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Autore: sfiorisci    18/05/2014    8 recensioni
Anno 3265.
La Terra non esiste più. Gli esseri umani hanno sfruttato tutte le sue risorse, fino a quando questa non è divento un pianeta morente. Un gruppo di scienziati riesce a mettere in salvo parte della popolazione portandola su Xaral, un pianeta con le stesse caratteristiche della Terra. Con la loro partenza sperano di poter mettere fine alla malvagità e la sete di potere degli uomini, ma purtroppo vengono delusi: coloro che avevano salvato si impongono sulla popolazione nativa, massacrando gli Xaraliani.
Anno 4065.
Evelyne è una ragazza fortunata, o per lo meno questo è il pensiero dei suoi dottori. Il suo corpo è stato ritrovato quasi in fin di vita in seguito all'esplosione di un palazzo. Il prezzo per la sua vita è stata la memoria: non ricorda nulla dell'incidente o della sua vita prima di esso, non ricorda amici, familiari e neppure il suo nome. L'unica cosa che sa è la sua età, diciotto anni, confermata dai dottori. Tutta l'eredità del suo passato è una medaglietta con scritto "Evelyne" appesa al collo.
Lentamente, riuscirà a mettere insieme i pezzi del suo passato, scoprendo che il suo destino è collegato a quella misteriosa popolazione, massacrata molti anni prima.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I

 
Pianeta Xaral, 4 settembre, anno 4056
 
«Dopo una notte passata in bianco e una profonda riflessione, Benedict Meatch ha deciso di passare il comando della terra Lhoop a suo figlio, Tyler. Benedict ha rivelato che la sua è stata una decisione molto combattuta ma necessaria, poiché lui, sfinito dalla sua cagionevole salute, non sarebbe stato più in grado di portare avanti una terra in piena crescita come quella in cui viviamo. Del figlio Tyler non sappiamo molto, se non che ha trent’anni e si è formato, uscendo con voti più che eccellenti, dalla prestigiosa accademia Februay in Rubert. Non sappiamo ancora come deciderà di ambientarsi in ambito politico né in che modo vorrà condurre il suo governo, ma speriamo di conoscerlo presto. Questa sera s’incontrerà con i leader delle altre Terre in un summit privato, alla fine del quale ci aspettiamo di apprendere la sua linea politica. In questo momento si trova su un aereo diretto verso Gold, la capitale di Rubert, mentre questa mattina ha partecipato alla cerimonia di passaggio del potere organizzata dal padre, nella quale lo ha ringraziato per l’opportunità concessagli e ha promesso di non deludere le sue aspettative; cosa che ci fa presumere che continuerà quello che il padre aveva lasciato in sospeso, ma, come già detto, saremmo a conoscenza dei dettagli solo questa sera. Più tardi ascolteremo il commento di alcuni cittadini, per cui se avete qualcosa da dire riguardo il nostro nuovo Governatore non esitate a telefonarci, mentre noi continuiamo con le altre notizie del giorno. Esattamente un anno fa una palazzina esplose, uccidendo gli uomini al suo interno con l’eccezione di una ragazza che...» con un gesto deciso, la ragazza spense la piccola radio accanto al suo letto e si distese, contemplando il soffitto bianco e pensando.
Dunque, la terra in cui viveva aveva un nuovo Governatore. Evelyne sperò che fosse un uomo giusto e buono ma dalla sua esperienza, davvero poca, sapeva che i Governatori mai erano giusti e buoni, ma spesso erano solo avidi con a cuore l’interesse del proprio portafoglio rispetto a quello della gente.
La verità, però, era che ad Evelyne non interessavano molto quelle cose: fino a quando restava chiusa in una stanza d’ospedale, fuori sarebbe anche potuta scoppiare una guerra che avrebbe distrutto tutto Xaral e lei non se ne sarebbe accorta. Un po’ la scocciava dover stare lì, sempre chiusa in una stanza mentre tutte le altre persone che erano a contatto con lei potevano entrare e uscire liberamente dal vecchio ospedale. Solitamente lei non aveva questi pensieri ma, dopo aver sentito la notizia alla radio, non poteva farne a meno.
Un anno.
