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Autore: Some kind of sociopath    14/05/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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L’ultima volta che avevo messo piede a Philadelphia risaliva a quando stavo cercando in lungo e in largo Reginald e Charles. La città non era cambiata a livello morfologico, era solo molto più caotica, e la presenza dei patrioti si faceva sentire: alcune donne offrivano ceste di frutta e camicie pulite, gli uomini porgevano una pipa ristoratrice e i bambini giocavano a rincorrersi tra le loro gambe rischiando di sbattere continuamente i denti contro il calcio del moschetto che i soldati dell’Esercito Continentale portavano appeso sulla schiena.
E quelli, di rimando, dovevano stare al gioco. Anche se erano esausti per chissà quale marcia, odiavano le vocette stridule dei bambini o avevano una natura scontrosa e poco amichevole, avevano il dovere di rispettare i convenevoli. Di far capire che erano i buoni. Un sistema di manipolazione degno di Reginald Birch, lasciatemelo dire.
Quando Frank e Kevin mi lasciarono al porto e ripartirono per la loro battuta di pesca, la prima cosa che cercai fu un orologio. Era quasi l’ora di pranzo, secondo il mio stomaco, ma dovevo sperare che quel dannato Congresso si tenesse di pomeriggio.
Attraversando il mercato del porto mi resi conto di quanta fame avessi. Forse Giunone e Minerva potevano evitare che le mie gambe si assiderassero, ma riempirmi lo stomaco era decisamente chiedere troppo. Rubai del pane dalla bancarella di un fornaio e mi allontanai seguendo la guglia impossibile da ignorare dell’Indipendence Hall. Il nome era già tutto un programma. Chissà che credevano, questi imbecilli dell’Esercito Continentale. Se Washington fosse morto avrebbero avuto la pace e una buona, sana guida templare. Altrimenti, be’, il caos. O libertà, indipendenza, comunque diavolo volessero chiamarla.
Affondai i denti nel pane, spinto dalla fame, e mi lanciai un’occhiata attorno. Davvero c’erano cinquemila sterline sulla mia testa. Sei fiero di me, vero, papà?
A Philadelphia però non v’era nessun manifesto con la mia faccia attaccato alle porte delle taverne, e nonostante fosse successo poco tempo prima gli strilloni non fecero nemmeno un accenno sull’attentato a George Washington. Come aveva detto Perez? Pettegolezzi da taverna.
La taglia non era un pettegolezzo, suppongo.
Probabilmente a New York c’era davvero una ricompensa per chi mi avesse consegnato ai patrioti. Magari il buon George non voleva far sapere in giro che un uomo comune come il sottoscritto s’era intrufolato nel suo forte in quattro e quattr’otto ed era quasi riuscito a farlo fuori. Forse pensava di essere al sicuro, avendomi mollato tra le mani di Reginald e Charles. E quando mi avrebbe visto…
Oh, santo cielo.
Avevo trascurato quel maledetto dettaglio. E dire che, in tutto il tempo libero avuto tra l’ammutinamento, il viaggio con le gambe a mollo e quella passeggiata in preda al panico per le strade di Philadelphia, non mi era minimamente passato per la testa. Ah, chissà a che stavo pensando.
Washington sapeva che io avevo tentato di ucciderlo. Ed era lì. Al maledetto Congresso Continentale. Dove stavo andando io!
– Ah, cazzo! – imprecai esasperato con il pane tra i denti, masticando rabbiosamente a bocca aperta. L’Indipendence Hall si stagliò maestosa davanti a me, e riuscivo già ad intravedere due figure poggiate con ostentata noncuranza alla parete esterna. Mio figlio e il suo amichetto, Samuel Adams. – Dio.
Mandai giù gli ultimi morsi di pane cercando di mantenere la calma, ma le mani erano zuppe di sudore e non riuscivo a tenerle ferme. M’invase la paura di essere trascinato fuori dal palazzo con l’accusa di tentato omicidio di un uomo politico, tutto davanti agli occhi di Connor e di un Figlio della Libertà che non vedeva l’ora di criticarmi perché la nostra ultima chiacchierata era finita con un calcio di Connor nei miei reni mentre io bloccavo Adams al muro stringendolo per la gola.
