Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |      
Autore: namastelourry    18/05/2014    0 recensioni
“Ash, non posso spiegarti ora, davvero. Devo sbrigarmi a tornare a casa. Non c’è bisogno che tu mi prometta che farai come ti ho detto, perché so che lo farai” usci dalla porta superando l’amico. Poi, a metà pianerottolo si girò, come se avesse dimenticato qualcosa di estremamente importante. “Ti prego, Ash, dille che la amo. Ricordaglielo a ogni ora del giorno e della notte. Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il sole”.
Poi, se ne andò.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi svegliai con una strana sensazione di gelo nelle ossa. Mi sentivo intorpidita, stanca, esausta. La vista era appannata, non riuscivo a mettere a fuoco nemmeno la mia mano, poggiata languidamente sul pavimento a pochi centimetri da me. Avevo il respiro flebile, e sentivo come tante piccole scaglie di vetro trafiggermi il cervello. Mi coprii le orecchie con le mani, istintivamente. Volevo sparire, volevo chiudermi in un guscio per non uscirne più. Non sopportavo l’idea di dover alzarmi e riprendere a vivere. Sentii delle urla: Luke.
Furono proprio quelle a farmi tornare la voglia di vivere, le urla di mio fratello gemello.
“Devi lasciarla in pace, mostro!” lo sentii urlare, e capii chiaramente che era con nostro padre che stava litigando. Un tonfo sordo sul pavimento. Doveva averlo colpito, Luke doveva essere caduto. Me ne stetti lì, col cuore in gola per una decina di minuti. Mio padre doveva essersi allontanato, probabilmente era andato al bar a giocare d’azzardo o a ubriacarsi fino a vomitare, quando sentii un debole fruscio. Mio fratello si stava alzando, e poi, zoppicando, stava raggiungendo la porta della cantina. Mi stava venendo a prendere, per portarmi in salvo, fra le sue braccia. Mi stava venendo a salvare, lui, il mio angelo biondo con gli occhi azzurri come il mare.
Zoppicando, scese le scale. Feci per tirarmi su, ma le braccia mi cedettero e mi ritrovai con il naso a un millimetro dal suolo. Odiavo sentirmi così debole. Odiavo quella merda di situazione nella quale mi trovavo. Mi voltai verso Luke, e con la coda dell’occhio lo vidi tenersi un braccio, dolorante. Aveva un grosso segno violaceo, appena sotto lo zigomo. Aveva le labbra viola, spaccate. Il sangue che gli colava fra i capelli, rendendoli di uno strano color rame. Il mio angelo era ferito e insanguinato. Il mio angelo era pieno di lividi e cicatrici.
“Luke…” sussurrai.
Lo vidi crollare in ginocchio di fianco a me, e sentii le sue braccia sollevare il mio corpo nudo dal pavimento. Aveva gli occhi velati di lacrime, ma mi sorrise ugualmente. Non voleva che lo vedessi piangere, era una di quelle cose sulle quali Luke era particolarmente intransigente. Portai una mano sul suo volto, accarezzandogli la guancia, leggermente. Lo sentii sussultare e ritrassi la mano. Probabilmente gli avevo fatto male, senza volerlo. Ma lui mi riprese la mano e, tenendo la sua sopra la mia, riadattò l’arto alla propria guancia. Le nostre dita si intrecciarono. Il mio corpo venne squassato dai singhiozzi.
“Vieni, piccola Dafne. Andiamo a darci una ripulita”
 
Luke mi preparò la vasca da bagna, riempiendola di acqua non troppo calda, ma nemmeno troppo fredda. Non era nemmeno tiepida, al dir la verità. Era miscelata come solo un mago saprebbe fare. La riempì di bagnoschiuma al muschio, il mio preferito. Mi ricordava la natura, i boschi verdi che mi piacevano tanto. Quelli nei quali, anche quando ti perdi, riesci a sentirti in armonia con ciò che ti circonda.
Mi depositò nella vasca da bagno, facendo attenzione a non farmi male. Poi, si poggiò alla porta del bagno, già precedentemente chiusa a chiave. Era la mia guardia del corpo, il mio tutto, e io ero il suo universo. Non mi avrebbe mai lasciata da sola, non sapendo che papà sarebbe potuto rientrare da un momento all’altro, in condizione del tutto discutibili.
Chiusi gli occhi, appoggiai la schiena contro la fredda porcellana. Poi chiusi gli occhi, e mi rilassai, standomene lì, ferma, immobile.
 
