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Autore: _cashmere    14/05/2014    4 recensioni
Lizaveta Wilkinson sfiorò con un sospiro la liscia superficie dello specchio, che rifletteva il suo volto inespressivo.
Fece scorrere l'indice lungo la linea degli zigomi, avanti e indietro, più volte. Aveva una cicatrice bianca appena sotto l'occhio destro, molto simile ai tagli che i bambini si dipingono sul viso in occasione del Carnevale.
«Colpa di Enriqueta.»pensò, afferrando la pietruzza affilata che si trovava accanto al lavandino.

Partecipante al contest Watercolor indetto dal gruppo facebook A Panda piace fare le bolle di assenzio ⌠EFPfanfic⌡.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PACCHETTO ARDESIA
PAROLE: 2.570





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Gli abitanti di Stroke-On-Trent la chiamavano ancora Villa Wilkinson, anche se era passato molto tempo dall'ultimo soggiorno della famiglia. Era situata su una ridente collinetta non molto distante dal cuore del sobborgo, ma l'incuria e il lento scorrere del tempo l'avevano trasformata nel fantasma di ciò che era stata precedentemente. Nel grande giardino le erbacce crescevano indisturbate, nascondendo alla vista parte dell'imponente facciata. Un gran numero di persiane aveva ceduto, ed ora le finestre sembravano tanti occhietti neri che seguivano con un certo interesse la vita quotidiana del luogo. La dimora non aveva conservato neppure una piccola parte del suo antico splendore, ed era difficile pensare che un tempo potesse essere stata tanto vasta e sfarzosa.
Nonostante fosse passato quasi un secolo dall'evento, la maggior parte dei cittadini non osava avvicinarsi alla vecchia casa. 
Anni prima tra quelle mura era avvenuta una vicenda definita dai più troppo inquietante per poter essere raccontata, ma che proprio per questo aveva acquistato un fascino particolare. I pochi giornali che avevano riportato questo evento l'avevano catalogato con un blando “l'orrore di Stroke-On-Trent”, ma avevano omesso così tanti dettagli al punto che nei paesi vicini non aveva suscitato molto scalpore.
L'inizio della vicenda, però, era stato riportato ovunque nella sua versione originale.



Il signor Wilkinson entrò con una certa fretta nella grande agenzia immobiliare londinese. Erano circa le due del pomeriggio, e la City sembrava prigioniera delle nubi grigiastre che avevano schermato il cielo.
Fu rapido nell'individuare la receptionist, che se ne stava a tubare con un omaccione barbuto dall'altro lato del salone d'ingresso, e senza troppi preamboli si presentò.
Salve, ho un appuntamento con Mr. Harker. Mi chiamo Jonathan Wilkinson. »
Lo trova nel suo ufficio, la seconda porta a destra. » rispose lei con tono brusco. Era visibilmente impaziente di ricominciare a flirtare con l'omaccione, che continuava a lanciare occhiate in tralice al nuovo arrivato. Wilkinson non si prese neppure la briga di ringraziare. Da bambino era stato educato con determinati principi, alcuni dei quali anche sbagliati, tra i quali spiccava quello di dover rendere pan per focaccia a coloro che lo trattavano sgarbatamente. Bussò con foga alla porta indicata, chiamando: « Signor Harker? »
Desidera? » fece una voce proveniente dall'interno.
Sono Jonathan Wilkinson. »
Salve! Entri pure, John, posso chiamarla così? Piacere di conoscerla. » esclamò il direttore. Aveva un viso paffuto e due guance rosee, e gli occhi acquosi sembravano quasi sparire dietro le pieghe di grasso.
Il piacere è tutto mio, signore. »
Gradisce un caffè, dei pasticcini? La mia segretaria, Lucy, è a vostra disposizione. » chiese.
Se non le dispiace, signore, vorrei venire subito al sodo. » replicò Jonathan, senza nascondere la sua fretta di voler concludere l'affare.
Come desidera, signor Wilkinson. Allora, se non sbaglio lei è intenzionato ad acquistare la casa sulla collina. »
L'antica magione dei Nixon, si. » assentì.
E le hanno spiegato tutte le procedure necessarie? » continuò Harker, tamburellando con le dita sulla lucida superficie della scrivania.
In maniera molto dettagliata. » 
Bene. Se lei è così deciso nell'acquisto non le resta altro da fare che rivolgersi ad un buon notaio, ma prima che vada via ho il dovere di parlarle di un'altra faccenduola. » Jonathan inarcò un sopracciglio.
Mi dica. »
Le sue parole mi fanno supporre che lei non sappia nulla circa la storia della villa.» 
No, non mi hanno riferito nulla a riguardo. » confermò, con gli occhi accesi dalla curiosità. Sembrava perfino aver accantonato la fretta con la quale era entrato nell'agenzia.
Vede, in epoca medievale la villa apparteneva ad un ordine religioso che l'aveva trasformata in un convento. » cominciò Harker, contento di aver finalmente ricevuto tutta l'attenzione dell'uomo. « Tra le monache spiccava una giovinetta che non arrivava ai venti, una certa Suor Calvario. Era stata costretta dai genitori a prendere i voti, e il suo carattere non si avvicinava neppure lontanamente a quello di una religiosa: viveva in un universo tutto suo, colmo d'impudicizia, malsano e corrotto. Scriveva profezie spesso anche blasfeme, e tante altre cose che a quell'epoca non potevano neppure essere nominate. Peccato che una sera abbia perso del tutto il senno e... Si sia cavata gli occhi. Con le sue stesse mani. »
Tutto qui? » commentò Wilkinson, visibilmente deluso.
Beh... » fece l'uomo, rivelando un certo imbarazzo. « In effetti c'è dell'altro. All'alba del mattino successivo un fattore si recò al convento per parlare con la badessa, ma non trovò nessuno. »
Si spieghi meglio. »
Tutti morti. Nei libri d'epoca viene descritto come uno spettacolo agghiacciante. Cadaveri smembrati che prendevano dalle pareti, tutti con il volto deformato dalla stessa espressione di terrore. Arti solitari sparsi per le celle, orecchie mozzate. E sangue, tantissimo sangue. »
Molto... Bizzarro, non c'è dubbio. » proferì dopo un istante di esitazione. 
Mi permetto di contraddirla, signore, bizzarro non è l'aggettivo adatto. Io lo definirei raccapricciante. » sottolineò Harker.
Già, ma ha un suo fascino. Comunque sia » disse Jonathan Wilkinson, riprendendo il tono sbrigativo di pochi minuti prima. « Sono del tutto intenzionato ad acquistare la magione, quindi se possibile mi rivolgerò ad un buon notaio oggi stesso. E poi, queste vicende possono essere molto intriganti se guardate in un'ottica diversa… »


