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Autore: Blackmoody    13/05/2014    2 recensioni
[...] e sulla parete si delineò una fenditura dai contorni danzanti, una sorta di stretto uscio aperto su stelle e oscurità che vacillavano e svanivano a tratti. Qualcuno allora si fece avanti attraverso quel nulla, titubante e forse sorpreso, e il Dio degli Inganni distinse una robusta creatura dalla pelle cerulea coperta da una leggera armatura di cuoio scuro. Un manto di pelliccia gli pendeva dalle spalle e una corta daga dal fianco sinistro, e le sue iridi sanguigne lo fissavano prive di astio.

Circa un anno dopo l'ultima grande battaglia contro il Folle Titano, la vita di Loki di Asgard ed Erin di Galway scorre pacifica – in attesa, forse, di nuove opportunità di conquista da cogliere. Ma c'è qualcosa del suo passato con cui l'Ingannatore ha ancora un conto aperto: qualcosa che giungerà dal buio di vaste e antiche lande di ghiaccio e neve.
SEGUITO DI THE MAJESTIC TALE, post-Avengers, sedici capitoli.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
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12.

Won’t be no peace when I find that fool

who did that to you

 

 

 

 

 

 

«Battono in ritirata, mio signore!» esultò uno dei cavalieri levando alta la propria spada verso Thor.

Questi rispose con un ruggito vittorioso e sollevò Mjölnir tra il giubilo dell’esercito intero, ma non sorrideva come suo solito, nonostante l’esito felice della battaglia. Tra il molto sangue di cui era sporco v’era pure quello giovane e tristemente eroico di Erin di Galway, e ciò gli appesantiva dolorosamente il cuore: se e quando fosse tornato, Loki non lo avrebbe mai perdonato per averle permesso un simile gesto, né se lo sarebbe perdonato lui per primo.

Si guardò la mano destra, quella con cui stringeva il manico del Martello, e si chiese perché fosse ancora degno di brandirlo. Lo scontro era vinto e gli Jötnar superstiti fuggivano disordinatamente in direzione del varco tra i monti, eppure il Dio del Tuono sentiva di aver ben poco per cui gioire.

Sif gli si accostò. Anche lei era pallida e stravolta, ferita sulle braccia e sul volto, e Hogun e Fandral la seguivano a qualche passo di distanza; Volstagg era rimasto indietro ad aiutare un drappello di fanti malmessi.

«È finita?» chiese il biondo spadaccino, che come il principe ostentava meno della metà della propria consueta brillantezza.

«Non ne sono sicuro. Mio fratello è ancora nelle mani dei nemici e dobbiamo chiudere il passaggio, cosa peraltro di cui solo lui è capace. Finché non tornerà mio padre non oso prendere decisioni.» rispose piano Thor.

«Dov’è il re adesso?» interloquì la guerriera guardandosi nervosamente intorno, e nessuno avrebbe saputo dire se stesse solo controllando la situazione sul campo, se cercasse una traccia del flauto spezzato e disperso della donna d’Irlanda o se segretamente sperasse di veder comparire quest’ultima in carne e ossa, scoprendo così di aver preso un abbaglio. Non avrebbe mai ammesso ad alta voce, Sif, che si riteneva pienamente responsabile della morte di Erin, malgrado l’espressa richiesta contraria di Erin medesima, e la colpa le scavava dentro indisturbata. Tuttavia era felice che Thor fosse vivo grazie a quel che la giovane midgardiana aveva fatto, e al contempo la invidiava perché da sempre era convinta che sarebbe stata lei a sacrificarsi per colui che amava e ammirava con fervore – e non avrebbe dovuto essere l’irlandese a farlo, dacché era l’altro principe ch’ella amava e ammirava. Pensarlo non faceva che aumentare in Sif quel logorìo.

«L’ho visto allontanarsi con Lady Brunhilde, diretti alle mura, e ne ignoro la ragione.» disse il dio. La Valchiria aveva raccolto con estrema gentilezza l’esile spoglia di Erin, e lui non riusciva a esimersi dall’ipotizzare che suo padre avesse in mente qualcosa, una soluzione, un miracolo. Ma la musicista era legata a un ben diverso destino rispetto a quello degli Æsir, e quella di Thor era una vana speme.

