Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Harley Sparrow    13/05/2014    11 recensioni
|Helsa| |Hans + Elsa| |ho pubblicato anche il seguito, Fix You|
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Un amore che non diede loro la forza di volare, ma di lasciarsi precipitare. E tornare a vivere.
*
"Ora capisco per quale motivo siete qui..." [...] Elsa strinse la tazza fra le mani, aggrappandosi a essa come se fosse l’unico modo per non cadere "vi siete resa conto che qualche anno di pace non è stato sufficiente per guarire le ferite di una vita, non è così?"
Lo guardò sbigottita e si affrettò a squittire un "no!" che rivelò tutta la sua fragilità e insicurezza.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa, Hans, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bring me to Life'
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Note introduttive:
Questa cosa dovete proprio saperla: ieri, quando ho aperto il file per sistemarlo, ho SERIAMENTE rischiato di cancellare tutto, quindi onorate la Dea bendata (per chi non lo sapesse, la Fortuna) se non ho premuto 'salva le modifiche' dopo aver cancellato tutto. E se ora lo state per leggere, perché altrimenti lo avrei riscritto dopo settembre. Forse. Vi giuro, stavo per mettermi a piangere.

 
Comunque…
 
Questo capitolo inizialmente non era previsto, ed è stata una fortuna che abbia ascoltato questa canzone di West Side Story, perché praticamente mi ha dettato le parole che leggerete a breve…
Love Will Find a Way (presa dal Re Leone 2) mi ha dettato il resto. Tanto amore per quella canzone.  
È lungo tipo…il triplo del solito, quindi avrete molto su cui riflettere mentre io sistemo l’epilogo.
Se volete ascoltare le canzoni:

QUI (cliccate sopra il QUI) c’è A boy like That *.*
E QUI Love Will find a Way <3 (un po' di sana Disney non fa mai male)
 
Questo è praticamente l’ultimo: tra molti giorni (non meno di dieci, credo) pubblicherò l’epilogo, quindi avete tutto il tempo per recensire leggete con calma. E recensite.
 
 
Ci si vede alla fine del capitolo, sempre che ci arriviate.

 
 
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Capitolo 8
 
 
 
Parte prima
 
A BOY LIKE THAT
 
La notte è più buia subito prima dell'alba.
[Batman: The Dark Knight]
 
Erano ormai passati quindici giorni da quando Elsa aveva fatto ritorno nella sua patria.
 
"Promettimi..." aveva detto ad Hans portando le mani al colletto della sua camicia sbottonata, per sistemarglielo, "Promettimi che non farai stupidaggini."
Aveva il terrore che la nuova separazione lo avrebbe logorato a tal punto da commettere sciocchezze, come tentare di fuggire, o uccidere qualche guardia in un impeto di rabbia, o spifferare a tutti quello che c'era stato – e c'era ancora – fra loro. Le aveva raccontato quanto fosse deprimente la solitudine in cui versava… Ovviamente non aveva detto espressamente questo: si era limitato a dirle che c’erano stati dei giorni in cui avrebbe volentieri preso a pugni qualcuno, ed era stato facile per Elsa cogliere l'enorme sofferenza che doveva sopportare. E poi l'aveva spaventata quando, ovviamente con noncuranza, le aveva riferito le ultime parole che un suo fratello gli aveva dedicato, sulla ghigliottina.
"Quando tornerai?" le aveva chiesto a sua volta, prendendole le mani e stringendole fra le sue. Non le avrebbe mai promesso un bel niente.
"Non lo so..." mentì, in un certo senso: non gli aveva detto niente del suo piano per non illuderlo nel caso ci fosse voluto molto più tempo del previsto. E poi voleva che fosse per lui una sorpresa. "...Ma tornerò da te, prima o poi." concluse sorridendogli.
 
"Non avevi i capelli legati quando sei arrivata?" le chiese quando ormai erano sul balcone, mentre, appoggiato a parapetto con le braccia incrociate, la guardava far nascere la scala di ghiaccio, per l'ultima volta.
"Non riuscivo a trovare il nastro." rispose lei evasiva, senza guardarlo e continuando il suo lavoro. In verità lo aveva lasciato sullo scrittoio.
 
Si erano lasciati così. Elsa si era imposta di non piangere, e ci era riuscita; anzi, a dire il vero non aveva ancora versato una lacrima da quella notte in cui aveva deciso il proprio futuro… e quello di Hans.
 
Avrebbe parlato con Anna, poi lo avrebbe annunciato al Gran Consiglio di Arendelle, e poi si sarebbe presentata al cospetto della corte delle Isole del Sud e avrebbe avanzato la sua richiesta di scarcerarlo. Infine sarebbe corsa da lui e lo avrebbe fatto liberare dalla sua gabbia dorata. In teoria.
 
Passate due settimane sentiva di non essere ancora sicura di riuscire a sostenere una discussione del genere con Anna, e continuava a rimandare. In teoria, secondo i piani che aveva elaborato silenziosamente mentre beveva con Hans il tè che gli aveva promesso, in quel momento doveva già averlo accanto, da almeno quattro giorni.
 
Appena tornata ad Arendelle era stata sommersa da migliaia di compiti, al punto che non era riuscita a stare da sola con i suoi pensieri per più di cinque ore, ore che doveva usare per dormire. I dieci giorni nel regno di Corona non erano stati per nulla riposanti, specialmente gli ultimi.
Inoltre aveva dovuto dare udienza a molti suoi cittadini e a diplomatici di regni lontani e vicini che non erano a conoscenza del suo viaggio, e si erano accalcati a palazzo per attenderla.
 
Verso la fine della settimana era riuscita a ritagliarsi un pomeriggio intero, che utilizzò per farsi una gita al suo castello di ghiaccio, alla Montagna del Nord, dove finalmente riuscì a rimanere sola con sé stessa e decidere sul da farsi.
Ci era tornata solo un paio di volte, una delle quali per recuperare la sua corona, l'altra, qualche mese prima, per rimanere un po' da sola.
Aveva deciso di lasciare tutto come era rimasto quando Hans era arrivato e l'aveva portata via, una vita prima. Il lampadario di ghiaccio era ancora a terra, frantumato, e gli affilati pezzi di ghiaccio con cui stava per uccidere quei due soldati erano rimasti al loro posto, immobili, raccapriccianti. Non sapeva esattamente perché avesse deciso di non cancellare le tracce della sua mostruosità, all'inizio: forse perché voleva tenerlo come monumento per ammonirla su quanto pericolosa fosse ancora. Due anni non sono abbastanza per cancellare le ferite di una vita, giusto? Le ricordarono le parole di Hans. Quanto aveva avuto ragione, dovette ammettere mestamente.
 
Si sdraiò per terra in mezzo a quella stanza subito dopo essersi trasformata il vestito in puro ghiaccio argentato. Aveva dovuto dire addio anche a quell'aspetto della sua libertà: non voleva mettere in imbarazzo chiunque le si avvicinasse. E poi, pensò sorridendo, con Hans si sarebbe sciolto nel giro di pochi istanti, probabilmente.
 
Rimase a fissare il soffitto per molto tempo, cercando di svuotare la mente da tutte le preoccupazioni che aveva dovuto affrontare in quei giorni e lasciò che il pensiero di Hans si insinuasse lentamente dentro di lei. Doveva dirlo ad Anna.
Sapeva che la sorella sarebbe stata lo scoglio più difficile da superare, ma tutto il resto sarebbe partito solo da lei e dalla sua approvazione. Avrebbe dovuto calibrare attentamente le parole per dirle quanto amava quell'uomo; avrebbe dovuto trovare un modo per spiegarle che anche lui l'amava, stando però attenta a non scendere nei particolari. Non poteva, infatti, confidarle di essersi concessa a lui ogni singola notte dei giorni precedenti: come minimo non le avrebbe più rivolto la parola. Era elementare che lei capisse quanto quell'amore fosse giusto per i due: solo così le avrebbe permesso di portarlo lì, ad Arendelle. La convivenza sarebbe stata un inferno, ma questo era un problema del tutto secondario. L'avrebbe affrontato con lui, per lui. E poi non era detto che lui l'avrebbe seguita. Magari l'avrebbe ringraziata per poi intraprendere una strada diversa, il mare, forse, dato che lo amava tanto. Ma Elsa ne dubitava: era troppo forte il sentimento che li aveva stretti insieme.
In ogni caso sarebbe andata da lui senza la pretesa che la sposasse, nonostante tutto quello che avevano fatto. Voleva solo che lui fosse felice, il resto rimaneva solo un punto di domanda in mezzo al vuoto. E poi doveva ottenere la 'benedizione' di Anna prima di iniziare a pensare a matrimonio e a felicità.
 
Rimase nel suo castello finché non vide il cielo infuocarsi. Prese la strada per Arendelle ed entrò nel castello quando ormai calava la sera. Cenò con Anna e Kristoff in tutta tranquillità: le avrebbe parlato il giorno dopo, ora erano tutti troppo stanchi per affrontare discussioni del genere.
E poi doveva ancora studiare le parole che le avrebbe detto.
 
