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Autore: yeahitsmarts    18/05/2014    3 recensioni
2020, anno in cui chiuse definitivamente l'ultima industria petrolifera, nonché ultima fabbrica rimasta in piedi. Dopo quest'evento la terra conobbe soltanto distruzione e rovina.
2146, centoventisei anni più tardi ci troviamo al termine dell'era della terra. Le prime tre – aria, acqua e fuoco –, durate mediamente poco più di quarant'anni per una, hanno completamente devastato e ridimensionato quella che una volta era la terra. Intere isole sommerse, città distrutte, luoghi spariti completamente dalle cartine geografiche. Nessuno ha più il coraggio di chiedersi che fine abbiano fatto posti come le Hawaii, le Maldive e la stessa Nuova Zelanda, nessuno tiene più il conto dei giorni, dei mesi. Kaia è poco più che una diciassettenne quando perde anche sua madre e si ritrova a vivere in uno scorcio di casa assieme a suo fratello maggiore, Andrew. Costretta ai lavori nei campi, decide di specializzarsi nello scasso e furto nelle ricche abitazioni dei signori della madrepatria.
Finché l'ennesima scossa non le cambia radicalmente la vita...
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 The Hunted - Snow Ghosts.

La terra trema per la quinta volta da quando sono sveglia. La pallida luce del sole filtra debolmente dalle tapparelle abbassate e mi domando quando tutto questo finirà. Andrew è, come ogni mattina, chiuso nella propria camera a contemplare il soffitto e sono sicura che presto la sua voce giungerà fin qui al cucinotto, chiedendomi di aiutarlo con la sedia a rotelle. È una vera fortuna che i signori della nostra contea abbiano deciso di fare un regalo tanto grande proprio a noi senza contare il fatto che Londra vanta il maggior numero di disabili in tutta la madrepatria. Andrew ha perso le gambe mentre era fuori con la barca a pescare e finché lavorava potevamo entrambi permetterci un'esistenza dignitosa. Il suo capo, il caro Donald – che la sua buon'anima riposi in pace – gli concedeva sempre un po' di merce e la sera potevamo cucinare sogliole e merluzzi. Un'infezione ad entrambi gli arti inferiori hanno obbligato i medici ad amputarglieli condannandolo così ad una vita quasi ignobile. La loro gentilezza ha voluto che ci fosse concessa una pensione per invalidità e regalata una sedia a rotelle. Tutti qui ammirano il coraggio di mio fratello perché ha continuato a lottare e a muoversi nonostante la sua precaria situazione eppure queste mura nascondono un terribile segreto.
«Kaia!» la voce possente di Andrew mi ricorda le mansioni che devo svolgere prima di poter finalmente uscire di casa e dirigermi al lavoro. Vado verso la sua camera dove trovo la porta socchiusa ed Andrew ancora sdraiato a letto.
«Aiutami» mi ordina cercando di tirarsi su con i gomiti. Il suo tentativo fallisce perché cade sbattendo sul materasso con la testa.
«Sta attento» gli suggerisco mentre gli do una mano a posizionarsi sulla sedia a rotelle. Come ringraziamento mi sorride ed io lo lascio da solo a fare le sue cose. Afferro la borsa ed esco di casa mentre l'ennesima scossa fa tremare tutto di nuovo. La vita procede placida e tranquilla nonostante il pericolo sia sempre dietro l'angolo.
La signora Helen se ne sta, come sempre, seduta in giardino sulla sua preziosa ed antiquata sedia a dondolo.
