Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Nuel    18/05/2014    7 recensioni
Tom Riddle è scomparso da un decennio e quando si presenta a casa Lestrange è ormai Lord Voldemort: uno dei più grandi maghi oscuri che il mondo abbia mai conosciuto ed in casa del suo ex compagno di scuola, Voldemort conoscerà alcuni tra i suoi più fedeli seguaci, ancora giovani e spensierati, ma soprattutto conoscerà Bellatrix Black splendida ed agguerrita...
♣ Questa fanfiction si è classificata nona al contest "Di fiabe e di canzoni" indetto da Mary Black.
◊ Imago Mundi II
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'Imago Mundi ϟ'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sorse oscura

Il tè era ormai freddo nelle tazze, ma Lastrange non osava dire nulla.
Il cielo stava diventando scuro per la sera e per le dense nubi temporalesche che vi si stavano addensando.
Cominciava a fare fresco, ma i ragazzi non sembravano accorgersene: le loro risa arrivavano dal fondo del parco, alternate agli schiocchi degli incantesimi che i tre si lanciavano, indifferenti ai danni che avrebbero potuto procurarsi se si fossero colpiti veramente, figure caotiche in movimento contro lo sfondo scuro dei tronchi degli alberi.
    «Come hai detto che si chiama?» 
    «Bellatrix. Bellatrix Black.»
    Lui continuava a guardarli e Lastrange non riusciva a superare il senso di disagio che provava.
Non vedeva Tom Riddle da anni e la sua visita lo aveva sorpreso. 
Ai tempi di Hogwarts erano stati amici, o così aveva creduto, ma per un lungo periodo si erano persi di vista, fino a quel pomeriggio.
Lord Voldemort, come si faceva chiamare adesso, aveva il volto sfigurato in maniera che Lastrange non avrebbe saputo definire: era ancora un uomo avvenente, ma qualcosa, in lui, era cambiato.
    Lord Voldemort si alzò in piedi, dimentico della tazza di tè ed indifferente ai pensieri del suo ospite e si avvio lentamente verso il punto da cui giungevano le voci dei due figli di Lastrange e della giovane Black.
Il suo incedere sicuro aveva qualcosa che terrorizzò l’uomo che teneva lo sguardo sulle sue spalle: Tom Riddle era un mago straordinario, dal carisma ineguagliabile e non era affatto pentito di avergli garantito il suo appoggio.
Avrebbero fatto grandi cose, assieme. Ne era certo.

La fioritura delle rose era ormai prossima ed i boccioli delicati sfidavano con coraggio l’anomalo maltempo che stava per abbattersi su di loro, dopo un aprile piuttosto mite ed il loro ondeggiare al vento, senza che un solo petalo venisse strappato, nonostante opponessero l’unica, inutile difesa delle loro spine, fece pensare a Lord Voldemort al gioco di quei tre giovani, promettenti maghi, ma soprattutto, a quella rosa di superba bellezza che era la giovane Black.
    Li raggiunse senza che loro se ne accorgessero. Il vento iniziava ad essere più forte ed in lontananza si scorgevano i primi lampi.
Gli stessi lampi, Voldemort ne era certo, avrebbe potuto scorgere negli occhi della strega che, come richiamata dalla sua presenza, smise di correre dietro al promesso sposo e si voltò verso di lui.
    Per una manciata di istanti si studiarono a vicenda, la giovane donna dalle guance accaldate dal gioco e l’uomo maturo ed impeccabile che trasudava potere. 
«Signorina Black, mi permetta di presentarmi: Lord Voldemort, un vecchio compagno di scuola di Lastrange. Vorrei esprimerle le mie congratulazioni per il suo fidanzamento.»
La voce di Lord Voldemort era profonda e pacata e Bellatrix si ritrovò a sorridere ed arrossire, consapevole quanto indifferente di avere i capelli in disordine.
«Onorata di fare la sua conoscenza, Lord Voldemort.»
    Rodolphus e Rabastan giunsero al fianco della donna, avendo smesso di giocare a loro volta, ma lo sguardo del mago oscuro era concentrato su di lei, su Bellatrix, giovane, bella ed ambiziosa. Spregiudicata, avrebbe detto. Lo desumeva dal modo in cui lasciava sciolti i capelli, dallo sguardo indomito, dalla piega che assumevano le sue labbra mentre gli sorrideva.