Era già passato un anno dal suo incidente e lei continuava a non ricordarlo, come non ricordava come fosse la sua vita prima di esso. In verità non ricordava nulla, per questa ragione le avevano spiegato cos’era accaduto al suo risveglio: una palazzina era esplosa, forse a causa di una fuga di gas, uccidendo i membri al suo interno. Erano stati trovati i cadaveri di un uomo e una donna i cui volti erano troppo sfigurati dalle fiamme per riconoscerli e poi c’era lei, miracolosamente sopravvissuta, anche se in fin di vita. Grazie al pronto intervento dei medici era stata trasferita in una delle strutture più all’avanguardia del pianeta in cui molti interventi le avevano consentito la possibilità di restare viva. Dopo sei mesi di coma aveva ripreso conoscenza, ma non la sua memoria: Evelyne non ricordava nulla, non sapeva nemmeno se quello fosse il suo vero nome. I dottori avevano sospettato si chiamasse così per via di una targhetta che portava al collo, ma non ne avevano la certezza matematica, quel nome avrebbe potuto significare qualsiasi altra cosa.
Nessuno era segnato con quel nome nel registro degli abitanti e l’ipotesi più probabile era quella che la vedeva come una fuori legge in fuga con dei compagni che si nascondevano in un appartamento inabitato in cui fosse scoppiata una valvola di gas, provocando l’esplosione e il successivo incendio. La ragazza, unica sopravvissuta, era stata sottoposta ad esami che le avevano rivelato che aveva diciassette anni, rendendo quella l’unica cosa certa della sua identità. Avevano trasmesso molte volte il suo volto alla televisione, ma nessuno sembrava conoscerla o averla mai vista, cosa che la faceva sentire un po’ come un fantasma. Era però stata rassicurata dai medici sotto questo punto di vista: le spiegarono che di solito i sovversivi cancellavano le loro identità e vivevano nascosti proprio per non farsi scovare, per cui sarebbe dovuta essere fiera del suo lavoro. In casi normali il governo riservava a coloro che fuggivano per aver infranto una legge (una legge grave di solito, per farli arrivare a tanto) la pena di morte, ma Evelyne non era un caso normale. Era una semplice ragazza di diciassette anni e mezzo, probabilmente in fuga dalla legge, senza nessuno che si prendesse cura di lei e senza memoria, per cui avevano stabilito di donarle l’indulgenza e una nuova vita, che avrebbe potuto vivere non appena sarebbe stata dimessa dall’ospedale.
Evelyne non aveva potuto far altro che accettare le decisioni prese da altri e prendere lezioni per re-imparare tutto ciò che aveva scordato. La mattina si dedicava alla fisioterapia e alla riabilitazione, mentre il pomeriggio lo passava con la sua infermiera designata, Barbara Pollite, studiando ogni volta più materie. Aveva dovuto imparare tutto daccapo, ad iniziare dalla lingua, simile all’inglese parlato sulla Terra, ma arricchito di nuovi termini e nuove espressioni.
Poi c’era la geografia, materia con la quale aveva appreso che il pianeta Xaral era composto per la maggior parte da acqua, tranne per tre terre emerse: Lhoop, quella in cui si trovava la maggior parte della popolazione, − lei compresa − una terra non molto ricca di risorse minerarie. La seconda era Portus, terra quasi totalmente inabitata, formata per metà da ghiacci e per l’altra metà da vulcani situata sotto il comando di Caleb Leang. L’ultima era Rubert, la cosiddetta “Terra della nobiltà”: era la più piccola di superficie e vi abitavano tutte le persone ricche e potenti poiché era la terra più ricca e ambita, governata da Valentine Badwell, cugino dei Meatch.
Aveva studiato tecnologia, scoprendo tutte le invenzioni più o meno recenti, di come i terrestri fossero riusciti ad unire le loro creazioni con i nuovi materiali che avevano trovato su Xaral, potenziandole e rendendole più efficienti. Era stata stupita di vedere come avessero trasformato tutti gli apparecchi alimentati a gas o benzina con l’elettricità, di come avessero compreso in poco tempo gli usi dei materiali e li avessero saputi adattare così bene in sostituzione di quelli vecchi che non trovavano più.
