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Autore: thepassenger_    17/05/2014    0 recensioni
C’è qualcosa nel suo sguardo. D’altronde, c’era sempre stata una luce cupa nei suoi occhi, sin dalla prima volta in cui lo vidi, seduto sull’erba a gambe incrociate nel parco Kaivopuisto.
Fumava, allora: la sigaretta ormai spenta tra le labbra quasi blu, serrate dal freddo che sferzava la città senza alcuna remora. Ricordo come fosse ora quanto stetti a fissarlo, ammaliata dalla sinuosità dei suoi movimenti e dall’agilità delle sue grandi mani: il tempo esatto di tre sigarette. La velocità in cui lui terminava di fumare era pari a quella di un respiro. Un respiro affannato, a dire il vero.
Lo vidi sfregarsi le mani e asciugarle su quei jeans neri troppo stretti, alzandosi velocemente, senza nemmeno barcollare, per poi allontanarsi dalla mia vista per molto, troppo tempo.
Ora è qui, di fronte a me, ancora. Eppure quella scintilla nella pupilla scura non è affatto cambiata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il campanello suonò. La pressione eccessiva del dito di Aino aveva compiuto l’atto tanto odiato, eppure tanto atteso. La donna tremò, vibrò dal profondo, appoggiandosi allo stipite con un improvviso mancamento. Non ce l’avrebbe mai fatta. Dei rumori dall’interno della casa confermarono la verità e l’ultimo suonò che Aino percepì fu la maniglia cigolante che si mosse dall’alto verso il basso.

Annika apparve di fronte a lei, con un grembiule porpora immacolato e gli occhi felici. Quegli stessi occhi che l’avevano tanto odiata l’ultima volta, gli stessi che, alla vista di Aino, si sciolsero nel dolore e nella rabbia. Il silenzio era denso tra loro, quasi tangibile, ma nessuna delle due donne osava muoversi o parlare.

Stettero lì, ferme, fissandosi come una bestia e la sua preda che si vedono per la prima volta e si studiano, prima di affrontarsi. E quella preda era proprio Aino.

“Entra.” Una parola, una sentenza: Annika si fece da parte, lasciando che l’animale entrasse nel suo territorio. Aino oltrepassò la porta, colpita da un nuovo tremito, e rimase nuovamente immobile nell’ingresso, cercando di coglierne i cambiamenti senza muovere la testa.

Annika si avviò verso la cucina senza una parola, costringendola a seguirla. Il rumore soffocato della radio rendeva l’atmosfera ancora più vivida, nonostante la coltre di cose non dette che separava le due donne. La prima si avvicinò alla radio, spegnendola bruscamente, mentre l’altra pizzicava l’unico dettaglio che era mutato in quel luogo una volta così ricco di risate e segreti: una fotografia incorniciata ritraente loro due con un’enorme crostata davanti, un sorriso condiviso e il sole alle spalle.

“Siediti. Preparo il thé.”

Un progresso da una a quattro parole, ma lo spesso strato di tensione di cui erano cariche le fece penetrare come rasoi nella schiena di Aino, che si appoggiò quasi dolorante alla sedia. Incrociò le dita di fronte a sé, pregando che la forza di parlare tornasse, ma invano. Si risolse a fissare le spalle di Annika e il piccolo fiocco purpureo sulla sua schiena, restando quasi ipnotizzata da quel suo oscillare calmo.

D’improvviso se la ritrovò di fronte, con due tazze colme in mano e uno sguardo indecifrabile. Sedette anche lei, allungandole la tazza sul tavolo, e la fissò dritta negli occhi.

“Perché sei tornata?”

Eccola. Ecco quella domanda tanto attesa, ecco quel senso di nausea che le prese il fondo della gola, ecco quella paura irrazionale che le attanagliò le labbra. La stessa maledetta domanda che le aveva posto Hannu, ma con lui, in fondo, era fin troppo facile parlare. Lui sapeva…

“Per lavoro.” Un respiro breve, una risposta debole. Annika guardò dentro la sua tazza, cercandovi qualcosa, forse della compassione.

