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Autore: Misaki Ayuzawa    13/05/2014    1 recensioni
Questa è la storia di William Herondale, da quando è arrivato all'Istituto fino a ... beh, fino alla fine. Tenterò di descrivere al meglio gli episodi di cui già siamo a conoscenza sia quelli che invece sono avvolti nel mistero, o meglio: nella mente del personaggio più complesso di TID. Spero passiate a dare un'occhiata! :)
I:"I libri mi fanno credere che c’è chi sta peggio di me, anche se ammetto che consolarmi con le disavventure di personaggi immaginari non è esattamente una cosa da persone normali, non che io mi creda sano di mente, anzi sto valutando, ultimamente, la possibilità di farmi visitare da uno strizzacervelli mondano …"
V:"La cerimonia è conclusa e i Cacciatori, fino ad un momento fa silenziosi, si alzano in piedi e applaudono. Io, in questo momento, ho soltanto un pensiero che mi occupa la mente: non sono più solo."
X:"Mi tocco il viso, contrariato, e fisso il mio sguardo in quello di Jem.
“Questo” e faccio un ampio movimento con il braccio “non deve saperlo nessuno.”
Le persone che stanno passeggiando nel parco hanno preso guardarmi, mentre a grandi falcate mi dirigo verso l’Istituto. Quelle anatre me la pagheranno …"
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlotte Branwell, Henry Branwell, James Carstairs, Jessamine Lovelace, William Herondale
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’Angelo

Scacciando il pensiero di Tessa che cita in un sussurro il Racconto di due Città, scendo dalla carrozza e la aiuto a scendere a sua volta. Ha preso l’aspetto di Camille, per intrufolarsi alla festa di de Quincey. Spero che il rischio che stiamo, che sta, correndo serva allo scopo. Durante il tragitto in carrozza le ho tenuto stretta la mano tra le mie e non ho potuto fare a meno di immaginare quale sensazione avrei potuto provare, se, di fronte a me, Tessa avesse avuto il suo regolare aspetto. Non è stato difficile, comunque. Sotto la chioma bionda e gli occhi freddi di Camille posso percepire la vera essenza di Tessa Gray, che mi tiene soggiogato (molto più di un qualsiasi succubo) inevitabilmente a lei.
Entriamo nel salone, e ci ritroviamo immersi in un caos tremendo. Quasi non riesco a respirare. La tensione che mi provoca sapere che qui dentro sono poco più di un cocktail al sangue non mi aiuta.
“Dobbiamo cercare Magnus Bane.” Le dico sottovoce, cercando di non farmi notare dai vampiri che ci ronzano intorno; un succubo non si rivolge mai alla propria padrona senza essere prima interrogato, e Camille di certo non passa inosservata, essendo lei una delle personalità più influenti nella società dei succhiasangue.
Mi allontano di qualche passo da Tessa, liberando il campo visivo che fino a poco fa era oscurato dal suo piumato e osceno cappello, per cercare questo stregone amico di Camille, il quale è a conoscenza della nostra missione.
“Su, non andartene in giro, William” mi rimprovera Tessa, e noto un lampo di divertimento nei suoi occhi. Tipico di lei: si diverte a prendersi gioco di me.
“Non voglio che ti perda nella folla.”
Si avvicina a noi de Quincey, il capo del clan di vampiri, e io mi devo trattenere dal tagliargli la testa con la spada angelica, ben nascosta all’interno della giacca, e dar fuoco alla carcassa: c’è un’alta possibilità che sia lui il Magister, nonché colui che sta a capo di una serie di illecite azioni ributtanti.
Tessa va alla grande e il succhiasangue non sembra sospettare nulla. Poco dopo abbiamo il grande onore di fare la conoscenza del famoso Magnus Bane, che si rivela essere l’amante di Camille; ad ogni modo, il suo aspetto mi risulta nuovo e noto un non so che di eccentrico. Probabilmente si tratta del suo modo di fare spiccio e carico di ironia, oppure degli abiti un po’ datati che si adattano stranamente bene ai lineamenti orientali e alla carnagione scura, nonché a un paio di occhi gialli con pupille da gatto.

