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Autore: Iaiasdream    17/05/2014    5 recensioni
IN REVISIONE
I sogni, chi può vivere senza? Non riesco proprio ad immaginarmelo. Possono essere: dolci, lugubri, nascondigli per i tuoi più profondi pensieri, ma fanno sempre parte di te, rappresentano l’io di una persona, e anche se non si vuole credere, loro sono inevitabili... rieccolo lì, il mio passato. Arciere che scocca la freccia nel mio punto debole: l’inconscio. Di sicuro è lui che lo manovra. Lui, con quegli occhi taglienti e beffardi, con quel sorriso strafottente, disegnati su un viso irresistibilmente affascinante, è ritornato repentinamente a invadere la mia vita, lui artefice della sofferenza che mi aveva imprigionato per un po’ di tempo. Perché stava ricomparendo senza alcun pudore? Perché ricordarlo in quegli atteggiamenti? Che cosa vuole da me dopo tutti questi anni, che non sono molti ma, ancora oggi mi sembrano un’eternità?
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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38° capitolo: ADDIO CASTIEL
 
 


La luna piena, come una perla sul velo brillante del cielo illuminava il paesaggio dipinto di tutte le sfumature notturne. Il lago sfaccettava le sue increspature in segno di gratitudine verso quell'unica gemma che pur desiderata, mai nessuno avrebbe potuto indossare. Il suo viso, era rivolto verso il basso come a scrutare ciò che succedeva in quella notte così lunga. Immersa in quel paesaggio, l'unica cosa di cui la bianca luna poteva interessarsi era la mia figura, piccola come una cosa insignificante.
E io ricambiavo il suo sguardo, guardandola con preghiera e con sofferenza. Sembrava volermi accogliere fra le sue immaginarie braccia, per consolare il mio irrefrenabile dolore al cuore lacerato da verità ingiuste. Le mie lacrime tagliavano inesorabili le mie guance per poi congiungersi sotto il mento e precipitare sul tessuto della divisa che indossavo ancora.
Le mie mani tiravano con forza i lembi all'estremità del tessuto, fino a quando i fili intrecciati che lo formavano si strapparono.
Avevo corso con tutta l'energia che avevo in corpo l'affanno non accennava a scomparire, e ritrovandomi vicino il lago, mi ero resa conto di essermi allontanata troppo dal traditore. L'unica cosa che non sapevo, era quanto tempo era passato, da che ero scappata portando con me quella verità che nessuno mai avrebbe potuto immaginare: Castiel era padre. Dolore lancinante che mi consumava l'anima.
Il cellulare squillava in continuazione, ma la mia mente non accennava a concentrarsi su quello, e anche il mio corpo l'assecondava. All'ennesimo squillo, mi alzai come ipnotizzata, camminai verso l'acqua che rifletteva la luce lunare, mi tolsi gli occhiali e subito quel bagliore diventò un insieme di luccicanti e grandi diamanti. Sorrisi, mentre le lacrime continuavano a scendere, nel vedere quel nuovo mondo meraviglioso che solo io ero in grado di vedere. La gelida acqua mi accarezzò i piedi, poi le caviglie, salì fermandosi alle ginocchia. Feci scivolare gli occhiali dalla mano e un "pluf" riecheggiò leggero nell'aria. Infilai la mano ormai libera nella tasca afferrando il cellulare che aveva ripreso a suonare, e allungando il braccio in avanti, piegai la mano verso il basso, e feci cadere in acqua anche l'oggetto, vidi la sua luce, dissolversi pian piano nell'oscurità del lago. Il silenzio era ritornato a invadere l'aria. Le gambe erano congelate, ma riuscii a resistere, immersi le mani in acqua, e un po' tremante, passai il glaciale liquido sulle mie braccia, come per volermi lavare e cancellare così le migliaia di impronte che il mio corpo aveva permesso al traditore di stampare. Mi inoltrai nell'immenso liquido fino a immergermi tutta, uscii dopo qualche secondo, e mi incamminai barcollante verso la riva. Così, gocciolante e infreddolita, ritornai a casa.
La luce della cucina era accesa, suonai leggermente, ché il freddo penetratomi nelle ossa, mi impediva quasi tutto i movimenti. La porta si aprii dopo pochi secondi e la figura di zia Michelle si estese davanti a me. Non riuscii a vedere la sua espressione, perché la sfocatura albergava nei miei occhi. Pur tenendola a due passi, la sua voce riecheggiò in lontananza. Non concepii bene cosa stava dicendo. Entrai e sempre barcollante mi avvicinai alle scale. Mi sentii afferrare un braccio e sollevarmi, mi resi conto che stavo cadendo e zia mi aveva sorretta.