Mandai giù la palla di mollica e tentai di asciugarmi i palmi sui pantaloni. Presti un gran respiro, mi piazzai davanti a Connor e Sam con le mani nelle tasche e il cuore che batteva all’impazzata.
– Sei venuto – brontolò mio figlio senza alzare gli occhi.
Calmo, dissi a me stesso. Comportati come sempre. – Uhm, visto che sei così felice di vedermi ricorderò di portarti un regalino, la prossima volta. – Per questa avevo in mente la testa di George Washington, semplice e non convenzionale, ma un certo Gran Maestro e il suo nuovo pupillo hanno rovinato tutto. – Sono in ritardo?
Adams lanciò un’occhiata al proprio orologio da taschino e scrollò le spalle. – Il Congresso comincia alle tre di questo pomeriggio. Largo anticipo, direi. – Allora perché guardare l’orologio, demente?
Connor alzò gli occhi su di me e vidi la sua mascella irrigidirsi. – Che cosa hai fatto? – sibilò in tono tutt’altro che amichevole.
– Io? – Risi amaramente. – Che hai fatto tu, piuttosto. Sai, è da un po’ che non ci si vede.
Avanzò verso di me sotto lo sguardo intimidito di Sam. – La tua faccia.
Oh. Merda. Immagino fosse un po’ troppo tempo che non mi guardavo allo specchio e che un calcio sui denti da parte di un nerboruto marinaio non fosse esattamente un toccasana per il mio bel visino. Chissà se a Reginald sarei piaciuto in queste condizioni.
Chiudi il becco, dannazione. – Niente di che. Mai fatto a cazzotti, ragazzo? – chiesi sollevando le mani. – Dovresti farlo. È divertente, istruttivo, magari ci finisci ammazzato.
Mi passò accanto, gli occhi truci. – Spiritoso – brontolò immergendosi nel flusso dei passanti. – Vuoi davvero sapere che mi è successo?
– Restare qui sarebbe una valida alternativa, credo. Potremmo cantare canzoni in cerchio e intrecciare corone di fiori.
Roteò gli occhi. – Zitto e seguimi.
Sogghignai. – Non prendo ordini da un ragazzino.
– Muoviti.
– Sicuro? Ti ci vedo a piegare rami, scegliere abbinamenti floreali e tutto il resto.
– Muoviti. Non abbiamo tutto il giorno.
– Va bene, va bene – brontolai con le mani intrecciate dietro la schiena. È un gesto straordinariamente scomodo da fare se vi manca un dito. – Cosa hai fatto, hai… ridipinto le grondaie della tenuta?
Sbuffò, probabilmente desiderando di non avermi mai inviato quella lettera. – Questo Congresso è molto importante, Haytham. Volevo che ci fossi anche tu per farti capire che Washington non è un inetto. – Soffiai aria dal naso in un risolino di scherno. – Lui può davvero salvare le Colonie e dare la libertà.
Incrociai le braccia sul petto. – La libertà a chi? – chiesi con un sorrisetto. – A chi se la merita, come voi angioletti, e al popolo che tanto difendi? Magari tra loro c’è chi appoggia la Corona, Connor. Chi lotterebbe per vivere sotto re Giorgio. E tu dirai che poteva starsene in Inghilterra, d’accordissimo con te, permettimi, ma dare la libertà… – Sospirai, agitando le mani in aria. – È un termine indicativo, ragazzo. Da’ la libertà a qualcuno e la toglierai a un altro. È sempre stato così. Non arriverai tu a risolvere le cose con una sottospecie di miracolo.
Connor mi guardò con le palpebre pesanti calate sugli occhi, lo sguardo di chi è stufo di replicare e accetta semplicemente i miei commenti. Uno sguardo che, devo ammetterlo, non mi andava poi tanto giù. – Non è il solo motivo per cui sei qui, a dire il vero. – Anche lui incrociò le braccia. L’uno lo specchio dell’altro, in un certo senso, nonostante non potessimo essere più diversi. – Dopo Concord, le perdite dei patrioti sono state molto sentite.
