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Autore: TheDoctor1002    14/05/2014    2 recensioni
Gli scosto i capelli rosso fiamma dal viso. Ora non è certo difficile capire perchè lo stessero inseguendo. Faccio scorrere le dita lungo la giugulare e, incredibile, ma c'è battito. Flebile e tenace, come a gridargli che per lui non è ancora venuto il momento di andarsene. Ho le traveggole: quell'indice si è davvero mosso? No, certo che no, è stata solo un'impressione. Deve esserlo anche quel leggero tremolio della palpebra: dovrei dormire più a lungo.
"Si sta riprendendo!" Constata Lance subito dopo.
Ma che diamine...?

Nota: la storia presenta forti divergenze dal fumetto
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi di nuovo, dopo qualche millennio con un nuovo capitolo! Quest'ultimo, devo dire la verità, mi convince poco e se qualche anima pia avesse delle critiche, o comunque qualche suggerimento, saranno ben accetti! 

Attivo i fari, davanti a me si crea una pozza di luce bianca in cui danzano migliaia di granelli di polvere. Da lontano Battery City appare come un ammasso disordinato e incandescente di minuscole scintille sparate in aria da un falò e riunitesi tutte nello stesso punto a sudest. Nulla è più appagante di tutto questo: del contatto col suolo, dell'aria secca che si infrange contro il mio viso quasi volesse rimodellarlo secondo i suoi schemi, della sinergia che c'è tra cervello e motore. Un corpo unico, efficiente,
veloce e preciso, il perfetto connubio tra ragionamento e tecnica, la forza bruta che, per una volta, lavora a fianco della ragione. 
Siamo solo io e te, vero, piccola? 
Parcheggio in un angolo dell'area riservata al personale, sollevando gli occhialini e osservando l'alta parete liscia e metallica, soffermandomi solo per qualche istante sulle iridescenze delle sfrigolanti luci al neon dell'area di sosta. 
Vie convenzionali, si direbbe. 
Raccolgo qualche dente di leone dall'aiuola accanto all'entrata, sistemandoli alla meglio e ricordando la premura con cui li metteva nei bicchieri di vetro ogni volta che glie ne portassi. Poi, chiudendo la lunga giacca sul petto così da coprire gli schizzi di sangue, entro attraverso le porte scorrevoli, lanciandomi nella hall intrisa di luce. 

"Dov'è finita? La ragazza di prima, dico..."
Lance mi rivolge per qualche istante uno sguardo stupito, poi scrolla appena le spalle, tenendo lo sguardo fisso sul sentiero di polvere chiara "A saperlo! Ogni tanto succede: prende e se ne va. Sta via qualche ora e poi ritorna. Non ci ha mai detto dove vada, ma sappiamo che fintanto che c'è, qui o in capo al mondo, le cose vanno bene" 

Decisamente vaga, come idea. Provo a concentrarmi su altro, ad esempio ad un modo per tornare a Battery City senza che qualcuno mi spari addosso. O alla fine che farà la mia macchina che, con un cigolio agghiacciante ad ogni sobbalzo, segue il furgone, attaccata ad una catena spessa e oliata. O semplicemente a cosa mi attenderà anche solo tra cinque minuti. Non ho mai perso così tanto il controllo di tutto, giuro, mi sta mandando in paranoia. Cosa mi assicura che non finirò ammazzato? Che diavolo so di loro? 
Si è lanciata in bocca a quei draculiani per te. Perchè non dovresti fidarti di lei? 

Già, Killjoy. La misteriosa ragazza dagli occhi di giada, spunta fuori dal nulla, mi salva e sparisce di nuovo. E per qualche strana ragione sa il mio nome. Non dovrebbe, come fa? Non ho documenti nè tatuaggi, nemmeno un'iniziale scritta sull'etichetta dei vestiti. 
Anche Freud avrebbe la sua gran quantità di seghe mentali se cercasse di capire Killjoy. 
Forse ha ragione, meglio smettere di pensare e basta. Le rocce e la luna ci seguono per altri lunghi minuti, mentre la strada scorre veloce sotto le nostre ruote. 

Quella che chiamano Base è letteralmente un Wall-mart abbandonato. C'è qualche faro e un ragazzo che ci ferma all'ingresso nel parcheggio, ma basta un cenno di Lance per farci passare. 

