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Autore: Rachel_Winchester    13/05/2014    4 recensioni
"Quando si cambia anche la più piccola cosa dal passato si possono avere riscontri catastrofici"
É possibile che con l'intento di migliorare il destino dell'umanità si possa portare ancora più velocemente all'Armageddon?
Dean e Sam. Due fratelli. Due cognomi diversi ... Due mine vaganti.
Divisi dal passato, riuniti dal destino ...
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
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Capitolo 21: This is real


Kabul, Afghanistan
 
Ciò che accadde quella notte lasciò una macchia indelebile nella sua mente. Sicuramente di lì a poco la sua vita non sarebbe stata più come prima.
Aveva assistito a tutto. Anzi, era stato lui a ritrovare un marine appartenente alla sua stessa squadra e una civile nella vecchia base di Sheikhabad.
I flashback cominciarono a ritornare.
 
Erano tenuti in posizione eretta solo da due corde che si intrecciavano attorno ai loro polsi; tutto il peso del loro corpo gravava sulle loro braccia e di conseguenza sulla cassa toracica, in una posizione che se mantenuta troppo a lungo avrebbe potuto anche causare il soffocamento. Si chiese da quanto fossero lì.
Avevano segnalato un avvistamento di un gruppo sospetto alla base militare, probabilmente talebani, e a Jackie era stato assegnato il compito di perlustrare l’ala ovest dell’edificio, già abbandonato da decenni. La corrente era assente, quindi il giovane brandiva l’oscurità solo con la torcia incorporata nel fucile, e per lo più era senza accompagnatore, poiché quella sera al campo gli uomini erano particolarmente pochi.
 
Scosse la testa cercando di mandare via il pensiero di quella tremenda nottata ed entrò nella tenda dove era stato allestito l’ospedale da campo.  Si avvicinò al letto del suo collega Vincent e di Charis –così gli avevano detto che si chiamava la civile-, pallidi come le lenzuola che li coprivano. Arrivati al campo con il venticinque per cento di sangue in meno non sarebbero riusciti a superare la notte se alcuni volontari compatibili con il loro gruppo sanguigno non glielo avessero donato. Tra di essi c’era Jackie.
Finì di bere l’acqua e zucchero che gli avevano dato per riprendersi subito dopo il prelievo ed uscì fuori dal tendone. Le nuvolette di condensa che si sprigionavano dalla sua bocca ad ogni suo respiro spiccavano nel buio di quella notte particolarmente fredda*.  Alzò gli occhi al cielo e poté godere di un panorama mozzafiato, di quelli che non era mai riuscito ad ammirare dalle pianure del Kentucky.
Si domandò ancora una volta cosa spingesse l’uomo a dilaniare un paese così ricco e bello, a sprecare così tante vite umane, solo per degli ideali sbagliati.
Cosa c’era che non andava in quelle menti?! Si domandò se stesse facendo la cosa giusta: fare la guerra per fermare la guerra. Era un controsenso.
Sfregò le mani per riscaldarsele e infine le infilò nelle tasche del largo giaccone che teneva addosso.
 Era opera dei talebani cosa aveva visto quella sera? O peggio ancora … Degli Stati Uniti?
Aveva sentito parlare di una prigione segreta nel centro di Kabul, una prigione fatta costruire dalla CIA dove torturavano quasi a morte i sospettati per strappargli informazioni segrete. Ma era possibile che facessero anche esperimenti?
No, era impossibile! A cosa servirebbero? Non bastavano i miliardi di dollari che impiegavano per combattere? Perché condurre esperimenti scientifici , e per lo più sull’uomo, sui propri uomini!
Sicuramente quello di cui era testimone andava ben oltre le sue conoscenze, ben oltre il reale.
E che fosse stato solo tutto un grande malinteso? Magari un incubo? …
No, non lo era. Vincent e Charis ne erano le prove.
 