Ridacchiai. – Perdite. Chissà a causa di chi.
– Smettila, per favore. Nessuno di noi saprebbe fare meglio di lui. – Sospirò, stringendosi la base del naso tra le nocche. – Il mio dovere è dare una mano, Haytham. E sai che cosa significa dare una mano ai patrioti, giusto?
Strinsi i denti. Certo che lo sapevo. Non faceva altro che parlarne ogni sacrosanto secondo. – Uccidere John Pitcairn – disse.
– Non sono stupido – brontolai di rimando. – Non basterebbe farlo prigioniero e portarlo qui? Il vostro nome non implica necessariamente l’omicidio del primo uomo che vi trovate davanti, se non sbaglio.
Lo vidi sollevare il capo con aria esasperata e guardarmi, ma i suoi occhi si sgranarono di colpo. Non stava guardando me. Non più. Stava guardando oltre me, alle mie spalle, verso la strada. Ogni muscolo del suo corpo si tese come la corda di un violino e fece per muovere un passo.
Scoprii i denti e lo afferrai per un braccio, tirandolo indietro prima che potesse fare… be’, qualunque cosa avesse in mente. – Lasciami – ringhiò senza guardarmi e portando la mano all’impugnatura del tomahawk.
Mi voltai di scatto, seguendo il suo sguardo, e la mia mano si strinse con più forza attorno al suo braccio. – Oh, cazzo.
– Lee – sibilò Connor provando a divincolarsi. – Lasciami. È la mia occasione.
– Tu non farai un bel niente, ragazzino – sibilai trascinandolo ancora, proprio dalla parte opposta rispetto a quella da cui proveniva Charles. – Dobbiamo fare due chiacchiere.
Sospirò. – Almeno mollami.
– Certo. E chi mi dice che non solleverai quella tua accetta in una crisi isterica e gliel’affonderai in gola?
– Non sarebbe poi un grosso sbaglio.
– Chiudi quella dannata bocca e datti una calmata – dissi in un ringhio. – Idiota.
Soltanto quando sentii i muscoli della sua spalla rilassarsi e riprendere a respirare con calma decisi di lasciarlo andare. Con cautela, perché era pur sempre mio figlio e l’avevo visto impazzire in una taverna strillando che avrebbe dovuto uccidere Charles. Insomma, non sono così sciocco. – Charles Lee – sussurrai scrollando il capo. – Santo cielo. Sono stato un idiota.
Avevo già sottovalutato il problema dato da George, sperando che facesse finta di niente vista la presenza di Connor, ma non avevo minimamente pensato a Charles. D’accordo, d’accordo, forse ho mentito. Non sono così stupido, ma un po’ lo sono. Non avevo fatto caso a quel problema perché volevo solo andarmene da casa di Tic ed evitare di essere ammazzato a New York. – Sapevi che sarebbe venuto? – chiesi a Connor cercando di concentrarmi.
– Ti sembra? – rispose brusco. Va bene, mi sarei fatto crescere le antenne e la prossima volta gli avrei letto nel pensiero con i poteri magici che avevo già usato per farmi salvare il culo da Tic.
– Va bene, simpaticone. Be’, fatto sta che quel ragazzo vuole uccidermi – dissi con la massima naturalezza. – E che, oh, guarda caso, anche George Washington voglia farlo. Abbiamo avuto un paio di scontri ravvicinati e il nostro rapporto non è dei migliori.
Mi squadrò con gli occhi spalancati. – Che cosa intendi?
Sospirai. – Niente di che. Io e tua madre non gli siamo mai andati a genio. Soprattutto io. Anche se credo dovrebbe ringraziarmi. È grazie a me che ha ottenuto il posto che occupa ora, dall’alto della sua magnificenza.
Mio figlio grugnii. – Gli uomini degni di questo nome dovrebbero giudicare ognuno dalla sua vita, dalle sue azioni e ideali, non dal suo passato o dalle persone che lo circondano. – Mi lanciò un’occhiata di traverso.