Mio padre abusava di me da circa un anno. Ora ne avevo diciassette, e la cosa era addirittura peggiorata. Prima era solo sesso orale, ora invece aveva preso pieno possesso del mio corpo. Delle mie labbra. Dei miei occhi. Della mia dignità e del mio orgoglio. Ero diventato un corpo senz’anima. Ero diventata un oggetto adatto a fare il soprammobile. Mamma si bucava, e, sotto sotto, mi odiava. Papà preferiva il mio corpo, al suo, e a lei questo fatto non andava giù. Più volte, quando la ritrovai fatta, con una pozza di vomito ai piedi del divano e le pupille così ingigantite da aver preso il posto degli iridi mi aveva dato della puttana, della stronza, della rovina famiglie. E io avevo incassato il colpo. Che altro avrei potuto fare, se non accettare a testa bassa la triste verità? Ero un disastro ambulante.
Solo Luke non l’aveva presa affatto bene. Lo scoprì subito. Io, ormai da un anno venivo scopata a qualunque ora del giorno e della notte; lui, invece, ormai da un anno le prendeva. Più e più volte tornò a casa con ferite dettate da un coltello. Lo implorai di smetterla, di scappare e di farsi una vita, ma lui non voleva saperne. Mollò la sua ragazza, dicendogli che ero io la sua ragione di vita. Io, sangue del suo sangue.
Essendo fratelli gemelli, quando stava per accadermi qualcosa di brutto, Luke lo percepiva. Ecco perché, quando papà mi trascinava giù in cantina, già priva di ogni abito, lui si rompeva le nocche a furia di dare calci e pugni sulla porta. Lo sentivo urlare, e le sue urla si fondevano con i gemiti sommessi di mio padre e con i miei singhiozzi, spesso e volentieri soffocati dalle sue labbra posate sulle mie.
 
“Piccola Dafne, vieni. Andiamo via, prima che lui rientri” mi guardò sorridendo, il mio angelo, e io mi lasciai sollevare dalle sue braccia. Lasciai che le sue mani mi vestissero, che mi pettinassero. Lasciai che mi truccassero, coprendomi le labbra gonfie con un rossetto rosso accecante, e decorandomi gli occhi con un filo di eyeliner e vestendo le ciglia di mascara.
“Luke... dove… dove andiamo?” chiesi, mentre, tenendomi in braccio, mi conduceva fuori casa. Nessuno di noi due aveva la patente, quindi fummo costretti a procedere a piedi. Per Luke non sembrava essere un problema, anzi. Non protestava mai, non si lamentava mai del mio peso o di quanto fosse caotica la situazione. Lui procedeva, ricordandomi sempre che ero una piuma, la sua piuma arcobaleno, come quelle piume bianche che, al lago, diventavano di tutti i colori.
“Andiamo a casa di Ashton, piccola Dafne. Là sarai al sicuro”
Non mi soffermai troppo sul quell’ultima frase, sul fatto che avesse parlato al singolare e che l’espressione di Luke si era improvvisamente rabbuiata. Continuavo a pensare a quanto tutto stesse andando a rotoli, a quanto stessi contribuendo a rendere un peso la vita di Luke.
Quando arrivammo a destinazione mi ritrovai di fronte a una vecchia palazzina a otto piani, dall’intonaco scrostato e i balconi pericolanti. Sentii delle urla provenire da alcuni di quegli appartamenti, e chiusi gli occhi, inspirando profondamente. Anche lì, urla. Non sarei mai vissuta in pace, io. Mai.
“Lo so, piccola Dafne, non è un hotel a cinque stelle, ma era l’unica possibilità”
Gli strinsi forte una mano, come a dirgli “ehi, stai già facendo molto per me. Non sentirti in colpa. Per me questo posto è Disneyland. È come un fantastico parco giochi ricolmo di montagne russe”. Lui mi sorrise, sfregando il suo naso con il mio. Poi, entrammo.
La porta del condominio era aperta, proprio come la porta di casa di Ashton. Lo avevo conosciuto tempo addietro, ovvero la sera prima che mio padre decidesse fossi diventata abbastanza grande per stuprarmi. Aveva i capelli corti color paglia, leggermente mossi, quasi la brezza marina soffiasse dritta su di essi, raccolti in una bandana rossa, a pois, dalla quale fuoriuscivano da ogni lato. Gli occhi erano ambrati, lucenti. Sembrava esplodesse dalla voglia di vivere. Sembrava che niente e nessuno avrebbe mai potuto fermarlo. Ricordo che collezionava vecchi CD. Lo sentii mentre ne parlava, e ne andava assolutamente orgoglioso. Si recava a tutti i mercatini dell’usato solo per trovare vecchie reliquie da aggiungere ai suoi scaffali.
Quando entrammo, vidi un ragazzo di diciannove anni seduto su un divano in pelle rossa rotto e impolverato. Non si girò a guardarci, intento com’era a far cadere la cenere della sigaretta che stava fumando su un fazzoletto lì di fronte. Lo riconobbi dai capelli, e dalla bandana che, a distanza di un anno, era rimasta la stessa.
“Ehi, Ash…”
“Ciao, Luke. Vieni, accomodati. Come te la passi?”
Spostò lo sguardo su mio fratello e poi, immediatamente, su di me. Mi scrutò, e io lo lasciai fare. Non sentii il suo sguardo penetrarmi gli occhi, forse perché anche il suo era spento, come il mio. Ma non potevo dirlo con certezza, allora. In quel momento avevo la testa da un’altra parte.
“Ash, scusami se piombo qui all’improvviso ma, ecco… devo chiederti un favore. Un favore enorme”
Luke si sedette sul divano che faceva angolo con quello sul quale stava seduto Ashton, un divano un po’ più nuovo, a giudicare dal moderato scricchiolare delle molle. Non mi lasciò andare; se possibile, mi strinse ancora di più a sé.
“Dimmi tutto, amico” spense la sigaretta, dopo aver tirato un’ultima, lunga boccata, fino ad arrivare al filtro.
Luke si passò le mani fra i capelli, prima di parlare. Aveva un espressione seria, e a me venne istintivo allungare le mani verso il suo viso. Lui mi lasciò fare, sorridendomi amorevolmente.
“Devi tenere mia sorella in casa con te, Ash. Non farla mai uscire, stai attento a chi si aggira intorno al tuo palazzo. Non dire a nessuno che lei è qui. Non ti darà fastidio. Cucinale molta carne rossa, anche se costa, i soldi te li darò io. Non ti disturberà, la cosa che preferisce fare è disegnare. Domani ti porterò un sacco pieno di suoi vestiti, e un album da disegno, e qualche carboncino col quale farla disegnare. Se dovesse avere bisogno nel camminare, nel lavarsi e nel vestirsi, ti prego di aiutarla”
Ashton lo guardò a lungo, poi guardò me che, a mia volta, guardavo la maglia di cotone bianca che ricopriva il petto di Luke. Continuavo a tracciare segni invisibili su quella maglia, parole segrete che non avrebbe mai potuto leggere.
“Amico, che succede?”
La voce di Ashton non era in preda al panico. Curiosa, forse preoccupata, più che altro.
“Ash, dimmi solo se puoi. Altrimenti…”
“Certo che posso, Luke. Ma, diamine… non insisterò, ma sappi che un giorno mi dovrai spiegare tutto. Per stasera ho già della carne di vitello in frigorifero… Dafne, giusto?” mi sorrise, e potei constatare quanto il suo sorriso fosse dolce, con quelle due leggere fossette che gli si formavano agli angoli della bocca. Mi sentii a casa, guardando quel sorriso. Ma non volevo ancora lasciare andare mio fratello.
“Sì, Dafne. Comunque grazie Ash di quello che stai facendo per me, e per lei. Ora non parla molto, ma fra poco vedrai che sarà una gran chiacchierona. Vero, piccola Dafne?” disse scarmigliandomi i capelli lunghi del suo medesimo colore, e incatenando i nostri occhi lucidi, due paia di oceani a confronto.
“Luke…”
“Sshh, piccola Dafne, non piangere. Tornerò a prenderti, vedrai. Tornerò a prenderti quando avrò abbastanza soldi per scappare, insieme a te. Quando potremo volare lontano, fino a raggiungere l’Isola Che Non C’è. Che ne dici? Ci stai?”
“Luke…”
“Piccola Dafne, non ti sto abbandonando. Te lo prometto, tesoro. Ti farò visita tutti i giorni, verrò da te a raccontarti una storia ogni notte. Ci stai? Eh, piccola Dafne?”
Grosse lacrime iniziarono a solcargli le guance. Capii che quelle che mi stava dicendo erano delle bugie, ma io non obiettai. Non volevo rendergli il compito ancora più difficile. Mi depositò un leggero bacio in fronte, prima che lui mi poggiasse sul divano, coprendomi con una coperta leggera, un lenzuolo, magari. Agganciai le braccia al suo collo ancora una volta, beandomi del suo profumo, delle sue guance morbide e del suo collo vellutato.
Poi, lo lasciai andare, e sprofondai in un sonno profondo.
 