*
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*
 
Era un giorno soleggiato di primavera quello in cui uscì dalla Sala del Consiglio e, al posto di andare in camera sua per riposarsi, girò a destra e oltrepassò il portone che portava fuori dalle mura del castello.
Trovò la sorella mentre pattinava sulla pista di ghiaccio con Kristoff, che la sosteneva teneramente. A quella visione si chiese se, in un'altra vita, sarebbe stato quello che avrebbe dovuto vedere tutti i giorni, ma con Hans, al posto di Kristoff.
"Anna?" le urlò sovrastando con la voce i pensieri che le si erano appena formati nella mente come avvoltoi neri pronti a beccarle gli occhi.
"Sì?" le rispose dall'altro lato della pista, con la voce spensierata che assumeva quando Kristoff si trovava accanto a lei.
"Devo parl…–" le disse con una vocina che le morì prima di terminare la frase. "Devo parlarti." ripeté a voce alta. Non poteva crollare prima di iniziare: cosa avrebbe fatto Hans se l'avesse vista? Riderebbe di me, ovvio, si rispose all'istante.
"Certo, arriviamo!" le rispose dirigendosi verso di lei, seguita dal fidanzato.
"No. Solo...Solo con te devo parlare." le disse nervosa, gettando uno sguardo di scuse a Kristoff. Tanto presto lo avrebbe saputo anche lui, ne era sicura.
"Oh. Va bene, arrivo." le rispose guardandola spaesata, come per chiederle se andasse tutto bene.
"Ti aspetterò nella mia stanza." le disse dandole le spalle e tornando nel castello a grandi passi, come se stesse scappando. Anna rimase ancora qualche minuto con Kristoff, chiedendosi allarmata cosa fosse successo.
 
Elsa entrò nella sua stanza con il cuore in gola e il fiato spezzato: non riusciva a respirare per la quantità di angoscia che provava.
Si sforzò di pensare ad Hans e ai loro ultimi incontri per calmarsi, per trovare una spinta ad andare avanti. Per lui.
 
*
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“Non me lo dai un bacio?” le aveva chiesto con la voce troppo alta, a parere di Elsa. Lo aveva subito zittito mentre si versava il tè nella tazza con un sorriso divertito sulle labbra. Alla fine era riuscita a ritagliarsi un’ora del suo ultimo giorno nel Regno di Corona, per stare con lui alla luce del sole.
Quando finì di mettere lo zucchero – tanto zucchero – nella sua tazza, la prese fra le mani e si alzò. Quando si pose davanti alla porta, Hans la guardò esterrefatto – per un attimo temette che volesse uscire –.  La vide sollevare una mano contro di essa e congelare i cardini. Sorrise quando capì cosa stesse facendo: evitare irruzioni improvvise delle guardie o di qualunque altro rompiscatole. Geniale.
"Perché non lo hai fatto prima?" le chiese sospettoso, divertito.
"Non mi era venuto in mente." rispose in tono colpevole, dirigendosi verso lo scrittoio al quale erano seduti, ma, al posto di sedersi sulla sedia di fronte a lui, appoggiò la sua tazza accanto a quella del principe e gli si sedette sulle gambe. Gli prese il viso fra le mani e, prima che lui potesse ribattere, lo baciò.
Quando si staccarono, – dopo un bel po’, a dire il vero –, gli sussurrò, sorridendo radiosa “Quanto tempo!”. Lui la scrutò mentre si voltava tranquillamente verso il tavolino e versava del tè nella sua tazza. Quando gliela mise fra le mani, Hans, che non aveva staccato gli occhi da lei per un solo istante, ripeté “quanto tempo…” sorridendo a sua volta e stringendola forte a sé con un braccio.
 
Sussultò quando Anna fece irruzione nella sua stanza chiedendole di cosa dovessero parlare: il sorriso che le si era stampato sulle labbra a quel ricordo si dissolse all'istante.
"Siediti." le ordinò nervosa, almeno però la voce era tornata ad essere salda.
"D'accordo..." le rispose la sorella titubante. Elsa rimase in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro, cominciando col farfugliare "C'è una cosa che devi sapere...È da molto che vorrei dirtelo, ma temo di non riuscire a trovare le parole giuste per non..." farti arrabbiare, concluse nella sua mente.
"Elsa, sai che puoi dirmi tutto..." incominciò Anna, muovendosi inquieta sulla sedia. A quelle parole la regina si fermò a fissarla. Era davvero il momento giusto? Sentiva che stava per commettere uno sbaglio, uno sbaglio enorme parlandone con la sorella. Prese fra le mani la treccia e vide il nastro rosa che la teneva stretta. Quello blu che aveva sempre usato, in quel momento, si trovava in camera di Hans a miglia e miglia di distanza. Sentì un po’ di determinazione nascere dentro di lei quando realizzò che forse lo stava stringendo fra le mani, in quel momento…
"Ricordi quando ti ho detto che mi ero recata nel regno di Corona per ottenere delle scuse dal principe Hans...?" iniziò cauta, guardandola intimorita.
Sentendo nominare quel nome, Anna fece una smorfia disgustata, ed annuì.
"Ti ho mentito." continuò Elsa, ma poi, ripensandoci, aggiunse, per non aggravare la situazione di Hans "Cioè, no, non ti ho proprio mentito: desideravo davvero le sue scuse, ma...È successo qualcos'altro." concluse infine, tutto d'un fiato.
Le guance di Anna si arrossarono, e questo era un cattivo segno, soprattutto perché significava che iniziava a capire, e qualsiasi cosa avesse capito, non le piaceva. "Cosa?" le chiese in un soffio.
"Promettimi..." iniziò Elsa, mettendo una mano davanti a sé come per proteggersi. "Promettimi che qualsiasi cosa vorrai dirmi, ascolterai prima tutto quello che ho da dirti io." le disse guardandola negli occhi.
"Cosa è successo, Elsa?" insistette Anna alzandosi in piedi.
"Prometti!" le ripeté una seconda volta, impassibile, distogliendo gli occhi.
Si guardarono intensamente per alcuni istanti carichi di tensione. Sembrava che la principessa stesse per scoppiare, tanto era diventata rossa, ma alla fine si risedette e sentenziò: "Va bene, promesso. Ma ora dimmi tutto."
Elsa fece un respiro profondo, come se si stesse per gettare in acqua da mille metri di altezza. Il momento era giunto, e ora non avrebbe più potuto tornare indietro. Iniziò a parlare.
 
Le raccontò davvero tutto, dal loro primo incontro prima del processo fino a quella mattina di due settimane prima. Dovette omettere molte cose, come il fatto che l'avesse baciata contro la sua volontà, o che le avesse detto parole tanto orribili da devastarla completamente. Per quello si limitò a dire che lui aveva capito il senso di colpa che la logorava da anni.
Vedeva la faccia di Anna inorridire sempre di più ogni minuto che passava, ma continuò a parlare, mentre la sorella continuava ad ascoltare muta come un pesce. Elsa arrivò al loro primo incontro avvenuto di notte e le raccontò con quanta prepotenza le aveva ordinato di raccontarle il sogno, e di quanto questa liberazione l'avesse fatta sentire meglio subito dopo. Si impegnò con tutta sé stessa a non pronunciare la parola "amore" fino alla fine, anche se ormai, dopo averle detto per quale motivo aveva dovuto rivederlo di recente, tutto appariva chiaro. Quando le spiegò come aveva fatto a vederlo ogni notte, la vide tuffare il volto fra le mani, ma continuò a parlare, a dirle che avevano passato notti insonni parlando – dovette omettere tutti i lunghi intervalli di gemiti sommessi e lenzuola arruffate –. Arrivò infine alla penultima notte, quella in cui aveva capito quanto lo amasse, e soprattutto le rivelò la sua consapevolezza di essere ricambiata. Le spiegò quanto non avesse sopportato la vista di lui tremante e di come poi le aveva preso la mano senza temere i suoi poteri. Le spiegò tutto, per filo e per segno, sentendo il fuoco che si era acceso dentro di lei quella notte divampare dentro il suo cuore come se lui si fosse trovato lì, a guardarla mentre si firmava la condanna a morte parlando alla sorella di quell'amore folle che le aveva fatto perdere la ragione.
 
"Anna…Io lo amo." concluse infine, sedendosi accanto alla sorella che si ostinava a tenere il volto fra le mani, incapace di guardarla negli occhi. La stanza cadde nel silenzio più cupo ed assordante che fosse mai calato fra le due sorelle.
"Ora puoi parlare…" tentennò Elsa, imbarazzata oltremisura. Credeva che parlandone con Anna si sarebbe sentita meglio, ma il respiro affannato che la tormentava dimostrò il contrario. Per di più, in quel momento si accorse di aver perso giorni interi a pensare alle parole giuste per raccontarle tutto, ma non alle parole di risposta per un eventuale litigio.
 