– Ah, zitto – sibilai. – Per non parlare poi di Charles Lee. Portarmi dritto da lui sapendo che i Templari mi cercano? Le tue eccezionali meningi ci sarebbero dovute arrivare prima della mia vecchia testa. Magari hai pensato che volesse offrirmi un tè o, che so, regalarmi una redingote, ed è proprio questo che mi piace di te, sul serio, le buone impressioni che hai di tutti. Ma, indovina?, Charles non vuole offrirmi un tè a meno che non sia scrupolosamente corretto con del buon veleno, quindi direi che posso anche evitare, per quanto ami il tè. – Mio figlio mi guardò, un po’ a disagio. – Ti spiacerebbe dirmi che cos’hai nella testa, nuvole rosa, amore, un allegro girotondo a ritmo di musica da camera? Buon Dio, hai superato limite dato dalla stupidità umana. Quel ragazzo lavora con Birch, santo cielo, ed è il generale dell’Esercito Continentale. Sta subito sotto quell’altro imbecille di George. – Presi fiato senza guardarlo. – Sai, la mia eccellente etica di Templare m’impone di non restare indifferente davanti a un uomo che vuole uccidermi, perché è esattamente questo ciò che Reginald gli ha messo in testa. Tu invece mi stai mettendo in una posizione difficile, perché mi toccherebbe porgergli una di quelle famose coroncine di cui parlavamo prima, e non sono esattamente certo che l’accetterebbe.
Si trattava di virtuosismo fine a se stesso, dato che non potevo contare nel senso dell’umorismo di Adams e Connor si limitava ad accogliere come un buon martire tutta la merda che gli gettavo addosso, il capo incassato nelle spalle e le palpebre calate pesantemente sullo sguardo pensieroso. – Io non lo sapevo – grugnì stringendo i pugni, lasciando che la rabbia crescesse dentro di lui. Mentre lo osservavo con un certo nervosismo in corpo, le campane cominciarono a suonare. Non ebbe il tempo di rispondermi per le rime o picchiarmi, non quella volta. Non ne avrebbe nemmeno il fegato. – Le due e mezza. Forse è meglio tornare all’Indipendence Hall – disse Connor a testa bassa, dopo aver preso un gran respiro a bocca aperta. – Quindi… – si passò le dita alla base del naso. Sembrava stanco. – Ecco perché i manifesti.
Deglutii a vuoto, sgranando gli occhi. – Cosa?
– Verso New York l’intera frontiera era costellata di manifesti con la tua faccia. – Si voltò verso di me, un po’ più pallido del solito. – Vogliono davvero ucciderti, quindi. Sono decisi.
Cosa sta… Oh, Dio, ha frainteso. Cioè, non ha proprio frainteso, ma non sa niente dell’attentato. – Ne abbiamo strappati un po’. Sai, non credevo fosse giusto buttare via così il tuo… sacrificio, dopo quello che hai fatto. – Indicò la mia mano con un cenno e annuii. – Be’, ora andiamo. Voglio sentire il discorso di George dall’inizio e prendere dei posti decenti.  
Già, voglio un tavolo d’onore, al centro della scena, mentre aspetto la mia morte da parte non di uno, ma di ben due uomini.
Lo seguii. – Ah, e visto che ti piace tanto mettermi in condizione di morire da un momento all’altro, ci sarebbe da discutere il mio epitaffio – dissi, portandomi al suo fianco. – Dio, prova a scrivermi sulla lapide “padre amato” e giuro che risorgo solo per infestarti la casa e maledirti a vita.
Lanciò uno sguardo esasperato al cielo e allungò il passo senza aggiungere un’altra parola. Ah, quant’è divertente, quel ragazzo.
 
– Qualora accadano degli eventi infausti, sfavorevoli alla mia reputazione, vi prego di ricordare, gentiluomini qui presenti, che io, oggi, dichiaro in tutta sincerità che non mi reputo all’altezza del comando affidatomi. –  Mi sfuggì un sorriso. Allora non sei tanto stupido come credo, eh, George?