Studiava le scienze, venendo così a conoscenza che il pianeta Xaral non era molto diverso dalla Terra: c’era la stessa gravità e ruotava intorno ad una stella, chiamata sempre Sole dopo l’arrivo degli umani per comodità, facendo un giro completo in ventisette ore. Di notte non c’era nessun satellite come la Luna per la Terra, ma alcune stelle erano talmente vicine e luminose che non rendevano necessario l’uso di lampioni. La notte era bella, era la parte del giorno preferita di Evelyne. Le piaceva stare sveglia a guardare il cielo appoggiata al davanzale della finestra della sua camera, la faceva sentire meno spaesata, come se non avere la memoria non fosse tanto importante. Aveva anche studiato le stagioni: l’estate, in cui faceva così caldo che la terra si seccava e si sudava qualsiasi cosa si facesse; il passaggio, la stagione in cui stavano entrando in quel periodo, che non era un vera e propria stagione, ma solo un periodo di cambiamento climatico fra le altre due stagioni principali e l’inverno, la stagione fredda in cui cadeva molta neve. Dopo l’inverno c’era di nuovo il passaggio. Quest’ultimo durava un mese, mentre l’inverno e l’estate ne duravano quattro (l’anno solare era composto da dieci mesi in totale). Le stagioni non esistevano a Portus, dove tutto l’anno era presente sempre lo stesso clima: freddo per la parte ghiacciata e caldo per quella vulcanica. Il fenomeno che lo permettesse non era ancora stato individuato nonostante i continui studi e le ricerche degli scienziati.
Evelyne studiava anche storia, (era la sua materia preferita): la affascinava scoprire il passato, forse proprio perché il suo le era stato rubato. Amava studiare di Sebastian Meatch il Glorioso, il primo Governatore delle Tre Terre, colui che aveva portato in salvo la popolazione terrestre dall’ormai morente pianeta Terra conducendoli su Xaral, vincendo la dura guerra contro una sanguinosa popolazione nativa. Certo, non le piaceva molto l’idea della guerra e dello spargimento di sangue, ma se come dicevano Sebastian e gli altri erano stati attaccati… Cos’altro avrebbero potuto fare se non difendersi? Le piacevano i continui giochi di potere che c’erano fra i Governatori delle Tre Terre, perché le facevano capire quanto avidi di potere fossero gli uomini. Non aveva esperienze dirette, non li conosceva, eppure la storia l’aveva aiutata a capire molte cose, probabilmente molto più di quanto non avrebbe mai ammesso.
Quel giorno Barbara arrivò puntuale per la sua lezione, com’era solita fare. Indossava il camice bianco tipico di chi svolgeva quel lavoro e aveva i capelli biondi ordinatamente raccolti sulla testa, in un’elaborata acconciature di trecce e forcine.
«Buongiorno Evelyne» la salutò educatamente. Era un’infermiera molto simpatica, forse la più simpatica perché era molto giovane, di conseguenza molto alla mano e non si faceva problemi a parlare liberamente con lei, trattandola come una ragazza sveglia che doveva essere rieducata, non come facevano tutte le altre che le parlavano come se avesse avuto tre anni, per poi sparlarle male alle spalle.
«Cosa si studia oggi, Barbara?» le chiese Evelyne, desiderosa di apprendere.  
«Oggi nulla. Il dottor Hemkirk vuole vederti, mi ha chiesto solo di mettere in ordine le tue cose».
Il dottor Hemkirk era un giovane dottore che si era occupato del suo caso da quand’era arrivata all’ospedale. Allora era solo un semplice assistente nella sala operatoria, ma era riuscito ad applicare le sue conoscenze in maniera impeccabile, salvandole la vita e diventando uno dei più giovani dottori chirurghi ad operare in quel momento. Fortunatamente era anche di bell’aspetto e simpatico, ed Evelyne lo trattava un po’ come se fosse stato il suo migliore amico, parlandogli liberamente e dandogli del tu.
«Cosa vuole Chris?» le chiese chiamando il dottore con il suo nome anziché usare il cognome.
«Non me lo ha detto» le rispose Barbara, evitando di guardarla negli occhi.
Evelyne non era un’esperta di psicologia umana, a dire la verità non ci capiva nulla, ma aveva passato per sei mesi tutti i pomeriggi con quella donna e ormai era capace di riconoscere quando le nascondeva qualcosa.