«Salve signora!» la saluto energicamente gridando ed alzando il braccio. Helen stringe gli occhi per mettermi a fuoco e urla a sua volta: «Terremoto, terremoto!» e sorride. Da quando ha perso suo marito ed i suoi due figli nell'ultima scossa più potente – circa due anni fa – nessuno ha più sentito dirle altro. La maggior parte di noi – mio fratello Andrew compreso – crede che sia pazza ma io la penso diversamente: Helen ha subito un trauma e ha visto la propria famiglia morire davanti ai suoi occhi senza poter far nulla. Ma non è fuori di testa, capisce sempre ciò che le viene detto e riesce a modificare la propria tonalità di voce a seconda della risposta. Mi avvicino a lei per bisbigliarle una cosa, so che qualcuno potrebbe sentirmi e non voglio correre il rischio: «Dopo passerò con qualche pezzo di pane, d'accordo?» non dice nulla, scuote il capo in segno di approvazione e mi sfiora le mani per poi lasciarmi andare. Credo che mi voglia bene come una figlia e sono sicura che se potesse me lo direbbe. Mi dirigo verso la parte nord della città dove al porto c'è la piccola bagnarola – che Donald ha donato a mio fratello – che mi aspetta. Devo sbrigarmi se non voglio far tardi, per oggi abbiamo preparato un colpo che ci porterà una moltitudine di ricchezze. Come previsto le barche di Robert, Daria e Nathan sono già salpate e mi ci vorrà un bel po' di tempo prima di toccare terraferma. Di solito mi piace chiudere gli occhi e ascoltare il rumore del fiume che sento, in qualche modo, appartenermi. Ma oggi è diverso e non vedo l'ora di incontrare il mio gruppo.
Dalla borsa estraggo del pane, è duro ed ha forse un giorno. Se non mi muovo a chiudere questa faccenda per andare a barattare giù al mercato, stasera e domani sarò costretta a digiunare.
Non appena la barchetta attracca al porto dell'altra metà di città, salto giù, la lego ad un palo e corro verso Patrick.
Lo trovo con un cappello di paglia in testa davanti al campo di pomodori pronto per il raccolto. Sgattaiolo dietro la sua proprietà, mi infilo nella porta di servizio e lascio cadere i miei abiti da lavoro per indossare una casacca più comoda, con tanto di cappuccio in caso dovessi nascondere i miei lunghi capelli rossicci. Patrick entra non appena lego la sacchetta di telo in vita «Sei in ritardo?» mi stringo nelle spalle, non so leggere l'orologio, ma da come il sole splende alto nel cielo credo di essere in orario «No» rispondo «Direi in largo anticipo» l'uomo sospira e mi posa le mani sulle spalle «Sta attenta, Kaia, il mondo là fuori diventa sempre più pericoloso».
Patrick ed Helen sono esattamente le due figure più vicine a quella di un padre ed una madre. Voglio bene ad entrambi ed uno di loro è il mio capo, nonché silenzioso complice dei miei reati.
«Patrick!» lo riprendo ridacchiando «Non è l prima volta che faccio una cosa del genere! So come muovermi in ambienti simili, non preoccuparti!» sembra che lo abbia convinto eppure nel suo sguardo c'è ancora preoccupazione.
«Ora fammi andare prima che qualcuno ci veda» faccio per andarmene ma prima di uscire mi volto e chiedo: «Candelabro d'argento o qualcosa di meno appariscente?» il pensiero di avere l'ennesimo oggetto costoso in casa lo fa tornare in se «Portami un posacenere, nulla di troppo sfarzoso» annuisco e mi chiudo la porta alle spalle ma sento dirgli: «Stai attenta!».
Faccio attenzione a dove mettere i piedi e, soprattutto, a non farmi notare. Se qualcuno venisse a sapere che sono una Rinnegata potrei pagare con la morte. Non so perché Patrick abbia deciso di convalidare questo patto tra di noi: lui mi copre dal lavoro quando sono in missione ed io lo ripago con oggetti preziosi. Per noi semplici addetti ai campi è quasi impossibile possedere cose di valore, per questo me ne sbarazzo velocemente al mercato dove posso acquistare più merce di quanta me ne potrei permettere con i sei ortaggi o frutti che mi spettano a fine giornata.

Al centro della piazza trovo i miei compagni che già stanno fantasticando su cosa faranno con il bottino. Daria e Robert mi salutano con freddezza come sono soliti fare mentre Nathan mi cinge le spalle con un braccio: «Sei carica?» faccio sì con la testa ma ora che mi trovo faccia a faccia con i miei compagni non ne sono più tanto sicura. È l'effetto che ho ogni volta che organizzo con loro qualche furto: dubitano dei piani che organizzo ma mi mandano sempre in avanscoperta con la scusa che sono la più piccola e la più veloce, sia che si tratti di rubare dei semplici ortaggi, sia che si parli di affari più grandi.