“Perché te ne sei andata?” Forse era questa la domanda più temuta, tanto che la mano di Aino scosse con forza la tazza, facendo colare del liquido ambrato sul tavolo. “Scusa.”

Nessun respiro, questa volta, ma un attacco diretto: l’animale morse al collo la preda.

“Cosa vuoi che m’importi del thé? No, sul serio, cosa vuoi che m’interessi? Credi davvero che il tuo ritorno abbia importanza? Credi davvero che io sia disposta ad ascoltarti? Pensi che non mi sia posta tutte le domande senza avere nemmeno uno straccio di risposta da darmi? Non pensi forse, Aino, che mi sia chiesta ogni notte quale fosse quel maledetto motivo che ti ha fatta scappare di corsa senza avvertire nessuno? Te ne sei andata per due anni. Due anni, cazzo, te ne rendi conto? E ora torni qui, e magari pretendi pure che io mi dia una calmata. Vado dallo psicologo, sai? Vado da quello stronzo di psicologo da un anno e mezzo, due volte alla settimana, per farmi sentir dire ogni volta che non è colpa mia, che un motivo ci sarà stato. Qual è il tuo cazzo di motivo? Ce l’hai una motivazione valida, eh? Hai una spiegazione, due parole per dirmi perché Hannu sapeva tutto e io no? Oppure quattro parole per dirmi che anche Nuutti Tuominen sapeva ogni particolare e io, la stupida Annika che viveva insieme a te in questa casa non avesse la minima idea dei tuoi problemi? Cosa credi sia successo in questi due anni, niente, vero? È rimasto tutto uguale, gli uccellini cantano e la neve cade, e io? Io Ho chiamato Hannu, la tua editrice, la tua segretaria, il signor Tuominen per tre settimane, ogni sera, per avere tue informazioni. Ti sono venuta a cercare a Stoccolma e invece? Ops, non c’è, non ha lasciato detto dove andava. Tanto, a chi vuoi che importi? Se solo riuscissi a…”

La voce di Annika tremò, strozzandosi, mentre grosse gocce gonfie scendevano veloci sul suo viso furente, mescolandosi all’infuso dorato. Aino rimase immobile, ancora, capace solo di fissare il viso della donna di fronte a lei senza proferire verbo; il nodo di nausea nella sua gola si appesantì a causa delle parole non ancora espresse.

“Perché sei qui?” Annika cercava di guardarla, asciugando le lacrime con la manica del maglione, “Perché non mi hai detto nulla?”.

“Perché non ne avevo il coraggio.” Aino si sentì quasi liberata dopo quella risposta. In fondo, non era così semplice dire la verità? Perché l’aveva tenuta nascosta per due anni?

“Non sono riuscita a dirti nulla, Annika. Niente, non una parola. Non sapevo… No, sapevo benissimo come dirtelo, ricordo ancora tutte le frasi che avrei voluto pronunciare, ma ogni volta che ti guardavo, rinunciavo. Lo so, il perché, so perché non ti ho detto la verità: perché tu mi avevi sempre detto come sarebbe andata a finire. Tu lo sapevi. Eri tu la prima a dirmi di stare attenta, eri tu la prima a ripetere di non continuare, e invece io volevo dimostrarti che non avevo bisogno del tuo aiuto, che sapevo quello che stavo facendo, che non sarebbe successo nulla. E invece guardami, adesso sono qui, dopo due anni, e ancora non ho il coraggio di ammettere tutto fino in fondo. Ho riflettuto tanto, l’ho fatto anche prima di andarmene. Tu hai sempre saputo tutto di me, hai sempre saputo dare risposta alle domande che mi facevo. Sapevo già in partenza che avrei dovuto parlarne con te, forse solo con te, e invece sono riuscita a dirlo a chiunque. Non era per proteggerti, no, non era nemmeno per svalutarti. Era per lo stupido, semplice fatto che tu avresti saputo benissimo come agire, mentre io ho solo fatto tutto il contrario di ciò che tu mi avresti detto. Io non ti chiedo di perdonarmi, non voglio nulla da te, ho già fatto troppi disastri irreparabili e non ho la minima intenzione di continuare. Vedila pure come una richiesta egoistica, come ho sempre fatto. Sono qui solo per riprendermi tutto ciò che mi appartiene e sparire definitivamente dalla tua vita. Questa volta sul serio. Me ne vado e farò tutto il possibile per non farmi vedere mai più. Non è una promessa. È una certezza.”