Quando finalmente Anna alzò il viso e la guardò con durezza, le lacrime che aveva agli occhi ferirono la regina al punto che si chiese perché glielo avesse detto.
"Lo sapevo che non era una buona idea lasciarti andare da sola. Lo sapevo..." la sua voce ruppe il silenzio. "Come puoi farmi questo, Elsa? Sei mia sorella!" sibilò infine in un sussurro carico di rabbia.
"Anna..." la supplicò Elsa invano.
"No…No! Tu non puoi parlare sul serio! Sai cosa ha fatto quando gli ho chiesto di salvarmi?" incominciò con rabbia, interrompendo ogni suo tentativo di persuasione. "Ha spento il fuoco nel camino con l'acqua. Mi ha detto che nessuno mi avrebbe mai amata. Mi ha chiusa a chiave nella stanza dove un tempo giocavamo insieme. E tu... Tu mi dici che...Oddio mio, non riesco neanche a pensarci." disse alzandosi in piedi di scatto. "Come puoi farmi questo? Stava per ucciderti! Io l'ho visto!" ricordò infine, come se si fosse dimenticata di quel dettaglio. "Come puoi anche solo lontanamente pensare che un uomo del genere possa amarti? Come può essere capace di amare? E tu come...Come hai potuto?" ripeté per la terza volta portandosi una mano al cuore, come se lo avesse sentito spaccarsi.
"Anna, ti prego..." ricominciò Elsa, chinando il capo. Sapeva che non avrebbe reagito bene, ma sperava almeno che non se la prendesse anche con lei, non in quel modo.
"No no no, Elsa, tu devi essere impazzita. So quanto possa sembrare carino e dolce, io lo so. Tu non lo conosci." le disse in tono di supplica, ancora in piedi, senza guardarla. Elsa, alle sue ultime parole si ridestò.
"Perché, tu sì, invece? Credo di conoscerlo meglio di te, in ogni caso." disse con rabbia. Se c'era una cosa su cui potesse vantarsi era la convinzione di conoscerlo meglio di chiunque altro, proprio come lui conosceva lei.
"Ti sta solo usando!" le urlò con tutta la voce che aveva in corpo, tanto che Elsa socchiuse gli occhi e girò impercettibilmente la testa, come se avesse ricevuto uno schiaffo. "Vuole solo la tua corona, me l'ha detto. Me l'ha detto! Cosa pensi che farà una volta che l'avrà? Come puoi essere stata così ingenua?" Elsa sapeva che sarebbe finita col tirare in ballo la sua ingenuità, ma la sua risposta però fu troppo brusca.
"Credi che non abbiamo parlato anche di questo fatto? Mi credi così ingenua da cedere a lui come hai fatt -" bloccò le sue parole troppo tardi. Si mise una mano davanti alla bocca quando la vide scoppiare in lacrime. Aveva promesso che non le avrebbe più rinfacciato quella storia, ma non era proprio riuscita a trattenersi, e ora l'aveva ferita.
"Vedi cosa ti ha fatta diventare?" le disse con la voce rotta.
A quelle parole la regina iniziò a sentirsi in imbarazzo. Certo, all'inizio si era trovata spesso a pensare che fosse stata tutta colpa di Hans se entrambi si erano cacciati in quel pasticcio, ma era giunta alla conclusione che insieme lo avevano fatto, e forse su quel frangente era lei ad avere la colpa più grande. Era stata lei ad avergli permesso di entrare nella sua vita. Era stata lei ad andare da lui, a scappare ogni notte nella stanza dell'unico uomo in grado di capirla veramente. L'unico uomo che l'amasse veramente.
"Perché? Cosa mi avrebbe fatto diventare?" le chiese scontrosa. Non riusciva più a controllarsi nemmeno con sua sorella quando sentiva parlar male di Hans: si era ripromessa di non farlo, di lasciarla sfogare rimanendo in silenzio, ma non ce la faceva più a sentirsi dire che solo lui fosse il cattivo della storia.
 
"Non eri così… prima." disse iniziando a tormentarsi una treccia, piangendo senza riuscire a guardarla negli occhi. Poi però alzò il viso, e fu uno sguardo carico di odio a perforare il cuore a Elsa.
Sembrava essere uscita da uno di quegli incubi che faceva fino a otto mesi prima. Fino a quando Hans non l'aveva fatta ragionare. "Come puoi parlarmi in questo modo?" continuò con rabbia "È tutta colpa sua, ti ha riempito la testa di parole, e parole, e parole…" dopo aver ripetuto quella breve cantilena dovette fare una pausa. Sembrava che stesse trovando il coraggio per dirle qualcosa, qualcosa che l'avrebbe ferita di sicuro, ed Elsa ne ebbe la conferma quando concluse il suo pensiero puntandole contro un uno sguardo accusatore "e tu gli hai permesso di farlo!".
Elsa rimase esterrefatta. Fu come sentire una lama che le trapassasse il cuore da parte a parte. La sua sorellina, la sua adorata, piccola sorellina la stava sommergendo con tutto il rancore che provava per lei, che l'aveva delusa come mai prima, e che ora iniziava a pensare seriamente che non sarebbe riuscita a non affogare. Sentendo le parole di Anna, le sembrò, per un attimo, che avesse ragione. Che tutta la colpa fosse stata davvero di Hans. Ma aveva pensato così tanto a quello che stava facendo che non sarebbe certo stata lei a farle cambiare idea, almeno su quello che provava per lui.
"Non è così semplice..." iniziò con la voce tremante. "Se solo provassi..." continuò, incapace di dirle un'altra volta quanto lo amasse: ormai aveva capito che Anna non voleva sentirselo dire di nuovo.
 
“E non pensi ai nostri genitori?” le sputò in faccia queste nuove accuse con la voce rotta dal pianto. Elsa temeva che li avrebbe tirati in ballo; non sapeva come avrebbe potuto risponderle lucidamente, eppure in quel momento l’unica cosa che le venne in mente di dire fu la verità, niente poco di meno che la cruda, amara e triste verità.
“Anna... Loro non ci sono più.”
Se ci fossero stati ancora, lei probabilmente si sarebbe trovata nella sua stanza a sentire le suppliche della sorella di uscire. Niente corona. Niente Anna. Niente Hans.
 
Sentendo quelle parole la giovane principessa le gettò uno sguardo di rimprovero, come se non avesse potuto credere che Elsa lo aveva detto veramente. Poi le diede le spalle, voltandosi verso la finestra, incapace di proferire parola. Vide Olaf che correva allegro da una parte all'altra della pista da pattinaggio inseguendo una farfalla. Vide Kristoff da lontano che si avvicinava al castello. Voleva fuggire da lui in quel momento almeno quanto Elsa desiderava trovarsi accanto ad Hans, ma questo non poteva saperlo, non voleva saperlo.
 
"Cosa pensi di fare quindi...?" le disse infine, ancora girata, senza accorgersi che anche Elsa era ceduta ad un pianto silenzioso, derivato dalla sua ultima affermazione.
"Io..." incominciò la regina asciugandosi le lacrime che stillavano amarezza e sconforto. "Io...voglio solo...Stare con lui." disse infine in un soffio, sentendosi una perfetta idiota per aver pensato che quel desiderio fosse realizzabile. "Se solo provassi a capire..." riprovò a supplicarla, ma quando la sorella la interruppe, capì di aver avuto ragione a pensare che nessuno avrebbe permesso loro di stare insieme.
 
"In quanti lo sanno?" le chiese facendo finta di non aver sentito la sua risposta – la sua supplica –.
"Solo io e te, e ti prego di non dirlo a nessuno, se non a Kristoff, se ci tieni." rispose in fretta, aggiungendo la supplica, anche se sapeva che non lo avrebbe detto a nessuno, come se avesse dovuto tener ben nascosta la follia della sorella.
"E lui?!" domandò, chiedendosi come mai non avesse nominato Hans tra il novero di coloro che erano a conoscenza di questa storia.
"Non sa che te ne avrei parlato. Non mi ha chiesto di farlo." confessò Elsa, sperando che quest'ultima informazione l'avrebbe dissuasa che non era stata sua l'idea, che non era stato Hans a chiederle di compiere quella follia per lui. Infine aggiunse, sentendo il silenzio rimpadronirsi della stanza "volevo solo avere la tua approvazione." disse come ultimo tentativo disperato di farla ragionare.
 
"Be', non l'avrai." decretò Anna voltandosi, finalmente. Cercò di rimanere ferma e rigida davanti alle lacrime della sorella, ma la sua solidità durò ben poco e capì che era ora di andarsene. "Ora, se vuoi scusarmi, ho bisogno di stare da sola." disse infine, dirigendosi verso la porta. Prima di uscire disse con tono fermo delle parole che fecero precipitare Elsa verso il nero-pece dell'abisso della disperazione.
"Se vuoi, potremo far finta che non sia successo niente, oggi pomeriggio." e se ne andò sbattendo la porta, senza attendere una risposta, che non sarebbe comunque arrivata.
 
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Non appena la porta si chiuse, Elsa scoppiò in un pianto colmo di sconforto. Anna sembrava essere veramente arrabbiata, soprattutto con lei, più che con Hans. Be', lui ormai lo odiava incondizionatamente, quindi non poteva far altro se non prendersela con chiunque si fosse frapposto fra il suo odio e lui. L'aveva presa sul personale, e questo la demoralizzò ancora di più, perché così le possibilità di riappacificarsi sfumavano sempre di più. E con loro la possibilità di rivedere Hans.
Si alzò tremante e andò alla finestra. Vide Anna uscire dal castello e correre verso Kristoff, ormai vicino, prenderlo per mano e trascinarlo dentro l'edifico. Piangeva.
Aveva sbagliato tutto con lei: non avrebbe dovuto dirle quelle cose, ma non era proprio riuscita a trattenersi. Forse avrebbe dovuto aspettare di essere più pronta per affrontare una discussione del genere, infatti, quando le aveva nominato i loro genitori aveva perso del tutto il controllo.
Si accasciò sul pavimento e si afferrò i capelli violentemente. Del ghiaccio affilato cominciò a prendere forma intorno a lei. Non poteva muoversi e non voleva farlo. Sarebbe rimasta lì anche per tutta la vita, aspettando che Hans riuscisse a fuggire ed entrasse in quella stanza per salvarla.
Ma le ore passavano e lui non arrivava – non arrivava! – e nemmeno i ricordi di qualche sua parola, di qualche bacio riuscirono a confortarla.
 