«Avanti, sputa il rospo» la incoraggiò.
«Oh, e va bene» disse sospirando e sedendosi sul bordo del letto accanto a lei «Penso che ti vogliano trasferire» le confessò guardandola negli occhi.
Evelyne pensò a qualcosa da dire, ma non le venne in mente nulla di adatto per quella situazione: doveva essere felice? Triste? Non lo sapeva. Forse il fatto che la trasferissero era un bene, magari sarebbe andata in una struttura per la riabilitazione della memoria; ma poteva essere anche un male, perché avrebbero potuto aver perso le speranze con lei e l’avrebbero trasferita in uno squallido ospedale di seconda categoria. L’unica cosa certa era che non avrebbe avuto più al suo fianco Chris e Barbara.
Quest’ultima, dopo averle lanciato uno sguardo pieno d’affetto, tirò fuori un borsone dall’armadio a parete e si mise a riempirlo con i suoi effetti personali (che erano davvero pochi). Il dottor Hemkirk arrivò poco dopo e le chiese gentilmente di finire più tardi, in modo che avrebbe potuto parlare tranquillamente con Evelyne.
«Come stai?» le chiese non appena Barbara fu uscita. Questa era una cosa che le piaceva un sacco nel dottore, il fatto che quando le facesse le domande fosse veramente interessato a lei e non lo chiedesse solo per cortesia.
«Bene. Male. Non lo so. Cos’è questa storia del trasferimento?» gli chiese Evelyne, che si sentiva improvvisamente triste. Non avrebbe mai più rivisto il suo dottore preferito.
«Non c’è nessun trasferimento» le rispose, quasi con tono abbattuto.
«Ma come no? Barbara mi ha detto che…» Evelyne non terminò la frase, il dottor Hemkirk la interruppe: «Non ti trasferiamo, ti dimettiamo».
«Mi dimettete?» ripeté la ragazza incredula.
«Sì. È passato un anno da quando sei qui e ormai non abbiamo più motivazioni di tenerti con noi ed occupare un posto in ospedale. Mi dispiace ammetterlo, ma non possiamo fare nulla per la tua condizione»
«Non potete farlo! Io ho vissuto solo sei mesi dentro questa stanza, non so come sia il mondo là fuori, non so come affrontarlo» disse disperata. Non poteva essere vero, si trovava sicuramente in un incubo.
«Evelyne, ti prego, non rendere la cosa più difficile…» la supplicò lui.
«Chris, non puoi dirmi questo, non tu, non lo accetto. Sai meglio di chiunque altro che sono sola e non sono pronta ad affrontare il mondo là fuori…» la paura nella voce di Evelyne era palpabile. Spesso aveva immaginato di vivere al di fuori dell’ospedale, ma non le sembrava possibile che un giorno sarebbe accaduto realmente, o almeno non così presto. Pensava che l’avrebbero spinta nel mondo esterno lentamente, magari mettendole accanto qualcuno all’inizio e poi lasciandole trovare la sua strada da sola, ma non era così. Si pentì di tutte le volte che aveva desiderato uscire per vedere come fosse la vita vera, perché ora che gliela stavano offrendo sapeva di non essere in grado di viverla.
«Io non vorrei mai, ma non è una decisione che spetta a me» rispose sospirando.
«Che intendi dire?» chiese Evelyne, che non riusciva a capire come le dimissioni di una paziente di uno dei più giovani e influenti medici del mondo non dipendessero da lui.
«Sono ordini che ho ricevuto dalle sfere alte e non posso disubbidire. Potrei essere etichettato come sovversivo» tentò di spiegarle.
«Continuo a non capire. Pensavo che tu facessi parte delle alte sfere»
«Solo quelle di quest’ospedale. Gli ordini che ho ricevuto provengono da molto più in alto di me»
«Tipo?»
«Politici importanti»
«Chi?»
«Non posso dirtelo»
«Sì che puoi»
«Tyler Meatch, il nostro nuovo Governatore» le confessò infine. Evelyne era una ragazza testarda e ostinata, lo sapeva bene, se non le avesse detto il nome lei avrebbe fatto di tutto per scoprirlo e sicuramente si sarebbe cacciata nei guai.
