Io... mi è sembrato...-
-Tyrion? Cosa c'è?- ribattè la voce di Jaime, alle sue spalle. Il Folletto ebbe poco tempo per ragionarci su: nel timore di lasciarsi sfuggire la donna in azzurro, riuscì solo a gettare là qualche parola.
-Tu va' a prendere Tommen. Ci vediamo nelle stalle fra mezz'ora, chiaro?-
-Tyrion!-
Le proteste di Jaime si confusero subito con il fragore metallico delle armi. Tyrion si fece largo fra i soldati, quasi posseduto da un'ansia concitata che gli toglieva persino la paura dal petto, suscitando soltanto una curiosità vorace che pretendeva d'avere soddisfazione. In realtà, era assolutamente certo dell'identità di chi stava inseguendo.
All'inizio non riuscì a capire cosa stesse cercando di fare: la figura salì le scale che conducevano agli appartamenti reali, disabitati a causa della battaglia che infuriava ai piani inferiori. Era assurdo che il suo scopo fosse il furto. Infatti, ella evitò le sfarzose camere del re, così come ignorò gli uffici e gli studi d'amministrazione; si fermò soltanto quando riconobbe le stanze della regina. Allora Tyrion comprese, e fu terribile.
La figura in blu entrò, lasciando la porta socchiusa alle spalle. Procedette fino alle due culle gemelle che Margaery aveva provveduto a procurare subito dopo il parto, dei piccoli capolavori con decorazioni in oro di leoni rampanti e arricciate tende di broccato rosso, che disponevano di piccoli carillon di alabastro lavorato. Nel vedere i posti vacanti, le lenzuola intatte, le culle vuote, la figura esitò, fissandole, quasi ragionando sul da farsi.
-Credevi davvero che saremmo stati così idioti da lasciarli lì, incustoditi, alla vostra mercè?-
La donna sussultò appena, ma ebbe la dignità di non mostrare il proprio allarme. Dopo qualche istante, si voltò.
Il cappuccio ricadde con un morbido fruscio, svelando una chioma ramata e algidi, artici occhi cerulei. Il suo viso, ora adulto, libero di qualsiasi intuizione di fanciullezza, sembrava intagliato nel marmo. La durezza della sua bocca immobile storse l'espressione di Tyrion in una smorfia di stupore ed amarezza.
-Ben ritrovata, Sansa.-
***
La prima cosa che Rickon vide non gli piacque molto. Era una donna troppo alta e troppo robusta, con indosso un'armatura da uomo, una spada enorme e un ciuffo di capelli che sembravano paglia sulla fronte, che lo scrutava con allarmati occhi azzurri e limpidi. La seconda cosa che vide, fu anche la più bella che avesse mai scorto in vita sua.
Era piccola, bianca e fragile, proprio come ricordava, e sporca di nero sul viso e dalla gonna sdrucita, proprio come piaceva a lui. Sembrava plasmata di neve e carbone.
I loro occhi si catturarono imperiosamente, e il lungo silenzio che seguì fu pregno d'incredulo, sbalordito, tremante sollievo.
Myrcella soffiò il suo nome, senza nemmeno pronunciarlo a voce, quasi che la riverenza che provava fosse troppa. Le sue guance avvamparono, poi tornarono pallide. Prima che Rickon potesse gridare qualcosa, qualsiasi cosa, che diamine aveva fatto ma era diventata scema tutto d'un colpo, perchè aveva rischiato così tanto, ben le stava che l'avessero rapita, cosa credeva di fare di prendere la spada e combattere anche lei, era pazza era una folle, era proprio uscita di testa, disobbedirgli in quel modo ma come si era permessa, perchè, stupida, stupida ragazza Lannister, stupida biondina dalla testa vuota, che cazzo sperava di fare, perchè, andarsene in giro quel modo, pazza, forse che voleva davvero tornarsene dalla sua famigliola, avrebbe dovuto rimanere in quella cazzo di tenda e non- la lama della donna bionda per poco non gli staccò un braccio di netto.
-Vostra grazia! State bene?- Brienne rivolse un'occhiata preoccupata a Margaery Tyrell, che sorrise debolmente alle spalle di Rickon.
-Come vedi, sono ancora viva.-
Myrcella s'alzò in piedi: un'espressione strana, diversa, quasi invasata, possedeva il suo volto. Gli occhi verdi sembravano stregati da una nebbia alienante. Un tormento maniaco, inusitato, le aveva inciso cicatrici d'inedia sulla fronte e sulla guance. Nel suo sguardo, si rifletteva la luce d'un faro.
-Te l'avevo detto!- urlò, esultante. -Te l'avevo detto! Rickon...-
Parve bere ogni inflessione della propria voce, mentre lo pronunciava, assaporandola dolorosamente sul palato. Fece lunghi passi avanti, incurante di tutto il resto, quasi sedotta dal canto d'un sirena; fu soltanto la spada di Brienne ad impedirle d'avanzare.
-E infatti eravamo qui ad aspettarti.- dichiarò la donna, freddamente.
Rickon inarcò un sopracciglio. Distogliere lo sguardo dal viso di Myrcella risultò faticoso. La sua bellezza gli appariva talmente nuova, talmente fulgida... meravigliosa, com'era sempre stata, ma al tempo stesso mai come in quel momento. Perchè doveva essere così bella?! Gli sconvolgeva la mente, gli impediva di pensare.