Seduti attorno ad un tavolo nella sala del Congresso Continentale, Connor e Samuel sembravano completamente assorbiti dalle parole vuote di Washington mentre il mio sguardo spaziava tra Charles, da qualche parte alla mia destra, lo sguardo basso e un sottile sorriso in faccia – sollievo? Gratitudine per non avere Reginald dietro anche in quell’occasione? Divertimento per l’evidente inettitudine del nuovo comandante in capo? – e George, a sinistra, ritto in piedi con la mano sul cuore e il cappello sul tavolo.
Sam Adams sussurrò: – In fede, non c’è altro uomo più adatto al compito.
Sorrisi mentre lo disse, e mi parve quasi di vedere Charles ghignare insieme a me, manco avesse sentito le loro parole. Era da stupidi continuare a guardarlo, ma non potevo farne a meno. Mi dava l’illusione di mantenere il controllo della situazione, nonostante sapessi che appena avrebbe alzato lo sguardo sarei stato fregato. Mi aveva visto. Doveva avermi visto, suppongo, eppure continuava a tenere lo sguardo basso e fingere che non esistessi. Un altro dei motivi per cui stavo sorridendo. – Credo sia giunto il momento di presentartelo. Signor Washington! Signore! – Samuel sollevò una mano, sbracciandosi come una donnina infatuata, e immediatamente il comandante in capo si diresse verso il nostro tavolo. – Buongiorno, e magnifico discorso. Connor, lascia che ti presenti il nuovo comandante in capo, George Washington. Signore, so che la sua giovane età può ingannare, ma ha già dato un cospicuo aiuto ai patrioti.
Connor tese la mano coriacea verso Washington, che la strinse. – Ragazzo! – Il suo tono melenso e falso mi fece accapponare la pelle mentre fingevo di essere molto interessato ai decori intarsiati sul bordo del tavolo di legno. – Sono contento che tu sia qui. Le tue azioni a favore dei patrioti non sono passate inosservate. Eri a… Concord, giusto?
– Lexington, a dire il vero, signore – lo corresse Connor. E continuavano davvero a riporre la fiducia in quell’uomo? Dio, qualcuno mi salvi. – Ho soltanto dato una mano.
George prese fiato, tronfio di se stesso come non mai. Avesse fatto una gaffe simile in pubblico, come minimo gli sarebbe arrivato qualche sasso sui denti. Magari anche da parte mia, fossi stato alla giusta distanza. – Umile quanto coraggioso. Uomini come te sono preziosi. – Dai, Georgie, io non esisto, guarda il soffitto, guarda quant’è bello quel dannato soffitto. Io non ti ho ucciso, non ci ho nemmeno provato, non ho mai… – Anche se pensavo ti circondassi di persone più rispettabili – aggiunse con sdegno. Roteai gli occhi. Lo sapevo, sono irresistibile. – Kenway.
Sollevai pigramente la mano sinistra in un saluto. – George. Che onore.
Washington tese le labbra in un sorrisetto. – Ti conviene uscire subito di qui se non vuoi che dica alle mie guardie di farti fuori.
– Perché non date l’ordine e basta, comandante? – replicai con tono provocatorio. Sapevo che sarei dovuto restare al mio posto e che Charles avrebbe potuto cogliere la palla al balzo, ma l’affetto che mi legava a Lee spingeva anche una parte di me a fidarsi di lui. Era mio figlio, in quella strana maniera. – Forza, uccidetemi.
– Come preferisci, Kenway. Guard…
Connor, esattamente come avevo pensato, lo fermò poggiando la grande mano sulla sua spalla. – Non fategli del male, comandante – sussurrò. – Non è il momento di agire in base al passato.
L’altro scoppiò a ridere. – Agire in base al passato? – ripeté con quella risatina nervosa. – Difendi questo traditore? Che razza di uomo sei? Ha cercato di uccidermi non più di una settimana fa, altro che passato, ho tutto il diritto di rispondere con la stessa moneta, no?
Connor si girò di scatto verso di me, gli occhi stretti. – Hai fatto cosa? – Ecco, in quel momento pensai fosse davvero sul punto di lasciare che le guardie del corpo di Washington mi uccidessero.