Qualcuno andò a chiamarla per informarla che il pranzo era pronto, ma lei gli ruggì contro, portandosi una mano al petto, "Lasciatemi stare." e non udì più una sola parola, un solo rumore per le ore che seguirono.
Quando giunse l'ora di cena, però, cercò di calmarsi. Si alzò in piedi sorreggendosi al muro, e in quel momento realizzò, al pensiero di dover rivedere Anna, che, forse era stata ingiusta con lei, ma lo sarebbe stata ancora di più verso sé stessa se si fosse arresa così. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei, Hans non meritava che si arrendesse, eppure, al momento non riusciva a vedere la fine di quella sofferenza. Non riusciva più a vederlo.
 
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"Allora, mi vuoi dire cosa è successo?" chiese Kristoff spazientito quando entrarono nella stanza di Anna. Gli era corsa incontro in lacrime e aveva farfugliato che dovevano parlare da soli. Lo aveva trascinato in silenzio fino alla sua stanza, e ora si trovavano faccia a faccia seduti su un divanetto.
"Ha detto che si è innamorata di Hans." rispose con rabbia, omettendo tutta la storia che le aveva raccontato Elsa.
"Elsa?" chiese pregando che rispondesse di no, ma tutte le sue speranze si spezzarono non appena la vide annuire. "Ma... Come? ...Quando?" chiese scioccato. Gli stava a cuore Elsa, non quanto Anna, ovviamente, ma l'aveva sempre trovata una donna dolce e assennata, e non riusciva a credere a quello che le stava dicendo la sua fidanzata.
Gli raccontò brevemente quello che le aveva detto la sorella, ben attenta a mettere tutto sotto una cattiva luce, soprattutto Hans.
"Insomma, io voglio bene ad Elsa, lo sai, ma come ha potuto farmi una cosa del genere?" gli disse infine ricominciando a piangere.
Kristoff non aveva assolutamente parole. Era stupito del fatto che Anna desse contro a sua sorella in quel modo, con quella rabbia: in parte la capiva, perché sapeva quanto l'incidente con Hans l'avesse ferita, ma una piccola parte di lui non poteva fare a meno di sentirsi vicina ad Elsa. Se aveva deciso di dire alla sorella una cosa del genere, allora doveva essere davvero importante per lei.
Queste considerazioni le tenne per sé, per il momento. Si limitò a consolarla e a dirle qualche parola di conforto contro Hans, ma non contro Elsa. Non poteva che essere d’accordo sulla follia della regina, ma non riusciva a condannarla del tutto.
 
Si diressero insieme verso la sala da pranzo, e un servo annunciò loro che la regina non ci sarebbe stata e raccontò il breve dialogo che aveva avuto con lei. Era scioccato perché erano anni che la regina non si comportava così, ma Anna lo rassicurò dicendogli che doveva essere stanca.
Il pomeriggio passò per loro in un lampo.
Quando fu il momento di cenare, insieme si diressero verso la sala da pranzo. Anna era nervosissima all'idea di dover rivedere la sorella, ammesso che si sarebbe fatta vedere, ma aveva Kristoff con lei, e questo la confortò moltissimo. Quando Elsa fece la sua entrata, non poterono fare a meno di notare il viso devastato che aveva, ma tennero gli occhi bassi e consumarono tutti la cena in silenzio. Perfino i servi rimasero in imbarazzato silenzio quando notarono la tensione che vi era fra i tre.
Quando terminarono la cena, Elsa si congedò e tornò nella sua stanza in fretta.
 
Passarono i giorni, e ancora le due sorelle non riuscivano a parlarsi se non per cose banali. Erano troppo imbarazzate: Elsa si sentiva una sciocca ogni volta che ripensava a quanto fosse stata convinta che avrebbe presto rivisto Hans, giorni prima, mentre Anna era imbarazzata perché la vedeva triste, e sapeva il motivo, e sapeva come fare per renderla felice, ma non avrebbe fatto niente per cui avrebbe dovuto pentirsi. Ogni volta che i loro occhi si incontravano, le parole di Hans le entravano con prepotenza nella testa. Se solo qualcuno ti amasse davvero. Come era riuscito a ingannare anche lei? Come?
 
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Passarono quasi tre mesi da quella calda mattina di aprile. Anna vedeva Elsa sfiorire ogni giorno di più; tutti, a palazzo, lo avevano notato e le avevano chiesto il motivo: rispondeva sempre evasiva, dicendo che non lo sapeva e azzardando l'ipotesi che fosse semplicamente stanca.
Metteva tutte le sue energie nei compiti che doveva svolgere, ma era distante, come se si trovasse da un'altra parte. Anna sapeva dove fosse la sua mente, e ogni volta che ci pensava la guardava con tanto di occhi, incapace di nascondere la sua delusione.
A volte chiedeva di avere un pomeriggio o una mattinata liberi. Non potevano negarglielo, non dopo tutto quello che faceva per il suo Paese, e così si incamminava verso la Montagna del Nord, ci rimaneva per quattro o cinque ore e poi tornava, e ricominciava a fare la Regina, che tutti amavano ma che nessuno si sforzava di capire.
 
Di solito c'era sempre qualche ospite sia a pranzo che a cena, oltre a Kristoff, quindi era facile non cadere in silenzi imbarazzati. Un giorno però si trovarono da sole, a pranzo.
"Come va con Kristoff?" Elsa ruppe il pesante silenzio fissando il contenuto del suo piatto con finto interesse.
"Bene." rispose subito la sorella. "Oggi mi ha lasciata sola perché doveva fare un lavoro…" aggiunse dopo una estenuante pausa di silenzio carica di tensione.
 
"Mi dispiace." sussurrò Elsa tenendo il viso basso. Dopo aver pronunciato quelle parole, però, alzò gli occhi. Non si riferiva di certo alla notizia del viaggio di Kristoff, ed Anna lo capì all'istante. Alzò gli occhi e vide quelli blu di Elsa che la osservavano tristi, ma senza traccia di lacrime. Scosse la testa.
"Se solo…" incominciò cauta, col fiato corto per l'agitazione che avevano portato le parole della sorella. Allungò una mano verso la sorella, lontana da lei in tutti i sensi, come se avesse voluto afferrarla e riportarla indietro da qualunque luogo in cui si trovasse da tre mesi a quella parte "tornassi...da me..." concluse in un soffio.
Elsa non abbassò gli occhi, come aveva sperato che facesse.
"Non ci riesco." le rispose semplicemente, con voce atona; gli occhi le si riempirono di lacrime, che però non scesero, non ancora.
Anna non riuscì a sopportare quello sguardo, così si alzò e, dicendo di non sentirsi bene, si congedò da quegli occhi che la distruggevano. Fu allora che Elsa scoppiò in un pianto sommesso.
Alla sera non si fece vedere a cena, e quando Anna passò davanti alla sua stanza, poggiò una mano sopra al legno della porta. Era congelato.
 
***
***
***
 
 
Parte seconda

LOVE WILL FIND A WAY
 
Mi ha salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata.
[Titanic]
 
"Non credi che abbia già sofferto abbastanza?" le disse Kristoff il giorno dopo quando gli raccontò con quanto imbarazzo aveva dovuto abbandonare la tavola, iniziando a imprecare contro l'ostinazione della sorella.
Stava camminando avanti e indietro per la stanza, la stessa nella quale Hans l'aveva lasciata a morire. Trovarsi lì con Kristoff le faceva provare una sorta di piacere perverso. Entrambi lo provavano. Perché Kristoff odiava quell'uomo, e su questo non aveva dubbi.
"Cosa vorresti dire?" gli chiese fermandosi improvvisamente, come se si fosse trovata davanti un muro invisibile.
"Be’…" iniziò il ragazzo portandosi una mano dietro la schiena, evasivo "non ti sembra che tua sorella stia…Male?" disse infine, iniziando a temere la reazione della fidanzata.
"E sarebbe mia la colpa?" chiese piccata: avrebbe pensato dopo a dispiacersi che il suo promesso sposo non si fosse schierato dalla sua parte.
Kristoff non voleva litigare con lei per nessun motivo, ma non ne poteva più di vederle così infelici, soprattutto Anna, che non faceva altro che lamentarsi della sorella e della sua follia.
"Certo che no!" le rispose in fretta, poi però decise di dirle quello che pensava: si sarebbe arrabbiata, ma prima o poi avrebbe capito, ne era sicuro. "…Ma sai come mettere fine a questa fredda guerra fra voi due."
"Dovrei… Dovrei permetterle di rovinarsi la vita per sempre?" rispose diventando rossa in viso, proprio come Kristoff aveva temuto. Rimasero a fissarsi per un po', finché il ragazzo non si decise a concludere il suo pensiero.
"Come fai ad essere così certa che non possa farla felice? Anche per me è una follia, lo sai, ma, insomma l'hai vista?!" disse sbarrando gli occhi, come se fosse evidente davanti a tutti la sofferenza della regina.
A queste parole Anna indietreggiò finché non trovò il muro, come se le parole del suo uomo l'avessero colpita così forte da farle male fisicamente. "Come puoi dirmi una cosa del genere, Kristoff?".
Lui rimase in silenzio, arrossendo a sua volta per l'imbarazzo che provava per non essersi schierato dalla parte della sua adorata fidanzata. Sperava che quel silenzio l'aiutasse a pensare seriamente a quanto male stesse facendo ad Elsa, e invece lei, piuttosto di ascoltare la sua coscienza, cominciò a inveirgli contro.
"Hans ha cercato di ucciderci entrambe!” cominciò a urlargli furente “Ero proprio lì, seduta dove sei seduto tu adesso! E mi ha detto che avrebbe ucciso Elsa, per la sua corona. Ti rendi conto che se la lascio fare, lui avrà solo ciò che desidera? Non potrò più proteggerla. Non potrò proteggere nemmeno me stessa! Nemmeno te! È questo che vuoi? È questo?" urlò dall'altra parte della stanza.
Kristoff si sentì rimpicciolire a quelle parole, ma rimase fermo sulle sue convinzioni.
"Elsa è una donna adulta. Saprà lei cos'è bene per sé stessa..." continuò quasi senza fiato.
"È questo che pensi? Che sia io a sbagliare?" gli disse avvicinandosi minacciosamente.
 