Afferrò la ricetrasmittente e tentò di chiamare aiuto, ma il segnale era pari a zero.
Guardandosi le spalle fece qualche passo in più verso i due poveri malcapitati.
Una volta che si fece ancora più vicino riuscì a scorgere un ago infilato nelle loro gole, collegato a un tubicino che portava ad una sacca piena di un liquido rossastro. Sangue?
Scrutò la situazione attorno a lui con aria sfuggevole, con il costante presentimento di essere seguito nonostante fosse tutto in assoluto silenzio, ed estrasse con mani tremanti -ma il più delicatamente possibile- l’ago dalle loro gole. Controllò il battito cardiaco: era debole ma pur sempre presente. Cercò di risvegliarli.
“Ehi! Ehi, aprite gli occhi! Dai!”
L’assoluta assenza di reazione, gli fece capire che li avrebbe dovuti trasportare in spalla fino all’uscita, se non al campo base.
Li slegò cautamente dalle loro posizioni, tutt’altro che consone per le loro condizioni.  I loro occhi erano semi aperti, le iridi completamente dilatate, i volti scavati.
Doveva muoversi.  
Una volta messi in spalla entrambi, si accorse di quanto fossero leggeri e esili, e nonostante la sua corporatura non fosse  esattamente imponente, riuscì a spostarli senza troppe difficoltà.
Diede un’ultima occhiata attorno a lui e si diresse verso l’uscita il più velocemente possibile: qualsiasi cosa ci fosse lì dentro, e che sicuramente aveva ridotto quei due poveretti in quelle condizioni, non voleva che aggredisse anche lui!
Issò  con maggiore fermezza i corpi che gli facevano da zavorra e con l’ultimo rimasuglio di forze che sentiva in corpo, spinse la porta dell’uscita di sicurezza.
Improvvisamente il pavimento sotto i suoi piedi andò a mancare e qualche millesimo di secondo dopo una botta all’altezza del mento gli lanciò una fitta di dolore tale da offuscargli la vista per un istante.  
Sfilò le mani insanguinate da sotto i corpi dei due feriti, caduti di conseguenza insieme a lui, e le appoggiò a terra per tirarsi su, quando qualcosa lo prese da dietro e lo fece cadere nuovamente.
Prontamente, il marine afferrò la beretta nel suo cinturone e la impugnò saldamente puntandola di fronte a sé, ma si accorse che davanti a lui non c’era assolutamente altro che il buio. Ancora a terra per il dolore della botta alla schiena, tentò di girarsi all’indietro per individuare il suo aggressore, ma improvvisamente sentì  un peso sopra di lui immobilizzarlo. La sua pistola venne scaraventata via e le sue mani schiacciate a terra dietro la sua testa per diminuire ulteriormente la sua forza d’azione.
Il giovane si ritrovò del tutto indifeso.
Fissò il punto dove stava l’uomo a cavalcioni sopra di lui, e nel buio riuscì a identificare la sua sagoma. Corporatura normale … Sicuramente Jackie lo superava in imponenza! Quindi cercò di ribaltare la situazione, ma senza successo. La forza di quell’uomo gli sembrò quasi sovraumana.  
L’aggressore avvicinò la mano  alla testa del giovane marine e contemporaneamente una luce di un blu intenso illuminò l’intero ambiente attorno a loro.
Jackie, impietrito e sconcertato da ciò che gli stava accadendo, si limitò ad osservarlo.
Carnagione caffèlatte ricoperta in tutti i punti visibili -persino sulla testa rasata- da un’infinità di tatuaggi neri a forma di fiamme, corpo snello e slanciato, e occhi …
… Jackie strizzò i suoi incredulo.
Quegli occhi brillavano di luce propria! Ma non metaforicamente!
La luce blu che ad un tratto aveva invaso l’atrio dell’ala ovest proveniva proprio da essi.
Dal braccio della mano che gli stava premendo la fronte, i tatuaggi presero vita, avvinghiandosi e avanzando come un vero e proprio fuoco verso la mano.
Il giovane sotto la creatura si alluse al fatto  di stare sognando e che dopo qualche momento si sarebbe svegliato nella sua branda, ma subito dopo aver serrato gli occhi trattenendo il fiato, sentì il corpo sopra di lui afflosciarsi e farsi il triplo più pesante.
Ebbe la sensazione che un fluido denso e caldo gli schizzasse sul viso e gli imbrattasse tutti i vestiti, e quando riaprì gli occhi, si accorse di essere ricoperto di sangue. Di quello che fluiva dal collo mozzato del suo assalitore, la cui testa era andata a finire due metri più lontano dal corpo.
 