È bastato l'amore di una donna... Le parole di Margaery Tyrell rimanevano un'eco beffarda e sferzante, a ronzare nelle sue orecchie. Lui, che si era sempre sentito distaccato dal mondo e superiore a tutto, a tutti, come se ogni desiderio ed ogni ricchezza ed ogni valore terreno gli apparissero miseri, banali e poco desiderabili, come se fosse in grado di guardare l'umanità con gli occhi di un dio... ridotto a rischiare la sorte di una guerra per una ragazza dai capelli biondi. Come sempre, come tutti.
Prima che Myrcella comparisse nella sua vita, Rickon non aveva bisogno di nulla, ed era davvero imbattibile. Niente aveva, niente poteva essergli sottratto, nessun torto poteva essergli arrecato. Ma adesso... debole era l'unico aggettivo che gli veniva in mente per descriversi. Tutto ciò, naturalmente, non traspariva. Rickon Stark aveva imparato molto bene che l'avversario teme ciò che i suoi stessi occhi lo inducono a temere.
-Un comitato d'accoglienza piuttosto esiguo, direi.- commentò, squadrando Brienne di Tarth con un'occhiata derisoria. -Mi sottovalutate a tal punto?-
Brienne si parò davanti a Myrcella, in posizione da combattimento. -Potresti restare sorpreso.-
-E tu senza testa. Vale la pena rischiare?-
Prima di ottenere risposta, Rickon sferrò un fendente per farle abbassare la guardia. Lo scontro che seguì sarebbe stato molto interessante per chiunque se ne intendesse di armi e arte militare; Brienne era più alta e più esperta, con alle spalle anni ed anni di pratica, per non parlare di una precisione micidiale e di una tecnica sbalorditiva. In compenso Rickon era più forte, e -se ogni suo colpo fosse andato a segno- di Brienne non sarebbe rimasto nemmeno lo scheletro. Anche la prestanza fisica, in questo caso, aiutava. La sua rivale, man mano che il tempo passava, si accorgeva di quanta resistenza quel ragazzino fosse in grado di opporre, e se ne meravigliò. Alla sua età, era sconcertante che si potesse combattere in quel modo. Certo, non aveva ricevuto un'istruzione da qualche spadaccino provetto, e questo si notava benissimo: i suoi colpi erano vigorosi ma piuttosto prevedibili, mancavano di quell'arguzia e di quel metodo che tornano sempre utili, come le finte. Anche la mira era un po' imprecisa. In compenso, quello non era di sicuro uno dei suoi primi scontri; aveva la prontezza di un guerriero ben più attempato. Era avvezzato a lottare, e non per ferire: Rickon Stark lottava per uccidere, sempre, in qualsiasi situazione. Doveva aver affrontato molti più aggressori di quanti ricordasse, e anche nei corpo a corpo. Sapeva come muoversi, sapeva come colpire, come schivare all'ultimo secondo, cosa fare nelle situazioni di difficoltà; metterlo con le spalle al muro era pressochè impossibile.
Brienne provò ad immaginare quanti pericoli e quanti dolori Rickon avesse dovuto sopportare, a quante peripezie avesse dovuto sopravvivere per aquisire un simile livello di abilità -le cicatrici che recava sulla pelle erano testimoni sufficienti- e ancora una volta avvertì una fitta al cuore all'idea che presto l'avrebbe ucciso. Solo un bambino, giusto poco più che un bambino. Figlio di Catelyn Stark...
Lo scontro, appunto, sarebbe parso molto interessante per chiunque se ne intendesse di armi e arte militare, ma Myrcella non rientrava certo fra questi. Il suo tentativo di raggiungere Rickon, inizialmente mandato a monte da Brienne, andò definitivamente in fumo. Cosa poteva fare? Solo rimanere lì, aspettare che Rickon uccidesse quella donna, e poi scappare, stringersi a lui e lasciarsi portare via, lontano, dove i Lannister non avrebbero più potuto trovarla, mai più... Già quelle scarse ore di prigionia le avevano dato un assaggio di cosa avrebbe significato essere costretta a vivere senza Rickon. L'avrebbe impedito, al costo di conficcarsi il corno di unicorno nel petto, a costo di conficcarlo nel petto di chiunque...
Quel pensiero le fece tornare in mente ch'era armata. Certo! Aveva ancora la lama nascosta nelle vesti! Adesso era il momento migliore per colpire Brienne alle spalle, mentre era distratta nel combattimento! Con il cuore che accelerava ansioso, Myrcella corse con la mano alla piega fra le gonne. Ma, proprio in quel momento,
-Myrcella?- La voce di Margaery sibilò nelle sue orecchie, facendola sussultare di spavento. Si voltò di scatto. La ragazza aveva attraversato la stanza, rimanendo addossata alla parete, e adesso s'era inginocchiata carponi vicino a lei. Myrcella non l'aveva mai vista ridotta in quelle condizioni: aveva gli occhi cerchiati d'insonnia e le unghie morsicate a sangue, ridotte a carne viva. Nei suoi occhi, c'era quel panico incontrollato che lei stessa aveva percepito vibrare nelle mani.
-Mar...gaery? Cos'hai fatto alle tue mani?- Myrcella le rivolse un'occhiata inquieta.
La regina dei Sette Regni le sogguardò, distrattamente, come se fosse la prima volta che le vedeva.
-Non lo so. Mi sentivo morire. Ero arrabbiata. Ero in pensiero... Ma lasciamo perdere, non ha alcuna importanza. Adesso ascoltami, devo chiederti una cosa, una cosa...- s'interruppe, Mordendosi il labbro inferiore e fissandola intensamente, disperatamente, quasi si stesse chiedendo se potesse davvero fidarsi di lei.