«Bene, allora andiamo!» propone Daria voltandosi senza aspettare risposte. Mentre cammino silenziosa al loro fianco, con le braccia conserte e lo sguardo fisso sulla nuca della ragazza, mi rendo conto che nessuno di loro tre è mio amico. Non è di certo con Daria che andrei a barattare le mie cose al mercato o con Robert al fiume per farmi insegnare ogni trucco di pesca. Per loro è pericoloso farci vedere assieme, siamo dei semplici soci in affare e, per quanto li riguarda, potrei anche morire sotto ai loro occhi e non farebbero nulla per salvarmi. Non li biasimo però perché anche io farei lo stesso: il senso di comunità ed altruismo è un valore ormai estinto e tutti noi possiamo dirci fortunati ad essere ancora vivi e di certo non mi caccerei nei guai per proteggere uno di loro tre. Beh, magari fatta eccezioni per Nathan. Lui mi tratta in modo diverso da come invece Daria e Robert sono abituati a fare. È più un ragazzo per cui ho preso una cotta e sono sicura che, se potessi, gli chiederei di far coppia ma Daria mi ucciderebbe: è da quando abbiamo tirato su questa banda che non fa altro che ripetere che Nathan è praticamente suo e che non devo neanche azzardarmi a guardarlo, è così perfida che se solo lo ci provassi mi porterebbe dritta dritta al patibolo con le sue stesse mani.
Lontani dal frastuono delle strade più trafficate inizio a sentirmi irrequieta: presto raggiungeremo la casa di uno dei controllori delle signorie e non l'abbiamo mai fatto prima. Ci siamo sempre limitati a rubacchiare piccoli oggetti preziosi a proprietari terrieri ma questa volta il bottino sarà decisamente più ricco. Sento già l'odore della selvaggina ancora fresca sul fuoco e il sapore di succose mele rosse.
Il vociferare diventa sempre più lontano e ancora e ancora finché non raggiungiamo la campagna aperta. È complicato – e impossibile – nascondersi in questi luoghi perché tutti gli alberi sono stati abbattuti per prevenzione: se dovesse esserci una scossa di terremoto proprio mentre siamo in casa, avremmo una probabilità di essere scoperti davvero alta ma quanto meno non saremmo schiacciati dal massiccio tronco di un albero.
Daria si tira su il cappuccio per non farsi riconoscere ma a me non importa: lei è una codarda ed io no e lo riesco a dimostrare ogni volta che ne ho la possibilità. Nathan mi guarda e so già cosa fare. Annuendo in silenzio mi lancio in una corsa sfrenata finché non raggiungo la casa.
Daria è alle mie spalle, la sento sbuffare ogni volta che faccio un buco nell'acqua e la serratura non scatta. Vorrei dirle di mettersi nei miei panni e di provare a capirmi, ma è così cocciuta ed egoista che non mi starebbe neanche a sentire.
«Ci siamo quasi» mormoro tra me e me mentre il pezzetto di ferro finalmente gira dalla parte giusta e la porta si apre. Tirando un sospiro di sollievo, lascio che sia Daria la prima ad entrare mentre da qualche metro di distanza Robert ci fa cenno di proseguire.
L'abitazione è una delle più grandi che io abbia mai visto ed hanno perfino luce ed acqua corrente. Il legno sotto ai miei passi scricchiola ma spesso il suono è ovattato grazie a dei preziosi tappeti sparsi sul pavimento qua e la. Svolto a sinistra e davanti a me si apre un' enorme sala da pranzo allestita con i più bei mobili di tutta Londra. Mi chiedo come si possa vivere in un lusso tale mentre la stragrande popolazione muore di fame ma da come osservo con invidia i bei dipinti appesi al muro, mi accorgo di non avere una mentalità poi tanto diversa dal ricco padrone della casa.
«Ti sei rimbecillita per caso?» la voce affilata di Daria mi riporta alla realtà proprio mentre sono tutta concentrata ad osservare una fotografia di famiglia incastonata in una raffinata cornice d'argento. Lascio stare l'oggetto dove l'ho trovato e mi volto imbronciata, pronta per la ramanzina che mi spetta. Daria parla, alza la voce, sbraita, ma non riesco a cogliere una sola parola di quel che mi sta dicendo. Piuttosto provo a trattenere un risolino perché dalle facce che fa e dal modo in cui gesticola, mi sembra un animale primitivo.