"Io penso che tutto sia possibile!" rispose accorandosi, ma poi riacquistò subito la calma "Come… Come è stato possibile che una principessa si innamorasse di un montanaro cresciuto nella solitudine… e… lo accogliesse nel suo castello senza dare importanza al rango sociale…" concluse abbassando il viso. Non l'avrebbe mai ringraziata abbastanza per quello che aveva fatto per lui. Non gli andava a genio l'idea di rivedere Hans, né di avercelo come re, ma credeva in Elsa, e questo bastava. E poi era davvero stufo di vederle perennemente tristi, perché Anna era triste, anche se non voleva ammetterlo. I primi tempi faceva l'arrabbiata, ma adesso era sempre così nervosa che si vedeva lontano un miglio quanto le mancasse la sorella maggiore.
 
A quelle parole, Anna si lasciò cadere sul divano accanto a lui e gli prese una mano. Quell'uomo aveva il potere di calmarla in ogni occasione, anche quando era lui stesso a farla arrabbiare.
"Tu vali molto più di lui." gli disse scuotendo la testa e stringendogli la mano.
"Questo credo di saperlo anch’io." le rispose ritrovando il sorriso. “Solo che… Credo che dovresti cercare – sforzarti – di capirla…” concluse prima di prenderle il viso fra le mani e gettarle uno sguardo pieno di amore. Anna lo guardò ancora titubante, ma quando incontrò i suoi occhi si rese conto che aveva ragione. Posò le labbra su quelle di Kristoff e si abbandonarono in un tenero bacio che sancì la loro pace, ammesso che fosse un litigio quello che avevano appena avuto.
 
“Promettimi che ci ripenserai.” le disse quando si staccarono e lei si abbandonò fra le sue braccia.
“Non prometto niente.” rispose prima di dargli un altro bacio, consapevole che ormai era troppo tardi per non far caso alle parole che le aveva rivolto quel pomeriggio.
 
*
*
*
 
A cena, fortunatamente, c’erano diversi ospiti, altrimenti sarebbe stato divertente vedere Elsa, Anna e Kristoff gettarsi occhiate nervose a vicenda: c'era tensione nell'aria, ma un duca e una duchessa, con i rispettivi figlioletti, resero l'aria per lo meno respirabile. Anna adorava i bambini, e insieme a Kristoff e a Olaf li fece giocare per tutto il tempo, mentre Elsa pensò a parlare di affari.
 
Quando Anna, dopo aver salutato Kristoff, si ritirò nella sua stanza, cominciò a pensare alla discussione di quel giorno, e a quella del giorno precedente con Elsa.
 
Ormai era da troppi mesi che non si parlavano. Non che prima si parlassero molto, comunque: da quando aveva fatto ritorno dal primo viaggio nel regno di Corona si comportava in modo strano, e ora capiva il perché.
Quando era andata a chiamarla sulla pista da pattinaggio aveva sentito che c’era qualcosa che non andava. Aveva temuto che fosse scoppiata una guerra, e quando lasciò la stanza della sorella si era resa conto che lo avrebbe preferito. Non si era proprio aspettata, neanche per un istante quello che le aveva confidato, nemmeno quando le accennò che era successo qualcos'altro. Aveva creduto che avesse tentato di nuovo di ucciderla e che per il suo gran cuore avesse deciso di mettere la storia a tacere. Per tutta la durata del racconto aveva cercato con tutte le sue forze di aggrapparsi alla speranza che iniziasse a parlare di una spada, o di un pugnale, ma quando le disse che aveva deciso di rivederlo dopo otto mesi perché gli mancava, perché non ce la faceva più a stare lontana da lui, dovette rassegnarsi.
 
Lui. Era entrato nelle loro vite come un uragano, le aveva devastate entrambe, e quando finalmente si era convinta che tutto fosse acqua passata, Elsa l'aveva chiamata per informarla che quell'uomo aveva continuato a cospirare alle loro spalle, restando però nell'ombra, in attesa di colpirle di nuovo. Perché non riusciva a credere che Elsa – la sua Elsa – si fosse davvero innamorata di Hans.
Non aveva fatto che chiederle come avesse potuto farle questo, ma poi si era resa conto che il vero problema era che lo stesse facendo a sé stessa. Come poteva anche solo lontanamente pensare che quell'uomo potesse renderla felice? Come poteva essere convinta che lui non fingesse di amarla?
Sperava che fosse solo un semplice capriccio, uno di quei capricci che prima o poi passano. Sperava anche che fosse davvero di lui la colpa, ma lei si era ostinata a difenderlo in tutti i modi possibili. Non aveva nemmeno voluto pensare ai loro genitori. Non le importava più di nulla, ed era solo colpa di Hans se la stava perdendo. Di nuovo. Anzi, ormai l'aveva già persa, realizzò ripensando a quello che le aveva detto il giorno precedente.
Non ci riesco.
Non era nemmeno in grado di fare lo sforzo di dimenticarlo per lei.
 
E ora anche Kristoff si era messo in mezzo per difenderla.
 
Rimaneva distesa sul letto a pensare e ripensare alle parole che le aveva detto quel pomeriggio. Possibile che nessuno, nemmeno lui, si sforzasse di capirla?
Col tempo era giunta alla conclusione di non aver mai amato Hans, anche se temeva che se non fosse successo nulla, avrebbe giurato fino alla morte di amarlo sul serio, e questo pensiero aveva continuato a logorarla per mesi, ma Kristoff l'aveva aiutata ad andare avanti e a dimenticare il passato – prendendola anche un po' in giro –.
“Te l’avevo detto di non fidarti di uno di cui non conosci il numero di scarpe…” Le aveva detto sorridendo quando gli aveva confessato i suoi timori, e l’aveva fatta tornare a sorridere una volta per tutte.
Come avrebbe potuto proteggere Elsa se lo avesse introdotto alla loro corte? Lei non avrebbe voluto essere protetta, glielo aveva fatto capire chiaramente dicendole che non ci sarebbe stato bisogno “perché lui mi ama!”.
Era così convinta dei suoi sentimenti che Anna temeva che pur di non difendersi contro di lui, piuttosto si sarebbe fatta uccidere, e questo aspetto la terrorizzava ancora di più dell'idea che lui la stesse usando solo per arrivare alla corona.
 
Poi, le parole di Kristoff entrarono nella sua mente e non le diedero pace finché non si decise a dar loro ascolto.
Non credi che abbia già sofferto abbastanza?
Oh, lo credeva bene; dopotutto, la follia non era di certo una malattia da sottovalutare, aveva pensato in un primo momento. Ora però, distesa nel letto al buio e immersa nel silenzio, la sua coscienza – che di certo non si faceva intimidire dal buio – le suggeriva che forse Kristoff non si riferiva solo a quell'episodio. Si riferiva a tutte le sofferenze che aveva dovuto affrontare per tutta la vita. Da sola.
Entrambe – e anche Kristoff – sapevano che, fra le due, quella ad aver sofferto più in vita era stata senza dubbio Elsa, da sempre costretta a fingere, da sempre costretta a vivere nella solitudine, nell'esclusione da qualsiasi rapporto con il prossimo. Non aveva mai avuto alcun contatto con il mondo fin quando non aveva lasciato che la sua frustrazione esplodesse. E ora sembrava che ci volesse solo una parola di Anna per vederla tornare a sorridere. Possibile che quell'orribile uomo fosse divenuto la sua unica ragione di felicità?
E poi, cosa significava tutto quell'entusiasmo nel dirle che lui le aveva preso la mano? Non c'era niente da ridere, niente per cui essere felici. Elsa dava a tutti la mano.
Be', non proprio a tutti, dovette ammettere, ma non riusciva a capire la portata di quel gesto, non fino in fondo.
In quel momento avrebbe voluto tanto poter parlare con Hans, solo per sentire cosa avesse da dire su quella disgraziata faccenda, ma il solo pensiero di poterlo vedere la fece tornare al punto di partenza.
 
