Il
campanello
suonò. La pressione eccessiva del dito di Aino aveva
compiuto l’atto tanto
odiato, eppure tanto atteso. La donna tremò,
vibrò dal profondo, appoggiandosi
allo stipite con un improvviso mancamento. Non ce l’avrebbe
mai fatta. Dei
rumori dall’interno della casa confermarono la
verità e l’ultimo suonò che Aino
percepì fu la maniglia cigolante che si mosse
dall’alto verso il basso.
Annika
apparve di
fronte a lei, con un grembiule porpora immacolato e gli occhi felici.
Quegli
stessi occhi che l’avevano tanto odiata l’ultima
volta, gli stessi che, alla
vista di Aino, si sciolsero nel dolore e nella rabbia. Il silenzio era
denso
tra loro, quasi tangibile, ma nessuna delle due donne osava muoversi o
parlare.
Stettero
lì,
ferme, fissandosi come una bestia e la sua preda che si vedono per la
prima
volta e si studiano, prima di affrontarsi. E quella preda era proprio
Aino.
“Entra.”
Una
parola, una sentenza: Annika si fece da parte, lasciando che
l’animale entrasse
nel suo territorio. Aino oltrepassò la porta, colpita da un
nuovo tremito, e
rimase nuovamente immobile nell’ingresso, cercando di
coglierne i cambiamenti
senza muovere la testa.
Annika
si avviò
verso la cucina senza una parola, costringendola a seguirla. Il rumore
soffocato della radio rendeva l’atmosfera ancora
più vivida, nonostante la
coltre di cose non dette che separava le due donne. La prima si
avvicinò alla
radio, spegnendola bruscamente, mentre l’altra pizzicava
l’unico dettaglio che
era mutato in quel luogo una volta così ricco di risate e
segreti: una
fotografia incorniciata ritraente loro due con un’enorme
crostata davanti, un
sorriso condiviso e il sole alle spalle.
“Siediti.
Preparo
il thé.”
Un
progresso da
una a quattro parole, ma lo spesso strato di tensione di cui erano
cariche le
fece penetrare come rasoi nella schiena di Aino, che si
appoggiò quasi
dolorante alla sedia. Incrociò le dita di fronte a
sé, pregando che la forza di
parlare tornasse, ma invano. Si risolse a fissare le spalle di Annika e
il
piccolo fiocco purpureo sulla sua schiena, restando quasi ipnotizzata
da quel
suo oscillare calmo.
D’improvviso
se
la ritrovò di fronte, con due tazze colme in mano e uno
sguardo indecifrabile.
Sedette anche lei, allungandole la tazza sul tavolo, e la
fissò dritta negli
occhi.
“Perché
sei
tornata?”
Eccola.
Ecco
quella domanda tanto attesa, ecco quel senso di nausea che le prese il
fondo
della gola, ecco quella paura irrazionale che le attanagliò
le labbra. La
stessa maledetta domanda che le aveva posto Hannu, ma con lui, in
fondo, era
fin troppo facile parlare. Lui sapeva…
“Per
lavoro.” Un
respiro breve, una risposta debole. Annika guardò dentro la
sua tazza,
cercandovi qualcosa, forse della compassione.
“Perché
te ne sei
andata?” Forse era questa la domanda più temuta,
tanto che la mano di Aino
scosse con forza la tazza, facendo colare del liquido ambrato sul
tavolo.
“Scusa.”
Nessun
respiro,
questa volta, ma un attacco diretto: l’animale morse al collo
la preda.