«Tutto chiaro?» chiede infine. Mi sforzo di sorridere e annuisco «Certo!». Lei sembra soddisfatta, crede di aver svolto di nuovo il suo dovere da brava leader del gruppo ma non sa che non ho capito una sola cosa di ciò che mi ha ordinato di fare.
Apro la sacca legata in vita e inizio a gettare dentro le prime cianfrusaglie che trovo in giro: una forchetta d'ottone, dei bicchieri di vetro lavorati e colorati e alcune monete d'oro e d'argento ben nascoste nei cassetti. Ogni volta che svaligio qualche casa, sto sempre ben attenta a non rubare le cose più preziose o che potrebbero far immediatamente allarmare il proprietario. Mi piace andare sul sicuro e, soprattutto, andare in giro con oggetti di piccole dimensioni che potrei gettare via in qualsiasi momento.
«Hai finito?» grido a Daria che se ne sta nell'altra ala della casa. Nessuna risposta. Esco dalla sala da pranzo per dirigermi verso la camera da letto e la trovo seduta sul materasso a contemplare il vuoto davanti a lei. Non voglio disturbarla, sono sicura che mi aggredirebbe eppure è così sconcertata che non riesco a trattenermi: «Tutto bene?» il suo sguardo è talmente arrabbiato che indietreggio per la paura ed è solo in quel momento che noto delle piccole pietre rosse e brillanti poggiate sulle sua gambe. So cosa ha in mente ma sappiamo entrambe che non può farlo.
«Daria, non fare sciocchezze, sai che è pericoloso...»
«Fa silenzio» mi ringhia contro, aggrottando le sopracciglia «Sono solo dei stupidissimi rubini, nessuno si accorgerà che li ho presi» sembra così sicura di quel che dice che quasi le credo.
Scuoto il capo, non può farlo «Nathan e Robert non sarebbero d'accordo» le faccio notare.
«Di quello che pensano loro non me ne importa niente. E adesso vattene, voglio cercare anche qualche zaffiro, so che questi figli di puttana li nascondono qui da qualche parte» sono pronta per ribattere quando la terra trema nuovamente sotto ai nostri piedi. La scossa dura qualche secondo, giusto il tempo di fare un enorme respiro che già è passato, ma non è questo a preoccuparmi.
Robert ha appena dato il segnale e non c'è più tempo.
Spero di aver sentito male ma quando mi affaccio alla finestra e vedo Nathan sbracciarsi e farci cenno di andarcene di lì capisco che è arrivato il momento di togliere il disturbo. Faccio per muovermi verso la porta ma l'altra ragazza sta girovagando per la camera alla ricerca delle altre pietre preziose. Apre cassetti, rovista sotto i cuscini, rovescia lampade e l'intera libreria.
«Daria» l'afferro per un braccio ma quella mi strattona facendomi cadere all'indietro.
«Lasciami stare» è tutto quel che risponde ancora infuriata. Non c'è più tempo e che lei lo voglia o no deve lasciare questa casa con me e in fretta.
«Daria» la supplico «Ti prego, andiamocene» ho la testa che mi scoppia e il cuore che mi martella forte nel petto. Ho paura che qualcuno possa sorprenderci a rubare, ho paura di morire per mano di un essere umano.
«Se te la stai facendo sotto è meglio che te ne vada subito e senza di me» non aggiunge nient'altro e si volta per la sua disperata ricerca. Non voglio stare in questa casa un secondo di più, non dopo che dalla finestra ho scorto Nathan e Robert scappare a gambe levate. I proprietari di questa casa devono essere più vicini di quanto pensiamo e devo essere veloce se non voglio farmi vedere.
Corro a più non posso verso la porta di servizio e non appena sono fuori mi lancio in una corsa sfrenata. Tanta è l'agitazione e la velocità che dalla sacca mi cade la forchetta d'ottone, ma preferisco non raccoglierla ed evitare di essere fermata da qualcuno. Devo allontanarmi da qui il prima possibile ma il fiato comincia a mancarmi e le gambe cedono di colpo. Rallento il passo e mi volto appena in tempo per cogliere di sfuggita in gruppo di persone davanti alla casa, probabilmente si sono appena accorti della porta scassinata. E Daria? Daria dov'è? Sarà uscita in tempo? Spero di sì ma in fin dei conti non mi importa molto, specie per come ha iniziato a trattarmi in questi ultimi tempi... All'inizio non era poi tanto male, quasi la credevo un'amica ma quel suo caratteraccio ha fatto si che ci allontanassimo di botto, senza neanche un motivo preciso.