«Perché mai il Governatore mi vuole fuori da quest’ospedale?» chiese Evelyne, sempre più confusa.
«Probabilmente per qualcosa che si trova qui» le rispose il dottor Hemkirk indicandole le testa. Per l’ennesima volta la ragazza si sentì impotente, schiacciata sotto il peso della sua memoria che, pur non esistendo, la metteva ogni volta a dura prova.
«Sono stanca di non ricordare nulla. E se vuole uccidermi? Se vuole torturarmi per estorcermi informazioni che non ricordo?» chiese preoccupata.
«Mi dispiace, ma non so davvero come rispondere alle tue domande. Visto l’alto rango di chi mi ha impartito l’ordine non posso far altro che ubbidire senza chiedere spiegazioni» rispose scuotendo la testa.
Evelyne rimase in silenzio, ascoltando solo la sua paura che aumentava: se prima aveva il timore di non essere pronta per ciò che la aspettava la fuori, ora ne aveva la certezza, con uno degli uomini più potenti del mondo che voleva qualcosa da lei. Non sapeva come il Governatore facesse a conoscerla, non era mai stata importante per qualcuno e la cosa non faceva nient’altro che farla sentire spaventata: probabilmente lui sapeva tutto su di lei, mentre lei non lo conosceva, né tantomeno conosceva se stessa.
«Cosa vorrà mai volere da me…» pensò a voce alta.
«Secondo me non vuole ucciderti. Insomma, se avesse voluto saresti già morta… Il fatto che chieda di farti uscire comunque per me non è buon segno» disse il dottor Hemkirk, tentando di confortarla per quanto fosse possibile.
«Allora, facciamo il punto della situazione. Quand’è che devo andarmene?» chiese Evelyne.
«Domani mattina, passerai l’ultima notte qui in ospedale e da domani alle sette questa stanza dovrà essere libera»
«Ho sentito prima alla radio che il Governatore sarà a Gold per questa sera per parlare con gli altri leader, per cui non credo che domani mattina potrà essere qui. Non so cosa voglia da me, ma spero che sia una persona abbastanza intelligente da capire che la mia memoria è completamente andata e non posso essergli d’aiuto. Come hai detto, non vuole uccidermi altrimenti l’avrebbe già fatto, per cui nel caso si presentasse da me chiedendomi qualcosa sul mio passato potrò essere sincera e disponibile con lui, dimostrandogli che non sto mentendo e che la mia memoria è come se non esistesse più»
Evelyne si mostrò molto più coraggiosa e decisa di quanto non fosse. La possibilità che lui si rivelasse un uomo spregevole e senza capacità di comprendere era alta, ma voleva essere ottimista, lo voleva per la sua nuova vita.
«Mi sembra giusto» concordò con lei il dottor Hemkirk alla fine del suo discorso. Anche lui era a conoscenza del fatto che il Governatore potesse essere comprensivo o meno e, dal modo autoritario in cui gli aveva impartito gli ordini da eseguire, era più propenso a pensare che non lo fosse. Nonostante tutto sarebbe stato un peccato rovinare la nuova vita di Evelyne, quella che la ragazza desiderava tanto, per qualcosa che forse non avrebbe mai affrontato. Era difficile prendere decisioni per lei perché le voleva bene e sapeva che il giusto e il meglio per lei non coincidevano. Questa volta, però, il dotto Hemkirk decise di fare il meglio, lasciandole credere che la sua teoria fosse giusta e che avrebbe potuto vivere la vita da lei tanto sognata.
Quando il dottor Hemkirk lasciò la stanza, rientrò Barbara, a cui Evelyne spiegò la storia. L’infermiera iniziò a piangere, cosa che la fece stupire, e le disse che era davvero una buona amica e che le sarebbe mancata. Barbara le disse che, per la sua nuova vita, oltre agli abiti che le passava l’ospedale – un paio di pantaloni verdi logori, una felpa spanciata, una maglia bianca a maniche corte e un paio di scarponcini – le avrebbe comprato qualcosa lei, in modo tale che si fosse ricordata di lei per sempre.