Rimase paralizzato dall’orrore.
Era come dire … “abituato” ad assistere a scene cruente, ma quella superava ogni limite!
Shockato, senza neanche spostare il corpo sopra di lui che continuava incessantemente a sgorgare sangue, fissò un punto impreciso sperduto nel vuoto, e solo allora si accorse di una ragazza sulla ventina in piedi di fronte a lui.
Il viso scarno e pallido, profonde occhiaie violacee che sottostavano a occhi rossi e socchiusi in due fessure stravolte, capelli biondi spettinati e unti, jeans a tubo di almeno tre taglie in più sul suo corpo scheletrico … Il tutto poteva dimostrare che fosse uno zombie.
In mano teneva una spranga di ferro, apparentemente troppo pesante in mano ad una ragazza così debole perché le leggi della fisica potessero spiegarlo. Infatti, dopo qualche vacillamento, cadde a terra sconfitta dalla fatica.
A quel punto Jackie, superò il momento di shock e si tirò velocemente in piedi per soccorrerla, e solo allora si rese conto che la sua salvatrice era la stessa ragazza completamente incosciente che stava portando fuori dalla struttura insieme al marine.
 
Con lo sguardo perso nei ricordi della notte precedente, Jackie fece qualche sorso dal bicchiere di acqua e zucchero, trasalì e quasi se lo versò addosso dal sobbalzo quando il dott. Sallivan silenziosamente arrivò da dietro e gli appoggiò una mano sulla spalla.
 
 
***
 
Philippi, West Virginia
 
Una giovane ragazza dai folti capelli castani, robusta e dal viso abbastanza mascolino, fece irruzione nella hall del motel quasi correndo, digitando freneticamente un numero al telefono e trascinando a terra una grossa sacca nera.
Portò l’apparecchio all’orecchio e deglutì più e più volte, aspettando che la persona dall’altro capo del telefono rispondesse. Entrò nella sua stanza e chiudendosi la porta alle spalle appoggiò su di essa tutto il suo peso.
“Mamma!” esclamò piena di gioia quando le rispose. “Ho notizie certe su Cheris! E’ viva mamma è viva!” gioì iniziando a camminare avanti e indietro per il monolocale.
“A Kabul hanno trovato una ragazza americana che corrisponde esattamente a lei! Adesso è ricoverata in un ospedale a Kabul … Mamma è lei!” Alex non riuscì più a contenere la sua immensa gioia e in pochi secondi  lasciò che il suo viso si bagnasse di lacrime.
A quelle parole sentì anche sua madre emettere qualche singhiozzo di pianto.
“E’ viva mamma! Io me lo sentivo sin dall’inizio! E’ viva!” esultò esplodendo in una risata liberatoria.
Sua madre non disse nulla. Troppo commossa per riuscire a parlare.
Passarono qualche minuto nel più totale silenzio, poi Alex, asciugò le lacrime e assunse un’espressione turbata.
“Cosa dici …” azzardò insicura “Avvisiamo … suo padre?!”
“Oddio Alex! Hai appena scoperto finalmente che tua sorella è viva e … Questo è il tuo primo pensiero?!”
“Ma …” provò a controbattere sapendo già che avrebbe fallito.
“Senza ma! Ma cosa ti salta in mente!? Non ci provare, mi hai capito?!” ordinò quasi con freddezza prima di riagganciare.
Alex sorrise amaramente e con un sospiro intriso di sconforto allontanò il telefono dall’orecchio lanciandolo sul divanetto della stanza del motel.
Mise la testa tra le mani assalita da un’infinità di incertezze e si alzò fiaccamente per andare a sciacquarsi il viso stanco nel piccolo bagno.
Aveva preso una decisione: al diavolo gli ordini di sua madre, sua sorella aveva il diritto di sapere di chi era figlia!
 