Sono ormai quasi arrivata a casa di Patrick quando sento delle voci dietro di me. Piuttosto che frenare la corsa velocizzo il passo e cerco di confonderli passando per strade secondarie e viuzze semi-nascoste ma quando sento i loro respiri affannati dietro di me, capisco che è troppo tardi. Mi fermo di colpo e mi inginocchio mentre annaspo l'aria. Il cuore batte così forte che ho come l'impressione che entro pochi secondi salti fuori dal petto. Il terriccio mi graffia le ginocchia ma sono così nervosa che neanche ci faccio caso.
«Kaia ma che diavolo ti è preso?» riconosco quella voce, riconosco il suo tono preoccupato e immagino le sue sopracciglia aggrottate mentre mi scruta con disapprovazione. Vorrei voltarmi e gettargli le braccia al collo per fargli sapere che sono viva e che sto bene.
Mi alzo e mi spolvero il sudicio vestito per poi sorridere ad entrambi: «Credevo che foste due addetti alla giustizia» ma la labbra mi si incurvano giù quando mi accorgo delle loro facce arrabbiate. Robert sembra furioso più che mai mentre Nathan... Lui ha qualcosa di diverso, sembra quasi tormentato. «Dov'è Daria?» taglia corto Robert, le braccia incrociate al petto e lo sguardo duro. Mi mordo il labbro inferiore indecisa se rispondere o meno: cosa dovrei dire?
«Quando sono uscita di casa era ancora alla ricerca dei rubini...»
«Rubini? Ma è pazza? E tu non hai fatto nulla per impedirglielo?» interviene Nathan, furioso più che mai. Robert gli tira una gomitata tra le scapole, non è un posto sicuro per parlare, tanto meno per gridare certe cose. Sospiro e faccio cenno ad entrambi di seguirmi: la casa di Patrick è l'unico rifugio su cui possiamo contare.
Mantenendo un'andatura lenta, arriviamo nelle sue terre in pochissimo tempo e quando entriamo di soppiatto dalla porta di servizio, nessuno fa caso a noi. È ormai quasi ora di pranzo e tutti i contadini stanno lasciando i terreni per correre al mercato a barattare i tre pomodori con qualcosa di più gustoso ma dubito fortemente che ci riusciranno. Il mio stomaco brontola per la fame e tento in ogni modo di ignorarlo, dopo questa pessima avventura potrò ritornare nella zona sud della città a barattare il mio misero bottino con i contrabbandieri di fiducia.
«Allora?» comincia di nuovo Robert che per il nervosismo preferisce stare in piedi piuttosto che sedersi a tavola con me e Nathan.
Abbasso istintivamente lo sguardo per evitare i loro occhi accusatori, non mi crederanno mai.
«Daria voleva quei rubini a tutti i costi» comincio piano, la voce è un sussurro «E non ha voluto saperne di andarsene via di lì quando avete dato il segnale. Era convinta che ci fossero anche dei zaffiri ed era fuori di sé...» m'interrompo di colpo perché in quel momento entra nella stanza Patrick, scuro in volto. Corre verso di me e mi abbraccia, sento le sue mani accarezzarmi dolcemente la nuca mentre mi sussurra parole di conforto.
«Sto bene, sto bene» tento di rassicurarlo svignandomela dalla sua morsa «Ma non posso dire lo stesso di Daria, temo che l'abbiano già presa».
Un terribile silenzio piomba tra di noi dopo quell'affermazione. Nessuno si muove, gli unici rumori di sottofondo sono i nostri respiri affannati. Non riesco a sentirmi in colpa per lei, non provo neanche pena. Non riesco a versare una sola lacrima quando penso ai suoi tre fratelli più piccoli che l'aspettano a casa per non parlare di sua madre incinta per la quinta volta: quella piccola creaturina che porta in grembo non conoscerà mai sua sorella maggiore, tanto coraggiosa quanto aggressiva.