Entrai in bagno. Strinsi gli occhi sentendomeli bruciare, per la troppa luce che mi prese alla sprovvista.
<< Incosciente! Togliti immediatamente questi stracci fradici... Io voglio capire che cavolo ti è saltato in mente? >> sentii dire da Michelle, intenta a togliermi quegli indumenti che mi appesantivano il corpo. Ormai nuda, entrai nella vasca colma di acqua calda che, al contrario, la mia pelle, percepì bruciante.
<< Brucia >> sibilai, ma zia non mi sentì. La vidi uscire dal bagno. Mi stesi lentamente, cercando di abituarmi a quella temperatura. Mi stavo lavando di nuovo, ma non feci niente. Rimasi così, ferma, immobile come un vegetale. Chiusi gli occhi sentendo di non provare più niente, era come se tutte la mie emozioni, si erano cancellate insieme ai tocchi dello sconosciuto, nel momento in cui mi ero lavata con l'acqua del lago.
Riaprii i miei occhi, alzandomi, e uscendo dalla vasca, come un automa presi un accappatoio e lo indossai, poi mi recai in camera, mi fermai sentendo la voce di zia Michelle parlare con qualcuno che non c'era. Capii che stava telefonando.
<< Sì Rosa, è qui... Ma è successo qualcosa?... È ritornata tutta bagnata fradicia... Non lo so, non mi ha detto niente... Puoi tranquillizzare Castiel, cosa? Sta venendo qui? >>
Quelle ultime parole furono come una scossa per il mio corpo. Chiusi velocemente la porta girando la chiave fino a quando non si bloccò. Il cuore si rigenerò per distruggersi un'altra volta. L'affanno riprese il posto del respiro, e le emozioni ritornarono tutte insieme, sovraffollando il mio io, esplodendo e facendomi perdere i sensi.
La prima cosa che sentii quando ripresi conoscenza, fu il mio profondo respiro. Aprii lentamente gli occhi, e mi guardai in giro. Ero sola nella mia stanza, a farmi compagnia c’erano solo gli ultimi raggi del sole. Mossi le mie gambe tra le colorate lenzuola, non ricordandomi di essermi addormentata sul letto. Mi sentii un po’ indolenzita, ma riuscii comunque ad alzarmi. Appena in piedi, dovetti risedermi, ché la testa mi girava. Chiusi gli occhi cercando di riprendere il controllo del mio corpo, gli riaprii e mi alzai piano. Raggiunsi la porta, allungai il braccio verso la maniglia, e mi accorsi di avere al posto dell’accappatoio il pigiama. Aprii e mi recai verso le scale. Prima di scendere, mi resi conto se c’era qualche presenza indesiderata, poi scesi. Dalla cucina, un profumo di stufato viaggiava nell’ambiente raggiungendo le mie nari. Mi diressi lì. Zia Michelle stava ai fornelli e fischiettava allegramente. Non avevo ancora la forza di parlare, allora per farmi sentire, trascinai la sedia. La vidi trasalire e girarsi, i suoi occhi erano atterriti.
<< Rea, che spavento! >> esclamò buttando fuori un profondo respiro e mantenendosi il petto con la mano. << Perché ti sei alzata? Ti senti bene adesso? >>
Annuii senza rispondere, poi mi sedetti << Ho fame >> sibilai con voce rauca.
<< Ti credo! Sei stata quattro giorni con la febbre alta e con i deliri. Ci hai fatto prendere un colpo a tutti >>
Quattro giorni, erano passati quattro giorni da quella notte. Ringraziai la febbre, nella mia mente.
<< Ma mi vuoi spiegare che cavolo ti passò per la mente quel giorno? E poi perché chiudesti la camera a chiave, per entrare, Castiel dovette fare Spiderman sulla tua finestra >> chiese mia zia guardandomi sottocchio << Castiel mi ha detto che ti cercò da tutte le parti, ma non riuscì a trovarti… >>
<< Stavo camminando a bordo piscina e scivolai cadendo in acqua >> risposi interrompendola e macchinando qualcosa nella mia mente.
<< Idiota, e anche sbadata >> mormorò Michelle scuotendo la testa << Avvisa Castiel, era preoccupato… >>
<< Non ce né bisogno! >> esclamai duramente senza voltarmi.
<< Ma come? … >>
<< Domani andrò a scuola e lo avviserò >>. Detto questo mi allontanai recandomi un’altra volta alle scale.
<< Non mangi? >>
<< Mi è passata… >> salii recandomi nella mia camera, chiudendomi la porta alle spalle e appoggiandomi ad essa, fissai il vuoto. Quello che il mio cervello aveva iniziato a macchinare, si stava facendo più chiaro e logico. Guardai il calendario e sotto voce sibilai << Un altro mese >>
 
 
Il giorno dopo a scuola feci di tutto per evitare di incontrarlo, ma era impossibile, così sfruttando le ultime gocce di coraggio che mi rimanevano in corpo, lo affrontai senza fargli capire niente, comportandomi normalmente e trattenendo in corpo tutto il dolore che mi aveva provocato.
