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Autore: babibabi    29/07/2008    1 recensioni
Doppia vita. La mia e la loro. La mia e la vostra. Pensiero in un momento di sconforto. Solo una piccola precisazione, a scanso di equivoci: non sono pazza, almeno credo...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DOPPIA VITA

 DOPPIA VITA

 

Lo sai cosa vuol dire piangere fino a star male? Fino a sentire il respiro che viene meno? Fino a che non ti addormenti esausta sperando che la notte possa alleviare un po’ del tuo dolore? Dolore che non sai spiegare ma che viene da dentro, sale dalle viscere fino al cuore e poi agli occhi. Dolore che non ha una forma ben definita e non ha nome, è più una massa indistinta, un senso di oppressione che ti schiaccia a terra e ti toglie il respiro. Qui, dentro a queste quattro mura che sembrano una prigione. Il mio cuore è una prigione. Non si può scappare anche se la porta è aperta. Ma è una salvezza effimera. Non posso scappare. Non posso. Non da me stessa. Capisci? No? Neanche io. Neanche io capisco. A volte. Altre volte sì e quelle rare volte preferirei non capire. Perché il peso è troppo grande. Troppo. E io non sono così forte anche se mi sforzo di sembrarlo. Sicura e determinata per il mondo. Quale mondo? Il loro mondo, il tuo mondo. Ma sono qui, ora, chiusa in questa stanza a piangere lacrime che non trovano pace. Lacrime amare. Lacrime antiche. Lacrime che ripercorrono sentieri già tracciati, già solcati. Qui, ora, nascosta nell’oscurità della sera. Perché nessuno possa vedere. Perché non si può piangere. Non si può. È una cosa cattiva. Non sia mai che qualcuno poi si preoccupi per me. Capisci? Non va bene. Poi si preoccupano. Chi? Non lo so perché in realtà a nessuno importa. Ma non si sa mai che qualcuno per caso si preoccupi. Non va bene. Dopo una vita passata in un angolo a cercare di non creare problemi un po’ a quest’ombra mi ci sono affezionata. È un porto sicuro in un mare impervio. E io in questo mare mi ci sto affogando. Lentamente. Inesorabilmente. Dovrei imparare a nuotare? Forse. Io non so nuotare. O forse non voglio nuotare. Dovrei stare a galla per prolungare l’agonia? Perché? Perché sì, perché funziona così. Allora è così. Ma vedi, io sono stanca di annaspare. Stanca, stanca fino alle radici del mio cuore. Stanca nella mente, stanca nelle membra. Stanca perfino nelle parole. Troppe ne ho scritte. Troppe lacrime si sono tramutate in un fiume di inchiostro nero su foglio bianco. Troppe parole scritte nel vano tentativo di alleviare questo peso. Troppe anche quelle non ancora scritte.

Lo sai cosa vuol dire piangere fino a star male? Fino a sentire il respiro che viene meno? Conosci quella sensazione di vuoto, come se fossi sull’orlo di un dirupo? E alle tue spalle c’è la montagna, la roccia dura e tagliente. Non c’è nulla a proteggerti. Puoi solo arrampicarti o buttarti. Cosa faresti tu? Io ora sono qui sull’orlo di questo dannato precipizio. Non posso salire. Non ho più forze. Posso solo chiudere gli occhi e sentire questo senso di vertigine. Lo vedi? Mi vedi? I capelli neri svolazzanti cullati dal vento, gli occhi chiusi, la schiena appoggiata alla parete della montagna. Un poco di sangue cola dalle mie mani che si sono aggrappate con troppa forza a queste rocce. Ma il corpo è proteso in avanti. Verso il nulla. Verso l’abbandono. Verso finalmente un po’ di pace.

Lo sai cosa vuol dire piangere fino a che non ti addormenti esausta sperando che la notte possa alleviare un po’ del tuo dolore? Ecco, le lacrime sono il mio dirupo. Mi ci sono buttata, questa volta come le altre. Ma è solo un’illusione. L’illusione di un po’ di serenità. L’illusione del nulla e dell’oblio. È solo la notte. Lo sai cosa vuol dire svegliarsi al mattino con le guance ancora rigate di lacrime seccate e col cuscino bagnato? Svegliarsi con un senso infinito di tristezza senza conoscerne la causa. E ricordare poi, come un film già visto, la notte prima. Le lacrime di questa lenta agonia.

Vedi, io in questo mondo non ci posso vivere. Eppure sono bloccata qui. Costretta a ripetere gli stessi gesti ogni giorno. Costretta ogni giorno a indossare questa maschera che mi soffoca piano piano. Io a questa vita ci sono legata. Fisicamente imprigionata. Eternamente in bilico sul ciglio di un burrone. Perennemente in mare aperto ad affrontare una tempesta. Però, vedi, sono ancora qui. Incredibilmente. Forte come una roccia e come acqua non mi puoi scalfire. Perché nonostante tutto io voglio avere l’ultima parola. E testarda come sono l’avrò, l’ultima parola. È il mio mondo, l’ultima parola. Ogni tanto però le lacrime escono e mi ricordano che esiste anche l’altro mondo, il tuo mondo. Ma è il mio mondo che mi dà pace. La mia ancora di salvezza, l’evasione da questa vita. La fantasia. Sola, pura, innocente fantasia. Fantasia, compagna di giochi dell’infanzia. Quando da piccola giocavo a fare la principessa. Quando giocavo a volare su una scopa in cortile. È sempre fantasia. Ciò che mi permette di continuare. Ma è una fantasia più sottile. Vedi, da piccola mi piaceva fingere di essere una strega o una fatina. Ora nel mio mondo io sono solo io. Solo io con tutte le mie insicurezze e timori. Con tutti i miei problemi e dolori, forse anche qualcuno in più. Il mio mondo, così come il tuo, non è un mondo perfetto. Non è un mondo dove i buoni vincono sempre e non sempre tutti vissero felici e contenti. Anche nel mio mondo mi capita di versare lacrime e essere infelice. Ma nel mio mondo non mi spiace essere infelice. Perché so che qualcuno mi lancerà un salvagente. E qualcuno mi tenderà la mano. Perché nel mio mondo io non mi nascondo nel buio e conservo ancora qualche speranza per il futuro. E forse un giorno, come nelle favole che leggevo da bambina, nel mio mondo sarò felice. E forse allora lo sarò anche nel tuo mondo, in questo contorto mondo che chiamano realtà.

   
 
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