"Sempre il migliore, Ghoul!" Saluta scuotendo appena le dita poggiate sulla carrozzeria della fiancata. 
Non ci sono molte persone, anzi, ad eccezione di qualche ombra che si muove furtiva dietro i fari, non c'è davvero nessuno e quando anche il borbottio del motore cessa con un tonfo, il silenzio della notte è rotto solo dal suono dei passi delle sentinelle, regolari come i ticchettii di un orologio. Le porte scorrevoli sono spalancate e danno su un salone immenso dal tetto sfondato su cui una volta si dovevano essere affacciate boutique e negozi. Qualche insegna è ancora vagamente leggibile, di altre non è rimasto che un segno chiaro sui muri di un bianco ormai sporco. La hall è la più grande accozzaglia di cose che io abbia mai visto: frammenti di colonne e parti del soffitto crollate, un banco da lavoro coperto di fogli e tondini, un lungo tavolo con qualche sedia, un tabellone colorato con le sue freccette ancora attaccate. Alcune scale mobili collegano il pianterreno a un corridoio ad anello sopraelevato, ma è impossibile dire cosa ci sia.
"Riesci a camminare?" Chiede Lance, accennando col capo alle scale. Ho una leggera fitta al fianco, premo la mano per attutire il dolore, ma non credo che il mio "Certamente" sia riuscito a convincerlo più di tanto. I nostri passi risuonano come spari nel silenzio, ad ogni modo nemmeno di sopra sembra esserci qualcuno che corra il rischio di essere svegliato. Qualcosa di diverso c'è, ad ogni modo: qui sembra che ciascun negozio sia una stanza a sé. In particolare uno molto grande, con l'insegna "Chalice of Harmony", contiene diverse brande separate da tende sottili e qualche cassetta del pronto soccorso, ma anche qui non c'è nessuno. Lance mi fa cenno di scegliere uno qualsiasi dei letti e di stendermi lì, mentre tenta con fatica di aprire un vecchio armadio di metallo cigolante. Appoggia su un tavolo in fondo alla stanza una scatola bianca, due, fino ad arrivare a una decina scarsa prima di trovare quella che dev'essere la confezione giusta. Dopo pochi istanti mi porge un bicchiere di carta contenente un cucchiaio e un liquido opaco e ancora sfrigolante, che emana un fortissimo odore simile a quello della menta amara.
"Cos'è?" Chiedo perplesso, mentre la soluzione schizza goccioline microscopiche ovunque. 
"Antidolorifico, non abbiamo niente di meglio" confida "per ora ti devi accontentare, domani vedremo cosa può fare Killjoy." 
Senza indugiare un altro secondo, serro gli occhi e ingurgito la medicina, contraendo la faccia in un moto di disgusto quando avverto il sapore amaro del liquido nel bicchiere, infine faccio un cenno a Lance, che ha già un piede oltre la soglia, e crollo in un sonno pesante e denso di sogni, con ancora quegli occhi di smeraldo fissati col fuoco nella mia memoria


"Che disastro, vero ma'? Non so nemmeno portarti un mazzo di fiori come si deve...abbiamo avuto qualche problema, sai? Ho trovato il ragazzo che Cobra cercava, anche se non sono troppo sicura, si somigliano così poco...a dirla tutta è stato lui a farsi trovare, sfrecciava inseguito da dei draculiani che hanno iniziato a sparargli addosso, ma come vedi sono riuscita a sistemare le cose. Quando la sparatoria è finita non si era ancora ripreso e Lance gli ha prestato soccorso. Si è svegliato poco prima che me ne andassi, adesso dovrebbe essere alla base e domani mattina..."
Che farai? Sai in che condizioni è? Di cosa ha bisogno? Se avesse preso un'infezione? Se non avesse l'antitetanica? 
"...domattina...non lo so, cercherò di fare qualcosa..." 
Stringo forte la sua mano, anche se non ricambia la presa. Ancora una volta seguo la linea morbida della flebo, fino ad arrivare alla bottiglia quasi vuota che lascia scivolare una goccia trasparente ogni secondo. Il suo viso è rilassato, i capelli ricci e scuri sono sparsi sul cuscino come un'aureola, ogni tanto si sente il rumore delle macchine, mentre l'elettrocardiogramma scorre terribilmente lento e l'odore di varichina dai corridoi mi inizia a dare la nausea. 
"Sto facendo un casino" sussurro "credo che nonna inizi a sospettare qualcosa, non le va più bene che incontri Grace, pensa che possa avere una cattiva influenza. Anche alla base iniziano ad allontanarsi, credono che non sappia quello che faccio, che mi affidi troppo al caso. Sto perdendo le redini di tutto, sto mandando tutto a puttane." 
L'orologio da polso inizia ad emettere piccoli rumorini sottili: segna già la mezzanotte, gli infermieri cambieranno a minuti. Lascio con rammarico la mano debole di mia madre e la appoggio con delicatezza sulle lenzuola candide, voltandomi verso la porta per andarmene il prima possibile. 
"Vorrei solo che potessi sentirmi davvero"
Sussurro, prima di uscire dalla stanza. In pochi secondi sono già in sella, diretta verso casa con il cuore in gola e con la rabbia a spingere sull'acceleratore fino a bruciare il motore. La sabbia sollevata dalle ruote graffia gli occhiali quasi volesse romperli, mentre le lenti a specchio nascondono i miei occhi che, d'un tratto, si sono fatti più lucidi. 
   
 
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