-I miei figli.- s'arrese alla fine, cedendo, le lacrime appese alle ciglia. -Tu lo sai dove sono? I miei bambini? Ti supplico, Myrcella, per amor degli Dèi... se mai mi hai voluto del bene, se mai c'è stato un momento in cui io e te eravamo amiche, complici, e ci fidavamo l'una dell'altra... anche se le cose sono cambiate, se io e te siamo cambiate... i tuoi nipoti, sangue del tuo sangue! Loro non hanno colpa. Dove sono i miei figli, Myrcella? Se lo sai, ti prego di-
-Non lo so.- si affrettò a rispondere Myrcella, scoprendosi commossa da quelle parole così accorate, così sincere sulle labbra di una persona come Margaery, una giocatrice che di solito non svelava mai le proprie carte. Questa confessione a cuore aperto era la dimostrazione di quanto fosse angosciata per la sorte dei suoi figli, al punto da dimenticare la cautela, dimenticare  gli inganni, dimenticare le regole del gioco. -Non lo so, dico davvero. Se lo sapessi, te lo direi. Sono la terza, dopo te e Tommen, a desiderare soltanto il bene di quei poveri piccoli. E questo te lo posso giurare.-
Percepì gli occhi ardere delicatamente, a quelle parole, ma le asciugò battendo le palpebre un paio di volte. Non poteva permettersi nulla, in quel momento.
Margaery annuì con il capo. -Non importa. Ti credo. Voglio crederti. Non so esattamente chi sei, ma so chi eri, e ho abbastanza storia alle spalle da avere appurato che il passato è spesso in parte presente.-
Myrcella sorrise con tristezza. Rivedere Margaery, parlare con lei, le aveva fatto pensare a com'era prima di Rickon. Non erano ricordi nè tanto brutti nè tanto belli: specchi vuoti, in cui si rifletteva la luce del sole di un'estate fittizia. Per distrarsi, si sforzò di ricordare qualcosa che potesse essere utile a Margaery.
-Prima, quando mio fratello è venuto qui, ha discusso con zio Jaime su chi dovesse fare la guardia a me e chi a lui stesso, ma non ha nemmeno nominato i bambini.- riflettè ad alta voce. -Ed è impossibile che li abbia lasciati incustoditi, quindi... probabilmente li ha fatti portare in un posto sicuro, quando si è accorto che Approdo del Re era minacciata. Ad ogni modo, non mi preoccuperei troppo, se fossi in te. Tommen sarà anche un molle e un imbecille, ma ama il suo sangue. Avrà sicuramente provveduto affinchè i vostri figli godano della massima protezione possibile...-
-Non ti preoccuperesti troppo.- ripetè Margaery, amaramente. -Ne riparleremo quando sarai madre. Non esiste peggior frustrazione, peggior sofferenza al mondo di vedersi strappare dalle braccia i frutti del proprio grembo, impotenti, senza poter fare nulla... vederli piangere e non poterli cullare. Ti auguro di non provare mai questa sensazione, Myrcella.-
Myrcella avvertì una strana sensazione di disagio, come se all'improvviso nella stanza facesse più freddo, e non seppe cosa rispondere. Intuizioni presaghe ed inarticolate le gravarono sulla lingua, ma le era impossibile esprimerle.
E fu allora -Rickon e Brienne stavano ancora incrociando le spade- che la porta si spalancò un'altra volta. Il cuore di Myrcella balzò in gola: il pensiero che si trattasse di una scorta reale, che avrebbe incatenato Rickon, che l'avrebbe reso prigioniero come lei -che l'avrebbe trafitto con una miriade di spade sotto i suoi occhi- le attanagliò le membra in un gelo mortale.
Non era una scorta reale. Era una sola persona. Un ragazzino biondo, alto come lei, con un mantello vermiglio.
-... Tommen?- Il tono della sua voce era più interrogativo che preoccupato.
Tommen aveva il fiato corto, ma pareva essersene dimenticato. Sulla soglia della porta, non guardava Myrcella; non guardava Brienne, che stava perdendo sangue da una spalla; non guardava sua moglie, riversa a terra, in quella stanza quando invece avrebbe dovuto essere chiusa in una prigione. Guardava Rickon. Come se fosse tutto ciò ch'esisteva al mondo.
Nel suo sguardo, sanguinava una ferita spalancata all'occhio della luce obliqua. Cosa provava in quel momento? Rabbia, dolore, paura? Aveva poca importanza. Ad inchiodarlo lì, davanti alla porta, era l'inevitabilità salda e precisa degli scontri segnati dal destino, con sangue vivo, sulla polvere dei campi di battaglia. A magnetizzarlo era l'attraente lucore nello sguardo del predatore, che lo chiamava, che lo lusingava, che lo impalava lì. Quel confronto doveva avvenire, e tale imperativo s'esprimeva nell'espressione di Tommen, schiusa ad una meraviglia nuova, abbacinata dalla realtà a cui i suoi pensieri più frequenti, i suoi desideri più respinti, i suoi timori più allettanti si erano convertiti.
Erano lì. Dovevano essere lì. Il silenzio taceva, quasi spaventato. I respiri s'imbrinarono a mezz'aria, senza osare dissolversi. Le pietre delle pareti parvero sul punto di sciogliersi.
Rickon non lo vide: lo fiutò. Invece di girarsi, temendo un attacco alle spalle, indietreggiò, così d'avere una visione d'insieme. Quando i suoi occhi azzurri incontrarono quelli gonfi di rabbiosa timidezza di Tommen, le pupille si dilatarono. Una strana eccitazione lo pervase. Un sorriso godurioso piegò le sue labbra.
