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Autore: Valpur    28/07/2008    7 recensioni
"Ti amo", disse. "Ritorna".
Non sempre l'alba porta con sè il risveglio.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nelle notti buie dei secoli antichi Laila ballava

Nelle notti buie dei secoli antichi Laila ballava.

Ballava nei boschi, sola e scalza, attorno ad un fuoco acceso solo per lei.

Lì, dove le fiamme illuminavano fronde sussurranti, con la terra umida sotto i piedi e le stelle a guardarla con dolcezza, Laila percepiva il potere degli spiriti, e gli spiriti l’ascoltavano.

Alcuni dicevano che fosse pazza, altri che fosse soltanto una giovane donna con troppa fantasia. Ma alcuni, i più saggi, sapevano.

Laila non era una maga, ma era amica delle grandi forze che guidavano tutte le cose: gli spiriti eterni che facevano crescere le messi nei campi del villaggio, che rendevano feconde le vacche, che portavano la pioggia. Ma gli spiriti erano entità capricciose e imprevedibili, e potevano far ammalare il bestiame o far gonfiare il fiume, potevano portare la morte anche a chi non lo meritava.

Laila li ascoltava e spesso li capiva, e loro l’amavano per la sua semplice devozione. Danzava per loro e recava doni, mazzi di fiori raccolti con le piccole mani scure, rese ruvide dal lavoro nei campi, favi di miele, lacrime e solitudine.

Sì, perché non in molti amavano starle vicini. C’era chi la chiamava strega e la considerava pericolosa, le madri non le permettevano di toccare i loro figli.

Renard però era diverso. Amava Laila, i suoi capelli scuri come la terra fertile, gli occhi grandi e fiduciosi, il sorriso timido. La aiutava nei campi, quando poteva, e la difendeva dalle maldicenze.

Era un uomo con una buona reputazione, Renard; ma quando vide Laila danzare tra le ombre del fuoco fu pronto a gettarla al vento pur di stare con quella donna che da lunghi mesi osservava in silenzio, innamorandosene.

Laila arrossiva per i complimenti che l’amato le rivolgeva, e quella timidezza rendeva Renard ancora più ardente. La fanciulla gli parlò apertamente di ciò che sentiva quando era sola nella foresta, gli raccontò degli spiriti e delle loro voci; Renard non li sentì mai, ma non ebbe mai dubbi sulla sincerità di quella fede.

Erano felici insieme, e ogni giorno Laila rendeva grazie agli spiriti per l’amore di Renard, per le sue mani forti, per il suo sorriso.

Ma un giorno Renard si ammalò.

La pelle resa dorata dal sole si tinse di un pallore mortale, le membra forti e agili lo costrinsero a letto.

Laila pregò gli spiriti fino a consumare se stessa, pianse sulle braci del fuoco, promise la propria vita in cambio di quella dell’amato.

Gli spiriti tacevano.

Per lunghi giorni Laila rimase al capezzale di Renard, asciugandogli la fronte e tenendogli la mano febbricitante. Il medico del villaggio non sapeva che fare, e quando le condizioni del giovane si aggravarono la famiglia pretese che la giovane se ne andasse.

Voci nell’ombra sussurravano malignità, accusavano la strega della malattia di Renard.

Laila, ormai, non aveva più lacrime, non aveva più la forza di rispondere a quelle voci.

Intanto, però, una sensazione nuova le saliva nel petto.

Gli spiriti l’avevano abbandonata.

Sola come non era mai stata non danzò più, non si avvicinò al bosco. Come un cane scacciato si aggirava attorno alla casa di Renard, pregando il nulla affinché l’innamorato sopravvivesse.

Alla fine, però, le frenetiche preghiere persero ogni significato.

In un’alba grigia, Renard morì, e Laila non pianse.

Nessuno fece caso all’esile figura avvolta in un manto scuro che si presentò a porgere l’ultimo saluto al defunto.

Renard era disteso nel letto di morte. Aveva le guance scavate e gli occhi affossati; la pelle era cinerea, ma a Laila parve bello come nel fiore della salute.

Sotto gli sguardi attoniti dei presenti, Laila si chinò a baciare per un’ultima volta le labbra fredde.