Evelyne temeva che sarebbe stato difficile dimenticarsi di colei che le aveva praticamente insegnato una buona parte di ciò che sapeva, ma accettò i regali di Barbara con entusiasmo, sapendo che aveva gusto nel vestire, mentre lei non avrebbe neppure saputo dire quali vestiti fossero da uomo e quali da donna.
Evelyne, com’era presumibile pensare, passò la notte in bianco: non riusciva a chiudere occhio, tant’era eccitata e allo stesso tempo spaventata dalla sua nuova vita futura. La paura che provava fino a poco tempo fa, però, era diminuita, lasciando il posto alla fantasia. Amava fantasticare da sempre e, in quel momento, così vicina alla libertà, ci riusciva anche se teneva gli occhi aperti. Poteva vedersi, al chiarore delle stelle, mentre cenava con gli amici nel suo futuro appartamento, avrebbe fatto delle foto, avrebbe scritto un diario e la sua memoria non sarebbe più andata perduta, mai più. I suoi sogni sembravano essere racchiusi nelle stelle che brillavano lontane ma, mai come quella sera, le stelle le sembravano tanto vicine e facili da agguantare. Le sarebbe bastato allungare la mano e, in un secondo, avrebbe avuto una stella in mano, un sogno realizzato. Sarebbe stato complicato, non lo negava, ma aveva intenzione di applicarsi per ottenere dei risultati, lo aveva fatto da quando si era risvegliata e avrebbe continuato a farlo una volta fuori dall’ospedale. Continuò a fantasticare per tutta la notte, cercando di addormentarsi senza successo, pensando alla sua nuova futura vita.
Il giorno seguente Evelyne si svegliò alle sei. Era riuscita ad addormentarsi verso le quattro, anche se desiderava non averlo mai fatto: scoprì a sue spese che l’entusiasmo le prosciugava in fretta le energie e due ore non erano sufficienti per riposarsi. Così, con gli occhi ancora chiusi, si spogliò e si fece una doccia, in modo tale da riuscire a tenere gli occhi aperti. Si vestì con ciò che le aveva portato Barbara il giorno prima, leggins neri, maglietta bianca a maniche corte e sopra una camicia blu. Non si era mai specchiata con altri vestiti che non fossero quelli che le passava l’ospedale e vedere il proprio riflesso nello specchio con altri indumenti la portò a dubitare che quella fosse davvero lei. Il colore nero le faceva sembrare le gambe magre ancora più sottili, come se fosse dimagrita di qualche chilo durante la notte. La sensazione più strana, però, le capitò quando indossò gli scarponi: abituata com’era ad andare in giro scalza o solo con un paio di ciabatte le fece impressione avere qualcosa di così alto sotto la pianta del piede.
Alle sette meno dieci, dopo aver provato a lungo ad abituarsi a tutte le novità, Evelyne fu pronta a lasciare l’ospedale. Prima che potesse uscire dalla sua stanza, però, le venne in contro Barbara.
«Evelyne, meno male che sei ancora qui, ci tenevo a salutarti!» esclamò quando la vide. Evelyne sorrise e abbracciò l’amica.
«Grazie Barbara» le disse.
«Figurati, non sei solo una mia paziente, sei una mia amica e mi farà strano non avere più a che fare con te nel pomeriggio»
«Già, anche per me sarà strano. È stato strano anche vestirmi così… non sono abituata» le confessò Evelyne indicandosi i vestiti e gli scarponi.
«Oh, vedrai che ci farai l’abitudine!» la rassicurò Barbara facendole l’occhiolino. Evelyne sorrise inclinando leggermente la testa e un ciuffo di capelli le cadde davanti al viso. Con un gesto impaziente se lo ricacciò all’indietro.
«I tuoi capelli sono molto belli, ma non puoi tenerli così» commentò Barbara avvicinandosi. La fece girare e, nonostante le proteste, le acconciò i capelli in una bellissima treccia. 
«Grazie mille Barbara, grazie di tutto» disse Evelyne ammirando ciò che l’amica aveva fatto.