    «Non ho potuto fare a meno di notare la vostra abilità con gli incantesimi, tuttavia, mi sono chiesto quale sia lo scopo di questo gioco.» Le parole di Voldemort erano rivolte a tutti e tre, ma gli occhi restavano sulla strega che sosteneva il suo sguardo, priva di quella falsa timidezza che spesso caratterizzava le giovani purosangue.
    «E’ solamente un gioco, milord.» Rodolphus sentì la necessità di intervenire, di ricordare a Bellatrix la propria presenza: il mago che stava suscitando l’interesse della sua fidanzata era un amico del padre, ma non di meno trovava il suo modo di osservarla quanto meno disdicevole.
    «La magia non è mai un gioco, mio giovane...»
    «Rodolphus.»
    «Ah! Rodolphus, il fortunato promesso sposo della signorina Black.»
    Le labbra di Bellatrix si stesero sui denti bianchi, una risata sprezzante trattenuta, un guizzo d’intelligenza e vanità negli occhi neri, mentre un lampo rischiarava di nuovo il cielo e le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere.
    «Faremmo meglio a rientrare.» Rabastan si mosse, ma fu l’unico. Guardò il fratello, in cerca della sua approvazione, ma non ricevendola spostò lo sguardo su Bellatrix e poi sull’amico del padre. Nessuno accennava a muoversi.
    «La magia, miei giovani amici, non è mai “solo un gioco” -Voldemort estrasse la propria bacchetta dal mantello, catalizzando su di essa i loro sguardi. -La magia è espressione di potere, è arte sublime. Perfezione.» Un movimento del polso, simile a quello di un direttore d’orchestra e la bacchetta di legno di tasso parve danzare con l’aria. 
Il tuono sopraggiunse a coprire un rantolo, alle spalle dei tre giovani ed il mago fece loro segno di guardare alle loro spalle: immobile, come se dormisse, una piccola volpe accasciata a terra.
Le zampe sottili non l’avrebbero più portata alla tana dove i cuccioli l’attendevano.
    Bellatrix le si avvicinò, cauta, si chinò e sporse la mano, scuotendola, prima di capire se l’animale fosse realmente morto.
Si girò a guardare Voldemort con gli occhi sgranati, le labbra rosse socchiuse in un misto di esaltazione e raccapriccio.
    «Prima lezione: uccidere rapidamente e senza esitazione. Questo ad Hogwarts non ve lo hanno insegnato, ma... vi tornerà utile.»
    «Che incantesimo ha usato?» Rodolphus ora lo guardava con occhi diversi, con desiderio e aspettativa, ma Voldemort tornò a guardare Bellatrix: gli occhi di lei erano come il cielo sopra di loro: scuri e profondi e avvolgenti come la notte, carichi di sentimenti che lui non capiva, ma che lo incuriosivano.
    «E qual è la seconda lezione?» Si era alzata in piedi la primogenita dei Black, senza traccia di pietà per la volpe nella voce e nello sguardo, ma un infinito desiderio di imparare.
    «Chi vuole apprendere da me, non ha che da seguirmi.» Anche lui piegò gli angoli delle labbra verso l’alto, come faceva lei, nella caricatura di un sorriso così perfetta che nessuno avrebbe potuto non credere nella sua sincerità.
Un momento dopo, Lord Voldemort volava. I suoi piedi si muovevano rapidi, portandolo in alto, a correre nell’aria tra gli alberi e Bellatrix Black lo rincorreva.
Il tempo di un’esclamazione di stupore e Rodolphus la imitava, seguito da Rabastan, ancora incredulo.
    Gli schiocchi degli incantesimi ricominciarono, ma non era un gioco, questa volta, erano maledizioni che volavano come farfalle notturne, colpendo per lo più gli alberi, strappando foglie, come faceva il vento.
Lord Voldemort li osservava, spostandosi rapidamente, fuori dalla portata dei loro colpi imprecisi, li faceva correre tra i tronchi, mentre la pioggia aumentava e nel cercare di raggiungerlo, loro si dividevano.
Non aveva intenzione di danneggiarli, ma di studiarli: erano suoi. Tutti e tre. Allievi. Figli. Sacerdoti del suo culto. Suoi
Li avrebbe plasmati, li avrebbe elevati al di sopra di tutti gli altri e loro sarebbero stati per lui.