Dopodiché, i dettagli iniziavano piano piano a scemare.


Anche quell'anno l'estate era giunta con un pochino di ritardo.
Le malinconiche mattinate di pioggia che avevano caratterizzato l'inizio della bella stagione avevano ceduto il posto ad un caldo sole dorato, molto simile a quello che i bambini disegnavano tra le pagine dei quaderni scolastici. Il gelsomino spagnolo era tornato a fiorire rigoglioso nel grande giardino, proprio sotto la finestra della camera di Lizaveta.
La quindicenne si infilò le babbucce dorate e scese la lunga scala che portava al piano inferiore saltando i gradini a due a due. Con lo stesso entusiasmo si sedette a tavola per la colazione, rivolgendo ai genitori occhiate colme di gratitudine.
A cosa dobbiamo questo tuo buonumore? » sorrise la signora Wilkinson mentre le serviva il pasto.
Sono felice. » biascicò Lizaveta, la bocca piena di cereali. « Perché per la prima volta mi avete permesso di organizzare qui la Mascherata. »
Io ancora devo capire bene cos'è questa Mascherata di cui parli tanto. » si intromise il signor Wilkinson. « E sai bene che non voglio vederti parlare mentre mangi. »
Lizaveta si pulì distrattamente con un tovagliolino, impaziente di descrivere l'evento che la entusiasmava tanto. 
La Mascherata è il ballo che noi ragazze del collegio di Stroke-On-Trent organizziamo tutti gli anni a metà luglio. » recitò. « Per l'occasione, tutti gli invitati devono presentarsi vestiti allo stesso modo e con una maschera sul viso, cosicché nessuno possa riconoscere l'altro. »
Ai miei tempi si pensava meno a queste frivolezze e più alle cose serie. » bofonchiò Wilkinson.
Ci risiamo, con voi adulti è sempre la stessa storia! » rise Lizaveta. « Ai miei tempi si faceva questo, ai miei tempi si faceva quello. Ora le cose sono cambiate, papà! E adesso, se non vi dispiace, la mia amichetta dice che è ora di andare. » 
Appuntò l'orlo della camicia da notte dentro l'elastico delle mutandine, liberando le gambe lunghe e magre, e a passi di danza sparì nella stanza accanto. 
La signora Wilkinson si accasciò sulla sedia con le lacrime agli occhi.
Virginia, cosa ti prende? » le chiese il marito. 
È per via della bambina. Questa storia della sua amichetta mi spaventa. » 
Tesoro! » ridacchiò il signor Wilkinson, comprensivo. « Ne abbiamo già parlato, è inutile dare peso alla faccenda. Il referto dello psicologo è più che positivo, dice che alla sua età è normale avere amici immaginari. E poi Liza è figlia unica, come pretendi che trascorra il tempo libero in questa casa? »
Io ho paura che le vengano strane idee in testa. È una ragazza vulnerabile, lo sai. » 
Virginia » fece l'uomo, questa volta con tono autoritario. « La questione è chiusa. Non voglio più sentire una parola a riguardo, hai capito? » 
Bada bene, Jonathan Wilkinson. » sibilò Virginia Wilkinson, alzandosi di scatto e puntando un dito contro il petto del suo interlocutore. « Il mio intuito femminile mi sta mettendo in guardia. Vuoi che in giro si spettegoli sul fatto che tua figlia è una… »
Ma prima che riuscisse a finire la frase il marito le diede un sonoro ceffone sulla guancia, lasciandole un'impronta rossastra. Lei guardò silenziosamente il suo riflesso nel cucchiaio d'argento, e accarezzò con dita tremanti la cute lesa. 
Bruciava. 