"Non ci riesco" le aveva detto guardandola con gli occhi colmi di disperazione. Se le avesse permesso di stare con lui, sarebbe tornata ad essere la solita Elsa? Era sicura di no: forse per i primi tempi, ma lui prima o poi si sarebbe mostrato per quello che era in realtà, ed Elsa sarebbe tornata triste come lo era adesso, forse di più, se possibile. Quegli occhi, però, sembravano gridarle sul serio il contrario.
Forse si era sbagliata. Insomma, dopotutto aveva conosciuto Hans solo per un giorno e lo aveva sopravalutato per certi aspetti, proprio come lo aveva sottovalutato per altri. Diceva di conoscerlo Elsa, di conoscerlo bene. Che fosse vera tutta la storia del bambino con il cuore pieno di rabbia?
 
C'era solo un modo per scoprirlo. Se lui l'avesse seguita ad Arendelle, cosa che avrebbe fatto sicuramente, perché era quello che lui desiderava, avrebbe avuto modo di parlarci, e allora avrebbe saputo la verità, perché lei non si sarebbe mai più lasciata abbindolare dalle sue parole.
 
Rivoleva la sua Elsa, e per riaverla decise che sarebbe stata disposta a rischiare.
 
*
*
*
 
Dopo numerosi ripensamenti si decise ad alzarsi dal letto. Ormai l'ora era molto tarda, ma pensò di provare comunque a controllare se Elsa fosse stata sveglia e disposta a parlare.
Lasciò la sua stanza in camicia da notte e si diresse verso quella della sorella. Quando vi arrivò davanti, notò che c'era una luce molto tenue che filtrava attraverso la fessura sottostante della porta. Bussò piano, incerta.
"Chi è?" sentì la voce della sorella uscire ovattata dalla porta, inconfondibilmente spaventata.
"Sono io…" rispose di rimando. Sperava con tutta sé stessa che la mandasse via.
"Sto lavorando..." le disse Elsa con voce incerta.
Anna rimase per un po' di tempo lì, immobile e silenziosa, pensando seriamente di andarsene, ma alla fine decise di entrare senza rispettare il tacito ordine della sorella di andarsene.
 
La vide in vestaglia seduta allo scrittoio, illuminato da una candela prossima a spegnersi, aveva in mano una penna con cui stava firmando delle missive. Quando alzò il viso la guardò con un misto di curiosità e paura e le ripeté che stava lavorando.
"Non smetti mai di lavorare?" le chiese accennando un sorriso divertito, che però Elsa percepì come compassionevole.
"No." rispose tornando sulla sua lettera, facendo finta che non ci fosse nessuno lì con lei. Anna rimase a fissarla per due minuti pieni, indecisa se mostrarsi offesa da quel trattamento oppure invocare il suo perdono.
O andarsene.
Stufatasi di quel comportamento, si decise a parlare con la voce bassissima.
"Lo ami davvero?" aveva il cuore che le martellava nel petto. Temette che Elsa lo potesse sentire quando alzò il volto e le rispose.
"Lo sai." rispose scuotendo impercettibilmente la testa, come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che Anna le chiedesse una cosa tanto elementare. Rimase a fissarla per alcuni istanti, poi abbassò di nuovo il viso e tornò a leggere la lettera, facendo finta di esserne interessata.
No, non lo so. Pensò Anna sforzandosi di rimanere calma.
 
"E lui ti ama?" parlò di nuovo, senza temere di infastidire la sorella, che, bloccò la lettura, rimase a fissare la pergamena per un po' senza alzare lo guardo e le rispose con un monosillabo.
"Sì."
Rimasero in silenzio per molto tempo: Anna la guardava ancora incredula, mentre Elsa continuava a far finta di essere impegnata nella lettura della lettera – di cui aveva completamente dimenticato il contenuto –.
"Come fai ad esserne certa?" le chiese esasperata, con una certa urgenza, rompendo il silenzio con la voce alterata per la rabbia e per la delusione.
Dopotutto, lei non poteva saperlo. Non poteva capire il significato che avevano assunto per Elsa i gesti che lui aveva fatto per lei. Anna non poteva capire quanto per Elsa fosse stata importante la loro penultima notte. Non aveva capito per quale motivo le era tremata la voce quando le aveva detto "Mi ha preso le mani, capisci?". Solo Elsa poteva capire, così, quando sentì la domanda di Anna, alzò il viso e disse semplicemente "Lo so e basta."
Passarono altri lunghi istanti di silenzio, durante i quali non staccarono gli occhi l'una dall'altra.
 
"Spero di poterlo capire, un giorno." disse infine Anna, distogliendo lo sguardo e portandosi una mano fra i capelli sciolti che stavano già iniziando ad arruffarsi. Elsa non capì subito che quell'affermazione la stava facendo avvicinare ad una specie di approvazione, perciò abbassò il viso.
"Puoi lasciarmi lavorare, adesso?!" chiese con la voce tremante.
Anna si accorse che non aveva capito, e continuò, facendo finta di non aver sentito la richiesta della sorella. "Magari sarà lui a farmi capire…"
Elsa sollevò il volto velocemente, mostrando una lacrima silenziosa che aveva iniziato a rigarle il viso; voleva accertarsi che quelle parole fossero uscite davvero dalla bocca di sua sorella.
"Che significa…?" chiese cauta, sforzandosi di non illudersi, ma non ci riuscì, perché sul viso della sorella si aprì un sorriso che non poteva significare altro se non ‘hai capito bene’.
Poi Anna, vedendo la sorella ancora smarrita, decise di accompagnare quel sorriso a qualche spiegazione in più.
"Questa situazione mi uccide… E uccide anche te, Elsa. E se lui ti rende..." cominciò ricordandosi le parole di Kristoff di quel giorno "felice – disse facendo una smorfia – allora fai quello che vuoi." continuò, prima di concludere "puoi chiamarla approvazione, se proprio ci tieni."
Elsa si alzò di scatto con il cuore che le impazzava nel petto; si avvicinò alla sorella la guardò attentamente prima di comprendere che diceva sul serio, così l’abbracciò e cominciò a piangere e a ripetere dei grazie a raffica. Anche Anna si commosse: Elsa le era mancata più di quanto pensasse, e vederla tornare a sorridere la fece pentire di averla trattata male per tutti quei mesi. Non l'aveva mai vista così felice, dovette ammetterlo: sembrava un fiore appassito tornato ad essere splendente e colorato dopo esser stato innaffiato e messo al sole. Si strinse ancora di più a lei, e tra le lacrime le disse "Lo faccio per te, non per lui, voglio che lo sappiate entrambi."
Elsa, dal canto suo, non poteva certo biasimare questa affermazione, così la ringraziò ancora e le promise che glielo avrebbe riferito. Quando lo avrebbe visto. Perché lo avrebbe rivisto. Ora ricominciava a vederlo farsi strada fra la nebbia tetra della sua disperazione.
"Ti voglio bene." le disse infine, colma di gioia.
 
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"Cosa farai adesso?" le chiese il giorno dopo durante la colazione, quando cadde il silenzio fra le due, che erano rimaste sveglie tutta notte sdraiate sul letto di Elsa a chiacchierare amabilmente del più e del meno, di tre mesi di pensieri che non si erano dette.
Elsa sapeva che Anna da sola sarebbe stata un ingente ostacolo, ma sapeva anche che il Gran Consiglio di Arendelle lo sarebbe stato altrettanto, almeno però aveva Anna dalla sua parte. E Kristoff. La sorella alla fine le aveva raccontato che era solo grazie a lui se quella sera aveva cambiato idea, e lei non poté fare a meno di abbracciarlo non appena lo vide entrare nel castello, ignaro del cambiamento che era appena avvenuto.
Le riferì gran parte del suo piano, che avrebbe ripreso quel giorno stesso, subito dopo la riunione giornaliera con i suoi consiglieri. Le ricordò che essi non avevano gradito la menzogna del principe sulla morte di Anna, e soprattutto quella sul loro matrimonio improvvisato.
"E loro gli hanno creduto!?" chiese scioccata la principessa, che non aveva mai saputo di quella parte.
"Credo che li convincerò proprio rinfacciando loro questa ingenuità." rispose subito Elsa, temendo che Anna cambiasse idea dopo aver scoperto quella storia, ma quella non disse nulla: ormai le aveva dato la sua approvazione, e vedere Elsa così raggiante la distraeva da tutto il resto.
 
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I consiglieri accettarono, alla fine, la possibilità che Hans Westerguard avrebbe fatto ritorno ad Arendelle.
Avrebbe dovuto farsi perdonare pubblicamente, e ovviamente il resto dell'approvazione sarebbe derivato dai suoi comportamenti successivi. Elsa accettò questo accordo di buon grado, anche se temeva che convincere Hans a scusarsi pubblicamente non sarebbe stata una passeggiata, ma le scuse doveva farle ad Arendelle, non a lei, dopotutto.
 
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Mancava solo una tappa, anzi, due: doveva recarsi nelle Isole e richiedere che la sentenza punitiva del principe venisse revocata, e andare da lui. Partì di notte, accompagnata da un solo ministro che avrebbe dovuto garantire la sua sanità mentale davanti alla Corte delle Isole. Aveva inviato una missiva dove accennava il motivo del suo viaggio e le avevano risposto che di certo sarebbe stata la benvenuta, ma che temevano che si stesse sbagliando, insomma, che fosse impazzita.
 