-... adesso ci siamo proprio tutti. Giusto in tempo per morire, re Tommen.-
Tommen deglutì. Il modo in cui riusciva a dominarsi, in cui riusciva a mantenere gli occhi confitti nei suoi, era ammirevole.
-In tempo per ucciderti, Stark. Quello che intendo fare.-
Myrcella ridacchiò fra sè: nel suo sguardo splendeva una stella rossa, simile ad un araldo di morte. Uccidere...? Permise alla propria risata di diventare più impudente.
Rickon si avvicinò a grandi passi, solleticando il suo sguardo come avrebbe fatto con una daga.
-Speravo che venissi, sai? Il nostro primo incontro è stato un po' sbrigativo, quando invece io ci tenevo a prendermi la tua vita con calma. Ma sei qui, perciò ogni problema è risolto. Permettimi di ammirare la tua illibata fanciullezza...- Sollevò la punta della spada e, inaspettatamente, gli sfiorò soltanto un lungo boccolo sinuoso, aureo come filigrana. Lasciò che la luce lo baciasse e lo rimirò, soppesandolo, con un'espressione imperscrutabile. -Forse mi ci accanisco così tanto perchè la invidio. Me la strapparono presto.- Sorrise, con una nostalgia cattiva che ripassò i contorni neri delle sue cicatrici. -Ha i suoi lati positivi, è graziosa e pulita... ma ti intrappola in così tante menzogne.-
Tommen parò il colpo che tentò di decapitarlo direttamente, facendo un passo indietro a causa della potenza dell'impatto fra le lame, che si unirono con uno stridio. Era allarmato, ma la determinazione di tutti quei giorni d'odio impellente s'intuiva nella durezza delle labbra serrate.
-Menzogne, come quelle che hai raccontato a mia sorella per plagiarla?-
-Al contrario, piccolo re. Le ho raccontato la verità, solo la verità, ed è stato questo a... destarla.- Rickon gli girava intorno, come un avvoltoio che senta odore di sangue. -Le ho raccontato quanto fa schifo la vostra piccola famiglia perversa. Le ho raccontato quanto faceva schifo quella puttana di tua madre e quanto è valoroso quel menomato di tuo padre. - La sua voce, ormai, era un filo di seta. -Le ho mostrato quanta merda è seppellita sotto il vostro oro del cazzo. Lei è una creatura troppo pura per amare delle carogne come voi.-
-Pura?! Pura?!- Queste furono le paraole giuste per far esplodere il rancore compresso nell'anima di Tommen, che menò un fendente contro l'avversario. -Detto da te! Detto da te e la tua empietà! Un cannibale che parla di purezza!- sbraitò, le guance congestionate. -Tu che definisci mia sorella pura... dopo averla disonorata senza pietà!-
-Che ne sai di che cosa è successo al Nord?- Rickon parò il colpo di Tommen e allo stesso tempo di Brienne, che lo aveva attaccato alle spalle. -Vuoi che te lo racconti?- aggiunse con un ghigno. -O sei troppo geloso?-
Tommen tentò di affondare la spada nel suo petto. Ansimava. -Sei un mostro.-
-Che ne sai, tu, di chi sono io?- rincarò Rickon.
-Io so chi sei tu.- La voce del giovane Lannister divenne sempre più scabra, più affilata, quasi intagliata.
-E io so chi sei tu. Una graziosa fanciullina dalla chioma dorata che non sa tirare una stoccata come si deve.- Rickon parò un colpo di Brienne e, allo stesso tempo, sferrò un fendente a Tommen. -E che, se non vuole pagare i suoi debiti con le buone, lo farà con le cattive.-
Il ragazzo arretrò e tossì. La sua voce era distorta da una nota esasperata.
-Pagare i miei debiti? Io non ho fatto...-
-Io_non ho fatto_niente_di male.- Le parole di Rickon suonarono quasi cantilenanti. Un colpo. -Conosco queste parole. Le ripetevo in continuazione, come una preghiera. Come fai tu. Io_non ho fatto_niente_di male. Io_non ho fatto_niente_di male. Io_non ho fatto_niente_di male.- Un colpo. -E lo sai qual è unico modo per accettare il proprio destino senza la sensazione di stare subendo un sopruso?- Un colpo. -Fare qualcosa di male.-
Si nutriva della paura dell'avversario come in passato gli altri s'erano nutriti della sua. Cercava l'occasione per ridurre in polvere la stoica tenacia di Tommen, lo attaccava dove sapeva esserci i punti dolenti. Intanto, lo costringeva lentamente ed inevitabilmente al muro.
-È doloroso alzarsi al mattino e scoprire che non tutte le persone del mondo ti vogliono bene, vero, Tommen?- Avanzò, avanzò ancora. -È doloroso rendersi conto che la vita non è rose e fiori come credevi quando tua madre ti cantava la ninnananna.-
Con un gesto fulmineo, Rickon sferrò un fendente potentissimo al polso di Brienne, che con un gemito strozzato vide la spada caderle di mano. Rickon mise subito un piede sull'elsa. Intanto, disarmò Tommen ed afferrò anche la sua spada. Infine, si lasciò andare ad una risata denigratoria. Tommen Lannister non si mosse: si limitò a fissare gli occhi di Rickon, in silenzio.
