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Autore: Achernar    17/05/2014    4 recensioni
Antica Tebe. Un controverso legame di odio-amore lega profondamente tre persone vicine tra loro, alcune più di quanto dovrebbero essere e altre meno. Avete mai sentito narrare la storia del farone Atem, del suo amante e della Sposa Reale?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Atemu, Nuovo personaggio, Yuugi Mouto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E, in seguito a suggerimenti e *ahem* pressioni, ho deciso di non finire qui la storia, o meglio: di non finirla con le parole della sposa reale, no signori. I personaggi di questo racconto sono tre, tre capitoletti avrete, piccole OS da neanche 1000 parole: una novità assoluta per la sottoscritta. Credo sia venuta fuori una delle storie più angst che abbia mai scritto, mi spiace per voi ma io adoro questo genere. Ciò detto, vi lascio ad Atem. Immergetevi di nuovo nella Tebe del Nuovo Regno (consiglio anche di rileggere il primo capitolo perchè ci sono moltissimi riferimenti a quello) e:

Buonissima lettura!




So che mi stai osservando, lì, distesa sul tuo letto di stoffe e cuscini dorati, con la bella testa mora appoggiata stancamente al braccio destro. Mi fissi.

Ti chiedo perdono, non ho il coraggio di girarmi e guardarti.

Ti voglio bene, ma a volte vorrei che tu non esistessi: se tu non ci fossi non mi sentirei così tutti i giorni. Sapere cos’è l’amore mi fa capire quanto questo nostro sentimento sia vuoto, finto, simile alle nuvole di fumo grigio che si disperdono nei cieli limpidi del mattino, quando l’incenso si consuma sopra gli altari.

A volte mi chiedo se la verità sia che io ti odio. Sarebbe tutto più facile: non sentirei questo macigno sul mio cuore, non proverei vergogna, non desidererei fuggire. Sono lamentele inutili, un faraone deve pensare al suo popolo, è l’Egitto, la fertile terra su cui Ra splende glorioso, che io devo amare più di ogni altra cosa. E all’Egitto serve un nuovo sole per quando questo, me, si spegnerà.

Sono un sovrano così egoista, forse perché sono più un uomo che un sovrano, e come tutti gli uomini so pensare solo a me e a quello che voglio ora e subito.

Scusami ancora, scusami se ti sto umiliando e ti ho umiliata anche oggi: la verità è che è me stesso che odio, non te. Perché non so tenere a freno i miei desideri e le mie emozioni, perché ti uso come un oggetto, perché mentre ti uso è anche me stesso che tratto come un oggetto. Come un gioiello rinchiuso in uno scrigno mi rinchiudo in una maschera di compostezza, una gabbia di costrizioni.

C’è vento stasera, ne sono contento: è piacevole. La brezza mi distende, chiudo gli occhi.

Mi stai ancora fissando.

Non so se tu mi odi. Ne avresti il diritto: non sono un buon re, non sono un buon marito, non sono un buon amante, però sento che tu mi vuoi bene, di un amore pietoso e comprensivo, dolce, come di una madre.

Forse è per questo che non riesco a odiarti davvero. Sei come una madre: fiera, forte, comprensiva, silenziosa. Una regina. Tu sì, tu sei una regina. E io ti ammiro per questo. Tu sei riuscita dove io ho fallito, l’Egitto dovrebbe essere grato per averti sul trono. Eppure io non riesco ad essere del tutto grato di averti al mio fianco. Come posso essere grato quando i miei occhi conoscono la dolcezza di due iridi viola come il cielo al crepuscolo?

Conosco i tuoi occhi neri come ebano, brillanti come stelle, ma alla loro severità io preferisco quelli di lui. Sì, di quel ragazzo laggiù che è appena spuntato da dietro una colonna: mi sta facendo segno. So che un sorriso è appena spuntato sulle mie labbra, me ne dovrei vergognare: sono così egoista... eppure mi sento improvvisamente felice adesso. Mi accuccio al parapetto: cerco di avvicinarmi a lui più che posso, anche se so di aver guadagnato solo pochi centimetri. Dev’essere un dono fatto dalla bella Iside agli amanti: so leggere con una tale facilità la lingua delle labbra, forse perché si tratta delle sue, e io ne seguirei i movimenti perfetti ogni giorno, ogni parola.

Come sono egoista.

Annuisco piano, in realtà però credo che tu sappia di noi, così come io so dei tuoi amanti. Ma non sono geloso: come potrei? E chi sono poi io per parlare? Però taci, non dici niente, e a me va bene così: questa finta segretezza è così bella, è divertente.

Invece è una domanda triste quella lui che mi fa, il mio piccolo sole, così come sono diventati tristi i suoi occhi, ma a lui non posso mentire, e rispondo. Vedi che ti tratto ancora come un oggetto, mia sposa? Come un compito da assolvere, mia bella, sfortunata regina.

Ma adesso non riesco più a pensare a te, davanti a quegli occhi e a quel sorriso dimentico tutto. Ancora: sì, ancora sono un egoista. Ma questa piccola, fragile felicità è così bella che io ne sono dipendente, non posso farne a meno, non più: perdonami.

Usiamo ancora la lingua delle labbra: ‘ti amo’ modulo con le mie, e come le sillabe escono dalla mia bocca so che ti sto tradendo ancora.

Perdonami, ti prego. Cerco solo un po’ di flebile, inutile, egoistica libertà.




 

  
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