Agitai una mano con noncuranza, lanciando un’occhiata alla mia destra. – Ne parliamo dopo. Ora, George, se permettete me ne vorrei andare. – Charles Lee, che aveva finto per tutto il tempo di non far caso a me – bravo ragazzo, davvero un bravo ragazzo – si stava avvicinando al suo superiore per scortarlo fuori. Non si può fissare un tavolo per sempre, no? – Sapete, sarebbe un immenso onore essere ucciso da voi, non fraintendete, ma provocherei un gran dispiacere in tutti gli altri che mi vogliono morto. Sono un uomo desiderato. – Mi parve di sentire di nuovo la risata di Charles, una risata sottile e tetra che avevo sentito poche volte uscire dalle sue labbra. Ah, non fare il sentimentalista.
Connor mi fulminò con un’occhiataccia e cominciò a gesticolare mentre parlava, agitato. – Signore, vi chiedo umilmente di non ucciderlo.
Washington mi guardò con rabbia. – Sei un ragazzo in gamba, sai? – Ovviamente non stava parlando con me. – Quest’insolente dovrebbe esserti grato per la misericordia che gli concedi.
Aggrottai la fronte. George, povero lui, non sapeva che quel ragazzo mi doveva la vita per un tradimento che, dal mio punto di vista, era peggiore di quanto io avevo fatto. Perché lui era un Assassino, uno di quelli affidabili e scempiaggini varie. – Veramente, Washington, io dovrei…
– Veramente, signore – intervenne Connor intimandomi di stare zitto con lo sguardo – ve lo sto chiedendo perché lui è mio padre. – Sì, con quel tono facevamo proprio la figura della famigliola felice.
Il viso di Washington fu percorso da un lampo di stupore. – Bene, Kenway, congratulazioni. Dunque quella…– Guardò Connor e decise che era meglio non offendere quel bestione armato fino ai denti. Non aveva idea di quanto scarso fosse l’approccio al combattimento del ragazzo. – Quella donna con cui mi hai attaccato non era solo un’alleata, giusto? – Non attese la mia risposa. – Credimi, è solo merito di tuo figlio se oggi ti risparmio. Fa’ attenzione.
Ci girò attorno, raggiungendo Charles alle mie spalle mentre per tutto il tempo lo maledicevo con gli occhi e la mente. – Ti fidi di quell’uomo? Sul serio? – dissi a Connor indicando Washington con un cenno della mano. – Bah.
Girai sui tacchi, pronto ad andarmene, ma fui fermato dalla sua abnorme mano sulla spalla. – Hai davvero cercato di ucciderlo, Haytham?
Roteai gli occhi. – Non ho passato mezza settimana al mercato del pesce, se è questo che vuoi sapere.
– Non erano questi i piani!
– Il nostro piano riguardava la Mela, non queste scaramucce tra donnicciole armate di fucile! – ringhiai con un tono più basso per impedire a Samuel Adams di impicciarsi. – Sì. Ci ho provato e non ci sono riuscito. Ho rischiato di essere ammazzato, ma ora sono qui. Sano e salvo per vederti leccare il culo a quel dannato imbecille!
Alzò le braccia in un gesto colmo d’esasperazione. – I manifesti. E io che pensavo fosse tutta una strategia dei Templari! Scommetto che Lee non c’entrava niente, vero?
Scrollai le spalle. – No, su quello ti sbagli. Il generale dell’Esercito Continentale mi ha rapito sotto pesante consiglio di Reginald. E se non fosse stato per una vecchia conoscenza, be’, a quest’ora saresti solo.
– E forse sarebbe meglio, santo cielo! – strepitò a voce troppo alta per i miei gusti. Fortunatamente gli altri partecipanti se n’erano andati dietro Washington. – Lasciamo perdere. Io me ne vado.Ridacchiai. – E dove pensi di…
Un destro dal basso verso l’alto mi fece volare all’indietro, cogliendomi di sorpresa e facendomi saltare via un dente o due. – Cristo – biascicai con le mani sulla bocca. Come se non fosse bastato il calcio di un pirata, dovevo pure beccarmi un pugno in faccia da mio figlio.