Il suo avversario gli sfiorò il mento con la lama. -Re... ma di cosa pretenderesti di essere re, esattamente?-
A quel punto, Myrcella aggrottò la fronte. Si era resa conto di quel che stava per succedere. Per quanto avesse aperto gli occhi su quanto suo fratello fosse stupido ed incapace, ciò non significava che voleva vederlo morto. Lì, in quel momento, poi; in quel modo... No, si pentiva di ogni maledizione che gli aveva rivolto, all'improvviso riconosceva in lui il bambino con cui aveva condiviso tanti giochi, tante piccole giornate assolate e felici. Cercò le parole giuste, inutilmente.
-Rickon... credo che prima, insomma, non vorrai...-
Tommen guardò il suo avversario come se desiderasse estirpargli l'anima dagli occhi. Chi si brucia, non teme più il fuoco.
-Cosa stai aspettando, Stark? Non è quello che più desideri? Darmi la morte non è ciò che più ti renderebbe felice? Allora avanti. Fallo.-
Almeno, così, sarebbe morto con onore: Margaery e Myrcella e Brienne, in seguito, avrebbero raccontato di come lui si fosse strenuamente difeso, prima di soccombere. Non sarebbe stato ucciso mentre implorava pietà -Rickon Stark non glie l'avrebbe mai concessa, ma anzi, si sarebbe divertito ancora di più ad ascoltare i suoi piagnucolii, avrebbe reso la sua agonia ancora più lunga e dolorosa. Invece, in questo modo, sebbene Tommen fosse stato ugualmente sconfitto, la morte sarebbe giunta per mano di un guerriero temibile e potente com'era Rickon Stark, quindi nessuno avrebbe avuto di che schernirlo; sarebbe stato difficile per chiunque sopravvivere ad un avversario simile, anche a spadaccini molto più esperti di Tommen.
Così, forse, suo zio Jaime sarebbe stato orgoglioso di lui; così suo padre, dall'alto dei cieli, si sarebbe pentito di non averlo degnato d'alcuna attenzione, quand'era in vita, e avrebbe dovuto riconoscere che Tommen aveva il coraggio di un vero Baratheon. Così, magari, in futuro Nathaniel e Lionel avrebbero dichiarato con fierezza di essere figli di Tommen. Oh, i gemelli: quasi gli vennero gli occhi umidi dal sollievo, al pensiero ch'erano al sicuro, lontanissimo da lì, da quella guerra, da quella catastrofe, da quel mare di sangue...
Nel frattempo Margaery, con le spalle al muro, incrociò lo sguardo di Brienne, attirando imperiosamente la sua attenzione. Inarcò le sopracciglia, poi allungò lo sguardo fino alla grossa catena avviluppata su se stessa, sul pavimento, come un serpente di ferro. Brienne sgranò gli occhi, interdetta, comprendendo quel che veniva invitata a fare; la regina dei Sette Regni si limitò ad annuire impercettibilmente, e nei suoi occhi chiari c'era l'autorità incontrastabile delle regine di sangue, anzichè di forma. Brienne seppe di non potersi sottrarre. Chiuse gli occhi, affranta in cuor suo, raccogliendo tutta la concentrazione di cui il suo animo era capace.
-Questa è una partita senza regole, piccolo leone. Puoi imporne quante ne vuoi, ma non c'è modo di costringere il destino a seguirle.- Rickon fece dondolare ancora la spada a fior della sua pelle, sorridendo con insolenza. -Una fottuta partita senza regole... Addio, piccolo Tommen. Porta all'inferno un messaggio per la tua cara mammina e il tuo caro nonnino. Dì che...-
L'ultima cosa che Rickon rilevò fu che, negli occhi del ragazzino di fronte a lui, era riflessa la propria stessa rabbia. La stessa, solo imprigionata in iridi verde smeraldo anzichè azzurre. 
Quel che seguì, avvenne molto velocemente. Brienne, afferrata l'estremità della catena fra le dita, balzò contro Rickon. Glie la avvolse stretta attorno al collo, trascinandolo giù e facendogli picchiare la nuca contro il pavimento, e strinse strinse strinse, fino a che gli anelli non incisero la carne e gli strozzarono il respiro in gola. Tommen Lannister sussultò dallo stupore, ritraendosi contro la parete; Myrcella Lannister s'irrigidì come se una freccia le avesse trafitto la trachea, prima di cominciare a gridare a gola spiegata.
Brienne issò Rickon al suolo, appellandosi disperatamente alla propria forza. Tenerlo fermo non era facile. La spada gli era scivolata dalle dita, ma continuava a divincolarsi come un demonio, tentando vanamente di vincere la morsa che gli strappava il fiato. Sembrava posseduto da una maledizione: scalciava e si sbracciava, con un vigore frenetico, mentre il suo viso si faceva sempre più infiammato. Le labbra si contraevano in respiri corti e veloci, sempre più radi.