 

 

 

“Guarda come sono veloce, papà!”

Hannu osservava Riikka pattinare con agilità in mezzo agli altri bambini sulla pista di ghiaccio, mentre la bimba guardava sempre dritta davanti a sé. In realtà l’uomo stava riflettendo riguardo tutt’altra cosa: l’unica domanda che gli rimbalzava nella testa riguardava Aino. Sua figlia come avrebbe accolto il suo ritorno? Ricordava ancora il bagliore delle lacrime della bimba quando le disse che lei non sarebbe tornata per un po’, costringendolo a mentire su dove fosse e perché. Mentire a un bambino purtroppo era facile, ma mentire a un adulto era arduo, se non addirittura pericoloso.

L’espressione di quel giorno sul volto di Riikka era la stessa che assunse Annika quando lui cercò di spiegarle il motivo della partenza di Aino. Una maschera fragile che cadde con semplicità dopo le sue prime parole, mimiche che alternavano rabbia e tristezza al minimo battito di ciglia. Rimase sconvolto da quel dolore, da come le mani della donna strette l’una sull’altra sembravano quasi soffocarsi, dalla sua incapacità di capire.

Il telefono vibrò nella tasca della giacca, distogliendo Hannu da quel malinconico filo di pensieri, costringendolo a guardare Riikka sorridente e rispondere con un veloce “Pronto.”

“Hannu.”

Riconobbe immediatamente quella voce roca: il signor Tuominen. Sapeva già il motivo di quella chiamata.

“Dottor Tuominen, mi dica.”

“Buon pomeriggio, Hannu. Mi dispiace disturbarla, ma vorrei incontrarla il prima possibile. Aino è tornata.”

“Lo so, dottore, l’ho incontrata all’aeroporto.” Hannu lanciò una rapida occhiata a Riikka, che piroettava tranquilla accanto al bordo della pista, poi abbassò la voce: “Dobbiamo fare qualcosa. Oggi credo la rivedrò, sto aspettando che mi chiami.”

“Certo, l’ho cercata proprio per questo motivo. La prego, se non sono scortese, potrebbe tenermi informato sui vostri incontri e, per quanto può, sugli spostamenti di Aino? Dobbiamo agire con cautela.”

“Certo, certo. Ora dovrebbe essere da Annika, per tentare di… Beh, per provare a parlarle.”

Un breve silenzio di assenso confermò le sue teorie mentali: il signor Tuominen aveva già intuito tutto.

“Lo immaginavo, anche se sono scettico sul risultato di questa sua azione. Vedremo. Posso ricontattarla questa sera?”

“La chiamerò io, lo prometto.”

“Molto bene. La ringrazio, Hannu. E stia attento.”

La chiamata terminò, così come il flusso di pensieri di Hannu: tutto si era fermato sulle ultime parole del signor Tuominen. Dovevano stare attenti, tutti. E lui doveva farlo per troppe persone, oltre a se stesso.

“Riikka! Vieni, andiamo!” L’ansia di lasciarla sola così a lungo, seppur vicino, lo attanagliava. La bimba lo guardò sorridente, scivolando veloce al cancelletto della pista per togliersi i pattini. Le manine rosse cercavano di slacciare le stringhe, ma Hannu intervenne con un sorriso: “Sei stata bravissima! Ora ti aiuto.”

Le tolse entrambe le calzature e l’aiutò a rimettersi gli stivaletti, poi la prese in braccio, per averla vicina.

“Ti sei proprio meritata una cioccolata, tesoro.”

  
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