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Autore: _Chloe_    18/05/2014    1 recensioni
Perché mostrarsi per quello che si è se poi si viene giudicati?
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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Se voi pensate che le creature sovrannaturali come vampiri, maghi, lupi mannari o fate non esistano, vi sbagliate di grosso. 
Esistono, ma si nascondono. Ora la persona alla vostra destra potrebbe essere un mago, e quella alla vostra sinistra un lupo mannaro. 
Perché mostrarsi quando poi si può essere giudicati per quello che si è veramente? 

Amsterdam, 17 febbraio 1998. 
Era una giornata fredda, troppo fredda per uscire da casa, poi con il tempo olandese le cose non possono andare diversamente. 
Lontano dalle case, dal caos delle persone e soprattutto lontano dagli sguardi umani, qualcosa di molto magico stava succedendo. Ben diversa dalle solite teorie, gli esseri sovrannaturali nascono a seconda del loro elemento che li contraddistinguono. I maghi nascono da una scintilla, una scintilla di elettricità qualunque, i vampiri dal sangue sia animale che umano, i lupi mannari dai raggi della luna, mentre le fate dai fiori che sbocciano. 
In quel giorno, stava per nascere una di quelle creature che noi chiamiamo generalmente “mostro”. 
In una vecchia fattoria, un anziano uomo stava lavorando. 
Aveva i capelli coperti da un cappello di lana grigio, con varie decorazioni rosse, mentre una lunga barba gli ricadeva da quel mento ormai pieno di rughe. 
Entrò nella stalla sua moglie, un’anziana signora molto dolce e comprensiva, dall’aspetto innocuo. Portava in mano un bicchierone di tè fumante, caldo, pronto per essere dato al marito. 
“Neil, ti ho portato da bere, perché non entri che fa troppo freddo qui fuori?” domandò la signora porgendogli il bicchiere. 
Il marito ne sorse un po’, poi lo appoggiò sul suo bancone di lavoro in legno. 
“Ora ho finito, adesso arrivo in casa, tu intanto vai, non voglio che ti ammali” si preoccupò lui. Erano vecchi e sapevano che dovevano passare più tempo insieme prima di non vedersi mai più. 
La signora se ne andò, mentre il signore Neil rimase a lavorare. Prese la fiamma ossidrica, doveva riparare un cancello in ferro e per farlo era necessario quello strumento, tanto affascinante quanto pericoloso. 
Lo prese in mano e si avvicinò al metallo e partì subito una scintilla che illuminò la stanza. 

Los Angeles, 17 Febbraio 1998. 
Ivy, una giovane donna di 26 anni si trovava nel suo appartamento nel sud di Los Angeles. Era al secondo piano di un appartamento molto vecchio, nel quale vivevano solo persone che se la cavavano economicamente ma con molte difficoltà. 
Si era sdraiata sul divano in stoffa beige, scurita con il passare del tempo. La televisione era una piccola scatola che miracolosamente trasmetteva a colori, con diversi problemi alla parabola nel cercare diversi canali. 
Sorseggiava una tazza di caffè caldo, con molto zucchero al suo interno. I capelli biondo cenere le ricadevano sulle spalle, mentre i suoi occhi grigi fissavano quello schermo. 
Ad un certo punto sentì bussare alla porta. Tre colpi ben assestati che la fecero sussultare. Si tolse la coperta e con passo pesante aprì quel portone che per poco non cadeva. Niente. Non vedeva niente davanti a sé. Fino a quando sentì una risata, una dolce risata che portava allegria in qualunque posto si trovasse, abbassò lo sguardo e sullo zerbino trovò un fagotto. 
Attorno a molteplici strati di stoffa grigiastra, si trovava un bambino, o forse una bambina, non lo sapeva. Aveva grandi occhioni verde smeraldo, così verdi che sembrava di guardare le grandi distese d’erba dell’Inghilterra. Si sporse dalla porta per vedere se ci fosse qualcuno, per vedere se riusciva ad individuare la persona che aveva lasciato lì quella piccola bambina. Nessuno, era tutto vuoto e si sentiva solo un grande silenzio. 
La prese in braccio e i loro occhi s’incontrarono. Quelli della bambina erano grandi e sicuramente guardandola così non l’avrebbe abbandonata. 

Los Angeles, 17 febbraio 2014
 
L’aula della scuola superiore nel sud di Los Angeles, era molto sudicia. Banchi sporchi dove i ragazzi si divertivano ad appiccicare delle gomme da masticare, sedie piccole e scomode, muri spogli e neanche un armadio dove custodire le cose. Era proprio lì che si trovava Elina, una ragazza magra dal fisico secco, lunghi capelli castani e occhi color smeraldo. Indossava un cappotto in pelle beige, con il cappuccio contenente del pelo sintetico bianco. Alle gambe aveva dei Jeans grigi, mentre portava delle colorate Vans. Picchiettava nervosamente la matita sul suo libro. Oggi era il giorno del suo compleanno, e solo una persona gli aveva fatto gli auguri, oltre a sua madre ovviamente. Lucas, migliore amico di Elina, era seduto nel banco accanto a lei. Portava anche lui un giaccone, ma nero, dei jeans blu e delle scarpe nere. Aveva i capelli perennemente all’insù, neri come sempre, e gli occhi nocciola scrutavano le parole che erano scritte sul suo libro. 
Si conoscevano dalla prima elementare, dove fecero conoscenza e diventarono subito amici. Elina si trovava meglio con Lucas che con qualunque altra ragazza nella sua classe, e ragazzo. Ma di certo non è quel tipo di persona che sta molto con i maschi. 
Suonò finalmente la campanella che segnava la fine dell’ultima ora e tutti gli studenti nell’aula si alzarono senza fare caso al professore che con fretta esponeva le ultime considerazioni riguardo all’argomento delle fiabe. In men che non si dica, Elina e Lucas si trovarono fuori scuola. Nevicava ma non faceva molto freddo, era un miracolo che nevicasse in realtà. 
“Allora, cosa facciamo questo pomeriggio?” aveva domandato la ragazza. 
Avevano girato su una lunga strada dove si trovavano molte villette, era la parte lussuosa della città. 
“E’ il tuo compleanno, decidi tu signorina” aveva riposto lui.
“E se stessimo a casa? Con questo tempo non ho la minima voglia di muovermi” 
Faceva sempre più freddo ed Elina dovette mettersi la sciarpa di lana che teneva in cartella, addosso. 
Lucas annuì. 

Erano a casa da ormai mezz’ora. 
Lucas era sul divano intento a sistemare la coperta per l’imminente “Pomeriggio dei Film” mentre Elina era al bagno. 
Si stava lavando le mani con il buonissimo sapone al muschio e more. Era un profumo inebriante. 
Si guardò allo specchio e si sistemò i capelli. Un piccolo ciuffo continuava a venire giù dalla coda di cavallo che si era fatta, e lei cominciò ad irritarsi per quel maledetto ciuffettino. 
Se lo sistemò ancora, ma quello continuava a venire giù, poi Elina si arrabbiò veramente. 
I suoi pugni iniziarono a stringersi sempre più forte, e le sue unghie a conficcarsi nei palmi delle mani. Era così arrabbiata. 
Strinse forte il lavandino e, questa cosa non era prevista, si staccò un pezzo al lato sinistro, lasciando cadere gli spazzolini che prima vi erano appoggiati sopra. 
Elina indietreggiò, spaventata per l’accaduto. 
Sua madre, che prima era in cucina, accorse ed aprì la porta. 
“O no, è arrivato quel momento…” disse spaventata con gli occhi che scrutavano la figlia.
  
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