Lo vidi chiudere il suo armadietto e voltarsi, non appena mi guardò, un dolore sovrastò il mio petto. Strinsi i pugni cercando di sopportarlo, mi sforzai a fare un sorriso, ma sentivo il tremore sulle lebbra. Lui si avvicinò velocemente.
<< Rea! >> cercò di abbracciarmi, dovetti accettarlo, ma non lo ricambiai, in compenso mi irrigidii tutta. << Ma perché non mi hai avvisato che ti eri ripresa? >>
<< E-era notte inoltrata quando mi svegliai >> mentii.
<< Ma si può sapere che fine ha fatto il tuo cellulare, e che cosa ti è successo? Lysandro mi ha detto che la sera della festa mi seguisti in giardino… >>
<< Non preoccuparti >> lo interruppi facendo due passi indietro << uscii ma non riuscii a trovarti, così feci una passeggiata a bordo piscina e scivolai cadendo in acqua, anche il cellulare cadde… sarà meglio tornare in classe >> dissi dandogli le spalle e iniziando a camminare, lui mi afferrò la mano, mi bloccai sentendo il cuore sussultare “Non toccarmi, maledizione!”. Chiusi gli occhi sospirando, poi li riaprii preparando un altro falso sorriso, mi voltai.
<< Cosa c’è? >> chiesi. Lui mi guardò stranito poi si avvicinò.
<< Rea… la nostra classe è dall’altra parte >>
<< a-ah, ah-ah… hai ragione >> risi incamminandomi dall’altra parte.
<< Ma sei sicura di sentirti bene? >> chiese, fermandomi ancora.
<< Sì, mi sento ancora un po’ frastornata >>
<< Hai messo di nuovo le lenti, dove sono gli occhiali? >>
<< S-si sono rotti >> risposi diventando seria.
<< Idiota >> mormorò dandomi un colpetto sulla fronte. Insieme ci dirigemmo in classe.
 
 
I giorni passarono in fretta, diventavo più scostante nei confronti di Castiel, e lui se n’era accorto. Cosa potevo inventare? Per fortuna usai la scusa degli esami. A diciotto anni avevo imparato a mentire spudoratamente, e ogni volta che lo facevo il cuore mi doleva in maniera così straziante che alle volte credevo di morire, ma dovevo resistere, il giorno degli esami era vicino, e dopo, non avrei più sofferto.
Un giorno, però, capitò una cosa che evitavo più delle altre. Quando Castiel mi desiderava. La prima volta inventai il mal di pancia; la seconda volta il ciclo, ma quando la settimana dopo arrivarono per davvero, cosa potevo fare? Il mio sentimento per lui era cambiato, non riuscivo a capire se lo amavo o no. Fatto sta che ogni volta che mi toccava o mi parlava, mi tornava alla mente quella notte della festa, e guardando le sue labbra le rivedevo poggiate sopra quelle della maledetta; e il solo sfiorarmi la mia pelle con la sua mi dava ribrezzo.
Quel giorno avevamo educazione fisica. Io e Kim stavamo parlando degli esami, che ormai era diventato il primo ragionamento delle giornate. Lui si avvicinò a me e mi prese per mano dicendo che doveva parlarmi, sorrideva, e io capii cosa voleva. Non seppi perché, ma guardai Kim con supplica. Lei aggrottò le sopracciglia, cercando di capire il significato del mio sguardo.
Seguii Castiel, che mi portò negli spogliatoi. Non c’era nessuno, lui mi sbatté lievemente contro l’armadietto e iniziò a baciarmi e toccarmi con foga.
<< Castiel, che fai? Potrebbe venire qualcuno >> mormorai cercando di scostarlo e sentendo la voglia di piangere, destarsi. Lui non parlava, continuava soltanto le sue mosse. Chiusi gli occhi, strinsi i pugni e in quel momento la voglia di respingerlo, schiaffeggiarlo e sputare tutto il dolore che mi aveva arrecato, volle prendere il sopravvento sulla mia indifferenza.
Come può continuare a fare così? Nasconde ancora il suo segreto, e non gliene fotte niente! Che razza di persona è? Perché tra tanti ragazzi dovevo innamorarmi proprio di lui?
Quando finalmente mi decisi a respingerlo per dirgli che sapevo tutto, qualcuno mi interruppe in tempo.