Così come Rickon soffocava, anche Myrcella sembrava farlo insieme a lui. Fine. Fine. Fine. Fine. Cosa stavano facendo al suo Rickon? Cosa stava succedendo? No, era tutto così sbagliato. Questa non è una bella storia, Myrcella, diceva sempre così, lui. Questa non è una bella storia. Rickon, Rickon il guerriero che rideva sprezzante d'ogni nemico, Rickon il bambino che s'abbandonava nel suo grembo per dormire... Rickon con il mento che gocciolava di sangue fresco e Rickon che permetteva, seppur mettendo il broncio, che Myrcella infilasse un pettine nella sua chioma selvatica. Rickon a sei anni, con i riccioli infantili al vento, e Rickon a sedici, che le sorrideva con crudeltà sulla cima della torre di vedetta di Runestone. Quel giorno pieno di terribile bellezza. Andiamo, ragazzina, pensi davvero che morire ti sarà così facile? Alzati. La prima volta che l'aveva presa, nelle segrete di Grande Inverno. Non ti verrà mica da piangere, vero? La confusione, la speranza, il dolore, la perdita, la promessa, non piangerò mai davanti a te, Rickon Stark. Il sapore del fuoco sulla sua pelle, quel penetrante, acre odore di fiamme che impregnava il mantello di ermellino che le aveva regalato, e il modo in cui l'aveva guardata dopo, quando indossava quell'abito giallo, il braccio che le aveva avvolto attorno alla vita alle Torri Gemelle, di fronte a Tommen, e quel bacio così pienamente bello e appassionato che le aveva concesso, il calore del suo corpo contro il rigore dell'inverno, il calore del loro amore contro il resto del mondo. Ci rivedremo stasera, e stasera faremo tutto quello che vorrai, le aveva promesso, quel sorriso, quell'ultimo sorriso, l'ultima carezza, la fine, fine, fine. E più niente.
Niente. Tutto_questo_stava morendo. Rickon stava morendo, l'aguzzino che tanto aveva detestato stava morendo, l'uomo che tanto aveva amato stava morendo. Rickon, forte com'era, indifeso com'era.
Niente. Prima il mondo, la vita. Poi niente. Fine.
Fi-ne.
Prima che potesse slanciarsi per soccorrerlo, le palme delle mani che strisciavano graffiando la pietra, Margaery la afferrò per le braccia.
-No, Myrcella. No.- le sussurrò all'orecchio. Poi rivolse uno sguardo alla figura di Rickon, che si contorceva a terra. Un sorriso sinuoso arcuò le sue labbra. Quando parlò, lo fece quasi inconsapevolmente.
-Una regola c'è, Rickon Stark. Chiunque può morire.-
Brienne attese affranta la morte del ragazzo ancorato al suolo; le mani impugnavano la catena fino a tremare dallo sforzo. Si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto, affinchè i suoi occhi si spegnessero della luce vitale e smettessero di sgranarsi furiosi contro la luce delle lampade. Non osò alzare lo sguardo dalla propria vittima, quasi temendo che proprio allora egli avrebbe potuto scampare, però riuscì a visualizzare la scena: al suo orecchio, giungevano distintamente i folli latrati di Myrcella Baratheon e la risata sguaiata e spezzata della regina Margaery.
Poi, giunse qualcos'altro. Un lungo, efferato grido di guerra, che tonava nella tromba delle scale laggiù in basso. E comprese: la Fortezza Rossa era caduta.
-Dobbiamo andarcene, Vostre Altezze- ansimò. -Stanno arrivando. Uomini del Nord... invasori. Non possiamo passare per le scale.-
-La botola.- ribattè prontamente Tommen. -Usciremo da lì... Prima, lascia che sia io ad ucciderlo.-
Nei suoi occhi, balenò la stessa scintilla di freddo, oscuro raziocinio che aveva dominato quelli di Cersei.
-Non c'è tempo!- Margaery faticava a trattenere Myrcella. -Ormai non respira più, mio re! Dobbiamo scappare al sicuro! Aiutami, te ne prego, non riesco ad immobilizzare tua sorella da sola...-
Il corpo esanime di Rickon sul pavimento. No, il corpo morto di Rickon sul pavimento. Labbra sgranate nell'ultimo respiro. E il pensiero? A cosa avrà pensato, alla fine? Cosa sostituiranno alla sua testa? Quella di Cagnaccio? Myrcella cercò il fondo a quel pozzo d'orrore, sempre più giù, sempre più dolore, nulla, basta, Rickon dove sei, perchè, perchè, vienimi a salvare, ti prego, ti prego ti prego NO ti prego Si contorceva come sotto strumenti di tortura, strappando disperatamente tutti ciò che riusciva ad afferrare.
La regina dei Sette Regni spostò la grata con un calcio e Tommen, seppur riluttante, afferrò la sorella per i polsi, calandola nel passaggio segreto. Brienne guardò il ragazzo. Non si muoveva più. Aveva smesso di agitarsi. I suoi occhi erano irreparabilmente fissi e vacui, le sue labbra esangui, quasi bluastre. Ormai, i segni della catena al collo erano diventate escoriazioni sanguinanti. Era morto? Così sembrava. Per buona misura, avrebbe potuto tagliargli la testa...
Le mancò il coraggio. Il volto di Catelyn Stark apparve di nuovo nella sua mente, chiaro nel suo pacato splendore. Brienne, quasi disgustata da quel che lei stessa aveva fatto, rinfoderò la propria spada e si affrettò a seguire il re e la regina nella botola. Se gli dèi lo volevano, Rickon Stark non era più il flagello dei Sette Regni. Se non lo volevano... beh, probabilmente Brienne avrebbe avvertito il cuore meno pesante.
Brienne era indietro, Tommen e Margaery eccitati e sconvolti e distratti da ciò ch'era accaduto. Era quello, il momento giusto. Myrcella non pensava più a niente.
Esplose, soltanto. Sfoderò il corno che nascondeva fra le gonne e, sopraffatta da quell'urlo che le fischiava nelle orecchie no no no no no no no no no no no no no no non può essere successo non può stare succedendo oh no no no no ti prego no nocom'è possibile cosa è successo perchè no non voglio ti prego no, la puntò alla gola di suo fratello.
La galleria era buia, angusta. Lo sfavillio della lama tagliò la cortina di tenebre.