“Cosa
vuoi che
m’importi del thé? No, sul serio, cosa vuoi che
m’interessi? Credi davvero che
il tuo ritorno abbia importanza? Credi davvero che io sia disposta ad
ascoltarti? Pensi che non mi sia posta tutte le domande senza avere
nemmeno uno
straccio di risposta da darmi? Non pensi forse, Aino, che mi sia
chiesta ogni
notte quale fosse quel maledetto motivo che ti ha fatta scappare di
corsa senza
avvertire nessuno? Te ne sei andata per due anni. Due anni, cazzo, te
ne rendi
conto? E ora torni qui, e magari pretendi pure che io mi dia una
calmata. Vado
dallo psicologo, sai? Vado da quello stronzo di psicologo da un anno e
mezzo,
due volte alla settimana, per farmi sentir dire ogni volta che non
è colpa mia,
che un motivo ci sarà stato. Qual è il tuo cazzo
di motivo? Ce l’hai una
motivazione valida, eh? Hai una spiegazione, due parole per dirmi
perché Hannu
sapeva tutto e io no? Oppure quattro parole per dirmi che anche Nuutti
Tuominen
sapeva ogni particolare e io, la stupida Annika che viveva insieme a te
in
questa casa non avesse la minima idea dei tuoi problemi? Cosa credi sia
successo in questi due anni, niente, vero? È rimasto tutto
uguale, gli
uccellini cantano e la neve cade, e io? Io Ho chiamato Hannu, la tua
editrice,
la tua segretaria, il signor Tuominen per tre settimane, ogni sera, per
avere
tue informazioni. Ti sono venuta a cercare a Stoccolma e invece? Ops,
non c’è,
non ha lasciato detto dove andava. Tanto, a chi vuoi che importi? Se
solo
riuscissi a…”
La
voce di Annika
tremò, strozzandosi, mentre grosse gocce gonfie scendevano
veloci sul suo viso
furente, mescolandosi all’infuso dorato. Aino rimase
immobile, ancora, capace
solo di fissare il viso della donna di fronte a lei senza proferire
verbo; il
nodo di nausea nella sua gola si appesantì a causa delle
parole non ancora
espresse.
“Perché
sei qui?”
Annika cercava di guardarla, asciugando le lacrime con la manica del
maglione,
“Perché non mi hai detto nulla?”.
“Perché
non ne
avevo il coraggio.” Aino si sentì quasi liberata
dopo quella risposta. In
fondo, non era così semplice dire la verità?
Perché l’aveva tenuta nascosta per
due anni?
“Non
sono
riuscita a dirti nulla, Annika. Niente, non una parola. Non
sapevo… No, sapevo
benissimo come dirtelo, ricordo ancora tutte le frasi che avrei voluto
pronunciare, ma ogni volta che ti guardavo, rinunciavo. Lo so, il
perché, so
perché non ti ho detto la verità:
perché tu mi avevi sempre detto come sarebbe
andata a finire. Tu lo sapevi. Eri tu la prima a dirmi di stare
attenta, eri tu
la prima a ripetere di non continuare, e invece io volevo dimostrarti
che non
avevo bisogno del tuo aiuto, che sapevo quello che stavo facendo, che
non
sarebbe successo nulla. E invece guardami, adesso sono qui, dopo due
anni, e
ancora non ho il coraggio di ammettere tutto fino in fondo. Ho
riflettuto
tanto, l’ho fatto anche prima di andarmene. Tu hai sempre
saputo tutto di me,
hai sempre saputo dare risposta alle domande che mi facevo. Sapevo
già in
partenza che avrei dovuto parlarne con te, forse solo con te, e invece
sono
riuscita a dirlo a chiunque. Non era per proteggerti, no, non era
nemmeno per
svalutarti. Era per lo stupido, semplice fatto che tu avresti saputo
benissimo
come agire, mentre io ho solo fatto tutto il contrario di
ciò che tu mi avresti
detto. Io non ti chiedo di perdonarmi, non voglio nulla da te, ho
già fatto
troppi disastri irreparabili e non ho la minima intenzione di
continuare.
Vedila pure come una richiesta egoistica, come ho sempre fatto. Sono
qui solo
per riprendermi tutto ciò che mi appartiene e sparire
definitivamente dalla tua
vita. Questa volta sul serio. Me ne vado e farò tutto il
possibile per non
farmi vedere mai più. Non è una promessa.