<< Ehi voi! >> era Kim. Castiel si fermò guardandola. << Se proprio non sapete resistere, almeno fatelo in un posto più sicuro! >>
<< Kim, che spavento del cazzo! >> esclamò Castiel imprecando, e lasciandomi.
<< Scusami tanto stallone, ma devo rubare la tua ragazza per qualche minuto, vieni Rea, la preside ti vuole >>
<< Arrivo >> dissi allontanandomi da lui e avvicinandomi a Kim. Uscimmo e quando fummo fuori dalla palestra, la ragazza mi prese per una mano, alzando il passo e trascinandomi con se. Non riuscii a capire le sue intenzioni, vidi che ci stavamo recando dietro la scuola.
<< è qui la preside? >> chiesi.
<< Quella è stata una scusa… ora devi spiegarmi che cavolo stai combinando? Si vede lontano un miglio che cerchi di evitare in tutti i modi il tuo ragazzo >>
Kim aveva capito tutto, e non c’era più bisogno di mentire, almeno con lei. Il respiro si fece più intenso, non riuscii più a trattenere le lacrime e scoppiando in un pianto soffocato dai singhiozzi mi precipitai fra le braccia della ragazza che mi accolse consolandomi.
Raccontai tutto, ma trattenni il segreto, lei non lo volle sapere, mi chiese soltanto che intenzioni aveva.
<< Sto solo aspettando la fine degli esami e poi me ne andrò da qui… non riesco più a poterlo vedere, non voglio i suoi baci, ogni suo tocco è una ferita per il mio cuore, e mi fa più male il fatto che lui continua ancora a nascondere indifferente quel segreto >>
<< Sfogati, cara… >> mormorò Kim stringendomi forte << si vede che hai trattenuto tutto questo dolore fino ad ora. Sfogati, ti farà bene. Non sentirti sola, io ti starò vicina >>
<< Grazie Kim >> piansi. Diedi sfogo a tutta la mia frustrazione e dolore.
 
 
La fine degli esami arrivò. Quando ritornai a casa, mi recai nella mia camera e aprii l’armadio, presi le valige e iniziai a riempirle. Mia zia entrò vendendo allibita quello che stavo facendo.
<< Che significa? >> chiese.
<< Ciò che vedi >> risposi secca.
<< No, non riesco a capire ciò che sto vedendo. Dove vai? >>
<< Me ne vado >>
<< E perché? >>
<< Perché è finito tutto zia! >> esclamai sbattendo una maglia nella valigia.
<< Ma Castiel lo sa? >>
<< Castiel non deve sapere niente >>
<< Maledizione Rea, vuoi spiegarti? >>
<< Non c’è niente da spiegare. Io e Castiel non stiamo più insieme, almeno questo lo so solamente io >>
<< Cos’è successo Rea? >>
<< è successo che mi sono accorta troppo tardi di essermi fidanzata con la persona sbagliata >> risposi chiudendo la valigia, e presala mi recai alla porta, e scesi in cucina << Non farmi altre domande zia, ti prego, non ti risponderò >>
<< Ma almeno dimmi dove andrai? >>
<< Non posso, perché sono sicura che lo avviserai >>
Il rumore del campanello risuonò, andai ad aprire, era Kim e nella macchina c’era anche Violet. La guardai.
<< Violet verrà con noi, ha trovato un lavoro in città… non ti dispiace vero? >> chiese Kim. Scossi la testa. Abbracciai mia zia e salutandola me ne andai.
Arrivate alla stazione aspettammo un quarto d’ora il treno. Quando arrivò, io non persi tempo a salire. Andai a sedermi al primo posto vuoto che trovai quando sentii delle urla. Mi affacciai al finestrino incuriosita. Sgranai gli occhi guardando Castiel accompagnato da mia zia che parlava contro un ferroviere.
<< Castiel, è lì >> disse mia zia indicandomi. Lui si voltò, incrociammo i nostri occhi e mi venne incontro.
<< Rea, scendi… dove cazzo credi di andare? >>
Scossi la testa guardandolo con occhi vuoti.
<< Scendi maledizione! Che significa che mi hai lasciato? >>
<< Vattene Castiel >> sibilai tremante.
<< Rea, ho detto scendi!! >> urlò rabbioso tirando un calcio alla carrozzeria del treno, sobbalzai spaventata facendomi indietro. Il treno iniziò a partire, << Che cazzo significa?! Scendi da questo fottuto treno, dannazione! Non puoi lasciarmi così! Maledizione Rea!! >> urlò correndo
<< Castiel, fermati! >> esclamò mia zia.
Io rientrai, mi sedetti e chiusi gli occhi piangendo. << Addio Castiel >> mormorai. Un suo grido riecheggiò nell’aria e penetrò nel mio cuore. Il treno viaggiava allontanandomi da lui come una foglia portata dal vento.
   
 
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