«Grazie a te per aver reso il mio lavoro meno monotono» la ringraziò a sua volta Barbara. Si abbracciarono di nuovo e Evelyne percorse il lungo corridoio che la portava all’uscita dell’ospedale. Ogni passo che faceva le sembrava più pesante, come se la libertà tanto sognata fosse più complicata di quanto si immaginava. Si trovava al piano terra, così vicina all’uscita da poter vedere la strada dalle grandi vetrate, quando un anziano signore le sbatté contro, facendole cadere il borsone.
«Mi scusi» disse l’uomo.
«Scusi lei» le rispose Evelyne con cortesia. Lui si piegò a raccogliere il suo borsone, era piuttosto agile per l’età che sembrava dimostrare, e quando glielo porse la fissò con la bocca aperta. Evelyne non poté fare altro che rimanere confusa da quella reazione.
«Ci conosciamo?» gli chiese mordendosi un labbro.
«Non lo so, ma mi sembra di aver già visto il suo viso…»
«Oh, forse è perché l’ha visto oggi in televisione. Sa, sono la ragazza della palazzina esplosa a cui non è ancora tornata la memoria» gli spiegò Evelyne.
«Ah, deve essere sicuramente come dice lei. Arrivederci, spero che un giorno recupererà la memoria» le disse sorridendole e andandosene verso l’interno dell’ospedale.
«Grazie e arrivederci anche a lei» lo salutò cordialmente la ragazza, felice che il suo primo contatto con un estraneo fosse stato piacevole.
Uscì finalmente all’ospedale e rimase a bocca aperta: non era mai andata fuori e vedere il piazzale non più dalla finestra della sua stanza era un’esperienza così strana per lei. Le macchine sfrecciavano veloci sulla strada davanti ai suoi occhi, il parcheggio era gremito di gente che andava e veniva, una folla con espressioni in viso totalmente diverse. Evelyne era felice perché mai prima di allora le sembrava aver visto tanta gente nello stesso posto che non sembrava minimamente curarsi di lei. Notò che tutti andavano di fretta e avevano poco tempo per guardarsi intorno. Fortunatamente lei di tempo ne aveva anche in abbondanza, così che alzò lo sguardo e vide il cielo, azzurro come mai le era sembrato, poi osservò l’ospedale e notò come appariva povero e triste l’edificio, così grigio e monotono rispetto all’impetuoso azzurro del cielo. Notò anche che non c’erano molte piante ma, Barbara gliel’aveva detto, non se ne trovavano più molte in giro, specialmente in città. Fece i suoi primi passi all’esterno, scendendo per la grande scalinata fino ad arrivare nel parcheggio. I suoi piedi e le sue gambe si muovevano istintivamente, non sapeva dove stesse andando, perché non conosceva la città, ma sentiva che doveva muoversi e esplorare. Attraversò tutto il parcheggio con il sorriso sulle labbra, fino a quando non si ritrovò sul ciglio della strada, piuttosto indecisa sul da farsi. Dove sarebbe dovuta andare?
Pensò di chiedere un’informazione a qualcuno accanto a lei, ma tutti sembravano essere così di fretta e lei non voleva disturbarli, qualsiasi cosa essi stessero facendo. Notò fortunatamente un uomo appoggiato su un muro che guardava qualcosa da una tavoletta di metallo che aveva in mano; si diresse verso di lui, ma venne bloccata da un uomo piuttosto muscoloso in giacca e cravatta che le si parò davanti.
«Evelyne?» le chiese.
«Sono io» rispose la ragazza, piuttosto insicura su ciò che dovesse dire. Forse l’uomo era un tizio che la conosceva da prima che le perdesse la memoria.
«Vieni con me, il mio capo vuole parlarti» disse l’uomo voltandole le spalle e avviandosi di nuovo verso il parcheggio.
«Mi scusi, ma temo di non capire. Lei chi è? Ci conosciamo? Chi è il suo capo? Cosa vuole da me?» Evelyne sapeva di essere insistente con le domande, ma non aveva assolutamente l’intenzione di seguire un uomo che non conosceva per parlare con un altro che non aveva nemmeno mai visto.
«Per me sarebbe più facile se tu non facessi domande. Nessuno intende farti del male» le promise l’uomo.