È una certezza.”
“Guarda
come sono
veloce, papà!”
Hannu
osservava
Riikka pattinare con agilità in mezzo agli altri bambini
sulla pista di
ghiaccio, mentre la bimba guardava sempre dritta davanti a
sé. In realtà l’uomo
stava riflettendo riguardo tutt’altra cosa: l’unica
domanda che gli rimbalzava
nella testa riguardava Aino. Sua figlia come avrebbe accolto il suo
ritorno?
Ricordava ancora il bagliore delle lacrime della bimba quando le disse
che lei
non sarebbe tornata per un po’, costringendolo a mentire su
dove fosse e
perché. Mentire a un bambino purtroppo era facile, ma
mentire a un adulto era
arduo, se non addirittura pericoloso.
L’espressione
di
quel giorno sul volto di Riikka era la stessa che assunse Annika quando
lui cercò
di spiegarle il motivo della partenza di Aino. Una maschera fragile che
cadde
con semplicità dopo le sue prime parole, mimiche che
alternavano rabbia e
tristezza al minimo battito di ciglia. Rimase sconvolto da quel dolore,
da come
le mani della donna strette l’una sull’altra
sembravano quasi soffocarsi, dalla
sua incapacità di capire.
Il
telefono vibrò
nella tasca della giacca, distogliendo Hannu da quel malinconico filo
di
pensieri, costringendolo a guardare Riikka sorridente e rispondere con
un
veloce “Pronto.”
“Hannu.”
Riconobbe
immediatamente quella voce roca: il signor Tuominen. Sapeva
già il motivo di
quella chiamata.
“Dottor
Tuominen,
mi dica.”
“Buon pomeriggio, Hannu. Mi dispiace
disturbarla, ma vorrei incontrarla il prima possibile. Aino
è tornata.”
“Lo
so, dottore,
l’ho incontrata all’aeroporto.” Hannu
lanciò una rapida occhiata a Riikka, che
piroettava tranquilla accanto al bordo della pista, poi
abbassò la voce:
“Dobbiamo fare qualcosa. Oggi credo la rivedrò,
sto aspettando che mi chiami.”
“Certo, l’ho cercata proprio
per questo
motivo. La prego, se non sono scortese, potrebbe tenermi informato sui
vostri
incontri e, per quanto può, sugli spostamenti di Aino?
Dobbiamo agire con
cautela.”
“Certo,
certo.
Ora dovrebbe essere da Annika, per tentare di… Beh, per
provare a parlarle.”
Un
breve silenzio
di assenso confermò le sue teorie mentali: il signor
Tuominen aveva già intuito
tutto.
“Lo immaginavo, anche se sono scettico
sul
risultato di questa sua azione. Vedremo. Posso ricontattarla questa
sera?”
“La
chiamerò io,
lo prometto.”
“Molto bene. La ringrazio, Hannu. E stia
attento.”
La
chiamata
terminò, così come il flusso di pensieri di
Hannu: tutto si era fermato sulle
ultime parole del signor Tuominen. Dovevano stare attenti, tutti. E lui
doveva farlo
per troppe persone, oltre a se stesso.
“Riikka!
Vieni,
andiamo!” L’ansia di lasciarla sola così
a lungo, seppur vicino, lo
attanagliava. La bimba lo guardò sorridente, scivolando
veloce al cancelletto
della pista per togliersi i pattini. Le manine rosse cercavano di
slacciare le
stringhe, ma Hannu intervenne con un sorriso: “Sei stata
bravissima! Ora ti
aiuto.”
Le
tolse entrambe
le calzature e l’aiutò a rimettersi gli
stivaletti, poi la prese in braccio,
per averla vicina.
“Ti
sei proprio
meritata una cioccolata, tesoro.”