Hogun puntò d’improvviso il dito innanzi a sé, gli stretti occhi neri accesi di stupore:

«Potrai sapere a breve la ragione, amico mio. Il Padre degli Dei giunge tra noi, e non è solo.»

Il principe, la guerriera, lo spadaccino e tutti coloro che li circondavano si voltarono, e rimasero a bocca aperta: Odino avanzava calmo e maestoso, sfavillante d’oro, e alla sua sinistra cavalcava una fanciulla dal fiero cipiglio, i capelli chiari raccolti sulla nuca, una giubba in pelle sopra l’armatura, una spada alla cinta e una bizzarra, robusta arma tra le dita.

Altri non era che Erin Anwar in persona, e nel riconoscerla tutti rimasero senza fiato, e Thor sentì i propri occhi impolverati e stanchi riempirsi di lacrime.

«Erin!» esclamò correndole incontro.

Pur desiderando tirarla giù dalla sella per abbracciarla, si limitò a stringerle una mano, mirandola con viva e abbacinata commozione; era scosso dal sollievo, dalla gratitudine e dall’orgoglio, e per la prima volta da quando quell’infausta vicenda era iniziata fu certo che tutto poteva finire per il meglio, che anche suo fratello aveva almeno una possibilità di salvarsi. Era, in effetti, la prima volta che ragionava su quel che poteva essergli accaduto, dal momento che solo la battaglia aveva occupato la sua mente sino ad allora, e temeva per lui.

Eppure la straordinaria guarigione o rinascita della giovane irlandese dal cuor di leone gli faceva pensare che niente era impossibile, né già deciso, e che non avrebbe abbandonato Loki.

«Come ti ha salvata?» domandò a Erin continuando a tenerle la mano libera nella propria e accennando al Padre degli Dei.

«È la storia più incredibile che potrei mai raccontarti, caro cognato, e non lo farò adesso. Ho un marito da recuperare.» affermò lei ricambiando la stretta.

Non rimpiangeva di aver fatto quanto aveva fatto, benché fosse conscia che forse un giorno, o quel giorno stesso, si sarebbe amaramente pentita di non essere rimasta alla reggia con Frigga e le dame. A patto, naturalmente, che quel suo atto di totale abnegazione non servisse a qualcosa di più dell’aver ottenuto la completa e fiduciosa riconoscenza imperitura di Thor e Odino: in tal caso mai azione le sarebbe parsa più saggia e legittima.

Guardò il sovrano di sotto in su in attesa di un segnale ed egli annuì lentamente per poi spronare il proprio destriero e portarsi al centro dello spiazzo che gli astanti avevano formato; Sif fissava la flautista come avrebbe fissato le Norne se le si fossero materializzate di fronte in quell'istante, e oscillava tra il riso e la più totale incredulità.

«Soldati e cavalieri, figlio mio e mia signora, grande è stato il vostro ardimento, e grazie ad esso il nemico è ora in fuga e decimato. Asgard è salva!» annunciò Odino scuotendo Gungnir, e il cielo che andava scurendosi sopra l'erba arrossata dei Campi di Idavoll vibrò del boato unanime dell'esercito che celebrava la vittoria; e il re proseguì: «Non è però ancora tempo di riporre le armi e fare ritorno entro le mura. Non lo sarà finché il mio secondogenito non sarà di nuovo tra noi e la sua sorte non ci sarà nota, e andare a Jotunheim è l'unico modo per risolvere la questione.»

Un mormorìo attraversò la folla, pronto a crescere in un coro di proteste, e il Padre degli Dei lo smorzò sul nascere: «So bene che è un'impresa suicida quella che vi chiedo di compiere, ma non posso lasciare uno dei miei figli nel reame che ci ha sfidati. Lo riporteremo qui, lo puniremo se necessario, oppure lo vendicheremo. Sua moglie ha salvato suo fratello e ha fatto un'ardua scelta per salvare lui, e vorrei che non la deludeste.»

«E io vorrei la mia vendetta.» precisò Erin facendo scattare minacciosamente la sicura di Boomstick. Avrebbe volentieri sparato persino agli asgardiani, se le avessero impedito di prendere la via che conduceva al Regno dei Ghiacci, a costo di giocarsi il debole che avevano per lei.

