Nelle notti buie dei secoli
antichi Laila ballava.
Ballava nei boschi, sola e
scalza, attorno ad un fuoco acceso solo per lei.
Lì, dove le fiamme
illuminavano fronde sussurranti, con la terra umida sotto i piedi e le stelle a
guardarla con dolcezza, Laila percepiva il potere degli spiriti, e gli spiriti
l’ascoltavano.
Alcuni dicevano che fosse
pazza, altri che fosse soltanto una giovane donna con troppa fantasia. Ma
alcuni, i più saggi, sapevano.
Laila non era una maga, ma
era amica delle grandi forze che guidavano tutte le cose: gli spiriti eterni
che facevano crescere le messi nei campi del villaggio, che rendevano feconde
le vacche, che portavano la pioggia. Ma gli spiriti erano entità capricciose e
imprevedibili, e potevano far ammalare il bestiame o far gonfiare il fiume,
potevano portare la morte anche a chi non lo meritava.
Laila li ascoltava e spesso
li capiva, e loro l’amavano per la sua semplice devozione. Danzava per loro e
recava doni, mazzi di fiori raccolti con le piccole mani scure, rese ruvide dal
lavoro nei campi, favi di miele, lacrime e solitudine.
Sì, perché non in molti
amavano starle vicini. C’era chi la chiamava strega e la considerava
pericolosa, le madri non le permettevano di toccare i loro figli.
Renard però era diverso.
Amava Laila, i suoi capelli scuri come la terra fertile, gli occhi grandi e
fiduciosi, il sorriso timido. La aiutava nei campi, quando poteva, e la
difendeva dalle maldicenze.
Era un uomo con una buona
reputazione, Renard; ma quando vide Laila danzare tra le ombre del fuoco fu
pronto a gettarla al vento pur di stare con quella donna che da lunghi mesi
osservava in silenzio, innamorandosene.
Laila arrossiva per i
complimenti che l’amato le rivolgeva, e quella timidezza rendeva Renard ancora
più ardente. La fanciulla gli parlò apertamente di ciò che sentiva quando era
sola nella foresta, gli raccontò degli spiriti e delle loro voci; Renard non li
sentì mai, ma non ebbe mai dubbi sulla sincerità di quella fede.
Erano felici insieme, e ogni
giorno Laila rendeva grazie agli spiriti per l’amore di Renard, per le sue mani
forti, per il suo sorriso.
Ma un giorno Renard si ammalò.
La pelle resa dorata dal
sole si tinse di un pallore mortale, le membra forti e agili lo costrinsero a
letto.
Laila pregò gli spiriti fino
a consumare se stessa, pianse sulle braci del fuoco, promise la propria vita in
cambio di quella dell’amato.
Gli spiriti tacevano.
Per lunghi giorni Laila
rimase al capezzale di Renard, asciugandogli la fronte e tenendogli la mano
febbricitante. Il medico del villaggio non sapeva che fare, e quando le
condizioni del giovane si aggravarono la famiglia pretese che la giovane se ne
andasse.
Voci nell’ombra sussurravano
malignità, accusavano la strega della malattia di Renard.
Laila, ormai, non aveva più
lacrime, non aveva più la forza di rispondere a quelle voci.
Intanto, però, una
sensazione nuova le saliva nel petto.
Gli spiriti l’avevano
abbandonata.
Sola come non era mai stata
non danzò più, non si avvicinò al bosco. Come un cane scacciato si aggirava
attorno alla casa di Renard, pregando il nulla affinché l’innamorato
sopravvivesse.
Alla fine, però, le
frenetiche preghiere persero ogni significato.
In un’alba grigia, Renard
morì, e Laila non pianse.
Nessuno fece caso all’esile
figura avvolta in un manto scuro che si presentò a porgere l’ultimo saluto al
defunto.
Renard era disteso nel letto
di morte. Aveva le guance scavate e gli occhi affossati; la pelle era cinerea,
ma a Laila parve bello come nel fiore della salute.
Sotto gli sguardi attoniti
dei presenti, Laila si chinò a baciare per un’ultima volta le labbra fredde.
“Ti amo”, disse. “Ritorna”.
Silente com’era venuta se ne
andò.