“Henry, sei un idiota.”
Il poveretto non riesce quasi a spiccicare parola, mentre guarda, a bocca aperta, quella che era stata la residenza di de Quincey andare a  fuoco insieme all’intero clan, in seguito al mal funzionamento di uno dei suoi soliti aggeggi.
“Will, falla finita. Può capitare.” Charlotte mi riprende, ma persino dalle sue parole si capisce che è giusto un po’ arrabbiata con il marito. La serata non doveva andare a finire così, non dovevamo mandare al rogo una centinaia di vampiri. L’unica nota positiva è che Tessa ha trovato suo fratello, legato come un salame e sul punto di essere sacrificato da de Quincey stesso.
Charlotte si riscuote. “Will! Non c’è tempo da perdere, devi tornare all’Istituto prima che il sangue del vampiro faccia effetto!”
Sì signori, per l’ennesima volta ho fatto l’unica cosa da non fare con i vampiri: morderli. Ma è la mia strategia, quando non so più che pesci prendere: loro non se lo aspettano.

Ansimo, e lievi gemiti mi escono dalle labbra. Sophie entra nella soffitta, dove mi sono barricato, con l’ennesimo secchio di acqua benedetta, che, in circolo nel mio corpo, sta già facendo effetto, e sono frequenti i rigurgiti di sangue misto ad acqua santa.
“Sophie, ti ho detto basta! E’ abbastanza, non portarmi più secchi!” Il veleno mi brucia il torace, il che mi scatena un gran fastidio. Credo che anche Sophie sia infastidita, quando gliene tiro addosso uno. Se ne esce impettita, senza proferire parola, anche se vorrebbe e potrebbe farlo. Ogni tanto mi risponde, ma ha capito le mie regole: meno mi sta intorno e meglio è per tutti.
Sophie è una di quelle creature tenere che la vita ha piegato e indurito. Il suo marchio è qualcosa di più di un paio di rune sulle braccia. No, è ben peggiore: una cicatrice che le sfigura il lato sinistro del volto. E’ per questo che, alla fin fine, i tormenti che le infliggo si limitano alla perenne sporcizia in camera mia e a qualche commento poco elegante sul suo volto, ma solo quando sono costretto o le situazioni sono così favorevoli che non parlare a sproposito, al mio solito, farebbe saltare l’intera copertura, o, almeno, sorgere dei sospetti.
Mi butto di schiena sulle assi dure del pavimento, la fronte che scotta, circondato da una soluzione acquosa rossastra. Poco dopo, mentre il mio corpo viene scosso da brividi e torsioni, sento dei passi leggeri salire le scale di pietra. I miei sensi sono attutiti, la mente offuscata da un ricordo lontano: l’immagine di una bambina dai capelli neri e gli blu come il mare.
Cecily.
Scusami. Chissà perché mi scuso. Chissà perché sto pensando a Cecily. Mi sento così confuso; all’improvviso non so più dove sono, chi sono. Ho la percezione di forti battiti, tachicardici. Fatico a respirare. Soffoco. La bambina fa per avvicinarsi a me, ma la sua immagine svanisce, allontanata da una voce che non mi sembra nemmeno reale.
“Sei di nuovo tu, Sophie? Ti avevo detto che se mi avessi portato un altro di quei secchi ti avrei …”
“Non sono Sophie. Sono Tessa.”
Certo, è Tess. Chissà come non ho fatto a capirlo. Un impulso violento fa per prendere possesso di me, ma io riesco a domarlo. Il sudore caldo va a mescolarsi all’acqua ghiacciata di cui i miei vestiti sono zuppi. Credo che a questo punto la camicia sia praticamente trasparente.
“Hanno mandato te?” Chiedo. Non sono lucido, e questa è l’unica cosa civile che mi viene in mente da dire.
“Sì.”
“Benissimo, allora.” Non va bene affatto, in realtà. Non voglio vedere Tessa, non ora che la mia mente riesce a malapena ad essere padrona del corpo; ma non voglio nemmeno che lei mi veda in questo stato.