– Occupati di lui – ringhiò Connor a Samuel, lasciando la stanza con passi pesanti ed innaturalmente lunghi. – Io vado a Bunker Hill.
Provai ad aprire gli occhi, ma vedevo solo strane macchie nere danzanti sul soffitto dell’Indipendence Hall. Bel soffitto, pensai. No, no, no, no! Alzati, imbecille! Sta andando a Bunker Hill! Sai cosa sta per fare, vero? Vero?, gridò un’altra parte della mia testa.
– Oh, merda – sussurrai alzandomi a fatica e aprendo la bocca come un pesce per assicurarmi di non avere la mandibola fratturata. Sputai un grumo di sangue a terra, accanto allo stivale di un impaurito Samuel Adams, e arrancai dietro mio figlio fino alla piazza fuori dall’Indipendence Hall.
Eccolo lì. Stava sellando un cavallo con decisione e fretta, tutto pronto a partire. Samuel mi prese per un braccio. – Non fatelo, Haytham.
Sai cosa sta per fare, vero?, ripeté quella vocina. – Dove diavolo sta andando, Adams? – dissi stringendomi il viso. – Bunker Hill. Perché ha detto Bunker Hill?
Samuel prese un gran sospiro. – Lui ucciderà John Pitcairn.
 
Agii in un istante, spostando Samuel con una manata per liberarmi della sua fastidiosa presenza. – Non gli torcerai un solo capello, Connor! – strepitai con la mascella dolorante mentre il ragazzo montava in sella e dava di sprone. Se quel dannato bastardo di Adams non si fosse rialzato in piedi con inaudita agilità, trattenendomi per le braccia, gli sarei andato dietro per tirarlo giù e minacciarlo con una sacrosanta lama alla gola. – Non lo ammazzerai!
Tirò le redini e si voltò verso di me. A quell’ora del pomeriggio, la piazza era praticamente vuota. – Perché? – chiese serio. – Tu hai ucciso William Johnson. – Oh, cielo, di nuovo con quella storia. – La morte di Pitcairn ci sarà utile allo stesso modo.
Sentivo lacrime di rabbia pronte a sgorgarmi dagli occhi, la tentazione di colpire i cosiddetti di Adams con un calcio si faceva sempre più forte e viva dentro di me. – John potrebbe avere qualcosa di utile da dirci – sibilai tra i denti, sforzandomi di mantenere la calma. Era troppo stupido per capire che cosa intendessi realmente.
Potrebbe essere ancora dalla mia parte.
Connor scosse la testa. – È una minaccia per i patrioti – rispose con sicurezza. – Se ti fa sentire meglio mi assicurerò che dica tutto ciò che sa prima di porre fine alla sua vita.
Mi voltò le spalle, gli lanciai un grumo di sputo e catarro dietro con un ruggito esasperato. A quel punto mi sentii quasi totalmente libero di scrollare il braccio e mollare una gomitata al mento di Adams. – Dannato stronzo – grugnii pensando a Connor. Avrei potuto prendere in ostaggio Sam e ucciderlo se avesse fatto del male a John. Potevo prendere un cavallo e arrivare a Bunker Hill prima di lui per salvarlo. Sarei dovuto intervenire, sicuramente, ma c’era qualcosa dentro di me che mi bloccava.
Era la speranza. Pensavo che Connor non avrebbe mai ucciso un uomo solo per ripicca, solo perché io ne avevo ucciso un altro tempo prima. Pensavo che ci avrebbe riflettuto su, capendo che John Pitcairn ci era più utile da vivo.
Avrei rimpianto quel sentimento, ah, se l’avrei rimpianto. La speranza è da Assassini. Da sognatori. E in quel momento stavo ammettendo a me stesso di non averla mai persa definitivamente. Io continuavo a sperare che qualcosa cambiasse, ed era quello a rendere la mia testa come quella di un Assassino. Non riuscivo mai a rassegnarmi del tutto, ad arrendermi.
Per ciò che ne diceva il mio Ordine, era un atteggiamento sbagliato.