«Chi è con me?» aggiunse con un lievissimo tremito nella voce.

«Fino alla fine dei giorni, Erin di Galway, io sarò con te.» sentenziò subito Thor porgendole simbolicamente Mjölnir.

«E noi con voi.» si accodarono i Tre Guerrieri di nuovo riuniti, Fandral che parlava a nome dei compagni.

«E io lo farò per te, amica mia.» garantì la dama guerriera.

Anche Hödr avanzò per inchinarsi all'irlandese e al Dio del Tuono:

«La cavalleria è ai vostri ordini, altezze.»

Il principe comandò che fossero forniti cavalli freschi a lui e ai suoi quattro leali amici, e dal padre volle sapere se lui ed Erin avevano carta bianca per agire.

«La avete. Ma tornate da vivi, e con Loki. Altro non desidero né pretendo.» Odino disse loro.

Thor sorrise con gioia feroce e alzò il Martello sopra la testa, invitando la cognata a fare altrettanto, e lei lo imitò sollevando il fucile; alle loro spalle i cavalieri proruppero in un ruggito unanime e Sif, Hogun, Fandral e Volstagg li fiancheggiarono due a due. Seguendo il lucore di Mjölnir e Boomstick il contingente partì al trotto alla volta della gola in cui s’apriva il varco, e nuovamente il terreno fu scosso da un tremore incessante che prometteva tempesta. Il Padre degli Dei li osservò sparire tra le pareti di roccia e fece disporre la fanteria a ventaglio in modo da bloccare qualunque cosa ostile fosse uscita dal passaggio in vece del suo primogenito e della Dama del Flauto – e se non avessero fatto ritorno, considerò tra sé col cuore stretto in una morsa, avrebbe dovuto adoprarsi per serrare il passaggio senza inviare altri uomini al di là di esso, o i rischi sarebbero stati irreparabili.

E intanto gli asgardiani e l’irlandese cavalcavano senza sosta, e presto i bordi danzanti del portale di spalancarono loro dinnanzi, e tale era l’impeto di Erin e Thor che tutti lo attraversarono con decisione, ritrovandosi sul sentiero sospeso nel buio stellato di quel cosmo a parte. Tuttavia ancora avanzarono, e seguirono la via sino a scorgere il baluginare candido e metallico delle nevi di Jotunheim, e sulle sue lande di grigio gelo sciamarono al galoppo puntanto verso la strada maestra e i suoi alti archi di ghiaccio. Il freddo era ostile e pungente e ghermiva la carne trapassando la stoffa, il cuoio e le corazze, ma niente avrebbe potuto ormai fermarli: di certo non avrebbe fermato Erin, né il tumulto ch’ella aveva in petto e che le spinse in gola un poderoso grido belligerante non appena scorse la Cittadella ergersi oltre l’ultima curva. Ed era un grido che assai somigliava al nome del suo divino sposo.

 

 

Hugrun fu il primo a vederli arrivare. Stava organizzando il campo per curare i feriti e le carovane di morti e superstiti da mandare in città, dopo aver comunicato la novella della pesante sconfitta al furibondo Býleistr, e l’ondata di Æsir a cavallo guidati dal Tonante e dai suoi migliori guerrieri lo costrinse a correre ancora dentro al palazzo per dare l’allarme.

«Mio re, ci attaccano!» esclamò maldestramente entrando nel salone dove il figlio di Laufey camminava a passi nervosi per decidere sul da farsi; quindi prese fiato e precisò: «Thor e la cavalleria di Asgard sono qui, mio signore, e ci attaccano. Hanno seguito le nostre retrovie in fuga attraverso il varco, sebbene abbiano vinto.»

Gli occhi sanguigni del giovane Gigante fiammeggiarono:

«Sono venuti per lui. Una folle missione atta a riprenderselo! Cercano la morte, quegli sciocchi, e io non gliela negherò. Pensa alle difese, generale, ti raggiungerò a breve.»

Guardò Loki e scoprì con sollievo che l’annuncio sembrava non averlo minimamente toccato, se mai l’aveva anche solo udito: se ne stava sempre lì, accasciato alla base della colonna col flauto spezzato tra le dita, e vacue e spente erano le sue verdi iridi.

