DOPPIA VITA
Lo sai cosa vuol dire piangere fino a star male? Fino a
sentire il respiro che viene meno? Fino a che non ti addormenti esausta
sperando che la notte possa alleviare un po’ del tuo dolore? Dolore che non sai
spiegare ma che viene da dentro, sale dalle viscere fino al cuore e poi agli
occhi. Dolore che non ha una forma ben definita e non ha nome, è più una massa
indistinta, un senso di oppressione che ti schiaccia a terra e ti toglie il
respiro. Qui, dentro a queste quattro mura che sembrano una prigione. Il mio
cuore è una prigione. Non si può scappare anche se la
porta è aperta. Ma è una salvezza effimera. Non posso scappare. Non posso. Non
da me stessa. Capisci? No? Neanche io. Neanche io capisco. A volte. Altre volte
sì e quelle rare volte preferirei non capire. Perché il peso è troppo grande.
Troppo. E io non sono così forte anche se mi sforzo di
sembrarlo. Sicura e determinata per il mondo. Quale mondo? Il loro mondo, il
tuo mondo. Ma sono qui, ora, chiusa in questa stanza a piangere lacrime che non
trovano pace. Lacrime amare. Lacrime antiche. Lacrime che ripercorrono sentieri
già tracciati, già solcati. Qui, ora, nascosta nell’oscurità della sera. Perché
nessuno possa vedere. Perché non si può piangere. Non si può. È una cosa
cattiva. Non sia mai che qualcuno poi si preoccupi per
me. Capisci? Non va bene. Poi si preoccupano. Chi? Non lo so perché in realtà a
nessuno importa. Ma non si sa mai che qualcuno per caso si preoccupi. Non va
bene. Dopo una vita passata in un angolo a cercare di non creare problemi un
po’ a quest’ombra mi ci sono affezionata. È un porto sicuro in un mare
impervio. E io in questo mare mi ci sto affogando. Lentamente. Inesorabilmente.
Dovrei imparare a nuotare? Forse. Io non so nuotare. O forse non voglio
nuotare. Dovrei stare a galla per prolungare l’agonia?
Perché? Perché sì, perché funziona così. Allora è così. Ma vedi, io sono stanca
di annaspare. Stanca, stanca fino alle radici del mio cuore. Stanca nella
mente, stanca nelle membra. Stanca perfino nelle parole. Troppe ne ho scritte.
Troppe lacrime si sono tramutate in un fiume di inchiostro nero su foglio
bianco. Troppe parole scritte nel vano tentativo di alleviare questo peso.
Troppe anche quelle non ancora scritte.
Lo sai cosa vuol dire piangere fino a star male? Fino a
sentire il respiro che viene meno? Conosci quella sensazione di vuoto, come se
fossi sull’orlo di un dirupo? E alle tue spalle c’è la montagna, la roccia dura
e tagliente. Non c’è nulla a proteggerti. Puoi solo arrampicarti o buttarti.
Cosa faresti tu? Io ora sono qui sull’orlo di questo dannato precipizio. Non
posso salire. Non ho più forze. Posso solo chiudere gli occhi e sentire questo
senso di vertigine. Lo vedi? Mi vedi? I capelli neri svolazzanti cullati dal
vento, gli occhi chiusi, la schiena appoggiata alla parete della montagna. Un
poco di sangue cola dalle mie mani che si sono aggrappate con troppa forza a
queste rocce. Ma il corpo è proteso in avanti. Verso il nulla. Verso
l’abbandono. Verso finalmente un po’ di pace.
Lo sai cosa vuol dire piangere fino a che non ti
addormenti esausta sperando che la notte possa alleviare un po’ del tuo dolore?
Ecco, le lacrime sono il mio dirupo. Mi ci sono buttata, questa volta come le
altre. Ma è solo un’illusione. L’illusione di un po’ di serenità. L’illusione
del nulla e dell’oblio. È solo la notte. Lo sai cosa vuol dire svegliarsi al mattino con le guance ancora rigate di lacrime seccate e
col cuscino bagnato? Svegliarsi con un senso infinito di tristezza senza
conoscerne la causa. E ricordare poi, come un film già visto, la notte prima.
Le lacrime di questa lenta agonia.
Vedi, io in questo mondo non ci posso vivere. Eppure sono
bloccata qui. Costretta a ripetere gli stessi gesti ogni giorno. Costretta ogni giorno a indossare questa maschera che mi
soffoca piano piano. Io a questa vita ci sono legata.
Fisicamente imprigionata. Eternamente in bilico sul ciglio di un burrone. Perennemente
in mare aperto ad affrontare una tempesta. Però, vedi, sono ancora qui.
Incredibilmente. Forte come una roccia e come acqua non mi puoi scalfire.
Perché nonostante tutto io voglio avere l’ultima parola. E testarda come sono
l’avrò, l’ultima parola. È il mio mondo, l’ultima parola. Ogni tanto però le
lacrime escono e mi ricordano che esiste anche l’altro mondo, il tuo mondo. Ma
è il mio mondo che mi dà pace. La mia ancora di salvezza, l’evasione da questa
vita. La fantasia. Sola, pura, innocente fantasia. Fantasia, compagna di giochi
dell’infanzia. Quando da piccola giocavo a fare la principessa. Quando giocavo
a volare su una scopa in cortile. È sempre fantasia. Ciò che mi permette di
continuare. Ma è una fantasia più sottile. Vedi, da piccola mi piaceva fingere
di essere una strega o una fatina. Ora nel mio mondo io sono solo io. Solo io
con tutte le mie insicurezze e timori. Con tutti i miei problemi e dolori,
forse anche qualcuno in più. Il mio mondo, così come il tuo, non è un mondo
perfetto. Non è un mondo dove i buoni vincono sempre e non sempre tutti vissero
felici e contenti. Anche nel mio mondo mi capita di versare lacrime e essere
infelice. Ma nel mio mondo non mi spiace essere infelice. Perché so che
qualcuno mi lancerà un salvagente. E qualcuno mi tenderà la mano. Perché nel
mio mondo io non mi nascondo nel buio e conservo ancora qualche speranza per il
futuro. E forse un giorno, come nelle favole che leggevo da bambina, nel mio
mondo sarò felice. E forse allora lo sarò anche nel tuo mondo, in questo
contorto mondo che chiamano realtà.