Se reperire informazioni sull'orrore di Stroke-On-Trent era difficile, arrivati ad un certo punto della vicenda diventava a dir poco impossibile. 

Lizaveta Wilkinson sfiorò con un sospiro la liscia superficie dello specchio, che rifletteva il suo volto inespressivo. 
Fece scorrere l'indice lungo la linea degli zigomi, avanti e indietro, più volte. Aveva una cicatrice bianca appena sotto l'occhio destro, molto simile ai tagli che i bambini si dipingono sul viso in occasione del Carnevale.
Colpa di Enriqueta pensò, afferrando la pietruzza affilata che si trovava accanto al lavandino.
Le aveva fatto male, quella bastarda, sebbene le avesse promesso che l'avrebbe protetta da tutti i mali presenti al mondo. 
Ma ora – oh si – era giunto il momento di ricambiare il trattamento.
Senza indugiare scagliò la pietruzza contro lo specchio, che si diramò velocemente in una moltitudine di piccole schegge. Una di loro, appena più grande delle altre, le cadde nella mano libera, e lei la strinse fino a ridurre la sua pelle ad una massa sanguinolenta. 
Sei contenta, schifosa sgualdrina? » ansimò, meravigliandosi della sua stessa audacia.
Il suo sguardo era rimasto incatenato all'immagine, ora ridotta ad una figura inumanamente scomposta. Vi appoggiò la mano ferita, lasciando una macabra impronta vermiglia, e improvvisamente le sembrò che i suoi lineamenti riflessi iniziassero a distorcersi. Dapprima molto lentamente, poi sempre più in fretta, fino a tramutarsi definitivamente in una giovinetta dall'aspetto nobile. Lunghi capelli rossi e sporchi le coprivano il volto, lasciando intravedere solo le labbra dischiuse in un sorriso enigmatico. 
Lizaveta chiuse istintivamente gli occhi, e si premette le mani sulle orecchie come in preda a dolori lancinanti. 
«Vattene via, ti prego, lasciami stare! » supplicò.
Oh, no, dolce Lizaveta. In fondo al tuo cuore, c'è una piccola parte di te che mi sta pregando di restare al tuo fianco. »
Odiava quella voce. Odiava quel maledetto tono persuasivo che usava con lei. Odiava quei suoi modi misteriosi, quelle visite inaspettate. Odiava tutte le sue caratteristiche. 
L'avrebbe uccisa con le sue stesse mani, se solo avesse saputo come fare.
Si scagliò rabbiosamente contro lo specchio, graffiandone la superficie come se fosse stata la pelle della sua aguzzina. 
Piccola, sciocca Lizaveta. Non riuscirai mai a mandarmi via. Io sono dentro di te. Sono il tuo angelo custode, ricordi? »
Lizaveta guaì come una bestia ferita e riprese a colpire lo specchio con la pietruzza, nella speranza di cacciare via per sempre quella ragazza demoniaca. 
Le prime volte era stato piacevole godere della sua compagnia. Conosceva molti aneddoti capaci di farla ridere fino alle lacrime, e quando glielo chiedeva con insistenza le raccontava anche storie inquietanti, secondo lei vere. Con il tempo era però diventata invasiva e possessiva, le faceva visita nei sogni e la sua presenza la opprimeva sempre di più. 
E le faceva del male, come dimenticarlo.
Sparisci, Enriqueta, tu non sei reale. »  
Appena udì quelle parole la cosa assunse un'espressione disgustata. Iniziò a schiumare dalla bocca, vomitando un misto di saliva e sangue, gli occhi le si rovesciarono all'indietro e i capelli le caddero ciocca per ciocca. Sembrava un demone, una iena magra e affamata.
Poi tutto scomparve, così come era venuto.
Fu allora che Lizaveta si rese conto che, nonostante tutto, la sua presenza avrebbe continuato a soffocarla nel sonno, a toglierle l’appetito. 
Enriqueta era una zanzarina con i denti aguzzi, e l'avrebbe consumata fino al filtro con i suoi modi ammalianti. Anche se la sua rabbia era grande, la sua anima strappata in brandelli, non esistevano soluzioni.
Quindi, perché non ricomporre ancora una volta la maschera di sorrisi e buonumore che aveva cucito sopra la sua pelle? 