Robert mi fissa con odio e prima che possa davvero rendermene conto, si scaglia contro di me e mi sferra un pugno in pieno volto.
Le sue nocche mi colpiscono forte il naso e per difendermi porto le mani sul viso. Robert grida contro di me, la sedia di Nathan gratta il pavimento, Patrick sta dicendo qualcosa a proposito di rispetto ma quei due proprio non vogliono saperne. Lentamente, molto lentamente, scopro il volto e i miei due compagni di furto non ci sono più. Probabilmente se ne sono andati arrabbiati e amareggiati più che mai e il nostro gruppo non esisterà più.
Patrick è in piedi che mi fissa, la testa inclinata di lato. Ha i capelli scompigliati e un sorriso sghembo, probabilmente sta cercando di non farmi pesare troppo questa storia.
«Il tuo naso» dice «Sta sanguinando».
Alzo gli occhi al cielo e mi stringo nelle spalle «Non mi fa male, non preoccuparti» strofino via il sangue con la manica della casacca e provo a sorridergli ma il mio tentativo va in frantumi per il forte mal di testa. Gli altri sono ancora al lavoro nei campi ma non posso stare qui un solo secondo di più altrimenti esploderò. Invito gentilmente Patrick ad uscire, indosso gli abiti con cui sono uscita di casa sta mattina e getto quelli della spedizione andata male in un sacchetto di plastica.
«Devo bruciarli?» Patrick fa capolino dalla porta, chissà quant'è che sta lì senza che me ne accorgessi. Le guance mi si infiammano ma cerco di non fargli notare troppo l'imbarazzo, annuendo appena.
«Sì» proseguo «E qui c'è la merce che sono riuscita a prendere oggi... Non è molto ma tienila tu, per me non è sicuro».
Patrick osserva il bicchiere in vetro lavorato, le monete d'oro e le piccole cianfrusaglie su cui sono riuscita a mettere mano. Sparisce per un po' e torna con una sacca con qualche patata matura, dei pomodori ed una bellissima mela rossa.
«Non è tanto ma serviranno sicuramente più a te» fissa per un po' l'orologio appeso alla parete e poi esclama, con mio grande sollievo: «Vai pure a casa, ci vediamo domani, Kaia».
Finalmente.
Prima di oltrepassare la porta di servizio mi volto appena: «Grazie Patrick, davvero».
Non risponde nulla, fa soltanto un gesto con la mano e poi lo vedo sparire oltre il corridoio.
Mentre attraverso le sue terre, mi domando che fine abbia fatto Daria. Ora che sono da sola, ora che posso riflettere a mente lucida su quel che è successo, non capisco se tutto quel che è accaduto è davvero colpa mia. Nathan e Robert ne sono pienamente convinti e se soltanto potessi chiederglielo sono sicura che anche Daria sarebbe dello stesso parere.
Ma è stata lei ad incaponirsi per trovare quelle pietre, non io. Ho fatto di tutto pur di farla uscire da quella casa.
O forse no, non sono stata così coraggiosa come credo. Magari avrei dovuto soltanto insistere un po' di più e allora avrebbe ceduto. E se invece mi fossi trovata io al posto di Daria? Il solo pensiero mi fa trasalire.

La vecchia bagnarola è ancora dove l'ho lasciata. Ondeggia leggera sul fiume che oggi è particolarmente calmo e cristallino. È incredibile pensare che una volta gli abitanti di Londra potevano attraversare il Tamigi, che era più stretto e basso di quanto lo è adesso, semplicemente grazie all'ausilio di ponti e traghetti. Negli ultimi tempi si è espanso così tanto che se continua di questo passo rischia di sommergere anche le case che si affacciano sulla costa, compresa la mia. Mentre sciolgo la corda e salto sulla barca, immagino che la vita d'un tempo fosse più facile di quanto lo è adesso, quando non c'era la fame, quando le quattro ere non erano state neanche previste e quando, soprattutto, il tuo ceto di appartenenza non era che lo status attuale che potevi cambiare in qualsiasi momento.
Adesso invece se nasci povero muori povero e non c'è nessuna speranza per un cambiamento.
Decido di mangiare immediatamente la mela – ho così fame ed è così invitante – senza neanche sciacquarla ma ne resto delusa dal sapore acido e acerbo.