La pioggia iniziò a cadere
fitta e Laila, alzando gli occhi al cielo, maledisse gli spiriti con tutte le
sue forze. Tale era la rabbia e il fervore di quella bestemmia che gli spiriti
risposero, facendo tremare la terra e squassando i cieli con i lampi.
Ma Laila, ormai, non li
ascoltava più.
Le sue ultime parole erano
veritiere, sebbene guidate dalla follia del dolore.
Attese la notte vegliando
davanti al camino. Nelle lingue di fuoco vedeva il viso di Renard e la maschera
della morte.
Vegliava senza batter
ciglio, incanalando tutta la sua rabbia disperata verso un unico pensiero: lui
sarebbe tornato. Lei l’avrebbe richiamato a sé.
Fu la preghiera più intensa
di tutta la sua vita, ma non erano gli spiriti i destinatari.
Questo ne provocò l’ira.
Laila pregava mentre la
notte camminava lungo la via delle stelle.
Ma non c’erano stelle a
rischiarare il cielo.
Nell’ora più buia, mentre
Laila ormai delirava, la porta cigolò.
Qualcuno stava spingendo per
entrare.
Laila balzò in piedi; il suo
cuore le gridava di correre ad aprire, lui sarebbe stato lì per lei.
Trepidante, con un sorriso
folle sulle labbra, tirò il chiavistello.
Renard era in piedi davanti
a lei.
La gioia fu talmente grande
che a lungo Laila non fece che ridere, piangere e coprirlo di baci.
Lo fece accomodare, lo fece
sedere, pregandolo di attenderla mentre preparava un fagotto. Sarebbero fuggiti
assieme, sì, e niente li avrebbe più divisi.
La gioia fu grande, sì,
troppo perché Laila si accorgesse che non c’era vita negli occhi scuri di
Renard. Le labbra erano serrate, le braccia inerti lungo i fianchi. Non
parlava, non la guardava nemmeno. Ma l’avrebbe seguita.
Fuori di sé, folle, Laila lo
prese per mano, si caricò in spalla i suoi miseri averi e lo portò con sé,
nelle tenebre.
Laila, dopo qualche tempo,
guarì dalla follia che l’aveva pervasa.
Avrebbe preferito rimanere
nell’incoscienza piuttosto che comprendere: gli spiriti l’avevano punita in
maniera spietata e ironica per la sua bestemmia.
Ci volle poco perché capisse
che qualcosa non andava: Renard non diceva una parola, non si muoveva se non
era lei a chiederglielo. Era incapace di provare alcunché.
Laila pianse a lungo. Non
era l’uomo amato, quello: era solo un cadavere rianimato dal dolore.
Ma Laila amava Renard, lo
amava troppo per arrendersi.
Trascorse una vita a
parlargli, a ricordare ciò che era stata la loro vita, il loro amore. Lo
pettinava e lo accarezzava, accudendolo come un neonato.
Gli anni passarono, e Laila
divenne vecchia. Renard non mutò mai il suo aspetto: era lo stesso del giorno
in cui era morto.
Ormai quasi cieca, priva
della lucidità, Laila finì col convincersi che qualcosa stava cambiando, che
Renard a volte le sorrideva, che iniziava a fissarla con un certo sentimento.
Erano pure menzogne di una
povera pazza.
Le stagioni marciarono sul
corpo e sulla mente di Laila, rendendola fragile e rattrappita.
I suoi capelli non erano più
scuri come la terra, ma bianchi come le ossa; negli occhi sbiaditi non c’era
che un sorriso ignaro della realtà.
Morì sola, vegliata da un
immortale inconsapevole e passivo.
Renard le restò accanto,
senza muoversi. Non comprese ciò che era accaduto.
Non seppe mai che Laila, pur
di stare con lui, aveva sacrificato se stessa, condannandosi ad una solitudine
più terribile della morte.
Gli spiriti osservarono
tutto, e forse, alla fine, provarono compassione per l’ostinato sentimento di
Laila.
Quando ormai del suo corpo
non restavano che ossa, Renard, per la prima volta dopo lunghi anni, abbassò lo
sguardo.
Una lacrima cadde sui resti
di Laila.