Býleistr rifletté freneticamente: se gli asgardiani mettevano a repentaglio la propria vittoria per il principe cadetto era perché lo ritenevano colpevole e intendevano punirlo secondo il loro stolto onore, oppure avevano mangiato la foglia e lo sapevano innocente e volevano salvarlo; in ogni caso era ovvio che non avrebbero desistito dall’intento, non senza vender cara la pelle, e lo jotun si chiese cosa era andato storto, su quale punto si era sbagliato.

Ucciderlo, dunque, non avrebbe avuto senso, non adesso. Col fratellastro morto non avrebbe potuto insistere efficacemente nell’accusarlo di tradimento contro il Reame Eterno, né gli sarebbe stato possibile – ne ebbe improvvisa illuminazione – tenere i nemici in pugno. Forse avrebbe dovuto ucciderlo subito, eppure neanche ciò sarebbe stato utile o sensato, nello schema della sua vendetta, e il piano che aveva testè elaborato gli parve un ottimo compromesso.

All’esterno erano esplosi suoni inconfondibili di combattimento, e Býleistr sogghignò prendendo malamente il Dio degli Inganni per la collottola per tirarlo su in piedi. Gli sfilò con cautela le catene dai polsi, ma Loki rimase afflosciato, muto e pallido nella propria triste inerzia, quasi aggrappato ai monconi d’argento dello strumento, e il figlio di Laufey non faticò affatto nel trascinarlo fin sulla soglia della fortezza.

 

 

Fu battaglia immediata entro il perimetro della roccaforte, quando Erin, Thor e i loro vi confluirono come furie. Gli Jötnar erano decimati e stanchi, e ciononostante reagirono prontamente sotto l’abile guida di Hugrun, facendo del loro meglio per impedire agli assalitori di guadagnare l’ingresso del palazzo. In molti tra coloro che erano partiti per la capitale tornarono in fretta indietro, richiamati dai messi e dai corni d’allerta, e presto gli Æsir si ritrovarono in lieve svantaggio, bloccati al centro della Cittadella.

L’irlandese non aveva però alcuna intenzione di perdere tempo: scaricando cartucce su cartucce sulle brutte facce degli jotun che le si paravano davanti si allontanò dal punto critico dello scontro, alla ricerca di una porta che potesse condurla all’interno della reggia più o meno di nascosto, e scese dalla sella. Sentiva che Loki era lì, e non avrebbe atteso né una seconda vittoria né di essere catturata assieme ai compagni d’arme per andare a cercarlo.

V’era in effetti un uscio di servizio, sul lato destro dell’enorme edificio di pietra e gelo, e protetta dalla confusione che ovunque regnava e dal buio che cresceva riuscì ad arrivarvi, inciampando nella neve e imprecando con voce soffocata. Aveva le mani fredde come il marmo e vampe di calore le infuocavano il volto e la schiena, confondendola, ma l’energia completamente nuova che le fluiva in corpo e la rabbia che a malapena teneva a freno rendevano trascurabile quel malessere. Non aveva più dubbi o timori concreti: voleva solo sapere, definitivamente, e farla finita, e poco importava cosa sarebbe accaduto in seguito.

Con un colpo di fucile fece saltare la serratura della porta e rapida s’intrufolò nel passaggio su cui essa si affacciava. Salì una rampa di scale, sbucò in una vasta sala dal soffitto di altezza quasi normale che aveva tutta l’aria di essere una cucina e proseguì oltre, imboccando un corridoio così ampio che un carro armato vi sarebbe transitato senza toccare le pareti – e quanto avrebbe desiderato averne uno, in quel momento! Si rese conto di star avanzando come un cingolato lei medesima, accecata dall’urgenza di vendicarsi, incapace di formulare un pensiero che contemplasse lucidamente l’ipotetico destino che l’avrebbe attesa dopo aver soddisfatto tale bisogno. Ed era assai meglio così, o avrebbe dovuto fronteggiare ancora l’abisso oscuro e ignoto di un’indesiderata immortalità potenzialmente solitaria, un’eternità che sapeva già di non voler vivere se il Dio degli Inganni non fosse stato con lei.