Questa è decisamente una giornata da dimenticare sotto ogni aspetto, non c'è una sola cosa, una soltanto, che sia andata bene.
Impiego poco tempo a tornare a casa e sulla via del ritorno mi accorgo che Helen non è seduta in veranda ma decido di non allarmarmi troppo, probabilmente sarà in casa a svolgere alcune faccende.
«Già di ritorno?» Andrew non è entusiasta di vedermi. Se ne sta sulla sua sedia a rotelle con alcune carte in mano, sembrano cose importanti.
«Sì, ho finito il turno prima, non mi sento molto bene» lascio cadere la sacca a terra e alcune patate ruzzolano fuori, sotto lo sguardo sbigottito di mio fratello.
«Stai più attenta la prossima volta! Non è di certo quello il modo di trattare il cibo quando invece stiamo morendo di fame!» mi riprende immediatamente. È la copia esatta di Daria, sempre così autoritario e severo quando invece avrebbe ben poco di cui lamentarsi.
«Che sono quei fogli?»
«La madrepatria si scusa per il mancato pagamento della pensione...»
«Anche questo mese?» sbotto «Hanno fatto così anche la volta scorsa e quella prima! Vogliono davvero portarci al suicidio?» mi viene quasi da piangere ma stringo i pugni e trattengo le lacrime «Dammi qua, domani mattina vado a reclamare con chi di dovere e...»
«Domani avrai ben altro da fare» m'interrompe lui. Il tono è tagliente ma riesco a scorgere un'ombra di divertimento sul suo volto.
«Non capisco...»
Andrew mi sventola davanti agli occhi un foglio battuto a macchina, poche righe, nessuna foto. Togliendoglielo dalle mani sbuffo e lo lascio cadere davanti a me: «Sai perfettamente che non so leggere...»
Ridacchia malvagio e, dopo essersi schiarito per bene la voce, annuncia soddisfatto: «Si invitano i cittadini di Londra a partecipare all'esecuzione pubblica che si terrà domani mattina, alle ore dieci e mezza, nella piazza principale della città» fa una piccola pausa «Andrei io, se potessi...»
La testa pulsa fortissimo mentre il battito cardiaco accelera. Non può essere vero, domani non può esserci un'esecuzione pubblica.
Andrew deve aver notato la mia espressione terrorizzata perché domanda immediatamente: «Che c'è che non va? Non vuoi partecipare?»
Ho la bocca impastata e la mente affollata di pensieri.
«Sì, devo andare, è il mio dovere...» certo, questi sono gli obblighi che ci impongono, ma non voglio, non me la sento.
«Ah, menomale» osservo Andrew rilassarsi sulla sua sedia a rotelle «In giro si dice che sia una ragazza, una bella ragazza dagli occhi chiari e i lunghi capelli castani, un vero peccato» si ferma un attimo e mi esamina per bene, sperando di smuovere in me qualcosa «La conosci? L'hanno sorpresa a rubare pietre preziose ma queste sono solo dicerie, domani scopriremo qual è la verità». Scuoto il capo e mi ritiro in camera, sul duro materasso dove tanto tempo fa dormiva mia madre. Non ho bisogno di aspettare domani per sapere i dettagli di questa faccenda. Daria finirà al patibolo.
E la verità è che sono una codarda.


Lo so, lo so. Sono un disastro e ho mille mila storie da portare avanti. Ma questa... Insomma, una mattina faccio un magnifico sogno, ricordo ogni particolare, quella ragazza coraggiosa e quei due... Gli scenari e quel viaggio che hanno intrapreso e poi, una volta sveglia, mi dico "Devo scriverci una storia".
Ecco a voi Renegade, sono parecchi mesi che mi frulla per la testa e questo è il primo capitolo.
Vi prometto che ogni banner sarà diverso da quello precedente per dare spazio a tutti i personaggi!
Qui abbiamo (da sinistra verso destra): Daria e Robert e sotto Kaia e Nathan. Nono sono meravigliosi?
Okay, bando alle ciance... Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Gli altri ce li ho sparsi qua e la su ogni tipo di foglio ma già da stasera mi metto all'opera per ricopiare il secondo.
Aspetto pareri ed opionioni,
la vostra cara marts c:
  
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