Mai villa Wilkinson fu più bella di quando vi si celebrò la Mascherata.
La signora Virginia e la fedele domestica Odessa avevano fatto di tutto affinché perdesse almeno parte del suo consueto aspetto artificioso ed acquistasse un po' più di  vitalità. Nel grande salone erano state tolte le pesanti tende di velluto, mentre decorazioni giovanili pendevano dai soffitti affrescati. Con l'aiuto di Jonathan Wilkinson l'avevano privata di tutta l'ingombrante mobilia, creando così un'ampia pista da ballo. Era stato portato persino un grammofono, strumento considerato dalla signora Wilkinson “eccessivamente frivolo”, pronto a riprodurre i brani preferiti degli invitati.
Lizaveta accolse tutti i coetanei con un sorriso sulle labbra e la morte nel cuore. Non avrebbe dovuto far arrabbiare Enriqueta, gliel'avrebbe fatta pagare presto. Non era una di quelle ragazze che amavano farsi prendere in giro.
Ma, d'altronde, non la si poteva considerare neanche una ragazza.
Iniziarono a ballare. La musica era lenta, quasi soporifera, e i lunghi vestiti color ardesia delle ragazze ondeggiavano dolcemente mentre piroettavano con gaiezza. Passo dopo passo, la pista da ballo si svuotò. Quella nenia conciliava il sonno in maniera impressionante, e a molti era balenata in mente l'idea di riposarsi sulle soffici poltroncine in attesa che partissero brani più briosi.
Fu a quel punto che Lizaveta sentì la voce.
Vai in veranda.
Nonostante quello che lei aveva fatto il tono era dolce, suadente. Una vampata di gioia le salì al petto al pensiero che Enriqueta avesse potuto perdonarla. 
Sgusciò furtivamente fuori dalla stanza, come ipnotizzata. A piccoli passi raggiunse l'enorme veranda, anch'essa riccamente decorata per l'occasione.
Si stropicciò gli occhi, assonnata, e improvvisamente ciò che le appariva davanti divenne sfocato, impreciso. Sbatté il braccio contro qualcosa – una colonnina marmorea o una pianta? –  e una fitta penetrante si propagò lungo tutto il lato destro del suo corpo. 
Sali sopra alla ringhiera.
Era la voce di Enriqueta, ma aveva qualcosa di diverso. Era insolitamente pacata. 
Giunse fino al luogo indicato a tentoni, incespicando nei suoi stessi passi, come guidata da quelle parole. Con la stessa goffaggine vi salì sopra, un piede dopo l'altro, e si sedette. Aveva le gambe penzoloni nel vuoto, sette piani la separavano dal suolo.
Sai cosa fare.
Si, Lizaveta sapeva cosa fare, l'aveva sempre saputo. C'era un unico modo per ottenere il perdono di Enriqueta, e lei avrebbe fatto di tutto pur di riappacificarsi con la presenza.
« Come ho potuto essere così stupida? » mormorò, facendo oscillare le gambe.
Mille interrogativi le si affacciarono per la mente in quel momento, ma non vi badò. 
Lei le aveva promesso che l'avrebbe fatta regina del suo capovolto universo colmo d'impudicizia, dove avrebbero sbranato insieme tutte quelle virtù ignobili e sciocche tipiche della vita umana, e così sarebbe stato. 
Con un sorriso radioso, mise le mani dietro al suo fondoschiena e si spinse giù.


Il mattino successivo Virginia Wilkinson, rientrando a casa, scoprì il cadavere della figlia di fronte al portone principale.
Tutti gli invitati alla
Mascherata furono trovati brutalmente squartati nel salone da ballo. Quello che nessuno si spiegò mai è come mani umane avessero potuto lasciare ferite simili su quei corpi puerili.
Nonostante siano passati anni ed anni dalla tragedia, questa continua ad essere rievocata con un certo orrore. 
Passeranno ancora altri anni, secoli forse, ma sono convinta che qualcuno tornerà ad abitare quella casa. Il genere umano è troppo attaccato ai beni materiali per lasciare che tanta bellezza continui ad essere sprecata. 
Ed io sarò lì, seducente e letale come la prima volta, ad immergere queste mie mani nell'animo limpido dei fanciulli e spremerne sangue, risvoltare il vestito delle loro dolci illusioni e scoprire la polvere sotto le crinoline.
Ma questa volta saremo in due. 

 

 
 
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