 
***
 
Kabul, Afghanistan
 
“Ehi …” bofonchiò l’uomo cercando di tranquillizzarlo.
Il dottore era un uomo dal distinto viso autoritario, con un corpo possente e larghe spalle muscolose. Se non fosse stato per il colore bianco della sua barba e dei suoi lunghi capelli raccolti in una coda bassa, avrebbe dimostrato molti meno anni di quelli che invece portava.
Jackie si rilassò e bevve l’ultimo rimasuglio di acqua zuccherina nel bicchiere.
“La ragazza si è svegliata . Se vuoi andarla a vedere …”
Quelle parole catturarono improvvisamente la sua attenzione. Sgranò leggermente gli occhi, buttò il bicchiere e rientrando nel tendone si tolse la giacca.
Quando fu di fronte al letto, la sventurata teneva gli occhi semiaperti, e in quel momento il marine si accorse che erano verdi. I suoi capelli ora erano sistemati dietro le sue spalle, e il suo sguardo perso e confuso, quasi come lo era dentro la base di Sheikhabad.
“D-dove sono?!” sussurrò ad un tratto con un filo di voce.
“Sei al sicuro …” le sorrise lui stringendole la mano gelida e facendosi ancora più vicino.
Inaspettatamente quella risposta non scaturì in lei una reazione positiva.
Nel suo viso si dipinse un’espressione di follia e puro terrore. Con mani tremanti si strappò bruscamente l’ago della flebo dal braccio in cui era collegato e lanciando un urlo di dolore si buttò giù dal letto.
Era completamente in preda al panico.
“Fammi uscire bastardo! Fammi uscire!”
Con uno scatto fulmineo sfilò la beretta dal cinturone di Jackie, tolse la sicura e se la puntò alla testa sotto lo sguardo atterrito di tutti.
“Ho capito come fotterti stronzo!” -gridò girando su sé stessa- “E’ semplicemente come nei normali sogni! … Se muori ti svegli!” sorrise istericamente.
“NO! Se muori, muori! Punto e basta!” la interruppe la voce sconcertata di Jackie che alzò poi le braccia mostrando le mani libere come a farle capire che non aveva intenzione di farle del male.
“Ascoltami …” -le disse avvicinandosi cautamente a lei – “Non so cosa tua abbia vissuto in quella base, ma ora ne sei fuori! Non ti ricordi? Tu mi hai salvato … Ora è finita! Questo è reale! E’ reale!” abbassò il tono di voce allontanandole lentamente la pistola dalla tempia e sfilandogliela dall’ossuta mano tremante.
“E’ tutto finito …” le sussurrò infine stringendole entrambe le mani.
La ragazza si rilassò lanciando un lungo respiro, e in un battito di ciglia scoppiò in lacrime.
Sollevò lo sguardo verso il ragazzo che le aveva salvato per la seconda volta la vita, e ricordando cos’era successo nella base si lanciò ad abbracciarlo, bisognosa solo di avere un contatto umano, uno REALE.
“Grazie …” sussurrò tremando “Grazie …” continuò a ripetergli sempre piangendo ma nascondendo il viso tra le sue braccia.
Se dapprima irrigidito da quell’abbraccio inaspettato, il marine si rilassò e accarezzò delicatamente i capelli della ragazzina spaventata, che in quel momento le sembrò una bambina di quindici anni, proprio come la sua cugina che lo aspettava a Bardstown.
Quando non la sentì più tremare la liberò dall’abbraccio e la fece sedere sul letto.
“Adesso ti medichiamo la ferita, tranquilla” le sorrise protettivo indicandole la lacerazione che si era procurata strappandosi la flebo.
Assieme ai medici, si avvicinò al lettino il sergente Cruston: “Sei tu Cheris, Cheris Hawkins, vero?”
Lei annuì convinta.
“C’è una persona che ti sta cercando … E’ tua sorella …”
 