Come giunse al termine del passaggio, arrivando in una sorta di armeria, un manipolo di Giganti urlò nel notarla e le piombò addosso con le daghe spianate: Erin sparò a quello che aveva più vicino, abbattè il calcio di Boomstick sull’inguine del secondo e schivò gli altri per guadagnare terreno e inserire goffamente una cartuccia intonsa nelle canne mozze dell’arma mentre correva al capo opposto della stanza; scivolò sul ghiaccio che ricopriva il pavimento di roccia levigata, bestemmiò e aggrappandosi allo stipite della prima porta che incontrò girò pericolosamente sui tacchi e fece fuoco contro i nemici che erano tornati alla carica. Avrebbe potuto continuare a fuggire, ma doveva togliere di mezzo tutti gli jotun presenti nella fortezza, almeno quelli che vedeva, o non le sarebbe stato possibile agire indisturbata in seguito. Perciò invece di scappare arretrò mantenendosi rivolta verso i soldati, ricaricando il fucile con estrema e folle rapidità e sparando con i bossoli di ricambio pronti tra i denti. I Giganti caddero sotto quelle piccole e devastanti esplosioni a loro sconosciute, tra scintille e fumo e odore di polvere da sparo, chi ferito e chi defunto, e l’irlandese si fermò solo quando fu sicura che nessuno potesse più nuocerle. Nessuno o quasi, dacché qualcuno la afferrò da dietro per il collo uggiolando: «Ferma dove sei, dannata asgardiana!»

Con una smorfia irosa, Erin non fece complimenti: rovesciò Boomstick fino a toccare la fronte dell’assalitore e premette il grilletto all’istante. Lo jotun lanciò uno stridulo suono e mollò la presa rovinando a terra con il cranio sfacciatamente dilaniato dal proiettile, lasciando schegge di gelo e schizzi di sangue bluastro sulla giacca e sulle tempie della flautista, la quale gettò un’occhiata fredda al caduto:

«Fuori dalle palle, stronzo.» ringhiò.

Il salone che le si spalancava ora davanti era il più grande tra quelli in cui aveva transitato fino a quel momento, spaventoso nella sua cupa imponenza e con le sue massicce colonne che disegnavano ombre lunghe e dense al suolo, nella già fioca luce che penetrava dalle feritoie aperte nei muri e dal gigantesco portone che dava sul cortile della Cittadella.

E fu proprio l’ingresso ad attrarre l’attenzione dell’irlandese, accelerandole il battito cardiaco in modo insostenibile: esattamente al centro di esso, sotto il suo grande arco acuminato, stava un robusto Jötnar avvolto in un manto di pelliccia e coperto da un’armatura di cuoio nero, e teneva saldamente per la gola Loki in persona, Loki che era smunto e silente e completamente abbandonato, inerte, nella stretta del suo aguzzino. Questi gli premeva un pugnale sulla giugulare e parlava in direzione di qualcuno che si trovava all’esterno, oltre la visuale di Erin – Thor, suppose lei, ma non riusciva a capire cosa il Gigante stesse dicendo, né quali fossero le reali condizioni dell’Ingannatore. Allora si spostò con passo felpato, portandosi alle spalle dello jotun, e riparandosi tra i pilastri pensò a cosa fare, a come intervenire senza nuocere al marito e se intervenire, poiché la situazione non le era chiara e perché per essere efficace sarebbe dovuta arrivare a meno di due metri dal bersaglio. E le era rimasto un unico colpo.

 

 

Erin non aveva in effetti assistito a ciò che era avvenuto subito dopo che si era allontanata dall’area della battaglia, e non aveva visto il giovane Re dei Ghiacci uscire dal palazzo trascinando il fratellastro con sé e indurre i combattenti ad arrestarsi sul posto proclamando con voce stentorea: «Æsir! Ecco il vostro principe! Deponete le armi, o sarà morto prima che possiate raggiungermi.»

Thor non aveva esitato ad abbassare Mjölnir, facendo cenno ai compagni e ai cavalieri di imitarlo, e aveva mosso un passo verso la scalinata:

«Con chi, per Hel, dovremmo trattare? Chi sei, jotun?» aveva replicato.