“Luke, che diavolo sta succedendo?” Ashton lo bloccò prima che l’amico potesse uscire dalla porta. Molti elementi non tornavano. Era già da tempo che gli Hemmings avevano smesso di andare a scuola, e questo lo avevo appreso dagli abitanti della città prima ancora che dal suo migliore amico. Ma ora…
“Ash, non posso spiegarti ora, davvero. Devo sbrigarmi a tornare a casa. Non c’è bisogno che tu mi prometta che farai come ti ho detto, perché so che lo farai” usci dalla porta superando l’amico. Poi, a metà pianerottolo si girò, come se avesse dimenticato qualcosa di estremamente importante. “Ti prego, Ash, dille che la amo. Ricordaglielo a ogni ora del giorno e della notte. Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il sole”.
Poi, se ne andò.



 
ANGOLO AUTRICE
Non mi dilungherò troppo in questo spazio.
Volevo solo avvisarvi del fatto che, in questa FanFiction per la cui creazione sto dedicando gran parte del mio tempo, saranno presenti non soltanto i componenti della band anglo-irlandese One Direction, ma anche quelli della band australiana 5 Seconds Of Summer.
Non voglio disturbarvi oltre. 
Spero soltanto che la storia vi piaccia, e di ricevere tante, tantissime recensioni.
Buona domenica a tutti!
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: namastelourry