«Oh, certo, sono assolutamente propensa a fidarmi della parola di un uomo che non conosco» replicò sarcastica la ragazza. Forse era anche rimasta sei mesi in coma e gli altri sei chiusa in una stanza d’ospedale, ma non era stupida. Si ricordava ancora di ciò che le aveva detto il dottor Hemkirk a proposito di Tyler Meatch e sapeva che il mondo era pieno di gente che non perdeva l’occasione di approfittarsi di chi considerava ingenua.
«Allora ti farò del male» detto questo, l’uomo sollevò la manica della sua giacca qual tanto che bastava per far vedere ad Evelyne che era armato.
«Ma cosa volete da me? Non ricordo nulla della mia vita precedente, nulla» mise in chiaro la ragazza, anche se era stata abbastanza spaventata dalla vista dell’arma.
«Se il mio capo pensa che tu sia importante vuol dire che lo sei, io rispondo solo ai suoi ordini» rispose l’uomo con semplicità.
«Portami dal tuo capo, allora» si arrese infine Evelyne. Dopotutto non aveva nessun’altra scelta, se non voleva morire nemmeno un’ora dopo aver ricevuto la sua libertà.
L’uomo sorrise e si incamminò al centro del parcheggio, in cui sostava un’elegante macchina di lusso nera e con i finestrini oscurati. Aprì lo sportello posteriore, si consultò brevemente con chi era seduto dentro e poi fece cenno alla ragazza di entrare nell’auto. Evelyne entrò, piuttosto impaurita, ma anche eccitata di poter entrare in un’auto per la prima volta nella sua vita o, perlomeno, la prima che ricordasse.
«Ciao Evelyne» la salutò un uomo. Non lo conosceva, ma la sua voce era profonda. Era seduto comodamente sul sedile posteriore e non era possibile osservarlo bene in viso, data l’oscurità che c’era nella vettura.
«Cosa volete da me?» chiese all’uomo, leggermente intimorita.
«Oh, giusto, tu non ti ricordi di me. Mi dispiace moltissimo, soprattutto perché io e te avevamo un buon rapporto prima che ti succedesse l’incidente» rispose lui.
«Eravamo amici?» domandò stupita.
«Sì, penso che potessimo definirci così, poi è successo quello che è successo e non ho avuto occasione di incontrarti di nuovo» l’uomo continuava a parlare con voce profonda, ma qualcosa nel suo tono fece mettere in allerta i sensi di Evelyne: c’era qualcosa di strano nella sua voce. Quando parlava del passato lo faceva con una nota sdolcinata che lo rendeva quasi falso. Capì che era un pessimo bugiardo.
«Per incidente intende l’esplosione della palazzina?» gli chiese, convinta a strappargli più informazioni possibili prima di scappare via da lì in qualche modo.
«No» rispose lui con franchezza. Questa volta la sua voce era ferma, non mentiva più.
«Allora cosa intende?»
«Ti prego Evelyne, dammi del tu, non sono abituato a sentirti parlare così a me» le chiese l’uomo.
«Mi scusi. Volevo dire, scusami. Allora, di che incidente parlavi se non quello?»
«Non posso dirtelo»
«Perché?»
«Perché prima ho bisogno che tu mi giuri che ti fiderai di me e prenderai parte al mio progetto»
«Non vedo ragioni per cui dovrei farlo. Non ricordo chi tu sia, non mi hai detto il tuo nome e non so se quello che mi stai dicendo sia vero o falso. Perché dovrei fidarmi di te?»
«Perché i tuoi genitori lo fanno».


 

Salve a tutti, eccomi qui con il primo capitolo di questa storia! Che dite, vi piace? 
Spero davvero di sì, perché mi sto impegnando davvero moltissimo a scriverla e mi auguro che qualcuno a cui piaccia ci sia. So che l'ambientazione e i personaggi sembrano totalmente cambiati rispetto al prologo, ma non preoccupatevi, andando avanti si capirà il significato di quello che è successo. In questo capitolo è stata introdotta Evelyne che, come si intuisce dal titolo, è la protagonista di questa storia.
So che ancora non sembra molto fantasy, infatti sono molto indecisa se lasciarla in questa categoria o se spostarla. 
Spero che la storia vi stia piacendo, magari se vi ha incuriosito potreste lasciarmi una recensione, dato che ancora non ne ho e sono preoccupata che non piaccia a nessuno.


Francesca.
 
   
 
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