Cosa ti importa di quel che lei pensa di te? Fa una vocina dentro la mia testa.
Assolutamente nulla. Io sono Sidney Carton. Io sono Heathcliff. Cosa si potrebbe mai pensare di te, se non quello che tu vuoi che gli altri pensino? Mi rispondo.
“Lascia l’acqua e vattene.” Bravo Will, stai andando bene.
Nonostante il mio invito a lasciarmi, Tess si ferma a fare le sue solite domande e, con il fiato corto e il petto che si alza e abbassa irregolarmente, le spiego dell’acqua santa e del fatto che se non dovessi espellere tutto il sangue vampiresco dal corpo mi trasformerei in un vampiro anche io.
Mi porge il secchio e io mi getto il contenuto addosso.
“Ti aiuta?” Alla domanda, tento una risata che, ovvio, esce strozzata.
“Che domande fai?” Scuoto la testa, tra il sorpreso e il rassegnato. Lei non spiccica più parola, così sono io a parlare.
“Il sangue mi rende febbricitante, non riesco a rinfrescarmi. Ma l’acqua aiuta.”
“Will.” Il modo in cui pronuncia il mio nome mi ricorda Jem. Mi chiedo come stia. Ma stanotte non ha avuto attacchi, quindi probabilmente adesso è in camera sua, a rilassarsi suonando il violino.
“Will, vorrei chiederti …”
Certo che vuoi chiedere, cara piccola Tessa. Non sembri fare altro da quando ti ho conosciuta. Seppur di questa idea, dico: “Che c’è?” Informazione più, informazione meno … non c’è molta differenza.
“Ti comporti come se non t’importasse di nulla. Ma … a tutti importa di qualcosa, no?”
Annuisco. Ecco qui, dalle domande sul nostro mondo, alle osservazioni intelligenti.
Ormai questa “detective” sta finendo per indagare su di me. Mi sento lusingato? Sì, molto … vorrei parlare, buttare fuori tutto ma … non mi è possibile. Le parole mancano, così come il coraggio. La paura è la mia sovrana.
“Davvero?”
Su mia richiesta mi siede accanto. Un pesante strato di gonne la circonda. Porta ancora le cose di Camille, che le stanno un po’ corte. Tessa è alta per la media femminile, ma per me rimane piccola … non indifesa, solo … piccola. Se fosse un libro farei preparare per lei la più pregiata delle rilegature e la porrei sul ripiano più alto della mia libreria, in bella mostra … perché qualcosa del genere non si può contenere né può rimanere nascosto. Infine, una volta al mese verrebbe portata dal miglior librai,o per la manutenzione. Non si ci può permettere di rovinare la perfezione.
“Tu non ridi mai. Ti comporti come se trovassi tutto buffo, ma non ridi mai. A volte sorridi, quando pensi che nessuno ci faccia caso.”
La ragione mi saluta definitivamente e mi lascio guidare dalla febbre.
“Tu mi fai ridere. Dal momento in cui mi hai colpito con quella bottiglia.”
“Era una brocca.”
Sorrido, spontaneamente. Senza pose.
“Per non parlare di come stai sempre a correggermi. Con quell’espressione buffa sul viso. E di come hai gridato contro Gabriel Lightwood. E persino del modo in cui hai risposto a de Quincey. Tu mi fai …” Stavo per dire: sentire come se avessi trovato la fonte di tutta la felicità del mondo, una sorgente di acqua fresca, l’aria più pulita. Ma prima di terminare la frase, noto il sangue sui suoi guanti.
Glielo faccio notare e le sfilo quello destro. Il contatto della mia pelle contro la sua  fa rabbrividire me e lei.
“Tess … che cosa vuoi da me?” Chiedo alla fine, stancamente. Le mie dita continuano imperterrite a carezzarle il polso.
“Io … io voglio capirti.”
La guardo, una muta disperazione negli occhi. La imploro. “E’ davvero necessario?”
Lei pensa che solo Jem mi capisca, ma ha torto. Jem ne sa tanto quanto lei. Mi sta a fianco da più tempo, mi ama più di un fratello, così come io amo lui, ma non mi capisce. Nessuno può, finchè non sarò io a permetterglielo.
Tessa rabbrividisce.
“Hai freddo?” Mi porto la sua mano destra alla guancia, godendo ancora una volta del contatto. Piccoli gesti, innocui, che mi procurano una gioia immensa, che mi fanno sentire vivo.
“Tess …”
Avvicino il mio capo al suo. I nasi si sfiorano. I miei capelli le carezzano la fronte, le mie ciglia le suo palpebre. Le mie labbra premono su quelle di lei. Sento il mento, coperto da un filo di barba, contro il suo volto e le labbra schiudersi, così come quelle timide di lei. Sento le mani di Tessa tra i capelli, scompigliandoli, le sue dita sulla mia nuca, sulle spalle, sul collo.
Le sciolgo i capelli, gettando da una parte il fermaglio, e mi blocco. Mi allontano dal suo viso. La fisso, stralunato. Lei è stupita, le graziose labbra schiuse arrossate dai miei baci.
“Dio del Cielo.” sussurro “Cos’è stato?”
Le chiedo di andarsene, ma lei protesta. Io a malapena riesco a parlare. Sono troppo scosso. La mia voce giunge estranea alle mie stesse orecchie, incrinata com’è.
“Ti supplico. Capisci? Ti supplico. Per favore, per favore vattene.”
  
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