«Býleistr figlio di Laufey son io, asgardiano, e detengo il trono di Jotunheim.» era stata la lapidaria, ghignante risposta del suo interlocutore, e tra i guerrieri del Reame Eterno si era insinuato un brivido di sconcerto. Sif aveva toccato brevemente un braccio del Dio del Tuono, pregandolo silenziosamente di non commettere errori impulsivi e di valutare la portata di quella nuova informazione: Býleistr e Loki erano fratelli, fratelli di sangue, e questo non poteva essere un bene. Thor ne era consapevole, ma la disperazione dipinta sul viso cereo del Dio degli Inganni e lo scintillìo dei pezzi del flauto di Erin che serrava tra le dita contratte lo avevano convinto della sua innocenza, indipendentemente dal legame familiare che forse aveva con il sovrano nemico – legàmi che mai Loki aveva d’altronde onorato.

«Cosa vuoi in cambio della libertà di mio fratello, Býleistr figlio di Laufey?» aveva chiesto.

Lo jotun aveva riso: «Saresti pronto a darmi qualunque cosa, nevvero, figlio di Odino? Altrimenti non avresti messo a repentaglio una vittoria inviolabile per inseguire i miei uomini fin qui in cerca del tuo infido congiunto. È divertente, considerato che il nostro comune fratello mi ha pregato di farti uccidere sul campo, durante l’ormai passata battaglia.»

Il biondo si era irrigidito, contraendo la mascella, e la dama guerriera gli aveva sibilato all’orecchio qualcosa di maledettamente simile a un “io lo avevo detto”. Tuttavia non aveva mutato la propria opinione sul ruolo del principe cadetto in quella vicenda:

«Sei uno stolto se ritieni che ti crederò, Gigante. Perciò ripeto la mia domanda, e gradirei che tu non tentassi di confondermi con menzogne del genere.» aveva asserito.

«Come preferisci, Tonante.» lo aveva schernito l’altro: «Ciò che voglio è semplice. Esigo che vi arrendiate e che mi consegniate lo Scrigno degli Antichi Inverni, come avevo concordato con il vostro Ingannatore. In cambio lo lascerò andare e lascerò andare voi via di qui vivi e in salute. E mai più oserete minacciare il nostro Regno.»

Thor era stato scosso da un fremito d’irritazione: «Dovrei essere io a chiederti questo. Vi concederò lo Scrigno soltanto se tu mi assicurerai che non ostenterete più intenzioni belligeranti nei confronti di Asgard. La nostra rivalità è andata troppo oltre.»

«Ed è colpa della tua arroganza e delle macchinazioni del nostro comune parente se ciò è accaduto, principe.» gli aveva soffiato contro Býleistr. La punta del suo coltello aveva inciso una minuscola ferita d’avvertimento sulla gola scoperta di Loki, facendone stillare una singola, rotonda goccia di sangue, e quest’ultimo non aveva reagito.

«Non lo nego. Ma anche la tua vendetta ha avuto una parte in questa vicenda. Libera dunque mio fratello e avrai lo Scrigno e la nostra resa.» aveva esclamato l’asgardiano.

«Deponete le armi e lo farò.» aveva insistito il re, ghignando.

Il tempo si era come fermato. Býleistr intendeva sterminarli, dando l’ordine non appena avessero fatto la mossa di abbassare la guardia, e contemporaneamente avrebbe sgozzato il suo derelitto, odiato fratellastro. Poco importava se il Dio del Tuono non avrebbe più potuto fare ritorno a casa per prendere lo Scrigno e portarglielo: vi sarebbe andato lui di persona, recando seco i cadaveri dei due principi di Asgard e dei loro più valorosi eroi, alla cui vista il Padre e la Madre degli Dei e gli Æsir tutti avrebbero capitolato. Oppure li avrebbe attaccati nuovamente, indebolendoli nell’animo e nella volontà.

Thor aveva intuito il pericolo, e aveva indugiato. Sia che obbedisse o meno alla condizione posta dall’avversario avrebbe rischiato la morte di Loki, dato che non si fidava della parola del figlio di Laufey e che scagliandogli il Martello contro avrebbe colpito anche il prigioniero. Il Dio degli Inganni avrebbe dovuto divincolarsi, agire per primo, affinché quella fase di stallo si risolvesse, ma nulla sembrava scalfire il suo stato catatonico.