“Ti amo”, disse. “Ritorna”.

Silente com’era venuta se ne andò.

La pioggia iniziò a cadere fitta e Laila, alzando gli occhi al cielo, maledisse gli spiriti con tutte le sue forze. Tale era la rabbia e il fervore di quella bestemmia che gli spiriti risposero, facendo tremare la terra e squassando i cieli con i lampi.

Ma Laila, ormai, non li ascoltava più.

Le sue ultime parole erano veritiere, sebbene guidate dalla follia del dolore.

Attese la notte vegliando davanti al camino. Nelle lingue di fuoco vedeva il viso di Renard e la maschera della morte.

Vegliava senza batter ciglio, incanalando tutta la sua rabbia disperata verso un unico pensiero: lui sarebbe tornato. Lei l’avrebbe richiamato a sé.

Fu la preghiera più intensa di tutta la sua vita, ma non erano gli spiriti i destinatari.

Questo ne provocò l’ira.

Laila pregava mentre la notte camminava lungo la via delle stelle.

Ma non c’erano stelle a rischiarare il cielo.

Nell’ora più buia, mentre Laila ormai delirava, la porta cigolò.

Qualcuno stava spingendo per entrare.

Laila balzò in piedi; il suo cuore le gridava di correre ad aprire, lui sarebbe stato lì per lei.

Trepidante, con un sorriso folle sulle labbra, tirò il chiavistello.

Renard era in piedi davanti a lei.

La gioia fu talmente grande che a lungo Laila non fece che ridere, piangere e coprirlo di baci.

Lo fece accomodare, lo fece sedere, pregandolo di attenderla mentre preparava un fagotto. Sarebbero fuggiti assieme, sì, e niente li avrebbe più divisi.

La gioia fu grande, sì, troppo perché Laila si accorgesse che non c’era vita negli occhi scuri di Renard. Le labbra erano serrate, le braccia inerti lungo i fianchi. Non parlava, non la guardava nemmeno. Ma l’avrebbe seguita.

Fuori di sé, folle, Laila lo prese per mano, si caricò in spalla i suoi miseri averi e lo portò con sé, nelle tenebre.

Laila, dopo qualche tempo, guarì dalla follia che l’aveva pervasa.

Avrebbe preferito rimanere nell’incoscienza piuttosto che comprendere: gli spiriti l’avevano punita in maniera spietata e ironica per la sua bestemmia.

Ci volle poco perché capisse che qualcosa non andava: Renard non diceva una parola, non si muoveva se non era lei a chiederglielo. Era incapace di provare alcunché.

Laila pianse a lungo. Non era l’uomo amato, quello: era solo un cadavere rianimato dal dolore.

Ma Laila amava Renard, lo amava troppo per arrendersi.

Trascorse una vita a parlargli, a ricordare ciò che era stata la loro vita, il loro amore. Lo pettinava e lo accarezzava, accudendolo come un neonato.

Gli anni passarono, e Laila divenne vecchia. Renard non mutò mai il suo aspetto: era lo stesso del giorno in cui era morto.

Ormai quasi cieca, priva della lucidità, Laila finì col convincersi che qualcosa stava cambiando, che Renard a volte le sorrideva, che iniziava a fissarla con un certo sentimento.

Erano pure menzogne di una povera pazza.

Le stagioni marciarono sul corpo e sulla mente di Laila, rendendola fragile e rattrappita.

I suoi capelli non erano più scuri come la terra, ma bianchi come le ossa; negli occhi sbiaditi non c’era che un sorriso ignaro della realtà.

Morì sola, vegliata da un immortale inconsapevole e passivo.

Renard le restò accanto, senza muoversi. Non comprese ciò che era accaduto.

Non seppe mai che Laila, pur di stare con lui, aveva sacrificato se stessa, condannandosi ad una solitudine più terribile della morte.

Gli spiriti osservarono tutto, e forse, alla fine, provarono compassione per l’ostinato sentimento di Laila.

Quando ormai del suo corpo non restavano che ossa, Renard, per la prima volta dopo lunghi anni, abbassò lo sguardo.

Una lacrima cadde sui resti di Laila.

   
 
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