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L'estate ormai si era inoltrata da giorni quando l'attenzione di Hans fu colta dall'agitazione dell'intero popolo di quel regno, soprattutto dei servi del palazzo. Quando con noncuranza chiese il motivo di quella confusione, la serva che si occupava di sistemargli la stanza sussultò: il principe non parlava con nessuno da mesi, ormai.
"Arriva la regina Elsa di Arendelle!" gli rispose la donna, senza smettere di spolverare la libreria del principe, e credette per un folle momento che la stesse per uccidere quando lo vide voltarsi di scatto verso di lei, alzarsi e avvicinarsi. "Quanto si fermerà? Lo sapete?" le chiese con una certa urgenza afferrandola per le spalle e iniziando a scuoterla.
"Due giorni. Forse. Oh, lasciatemi!" Urlò terrorizzata la povera vecchina. Le guardie fecero irruzione all'istante, temendo il peggio, e quando Hans le vide, lasciò la donna tenendo le mani alzate. "Non sto facendo niente." disse con astio quando gli puntarono contro le baionette.
"Allora allontanati." rispose uno dei due.
Fece come gli avevano ordinato: tornò a sedersi sul divano e riprese tra le mani il libro che stava leggendo e che aveva fatto cadere. Le guardie rimasero a controllarlo su supplica della serva, e lo zittirono quando chiese loro quando sarebbe arrivata la regina.
Hans fece uno sforzo enorme per controllare la sua rabbia, in quel momento. Incurante di quello che avrebbero potuto pensare vedendolo così iperattivo dopo aver ricevuto quella notizia, si alzò e si avvicinò a grandi passi alla finestra che dava sull'entrata del castello, quella da cui una vita fa l'aveva vista salire su una carrozza e andarsene.
Si chiese il perché di quella visita tanto breve, e soprattutto perché avesse lasciato passare così poco tempo. Anche se per lui ogni ora lontano da lei sembrava passare con una lentezza incredibile, dovette ammettere che tre mesi erano davvero pochi.
Non aveva molti elementi su cui rimuginare, perciò iniziò ad agitarsi presto. Chissà per quale motivo questa volta gli avevano detto che lei era in procinto di arrivare. Anche se la risposta poteva sembrare evidente a molti, lui non riuscì ad afferrarla, e arrivò a pensare che il motivo fosse che Elsa volesse fargli sapere che sarebbe arrivata, ma non per lui.
 
Quel giorno non arrivò nessuno, e temette di impazzire sul serio. Si mosse dalla sua postazione solo quando lo avvertirono che era atteso per la cena. Raggiunse la Sala quasi correndo, e sedette di fronte a Rapunzel, come al solito, ma questa volta felice di poter chiacchierare amabilmente con lei.
Di Elsa, per esempio.
 
Rapunzel sapeva tutto, non nei particolari, ma conosceva il motivo dell'arrivo della regina di Arendelle; forse il giorno prima avrebbe interpretato le domande incalzanti che le poneva Hans come maleducate e morbose, ma in quel momento le etichettò come completamente folli. Gli disse solo che sarebbe arrivata il giorno dopo, nel pomeriggio. Primo pomeriggio, dovette dirgli infine. Nient’altro.
 
Hans, dal canto suo, dovette sforzarsi di smetterla di porre domande, perciò si chiuse in un silenzio cupo a metà cena, incurante degli sguardi d'intesa che si lanciavano Rapunzel e Eugene.
Quando tornò nella sua stanza, corse allo scrittoio, e da un cassetto prese il nastro che lei aveva dimenticato. Lo strinse fra le mani finché le nocche diventarono bianche.
Si abbandonò ben presto sul letto, pieno di amarezza, e si addormentò poco dopo, ma nel cuore della notte si svegliò e allora non ci fu più verso di dormire.
 
Quella mattina si limitò a fare un'abbondante colazione, poi non mangiò per tutto il giorno: temeva che avrebbe vomitato per l'angoscia.
Si mise in piedi davanti alla finestra ad osservare il movimento di gente davanti a sé, e dopo tre ore dovette prendere una sedia perché non si reggeva in piedi. Mancavano più o meno altre tre ore al primo pomeriggio, e decise di camminare avanti e indietro per la stanza per fare un po’ di movimento.
I minuti passavano e parevano ore, anzi, anni.
 
Quando la vide arrivare, bellissima ed elegante come sempre, per un istante si sentì sollevato, ma poi realizzò che, forse, non era lì solo per lui, – o non era lì per lui affatto – e sarebbe passato molto tempo prima che l'avrebbe vista. Decise che se prima della sua partenza non si fosse fatta vedere, fatto una di quelle stupidaggini che lei lo aveva pregato di non fare.
Ripensò a quanto si fosse sentito male quella notte che aveva passato ad aspettarla, e lei non arrivava.
Poi però è arrivata, gli suggerì una vocina incerta nella sua testa.
Sì, ma le cose non accadono mai due volte allo stesso modo. Si rispose, e ricominciò ad odiarla proprio come quella volta.
 
Sentiva il respiro intensificarsi ogni istante che passava. Quell'attacco di ansia durava ormai da quando aveva sentito il suono delle trombe annunciare il suo arrivo, ed erano solo le due di pomeriggio.
 
Sentì le campane della torre battere le quattro. Si accasciò a terra, esausto. Ancora qualche minuto e avrebbe commesso una pazzia sul serio.
 
*
*
*
 
Elsa intanto era arrivata al cospetto del re e della regina di Corona, che insieme a Rapunzel attendevano una spiegazione più soddisfacente di quella contenuta nella lettera che aveva inviato loro. Spiegò che aveva avuto modo di parlare con Hans e giurò che si fosse pentito, che fosse cambiato. Essi alla fine cedettero, anche perché non dipendeva da loro la decisione di lasciarlo andare, e la missiva dalle Isole del Sud che accordava la scarcerazione del principe parlava chiaro: dovevano lasciarlo libero quando sarebbe arrivata la regina di Arendelle.
 
Con Rapunzel poi, in privato, spiegò un po' meglio la faccenda, senza però raccontarle di come lo aveva visto di notte durante il suo ultimo viaggio: non voleva mancare di rispetto a nessuno come avrebbe sicuramente fatto raccontando il modo in cui aveva raggirato le guardie per diverse notti. Si sentì lusingata quando la principessa le raccontò il comportamento del principe della sera prima, e non fece caso al tono lievemente disgustato che assunse. Rapunzel le chiese come l'avesse presa Anna, ed Elsa dovette perdere tempo a raccontarle per filo e per segno quei mesi colmi di disperazione che avevano affrontato le due sorelle.
 
"Voglio vederlo. Potete mandarlo a chiamare?" disse infine, calibrando la voce per non far trapelare la trepidazione.
"Mandate a chiamare il principe Hans." ordinò la principessa a una guardia che presidiava il corridoio. Quello si mosse agli ordini e sparì poco dopo.
“Sei sicura che…?” cominciò titubante la principessa. Non era ancora convinta, nessuno lo era.
“Non mi farà del male.” decretò la regina sentendo allargarsi un sorriso beato al pensiero che a breve lo avrebbe rivisto.
 
Lo attese all'ingresso, e iniziò a sentirsi male per l'ansia. Ma la sua ansia non valeva niente – niente – in confronto a quella che aveva dovuto soffrire Hans, e lo realizzò quando lo vide arrivare scortato da due guardie: la guardò con occhi folli, le occhiaie che gli contornavano i begli occhi verdi erano così scure che ci si poteva perdere dentro.
Gli chiese – davanti a tutti – se voleva accompagnarla per una passeggiata nei giardini reali, e quello, titubante, scioccato, spaesato, accettò, imponendosi di starle lontano per non destare sospetti.
 
Entrarono nel giardino fiorito in silenzio, sotto gli occhi di tutti, ammutoliti a loro volta. Quando finalmente si persero tra la vegetazione, Elsa si voltò all'improvviso e si diresse verso Hans, che si trovava a cinque o sei passi da lei. Lui lo notò, ma prima che potesse realizzarlo, la regina gli cinse il collo e poggiò le labbra sulle sue. Rimasero immobili in quella posizione così a lungo che il tempo sembrava essersi fermato. Furono minuti che permisero ad Hans di riacquistare la sua lucidità e ad Elsa di scacciare via i timori che lui non volesse più vederla, derivati dalla visione di quel folle Hans che aveva avuto sotto gli occhi fino a quel momento.
Quando si staccarono, dopo uno lasso di tempo che sembrò durare un intero giorno – di sole –, Hans iniziò a fare domande a raffica, chiedendole come, cosa, quando, perché fosse tornata così presto. Lei in tutta risposta gli prese la mano e lo trascinò un po' più avanti, bloccandosi dopo una decina di metri per rituffarsi fra le sue braccia.
Erano vicini a un salice piangente, sotto il quale era stata scolpita una panchina nella pietra, si avvicinarono in quella direzione.
“Elsa, rispondimi.” le ordinò subito dopo essersi seduti. Sembrava che tutti avessero stretto un accordo che prevedeva il prendersi gioco di lui, e non era dell'umore adatto per questo.
Gli mise in mano una pergamena, beandosi in silenzio della vista del suo principe. Lui, quando vide che portava il sigillo della famiglia Westerguard, la prese con mani tremanti e iniziò a leggerla velocemente, temendo che si trattasse di una condanna a morte, mentre in realtà c'era scritto che aveva riacquistato i suoi titoli nobiliari e le sue terre e che era… libero. Quando ebbe finito chiese "Che significa?" senza staccare gli occhi da essa, cercando tra le lettere lo scherzo, la condanna.
"L'ho detto ad Anna…–" incominciò la regina con dolcezza, ma lui a interruppe subito chiedendole 'cosa' le avesse detto.
"Di noi! Le ho detto tutto." gli rispose con ovvietà, ma lui sembrò non capire ancora: "per 'tutto'...intendi...?"
"No!” rispose subito arrossendo “insomma, hai letto!” gli disse strappandogli dalle mani la pergamena e ricominciando a parlare. "Lei all'inizio non era molto felice… puoi immaginare… Non mi ha parlato per tre mesi. Ma poi mi ha aiutata ad arrivare a questa." disse sventolandogli la lettera davanti al naso; poi, per farla breve, dato che sembrava non capire ancora, disse con tono solenne "Siete libero, principe Hans.”
 