Tommen sobbalzò. -Myrcella, cosa... che stai facendo?-
Tutti Lannister vi ucciderò tutti tutti maledetti demoni vi ucciderò uno per uno berrò il vostro sangue e mangerò la vostra carne vi ucciderò vi ucciderò vi uccido tutti adesso vi uccido vi uccido tutti
-Ti uccido, Tommen.- Udì la propria voce scivolare estranea dalle labbra.
***
Arya Stark irruppe nella torre, il petto scosso dagli ansiti. Gendry Baratheon le guardava le spalle, circondato dai soldati.
La ragazza s'immobilizzò alla soglia della stanza, inorridita. -Oh, no.-
-Cosa...?- Gendry lanciò un'occhiata, e nessun altra parola raggiunse le sue labbra, se non -Arya, tu non sai quanto-
-Rickon!- Arya Stark cadde sulle ginocchia, come se una mazza da guerra glie le avesse tranciate. -Un Maestro... chiamate un Maestro!-
Gendry le pose una mano sulla spalla, delicatamente. Si chinò a baciarle la nuca.
-Mi dispiace. Mi dispiace, amore mio...-
-Vivrà.- La voce della ragazza fendette la luce, sibilando come un fendente di spada. Le sue labbra tremarono. -Lui vivrà. È sempre sopravvissuto. Vivrà.-
Gendry Baratheon non rispose.
***
La notte era ormai fonda come una fossa, tanto che le stelle riposavano nell'oscurità come gocce di rugiada ad imperlare una ragnatela. L'umidità dell'erba bagnata soffiava dallo spiraglio della tenda che s'era venuto a formare, facendo rabbrividire le fiammelle delle candele, allineate ordinatamente su ogni superficie disponibile. La donna sospirò impercettibilmente, infastidita dall'intrusione, senza darlo troppo a vedere.
Il frate rosso attendeva impazientemente che lei parlasse: la fissava con un'insistenza quasi sgarbata. Melisandre decise di ignorarlo finchè non si fosse stancato. Non aveva nulla da dirgli, e comunque non voleva essere disturbata per questioni futili come quelle che stavano per esserle sottoposte.
-Quando hai intenzione di procedere?- domandò infine l'uomo, dopo lunghi minuti di silenzio.
Il giovane prigioniero giaceva lì, nella tenda, mollemente abbandonato su una branda da campo dalle federe bianche e traforate. Il suo viso aveva ceduto ad un languore tormentato; i lineamenti distesi, di tanto in tanto, si contraevano appena in un riflesso involontario, per poi quietarsi di nuovo. Melisandre osservò le sue palpebre chiuse, le fitte ciglia scure in contrasto con il deperito pallore degli zigomi smunti. Una vena del collo martellava pulsazioni rapidissime, quasi che nel suo inconscio il ragazzo si rendesse conto dell'insospettabile condizione di pericolo in cui versava.
-All'alba.- rivelò infine la donna, senza distogliere lo sguardo dal volto assopito del suo prigioniero. -Il sole di un nuovo giorno si nutrirà del fumo delle sue ceneri, e da domani splenderà più fulgido. Un altro passo verso la Luce sarà stato compiuto.-
L'uomo non parve soddisfatto dalla risposta.
-Presto i suoi alleati verranno a cercarlo. Per questioni di prudenza, il momento migliore per agire sarebbe adesso.- le fece notare, contrariato.
Melisandre lisciò le coperte, che avvolgevano il corpo di Bran Stark fino al petto. Le sue unghie cremisi catturarono il luccichio ambrato di quella flotta di candele accese, un esercito schierato contro il buio che imperversava all'esterno, con il compito di scacciare il freddo dell'inverno.
-Il momento migliore per agire è all'alba.- ribadì, senza che la sua voce s'alterasse dalla propria liscia fermezza. -O forse che noi non siamo tenuti ad eseguire i precetti di Rh'llor?-
Il frate non protestò; quasi intendendo ch'era una perdita di tempo, uscì senza dire altro.
Melisandre pensò a Stannis: era l'unica minaccia che avrebbe potuto profilarsi all'orizzonte. Magari avrebbe tentato di fermarla per questioni di lealtà, per tenere fede alla parola data, ed era ovvio che lei non avrebbe mai fatto nulla per danneggiare Stannis. Era bene che lui rimanesse fuori da questa storia e non venisse a sapere niente, fino a che la questione non fosse stata chiusa una volta per tutte. Non mancava molto, in realtà.
Dopo un quarto d'ora, fu nuovamente disturbata mentre pregava. Questa volta era un'ancella ad importunarla. Portava una brocca d'acqua e un piatto di bronzo, carico di frutta succosa.
-Per voi, mia signora.- sussurrò, evidentemente agitata. Era solo una novizia: ancora non portava il mantello rosso, ma soltanto un velo di tulle fra i capelli, ad intrecciarsi con la semplice pettinatura della chioma nera.
-Ti ringrazio, bambina.- Melisandre le rivolse un sorriso di circostanza e le fece cenno di appoggiarlo su un tavolo. La ragazza obbedì.
In quel momento, le labbra di Brandon Stark si mossero in una smorfia d'inconsapevole smarrimento. Dopo qualche istante, le palpebre fremettero. L'approssimarsi del risveglio indurì i suoi tratti, come se tutto il dovere del mondo si riversasse di nuovo sulle sue spalle.