 
***
 
 
Lawrence, Kansas
 
“Quindi ci avete … Fottuti?!” chiese quasi ironicamente. La sua espressione era dura, la sua voce roca e bassa.
Se quella era la calma prima della tempesta, il seguito sarebbe stato disastroso.
Ma contro ogni previsione, il ragazzo, seppur assalito da una collera inimmaginabile, riuscì a controllarsi.
Infatti si limitò ad annuire impercettibilmente  e a lanciare occhiate taglienti al trio sgangherato che li aveva trascinati fino a lì. Non Bastava il fatto che ritornare fino a Lawrence era stata una cosa dolorosissima per lui, ma venire persino a sapere che quegli stronzi lo volevano rigettare a capofitto nel passato, quello con il quale aveva combattuto per anni, per giunta con l’inganno, lo faceva andare su tutte le furie.
Non riuscendo più a sostenere quella situazione, si alzò rumorosamente e si catapultò fuori dalla casa lasciando suo fratello solo con quei bigotti.
Cominciò a correre senza direzione, desideroso di aumentare il più possibile la distanza da quel luogo. Aumentare lo spazio da quell’Harvelle, da Missouri, da Singer e per la prima volta anche da suo fratello. Si ritrovò a detestare per un momento tutto ciò che lo collegava o gli ricordava il passato, persino Sam …
Corse fino a non riuscire più a respirare, rischiò per un paio di volte di farsi mettere sotto da una macchina, ma non si fermò.
Quando finalmente decise di diminuire la velocità si accorse di essere arrivato al Memorial Stadium, e così come lo vide, i suoi occhi si inondarono di lacrime. In un attimo il suo viso era completamente bagnato dal pianto. Portò le mani alla testa e girò su sé stesso, completamente perso.
Ad un tratto, tutto intorno a lui gli sembrò uguale a ventidue anni prima. Il cielo annuvolato che stava sovrastando la sua testa si trasformò in un azzurro cielo d’estate, il mondo cominciò ad ingrandirsi sempre di più, il luogo si popolò di centinaia di persone in festa e Dean si ritrovò a stringere la ruvida e protettiva mano di suo padre. 
“27 agosto dell’83”  sussurrò istintivamente con voce strozzata.
Era la prima volta che suo padre lo portava allo stadio, anche se quella che stavano andando ad assistere era solo un’amichevole tra le squadre di due college, tra le quali giocava il nipote di Mary, Niv.
Mary era restata a casa a occuparsi di Sammy, che allora aveva tre mesi, e perciò lui e suo padre potevano restare tutto il pomeriggio assieme a divertirsi ascoltando musica rock a tutto volume e mangiando una marea di caramelle, hamburger e patatine.
Sorrise stringendo i denti il più forte che poteva.
Ecco che era ricaduto nel passato.
Non si chiese il perché di ciò che stava accadendo, quel momento era troppo bello, e se lo sarebbe goduto fino in fondo. Ma troppo bello per essere vero, come arrivò scivolò via.
Ora sopra di lui c’erano di nuovo quelle nuvole nere che minacciavano tempesta, il sole si era dissolto, e tutte le voci di quella soleggiata giornata di estate sfumate.
Dean rimase in piedi, fermo davanti all’entrata chiusa dello stadio, come in trans.
 