Capì solo in quel momento, dovette ammetterlo: quei due giorni avevano messo a dura prova i suoi nervi, più di quando si era ritrovato a governare Arendelle da solo, perciò era molto sospettoso e… lento. A quel pensiero pensò a cosa avrebbe significato per lui essere libero, e non sapeva se l'idea gli andasse totalmente a genio. Si era spesso trovato a fantasticare sul giorno in qui sarebbe stato perdonato, ma non era come se lo era aspettato, forse perché, in realtà, non ci aveva mai creduto veramente. Si rese conto che nessuno lo avrebbe mai più guardato senza pensare a quello che aveva fatto. Ed essere libero significava tornare nelle Isole, tornare da alcuni suoi fratelli…
Si alzò in piedi di scatto, scacciando quei pensieri con violenza. Rimase davanti a lei a fissarla mentre a sua volta lo guardava raggiante. Cosa voleva dire tutto ciò? La sua mente era talmente offuscata dalla stanchezza e dalla confusione che non riusciva a scorgere la luce in tutto quello che era successo dall'arrivo di Elsa.
Alla fine ruppe il silenzio, non era di certo il tipo che scappa davanti alla difficoltà. Iniziò dalla domanda 'quando': al 'dove' ci avrebbero pensato dopo.
"Quando hai deciso che…? Come?" balbettò, incapace di chiederle direttamente come aveva capito di potersi fidare di lui.
In tutta risposta, Elsa gli prese le mani fra le sue, senza guanti. "Secondo te?" chiese alludendo a quella notte che nessuno dei due aveva – e avrebbe – mai dimenticato.
Hans a quelle parole e al ricordo di quella notte si accasciò sulla panchina accanto a lei. Allora anche per lei era stata importante. Non ne era stato del tutto convinto fino a quel momento. Rimase in silenzio per molto tempo, silenzio nel quale, forse in un’altra vita, si sarebbe gettato ai piedi di quella donna e avrebbe iniziato a piangere, invocando il suo perdono. In un’altra vita, certo, se non fosse stato che da piccolo aveva versato tutte le lacrime che possedeva, rendendo il suo cuore una pietra impermeabile ad ogni sentimento che richiedesse il pianto. Gioia, dolore, amore...Niente. Non una sola lacrima: tutto veniva inglobato nella rabbia pulsante che aveva alimentato il suo cuore per così tanti anni che ormai ne aveva perso il conto.
“Sei sicura che me lo meriti?” chiese infine guardandola dritto negli occhi, cercando di metterci tutta l'arroganza che riusciva, come se avesse desiderato a tutti i costi che lei tornasse ad essere la stessa regina che lo aveva incontrato colma di ira tre anni prima. E lui lo stesso principe che non si era mai pentito di aver cercato di ucciderla, lo stesso principe che non meritava la felicità perché altri lo avevano deciso per lui.
 
“Sì.” gli rispose con semplicità stringendogli le mani fra le sue. Sentendo quel monosillabo Hans distolse lo sguardo, e finalmente la maschera del principe arrogante e malvagio lo abbandonò. Non ce la faceva proprio a capire come quella donna avesse potuto fidarsi così ciecamente di lui: era l'unica persona che lo conosceva veramente, che lo capiva, per questo lo aveva fatto, perché sapeva che in fondo lo meritava per davvero. Ma lui non ne era sicuro. Gli aveva detto che nessuno li avrebbe lasciati stare insieme, eppure ora lo guardava raggiante, come se tutto andasse bene. Come se lui fosse una brava persona. Come avrebbe fatto a conquistare la benevolenza di tutti? Come avrebbe fatto a farsi amare da altri che non fossero lei?
"Non ce la farò… Non… Ce la faccio…" balbettò tenendo gli occhi bassi, realizzando subito dopo che probabilmente lei non avrebbe capito a cosa si riferisse, ma non sarebbe riuscito a confidarle tutti i pensieri che in quel momento gli stavano passando per la testa. Gli sembrava di essere tornato lo stesso bambino deriso dai fratelli che tentava di nascondere tutto l'imbarazzo che aveva provato per essere stato rifiutato. Solo che questa volta non era stato rifiutato, e la mano che avrebbe dovuto lottare contro di lui per allontanarlo gli accarezzò il viso e lo costrinse a guardare la donna che gli stava davanti, non più la bambina spaventata che aveva passato una vita a odiare, ma la donna della sua vita, la donna che lo amava.
 
"Non da solo." Sussurrò – promise – Elsa, ponendo fine ai suoi dubbi.
 
Sorrise Hans, e capì che quelle parole significavano che non sarebbe dovuto tornare nella sua patria, se non lo desiderava. Sarebbero stati insieme, avrebbero affrontato insieme la tempesta che stava per abbattersi su di loro. Perché era inevitabile, entrambi lo sapevano.
 
Poco importava se tutti, in ogni regno, lo avrebbero guardato come un criminale. Poco importava se avrebbe dovuto fare delle scuse pubbliche al popolo di Arendelle: era bravo con le parole e avrebbe trovato quelle giuste.
Poco importava se quando emersero dal giardino con le dita intrecciate fra loro, tutti li guardarono increduli, disgustati, delusi; nessuno tentò di comprenderli, nessuno a parte Rapunzel, che non appena li vide comprese all’istante a cosa si stesse riferendo Elsa quando le aveva detto di amarlo.
Poco importava se ci sarebbero voluti anni prima che si rimarginassero le ferite di una vita. La sua vita.
Aveva lei, e gli interminabili giorni passati a scrutare l'orizzonte nella speranza di vederla arrivare erano finalmente giunti alla loro fine.

 
 
 
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Eccomi qui!
Chiedo scusa se questo capitolo risulta più lungo degli altri (sono 11'356 parole XD): spero comunque di non essere stata troppo veloce, ma spezzarlo in due non mi andava proprio.
 
Spero di non aver deluso nessun. Come vi accennavo sopra, è stato un po’ improvvisato, e so già che appena lo pubblicherò, mi verranno in mente altre mille idee migliori.
 
Non avete idea dell’ansia che è venuta anche a me mentre descrivevo l’ansia di Hans. Povero cucciolo. Vi è piaciuto alla fine? Io credo nel lieto fine, e credo nei principi Disney – tutti i principi (a parte il principe Giovanni, ma anche lui è simpatico *mamma!!* –.
 
Kristoff… Be’, non è che nel film abbia una gran parte, se ci pensiamo… Anche se mi sta un po’ sulle scatole (in inglese è doppiato da Jonathan Groff, e chi guarda Glee sa chi è.) ho pensato di dargli praticamente la parte fondamentale in tutto il capitolo. Credo che Hans gli debba almeno stringere la mano per questo, ma non lo farà neanche sotto tortura. (me l’ha detto in un orecchio mentre gli facevo leggere il capitolo per ottenere la sua approvazione).
 
Anna…Spero vivamente che nessuno l’abbia odiata: secondo me la sua reazione è stata sacrosanta, anzi, non so come abbia fatto a rimanere in silenzio per tutto il tempo del racconto di Elsa…
 
Il Gran Consiglio di Arendelle: ma porca di quella v***a, ogni volta che riguardo il film mi chiedo COME DIAVOLO HANNO FATTO A CREDERE AD HANS?? Ok, sono calma, sono calma. *cit. Ade*
 
 
Ci metterò un bel po’ di più per pubblicare l’epilogo perché voglio che sia perfetto si avvicini alla perfezione.
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia fra le preferite e la stanno seguendo con assiduità. E voglio ringraziare di cuore che continua anche a farmi sapere attraverso le recensioni quanto apprezza la storia. Grazie grazie grazie <3
 

Un'ultima cosa: mentre attendete con trepidazione l'epilogo (sorridete e annuite), potreste leggere questa meravigliosa one-shot “Less Than Just a Spare" (se la magia ha funzionato, ci cliccate sopra e vi porta alla storia. Ma visto che non mi fido delle mie capacità informatiche, ecco qui il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2604031 ). Come ho detto all'autrice, per me potrebbe anche fare da prologo alla mia storia.
E se per caso siete fan di Pirati dei Caraibi o Batman, fate un salto sul mio account e leggete le mie storielle. (Odio fare pubblicità, ma tutto il successo che ha ottenuto la storia mi sta già dando alla testa).

 
Un bacio a tutti!
   
 
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