«Dov’è Erin?» aveva sussurrato il primogenito di Odino ai compagni. Se il fratello avesse visto che la moglie era viva si sarebbe ripreso, poiché quale motivo poteva egli avere per non ribellarsi affatto, per non tentare di difendersi né di fuggire, se non il crederla morta? Lo strumento d’argento che aveva tra le mani avvalorava la triste ipotesi di Thor.

«Ne ho perso le tracce a inizio battaglia.» aveva mormorato Sif gravemente.

L’oggetto della loro apprensione si era intanto approssimato a Býleistr quel tanto che bastava per udire le ultime frasi da costui pronunciate e per percepire l’indugio fatale degli astanti: il Dio del Tuono aveva il busto piegato in avanti, l’espressione combattuta, e il movimento appena accennato del gomito destro dello jotun aveva suggerito all’irlandese che qualcosa di spiacevole sarebbe presto successo.

Così, nell’attimo stesso in cui gli asgardiani s’interrogavano sul destino della musicista e il giovane sovrano tendeva i muscoli per affondare la lama, una deflagrazione riecheggiò all’interno della rocca e un’aspra imprecazione la accompagnò:

«Fottuto figlio di puttana!»

Býleistr gridò di dolore e sorpresa, spalancando le braccia e incespicando, Loki cadde a peso morto e rotolò malamente sino alla base della scalinata d’ingresso, Thor si lanciò in suo soccorso e i guerrieri del Reame Eterno gioirono: alle spalle del Gigante, Erin brandiva il fucile ancora fumante e fissava il nemico con iridi fiammeggianti di collera.

«Proteggete i prìncipi!» tuonò Fandral, e lo scontro riprese feroce nella Cittadella.

Vessato sulla schiena dalla grande ferita che il proiettile di Boomstick gli aveva provocato, il ceruleo re si voltò come una serpe: «Chi ha osato colpirmi?» ruggì.

«La sposa di Loki di Asgard.» disse Erin con immenso orgoglio.

Per quanto colui che la stava fronteggiando fosse enorme, temibile e palesemente furibondo, lei era di gran lunga più incazzata, e nessun terrore la adombrava.

Lo jotun sgranò gli occhi rossastri: «La donna d’Irlanda? No, non è possibile.» sibilò con una secca risata; «Sei scampata alla cattura su Midgard, ma non alla morte nei Campi di Idavoll. Il mio messaggero non può aver mentito, e ho i due tronconi del tuo flauto spezzato!»

«L’idea è stata tua, allora, lurido bastardo. Tu mi volevi morta.» constatò lei.

«Sì, Dama del Flauto, ti volevo morta per infliggere al mio sleale fratellastro la sofferenza e la perdita che lui ha inflitto a me uccidendo mio padre. E tu non puoi essere viva, irlandese, non puoi essere sopravvissuta a quel fendente. Sei umana, e per molto meno gli uomini muoiono.» confermò Býleistr con vigore, attonito e furioso.

Erin non badò al termine “fratellastro” che il suo opponente aveva usato parlando del suo divino consorte, e increspò sprezzante le labbra:

«Hai ragione. Ma io non sono un uomo.» sentenziò, e urlando fieramente gli si lanciò addosso tenendo il fucile per le canne, e con il calcio gli colpì lo sterno.

Lui ringhiò come una belva e le restituì la cortesia utilizzando l’elsa del proprio pugnale, puntando alla sua tempia sinistra; la musicista lo schivò, ricevendo però in compenso un pugno nello stomaco e un successivo graffio su uno zigomo, e trovando Boomstick troppo pesante e d’impaccio per sostituire un’arma contundente agile come il flauto lo gettò in un angolo per estrarre la spada che Odino aveva voluto donarle. Era lunga, sottile, lineare nella forma e quasi bianca nel metallo con cui era stata forgiata, con fitte rune incise al centro della lama e sull’impugnatura di nero, scintillante uru, ed era comunque troppo grande per lei: Erin la bilanciò facendo forza con entrambi i polsi e a fatica parò il terzo attacco del Gigante, che aveva ripreso la daga, barcollando all’indietro. Le mosse di lui erano classiche, approssimative e contrastabili persino da un’inesperta spadaccina, ma la sua potenza fisica era impressionante.