La loro giovinezza, la loro magia, il loro sangue puro. Suoi.
    Scarmigliata, eppure bellissima, la bacchetta nel pugno, protesa davanti al volto, pronta a scattare, Bellatrix lo aveva quasi raggiunto. Rischiò di scivolare sull’erba bagnata, la pioggia le incollava la stoffa dell’abito scuro addosso e Voldemort si scoprì ad osservarla ancora con particolare interesse. 
    Mentre lui la osservava, lei lo vide. 
«Stupeficium!» Il colpo di Bellatrix fu rapido e preciso, la sua voce così limpida e chiara, la sua risata cristallina quando, per un singolo istante, credette di averlo colpito, ma Voldemort, respinse il suo schiantesimo senza fatica e discese, verso di lei.
    «Ottima mira.»
    «Però non l’ho colpita.»
    «Sapete, Bellatrix, non mi piace la pace che viene dall’oscurità...» Voldemort guardò il buio insinuarsi tra gli alberi e distese le labbra, prima di tornare a guardare lei, facendole un cenno.
La giovane strega comprese, si allontanò di pochi passi e l’inseguimento ricominciò. 
Questa volta anche lui correva.
Si lanciavano incantesimi tra i tronchi, senza sapere dove fossero finiti i fratelli Lastrange, correvano, miravano, colpivano e respingevano, come se null’altro avesse importanza. 
    «Crucio!» La voce di Voldemort giunse da un punto impreciso, invisibile ai suoi occhi e Bellatrix si contorse, trafitta di migliaia di spilli invisibili.
«Restare nel buio mentre ti torturo non mi basta più...» Voldemort credeva che il destino fosse già scritto ed il suo era di dominare il mondo e, allora, lei sarebbe stata al suo fianco, sublime anche nel dolore.
Per questo la colpì di nuovo, per renderla perfetta, perché lei non avrebbe mai dovuto scegliere1.
«... voglio il tuo cuore nero.» La voce del lord le giunse simile ad un’invocazione.
    Bellatrix si strinse le braccia al grembo, impallidendo repentinamente. 
Si accasciò a terra come la piccola volpe. Un dolore sordo e freddo le aveva trapassato il ventre, senza segnarle la carne. Non c’era sangue, eppure lei sentiva che qualcosa era stato reciso.
Dentro di lei.
Alzò lo sguardo, occhi sbarrati ed una domanda, sulle labbra socchiuse, che non voleva uscire.
Allora comprese.
    Mentre le voci di Rodolphus e di Rabastan si avvicinavano ed il vento e la pioggia la sferzavano, Bellatrix si rese conto che sarebbe stata sua per sempre.
Avrebbe sposato Rodolphus, ma il loro letto sarebbe rimasto sterile perché a questo l’aveva condannata quell’uomo e mentre Voldemort la guardava, lei capì, per la prima volta, cosa significasse l’appartenenza.
Sarebbe sorta, come una luna oscura e sarebbe stata sua, per sempre.
    

Note al testo:
1 “Per questo la colpì, per renderla perfetta, perché lei non avrebbe mai dovuto scegliere.”
In “Harry Potter e il principe mezzosangue”, cap.13, Harry chiede a Silente: “Non ha voluto restare in vita nemmeno per suo figlio?” e Silente risponde: “Merope Riddle scelse la morte nonostante un figlio che aveva bisogno di lei”.
In questa prospettiva va intesa l’azione di Voldemort: rendere sterile Bellatrix per non porla mai davanti alla scelta di restare con un figlio, allontanandosi, verosimilmente, da lui o di rinunciare al proprio figlio per seguire il suo signore, scelta che l’avrebbe, in un certo senso, resa simile alla madre che Voldemort disprezzava.
Ovviamente l’incantesimo oscuro usato per ottenere tale scopo è frutto della mia fantasia.
2 Questa fanfiction partecipa al contest "DI fiabe e di canzoni" indetto da Mary Black sul forum di EFP. 
Il contest prevede lo sviluppo di una storia basandosi su una frase prestabilita, che in questo caso è: "Sai che non mi piace la pace che viene dall'oscurità... Restare nel buio mentre ti torturo non mi basta più, voglio il tuo cuore nero." - Cuore nero, Punkreas.
 
 
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Nuel