Sam si alzò dal tavolo. Venti minuti erano più che sufficienti per Dean per rilassare i nervi tesi. Non disse nulla e si avviò verso l’uscita. Ma quando si ritrovò in giardino e guardandosi attorno notò che suo fratello non c’era, entrò in panico.
Non sapeva come poteva reagire, in quelle condizioni avrebbe potuto benissimo farsi male.
L’aveva visto nei suoi occhi: era al limite della disperazione.
Si diede dello stupido per non averlo accompagnato e prese il cellulare dalla tasca.
La prima, la seconda, e poi la sesta chiamata. Il telefono di Dean dava sempre occupato.
“Missouri, tu puoi sapere dov’è andato?!” pensò poi alla fine.
“Mi dispiace ragazzo … io posso soltanto percepire le energie in una stanza e leggere nella mente delle persone, ma non posso tirare il coniglio fuori dal cappello” gli disse con espressione dispiaciuta.
“Ma vedrai che tuo fratello starà bene. E’ un ragazzo forte, non hai di che preoccuparti … Magari adesso sarà in un pub ad affogarsi nel whisky, ma una volta passata la sbronza supererà questa faccenda!”
Sam strinse i denti. Avrebbe voluto vomitare su di loro tanti di quegli insulti! Non avevano minimamente idea di quello che Dean aveva passato?
“Giuro che se … gli succede qualcosa!” Sam si trattenne sigillando le labbra, prima che gli insulti e le minacce arrivassero.
“Sam, non c’è bisogno che ti tappi la bocca, lo so cosa credi che siamo …” –gli ricordò con voce comprensiva Missouri, avvicinandosi – “Ma la cosa che vi sta accadendo è collegata a ciò che è successo ventidue anni fa, che seppur doloroso deve venire affrontato …”
“Voi non capite cos’ha passato!” gli urlò contro.
“Ragazzo, lo capiamo eccome!” lo zittì con una smorfia dura Will. “Non siete gli unici che avete sofferto!”
Sam abbassò lo sguardo.
“Ad ogni modo …” –tentennò- “Devo sapere come sta mio fratello …” disse con la voce che si perdeva in un bisbiglio.
“Vado io!” asserì autoritario Harvelle. “Nella tua visione Bobby veniva ucciso, ha bisogno di qualcuno che gli copra le spalle e in questo caso non può andare a cercare Dean da solo. Missouri vi aiuterà ad individuare la creatura che infesta la casa e tu Sam” –lo indicò- “Sei tu che hai avuto la visione, quindi sai cosa succederà! Sei in pieno vantaggio su tutto questo!”
Gli altri due non potettero fare altro che essere d’accordo, ma Sam sbuffò restio a quell’idea. Non si fidava molto di quel Will, era praticamente uno sconosciuto, e tutto ciò che aveva fatto a lui e a suo fratello fino a quel momento era solo stato ingannarli. Ma ad ogni modo aveva ragione, e comunque sapeva che non era Dean quello in pericolo: lo avrebbe sicuramente visto nella sua visione.
“Su forza!” -Missouri interruppe i suoi pensieri- “Andiamo a fare il culo a quel poltergeist!” lo richiamò scoccando più volte le dita verso di lui.
Sam e Missouri salirono sui sedili posteriori della vecchia auto di Bobby e misero in moto.
“Conoscevo tua madre Sam …” gli sorrise malinconica dandogli una leggerissima pacca sulla spalla.
“…” il bruno si voltò con occhi attenti e addolorati verso di lei.
“La vedevo con te … Ti portava a fare passeggiate tutti i pomeriggi. Era una madre amorevole”
Sam sorrise sensibilmente.
“Non credo che la creatura che infesta la casa sia lei … Anche se dopo morti tragiche anche la persona più buona del mondo potrebbe trasformarsi nel male.”
“Come … Mia madre potrebbe essere il poltergeist?” le chiese preoccupato.
“O se no anche tuo padre. Ma comunque non credo … Voglio dire, se fosse così gli incidenti non ci sarebbero solo ora. In tutti questi anni la casa è stata relativamente tranquilla …”
Sam sospirando, fissò di nuovo lo sguardo sulla strada.
“Volevo dirti che mi dispiace …” la voce di Missouri era piena di compassione e dolore.
“P-Per cosa?!” riuscì a chiedere lui
“Per quel tuo amico, Jonson … Per tutto ciò che hai passato da piccolo e che stai passando ora. Sam, voglio essere sincera con te … Una volta che prendi questa strada è quasi impossibile uscirne.”
Ecco la risposta. Bam! Quello che temeva sin da quando era iniziata questa fottuta fuga da quei maledetti demoni. Ricevette come un cazzotto allo stomaco, dovette stringere i pugni fino a farseli diventare violacei per incassare il colpo senza piegarsi in due.
Missouri lo osservò rammaricata. Il dolore fatto persona.
“Mi dispiace …” bisbigliò sentendosi un po' in colpa.
 
 
 
 
 
 


 

*L’escursione termica sulla catena dell’Hindu Kush –ai piedi della quale è situata Kabul- è enorme, e quando ad aprile ci sono quindici gradi, di notte la temperatura scende anche sotto lo zero, quindi no, non mi sono bevuta il cervello facendo confusione con i mesi (nel capitolo 18 Dean accennava che erano ad Aprile) xD


 
  
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