Nel mentre, inginocchiato nella neve che ricopriva il suolo scuro del cortile, Thor stava scuotendo Loki nel tentativo di sottrarlo all’oblio di cui era preda: «Fratello! Fratello, ti prego, alzati!» lo chiamava.

Il Dio degli Inganni battè le palpebre un paio di volte, ancora riverso a terra, e corrugò le sopracciglia in un palese segno di istintiva stizza che il biondo ritenne più che positivo. Poi l’altro lo mirò di sbieco e lui lo incalzò:

«Fratello, ascoltami. Erin sta combattendo per te, e ha bisogno d’aiuto.»

Al nome della moglie Loki sussultò, e con un lamento riuscì a sollevarsi facendo perno sugli avambracci: «Taci. Erin è morta.» protestò con voce roca e amara.

«No, fratello, non lo è. Guarda!» rispose Thor indicando l’ingresso del palazzo.

E il principe la vide, e credette di sognare a causa dell’angoscia che lo attanagliava: eppure il clangore delle spade dell’irlandese e di Býleistr che s’incontravano ritmicamente e con violenza era reale, e così le esclamazioni che i duellanti lanciavano e l’evidente difficoltà di Erin nel non soccombere alla sproporzione tra la sua mole e quella dello jotun.

Qualcosa di straordinario era evidentemente avvenuto, e lei era viva, ed era lì.

Senza più badare alla spossatezza, al freddo e al pulsare delle ferite, l’Ingannatore si alzò finalmente in piedi e parve riacquistare all’istante ardore e lucidità. Congiunse tra loro i due pezzi del flauto e le sue verdi iridi si accesero del bagliore intenso che si sprigionò dalle sue dita per una manciata di secondi, vibrando nell’aria e riflettendosi sulle schegge di ghiaccio che il vento faceva mulinare tutt’intorno – e quando la luce si dissolse Thor esultò, perché il flauto era tornato integro e splendente, e non recava tracce di frattura.

In cima alle scale l’irlandese scivolò per evitare un colpo e il giovane Gigante le fu sopra, pronto a calare la propria lama. Ma il fendente si fermò assai prima del dovuto: il Dio degli Inganni si era frapposto tra i contendenti, superbo, terribile e saldo come una roccia, e con lo strumento d’argento della sua sposa aveva fermato Býleistr.

Di nuovo la battaglia s’interruppe, l’attenzione di Æsir e Jötnar concentrata su ciò che accadeva di fronte alla fortezza, e l’irlandese sorrise con un fremito d’incontenibile felicità e col fiato corto, e seppe con assoluta certezza che colui che amava non l’aveva tradita e che mai aveva avuto intenzione di farlo.

E Loki disse soltanto: «Allontanati, Erin. Lui è mio.»

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

Perché Erin è raffinata come Debra Morgan e se non cita Éowyn non è contenta. E io nemmeno :D

Per curiosità, posso chiedervi com’è possibile che i miei capitoli abbiano una media di più di cento letture e che siate in una trentina a seguirmi e che nonostante ciò le recensioni per questa povera storia non arrivino nemmeno alla mezza dozzina? È un tantino umiliante… Insomma, se leggete e seguite immagino che la storia un minimo vi piaccia. E se qualcuno recensisce – a tal proposito, grazie mille a Blue_moon, Krisy, Pheonix, Arya_nne e Nyxnyx! – vuol dire che non è strano né improbabile lasciarmi un commento e un’opinione. Non temo eventuali critiche o dubbi o perplessità, anzi: preferirei cose del genere a questo silenzio che mi fa pensare di aver scritto qualcosa di insignificante e che emoziona me soltanto. C’mon ladies, sotto con le vostre impressioni: non ho mai preso a ciabattate nessuno (a parte il mio consorte) ;D

Il titolo del capitolo viene da Who did that to you? di John Legend, canzone molto assai badass scelta da Tarantino per Django Unchained e che potrebbe andar bene anche per la scena del ritorno di Erin e Odino e la carica degli asgardiani. A meno che non vogliate piuttosto scegliere la versione di Child’s anthem dei Toto suonata da David Garrett, epic-tamarra ai massimi livelli. Per il resto consiglio di dargliene secche con pezzi di Bacalov e Morricone come La corsa e La resa.

Ossequi asgardiani e alla prossima!

  
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