Per ciò che ne dicevo io, non aveva alcuna importanza. Era parte del mio carattere, e non potevo fare niente al riguardo. Aggrovigliare i miei pensieri girandoci attorno non serviva a nessuno, ed era inutile almeno quanto sperare, se non di più. Sapevo anche quello. Mio figlio avrebbe ucciso John, era innegabile, forse persino giusto. Giusto che tenesse più a quella causa che a rendere felice me salvando gli uomini che ai suoi occhi erano a tutti gli effetti gli assassini di sua madre – e, in fondo, non sbagliava.
Penserete che sono un po’ vigliacco, e non sarò io a dissuadervi. Non volevo correre dietro a Connor arrivando magari troppo tardi, giusto in tempo per vederlo calare su John con la lama celata nel suo collo. Non volevo vedere un altro dei miei uomini morto, non volevo che Giunone e Minerva mi facessero di nuovo uscire di testa permettendo che uccidessi anche John. 
E poi arrivai a pormi la fatidica domanda. Anche John era caduto nell’inghippo dei soldati, di arrivare a perdere il vero scopo della nostra guerra per lasciarsi risucchiare dalla sete di sangue patriota? Aveva perso interesse per la Mela e per il potere che ci avrebbe procurato la sconfitta dell’Esercito Continentale? Aveva tradito l’Ordine, in un certo qual modo?
Ardua impresa, trovare uomini disposti a combattere senza sete di potere. Il problema è che quando ce l’hai a portata di mano, il potere, è difficile non afferrarlo e inghiottirne fino a scoppiare. Bisogna essere disinteressati o mirare a qualcosa di più grande e lontano.
Ora. Non sono disinteressato. Solo che avevo un altro scopo, la mia vendetta. La priorità assoluta era la morte di Reginald, per me. Ogni conseguenza di quella guerra sarebbe venuta dopo. Dopo.
Avevo pensato a questo guardando mio figlio fuggire verso la frontiera. E senza rendermene conto avevo abbandonato Samuel e mi ero addentrato nella città, varcando la soglia di una buia taverna. Alla fine è un po’ una costante nella mia vita, l’alcool. Mi passai una mano sulla faccia dolorante, lanciando un sospiro, e affondai le labbra nel primo boccale di birra mezzo vuoto che riuscii a strappare a un ubriaco. Nemmeno del grog bevono, questi imbecilli. Pensai a quante ne avevamo passate, io e John Pitcairn. L’avevo salvato dalle grinfie di Edward Braddock assieme a Charles e, ad essere sincero, quell’incarico mi aveva fatto divertire come un bambino. Avevo quasi ucciso il vecchio Bulldog. Ce la spassavamo, all’epoca.
Perché?, mi ritrovai a chiedere dopo qualche sorso ai due spiriti nella mia testa. Perché non mi avete spronato a salvarlo ma avete lasciato che il ragazzo partisse?
– Nobili intenti. Puri di cuore. Questi sono i seguaci dell’Aquila. E il loro fine conta quanto il nostro, almeno. Senza il loro aiuto, tutto sarà perso.
Minerva emise un verso di scherno nei confronti della compagna. – C’è chi ha un valore maggiore e chi uno minore. Non tutte le pedine devono arrivare alla fine del gioco.
Sospirai. – Sapete, mi pento sempre di intraprendere una conversazione con voi due – grugnii continuando a bere. – ‘Fanculo.
Quello che successe dopo è una nebbia sfocata al sapore di birra. Qualche ricordo ce l’ho ancora. L’odore di una donna, la sua testa sul mio petto quando mi sono svegliato, le dita intorpidite nel tirarmi su i calzoni e una ferrea promessa stretta con me stesso: Il ragazzo pagherà per aver ucciso John. Mi sarei ripreso il mio… onore, se così lo possiamo chiamare, l’onore perduto comportandomi da vigliacco, e gliel’avrei fatta pagare.
Rubacchiai qui e là agli altri clienti della taverna per pagare i servigi di cui avevo usufruito nel tardo pomeriggio e nella notte del sedici giugno. Fino ad allora, però, non ci pensare.
Uscii, cercando con lo sguardo un cavallo. Dovevo organizzarmi. Non. Pensare.
  
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