Melisandre reagì con estrema tranquillità; allungò il braccio verso la coppa, che aveva precedentemente preparato e messo a portata di mano. La manica del mantello, scoprendole il braccio, rivelò un'ossatura fine ed un'incarnato bianco come il latte. Il prigioniero, intanto, cercava di scuotersi di dosso l'eco del sopore.
-Jojen...- invocò in un roco bisbiglio, contraendo le guance, impedito nello sforzo dell'orientamento.
Melisandre sollevò delicatamente la testa del ragazzo con una mano, mentre l'altra stringeva lo stelo della coppa.
-Dormi.- sussurrò in risposta, piano. -Adesso devi riposare. Tutto si risolverà.-
Non appena l'orlo del bicchiere gli sfiorò le labbra, Bran le schiuse docilmente; la giovane ancella assisteva, rapita e spaventata allo stesso tempo da quello che vedeva. Egli sorseggiò il decotto senza fretta, il peso del capo abbandonato completamente nell'incavo del palmo della donna. Non appena la coppa fu vuota, Melisandre lo riadagiò sul cuscino.
L'ancella guardò Melisandre con un po' esitazione, prima di parlare, quasi cercasse le parole giuste per non sembrare impertinente.
-... ma è proprio necessario che muoia? E in un modo così orribile?-
Melisandre sorrise della sua ingenuità; ad altri non avrebbe perdonato un simile abbaglio, ma lei era ancora molto inesperta e stava imparando, quindi non vide nessun motivo per non risponderle con sincerità.
-Sembra un'idea atroce, vero?- concordò, lanciando un'ultima occhiata al volto addormentato del re del Nord, che anche l'ancella stava contemplando con malinconia. -Eppure è l'unico modo per liberarlo dalla dannazione che ammorba il suo spirito. A te appare soltanto un tuo coetaneo, un giovane innocente, eppure non lo è affatto. È uno strumento del Dio Estraneo, adesso.-
-Come è potuto succedere?- si sbalordì lei.
-Il sangue che scorre nelle sue vene è antico.- spiegò Melisandre, un vago bagliore a distrarre le sue iridi. -E spesso il Dio Estraneo approfitta dei momenti di debolezza e di dolore degli uomini per impossessarsi della loro anima. Colui che vedi di fronte a te ha ceduto se stesso all'oscurità, permettendole di avere la meglio su di lui ed acquisendo poteri che nessun mortale dovrebbe mai sperimentare. Poteri nefasti, d'inarrestabile letalità, di sconfinata depravazione.- La mano di Melisandre andò ad accarezzare il mento di Brandon, lieve come quella di uno spettro. -Ormai per la sua vita non c'è nulla da fare, ma il suo spirito non è condannato per sempre: può guarire, infatti. Può essere purificato delle sue colpe, attraverso la Luce. Il nostro è un Dio magnanimo, Viviette, che concede sempre una seconda possibilità.-
Viviette era confusa. -Ma... non è giusto che muoia. Se è stato il Dio Estraneo ad avvelenarlo con questi crudeli poteri, perchè deve pagare con la vita?-
-Non devi essere in pena per lui, mia cara.- la rabbonì la donna, con un sorriso enigmatico, passando le dita immacolate fra le ciocche scure del prigioniero. -La sua anima soffre con grande angoscia, costretta in questo corpo perverso dal Buio, e le è impossibile trovare la pace. Quando giungerà la liberazione, per mezzo della Luce, - (per mezzo del fuoco, pensò Viviette) -Brandon Stark raggiungerà la beatitudine. La sua morte sarà soltanto l'inizio di una vita più bella.-
Viviette annuì, anche se non troppo convinta. Non vedeva l'ora di lasciare quella tenda, per la verità. Melisandre la spaventava, e anche quel suo grosso rubino che portava sempre appeso al collo e che sembrava nutrirsi della luce del mondo intero, lasciando l'umanità ad annegare nel buio.
-Perchè la notte è scura e piena di terrori.- recitò speditamente, chinando a testa.
-Perchè la notte è scura,- Melisandre levò lo sguardo a contemplare le fiamme che si arricciavano e dibattevano funeste nel caminetto, quasi intenta a rimirare qualcosa di estremamente lontano, -e piena di terrori.-
Il pelo scuro di Estate, che giaceva in terra al fianco del suo protetto, lampeggiò del colore del rame. La notte perseverò nel suo buio, come un impudico peccatore, e Melisandre attese l'alba ad occhi socchiusi.




























Note dell'Autrice: Come potete vedere, ci sarà ancora un altro capitolo prima dell'epilogo. Spero che abbiate ancora il tempo di sopportarmi per un mesetto! ^-^
Abbiamo un nuovo squarcio su Levenna e le sue dis-avventure amorose con lo zietto innamorato del padre. Ma che è, Beautiful??? XD (www.sputtaniamolanostrastessafanfiction.it)
Ahi ahi, per Rickon si mette maluccio. E la Fortezza Rossa? Cadrà davvero nelle mani dei Baratheon? E che fine farà Tommen? E che fine farà Bran?
Spero che mi farete sapere la vostra opinione, è molto importante per me! Grazie per aver letto questo mastodontico capitolo,
Lucy
ps: episodio 5, stagione 4.
"Bran, sei sicuro di voler andare a vivere una bella vita, sicura, felice e serena con tuo fratello Jon, anzichè sperderti in qualche landa desolata oltre la Barriera alla ricerca di un pennuto geneticamente modificato???"
"... adesso che mi ci fai pensare, Jojen..."
OH, Jojo, VAFFANCULO. La gelosia ti gioca brutti scherzi.
  
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